Chanson de Roland

La morte del cavaliere nella letteratura cortese

    Nel Medioevo la morte è regolata da rituali consuetudinari, descritti frequentemente con attenzione nelle chansons de geste e nei romanzi cortesi come momenti significativi della dimensione cortese dell'esistenza e dei  valori celebrati in queste opere. Il cavaliere non muore come capita, la morte non avviene mai improvvisamente, nemmeno quando è accidentale o conseguenza di una ferita, nemmeno quando è causata da emozioni eccessive, come spesso accade nelle vicende della letteratura cortese. E' difatti essenziale essere avvertiti da tempo ed essere coscienti durante gli ultimi istanti di vita: questo atteggiamento traspare palesemente non solo nella Chanson de Roland, ma anche nei romanzi della Tavola rotonda e nei poemi di Tristano. Il re Ban de Les Romans de la Table ronde disse, "…Oh Signore Iddio… aiutatemi perché vedo e so che è giunta la mia fine". Vedo e so. "Orlando sente che la morte lo invade. Dalla testa discende verso il cuore, […], sente che il suo tempo è compiuto"; e, ferito da un’arma avvelenata, Tristano "sentì che la sua vita veniva meno, capì che stava per morire". L’avvertire l’arrivo della morte è un segno del legame del cavaliere con il divino, infatti tale privilegio era attribuito  anche ai monaci particolarmente pii, come testimoniano numerose cronache medievali. Certi presentimenti avevano del prodigioso; ce n’era uno, in particolare, che non poteva ingannare: l’apparizione di un fantasma, magari anche solo in sogno. Sempre ne Les Romans de la Table ronde, ad esempio, la vedova del re Ban dopo la morte del marito e la sparizione del figlio, si era fatta monaca. Passarono anni. Una sera vide in sogno il figlio e i nipoti, che si ritenevano morti, in un giardino: "Allora capì che nostro Signore l’aveva esaudita e che stava per morire". Affinché la morte fosse così annunciata era necessario che non fosse improvvisa, fulminante, la cosiddetta mors repentina. Quando il passaggio all'al di là era  preavvertito non appariva più come una necessità temibile, ma in ogni caso atteso ed accettata. La morte improvvisa diventava un assurdo strumento del caso, o più spesso espressione collera divina.

 

La morte di Orlando nella Chanson de Roland

    Nelle canzoni di gesta, sviluppatesi tra l’XI e il XIII secolo in cicli, a cui appartiene la Chanson de Roland, il protagonista della morte più esemplare, della più gloriosa conclusione di una vita dedicata alla lotta per difendere Dio ed il proprio sovrano, è il paladino Orlando.   L’imperatore Carlo Magno, dopo aver combattuto vittoriosamente in Spagna contro i Saraceni per oltre sette anni, decide di accettare la proposta di pace di Marsilio, re dei Mori che, ormai allo stremo, cerca con l’inganno di allontanare i Franchi. Solo Orlando vuole che la guerra continui ed invano si oppone alla trattativa di pace; trova allora in Gano, suo patrigno, colui che dovrà, come ambasciatore, partire per la pericolosa missione. Questi accetta, ma con ira, poiché pensa che Orlando l’abbia proposto per sbarazzarsi di lui e attua una sua vendetta lasciandosi sedurre dal tradimento. Marsilio promette di convertirsi e di terminare la guerra solo se Carlo Magno lascerà la Spagna. L’imperatore cade nella trappola e si ritira con il proprio esercito, ma la retroguardia, a capo della quale Gano aveva posto Orlando, viene attaccata e sterminata a Roncisvalle da oltre quattrocentomila Saraceni. Orlando solo in punto di morte decide di suonare il corno per chiamare in soccorso il grande esercito di Carlo. All’arrivo dell’imperatore l’esercito saraceno viene sbaragliato, anche grazie ad un intervento divino che ferma il sole per permettere ai Franchi di seguire i superstiti mori fino all’Ebro. La guerra termina con un duello tra i due imperatori, con l’ovvia e definitiva vittoria dei cristiani. Carlo, infine, torna ad Aquisgrana dove processa e condanna a morte il traditore Gano. Ne La Chanson de Roland, il protagonista Orlando muore solo su uno sfondo grandioso: una solenne scansione del rituale di morte dell’eroe cristiano (il confessare i propri peccati, il guanto teso a Dio, l’assunzione in cielo) evidenzia la tragica e sovrumana condizione di Orlando. Egli appare nel duplice aspetto sia di valoroso e fedele paladino del re Carlo, sia di perfetto cristiano, la sua morte diventa la morte esemplare, tesa ad unificare la fedeltà feudale alla fedeltà a Dio, in cui guerra e violenza assumono un significato sacrale che investe l’aristocrazia guerriera di una missione religiosa, concetto poi ripreso nello spirito che animò le crociate in Terra Santa alla fine dell’XI secolo, in cui era presente uno "spirito guerriero, feudale, fanaticamente cristiano, paradossalmente miscuglio di cristianesimo e di imperialismo aggressivo" (Auerbach). Da un certo punto di vista la vita di Orlando è simile a quella di un santo, come itinerario di virtù e guerra santa, e se ne ha una conferma clamorosa alla morte dello stesso, quando due arcangeli e un cherubino accorrono a raccogliere la sua anima per portarla in Paradiso.


 

TESTO

LA MORTE DI ROLANDO

da La Chanson de Roland,

CLXXIII-CLXXV

A. Dürer, Il cavaliere la morte e il diavolo (1513)

 

Orlando sente che la morte lo invade,

dalla testa al cuore gli discende.

Sotto un pino se ne va correndo,

sull'erba verde s'è coricato prono,

sotto di sé mette la spada e il corno.

Ha rivolto il capo verso la pagana gente:

l'ha fatto perché in verità desidera

che Carlo dica a tutta la sua gente

che da vincitore è morto il nobile conte:

Confessa la sua colpa rapido e sovente,

per i suoi peccati tende il guanto a Dio.

 

Orlando sente che il suo tempo è finito:

Sta sopra un poggio scosceso, verso Spagna;

con una mano s'è battuto il petto:

"Dio! mea culpa, per la grazia tua,

dei miei peccati, dei piccoli e dei grandi,

che ho commesso dal giorno che son nato

fino a questo giorno in cui sono abbattuto!".

Il guanto destro ha teso verso Dio.

Angeli dal cielo sino a lui discendono.

 

Il conte Orlando è disteso sotto un pino,

verso la Spagna ha rivolto il viso.

Di molte cose comincia a ricordarsi,

di tante terre che ha conquistato, il prode,

della dolce Francia, della sua stirpe,

di Carlomagno, suo re, che lo nutrì;

non può frenare lacrime e sospiri:

Ma non vuol dimenticare se stesso,

proclama la sua colpa, chiede pietà a Dio:

"O padre vero, che giammai mentisci,

tu che resuscitasti Lazzaro da morte

e Daniele salvasti dai leoni,

salva l'anima mia da tutti i pericoli

per i peccati che in vita mia commisi!".

A Dio ha offerto il guanto destro:

san Gabriele con la sua mano l'ha preso.

Sotto il braccio teneva il capo chino;

con le mani giunte è andato alla sua fine.

Dio gli manda l'angelo Cherubino

e san Michele del pericolo del mare;

insieme a loro venne san Gabriele:

portano in paradiso l'anima del conte.

 

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