Il linguaggio

Il rigore si esprime negli scritti di Bordiga con un linguaggio che occorre commentare. Chi ha provato a tradurre in altra lingua il suo italiano si è immediatamente trovato a combattere con difficoltà a volte insormontabili e ha dovuto ricorrere a frequenti perifrasi. Ciò non è solo dovuto all'uso di un "personale" modo di esprimersi, ma alla lingua attuale che è plasmata dalle necessità del capitalismo e inibisce la possibilità di esprimersi in campi che capitalistici non sono.

In Fattori di razza e nazione Bordiga cita Marx che nell'Ideologia tedesca dice: "La realtà immediata del pensiero è il linguaggio. Come hanno reso indipendente il pensiero, così i filosofi hanno dovuto fare del linguaggio un regno indipendente... Né i pensieri né il linguaggio formano di per sé un loro proprio regno; sono solo manifestazioni della vita reale". Ciò significa che la vita reale non può per ora avere parole utili alla descrizione della società futura, e la lingua che ne prefigura l'avvento tramite la rivoluzione deve in qualche modo "arrangiarsi".

Dal punto di vista linguistico (comunicazione, informazione, segno) sappiamo quale possa essere la strada per ovviare alle insufficienze del mezzo in sé: l'elaborazione della forma. Non è il caso qui di introdurre elementi della annosa discussione su contenuto-forma, ma è certo che la lingua capitalistica non ha ancora risolto dal punto di vista estetico della comunicazione l'uso dei vocaboli che si riferiscono alla meravigliosa tecnologia moderna, alle sue applicazioni e al contesto sociale-produttivo. Il futurismo russo è morto con la rivoluzione, quello italiano si è spento nel fascismo e nulla li ha seguiti. La fase estrema del capitalismo è rimasta senza possibilità di espressione e la società nuova non ha ancora la sua lingua.

La lingua di Bordiga non ha nulla a che fare con la "letteratura" e tantomeno col futurismo. Essa è piuttosto uno strumento gravato da limiti esterni che non sopporta, e si vede. A volte è di sintassi caotica, incontrollata, con incisi a matrioska e frasi interminabili. A volte ogni frase è densa di significati come un algoritmo che comprime in sé un complesso fenomeno della natura. La compressione in algoritmi è l'essenza del procedere scientifico, ma anche la compressione in algoritmi linguistici è l'essenza della poesia, quella vera.

Ci sono degli articoli così trasandati che per pubblicarli bisogna fare opera di restauro nei confronti di ciò che il piombo tipografico ha lasciato sulla pessima carta dei giornali di lotta. Sono "difficili", come qualcuno lamenta, ma sono sempre chiarissimi nel loro significato globale. Ci sono altri testi che hanno un ritmo avvincente, armonico, sono insomma perfetti. In entrambi i casi si rivolgevano a proletari, non a riviste letterarie.

Lo strumento linguistico rivoluzionario in Bordiga si avvale, volente o nolente, di espedienti per andare oltre i limiti della semplice descrizione e interpretazione e giungere alla spiegazione scientifica. Per dare il senso della dinamica e del divenire sono usati arcaismi, voci dialettali, parole inventate, tecnicismi, onomatopee, deformazioni di ogni genere (forme parascientifiche, suffissali e prefissoidali, sostantivazioni e desostantivazioni, perifrasi aggettivali, calembour...); insomma, si potrebbe elencare tutto ciò che una ponderosa grammatica contiene.

Prendiamo un testo qualsiasi, per esempio alcune frasi da un capitolo del Dialogato coi morti del 1956. C'è stato il XX Congresso del PCUS a Mosca, Kruscev denuncia il culto della personalità; inizia la cosiddetta destalinizzazione da parte degli stalinisti che non per questo diventano qualcos'altro da quello che erano. Viene riscritta la storia un'altra volta. La prima volta era stato quando lo stalinismo sterminò la vecchia guardia bolscevica. Due volte nel giro di una generazione, è troppo. L'avvenimento non si può descrivere come un fatto di cronaca, perché o lo si banalizza con il racconto o lo si drammatizza con morale indignazione. La tragedia storica del proletariato tradito da simile duplice voltafaccia (tradimento del tradimento dei principii) non può essere affrontato che esasperando la forma linguistica.

"Più volte avremo a ridurre ancora le posizioni del movimento di Mosca alla negazione, di controfacciata assoluta, dei cardini del comunismo (..) Tutto il 'materiale Stalin' si toglie di colpo di mezzo, e lo si rastrella indietro da tutti gli spacci di periferia. Al suo posto si rovescia di colpo, rigo a rigo, la letteratura di questo ventesimo congresso, più sconnessa ancora, nella sua filiazione da più padri, degli 'scientifici' e davvero pietosi parti del mammone Stalin (...) La cestinatura del secolo, direbbe lo scribame; la più grande cestinata della storia, diremo noi".

Il burocratico "materiale Stalin", come se fosse un dossier di ministero, viene ritirato dagli "spacci di periferia" tra cui, in Italia, vi sono le filiali di Botteghe Oscure, dal nome della via in cui ha sede il PC italiano su cui è facile l'ironia. La cartaccia ritirata è peggio che di second'ordine perché già figlia di cose degenerate. D'altra parte almeno Stalin-mammone (capitalista) produceva unitariamente, mentre il nuovo verbo è partorito attraverso un "democratico dibattito congressuale". La semplice glossa dà fastidio, mentre è perfettamente godibile l'originale, anche se si perde un po' d'informazione nel procedere, se chi legge non è al corrente dei riferimenti.

"Il moderno pensiero critico borghese, che ancora non sgombera malgrado le brutte figure a catena su tutti i fronti, rifiutò l'Ente, la Grazia, e l'investitura d'infallibilità, ma pretese sostituirvi un pilotaggio dell'azione umana non diverso, ossia prese gli uomini per la testa, delirò per la macchina da stampa, per l'alfabetismo e per il libro in grande tiratura e - ahi per lui - per l'introduzione delle gazzette; per il Maestro-fiaccola contro il Prete spegnitoio. Non sgarra chi traduce questa presa dell'uomo-cittadino per la testa, in reale presa per il dialettico, se pur scurrile, contrario (...) Noi riconsultiamo in faccia (ai sapientoni delle inesauribili risorse e manovre) gualciti e inarrivabili libelli che ci guidano da circa un secolo: quei signori danno un saggio del loro ritorno al marxismo cambiano da un giorno all'altro, ad un fischio del contromastro, tutto l'armamentario stampato, in critica storica, economica, politica, filosofica, certi che così cambieranno a lor modo la faccia del mondo. Appunto perché non oggi certo abbiamo imparato a schivare il culto della personalità, compulseremo sempre che ci paia l'opera di Stalin; non quoteremo un soldo più alto di questa il lanciato Florilegio di congressuali coglionerie, che oggi trabocca".

Bordiga va avanti così per pagine e pagine, senza stanchezza stilistica, senza rinunciare per un momento a farsi sostenere dalla forma là dove la sintesi stilistica comprime in una frase mezza pagina di testo ordinario.

Si provi a tradurre in italiano "saggistico" uno qualsiasi dei testi di Bordiga, dai Dialogati ai migliori articoli Sul filo del tempo, e si toccherà con mano la perdita di significato che si ottiene. Questo è successo inevitabilmente nelle traduzioni. Tranne rari casi, le traduzioni non erano fatte da professionisti, ma da compagni che pazientemente si rompevano la testa contro ostacoli per loro insormontabili. Bordiga afferma di aver fatto l'esperimento con dei compagni che trovavano "difficili" i suoi articoli: "Qualche volta ho preso un mio articolo e ho detto a giovani compagni di tradurlo in lingua più accessibile: l'esperimento è stato sempre disastroso anche trattandosi di redattori intelligenti e colti: talvolta mi facevano dire tutto l'opposto".

Il perché si capisce. A volte sembra che il contenuto del testo non sia profondo come sembra a prima vista. Al contrario, a volte sembra che un testo sia scorrevole mentre si rivela ultracondensato di contenuti. Il testo di Bordiga non è mai "esplicativo". Esso colpisce chi ascolta, se ha pazienza di mettersi in sintonia, e ne cattura l'attenzione mettendo in moto le sue emozioni e le sue conoscenze. Il fatto è spiegato nella stessa lettera: "Non ripetiamo la baggianata che gli operai non arrivano a capire. Non importa. Voi non avete pratica degli intellettuali e non sapete abbastanza quanto sono vuoti, fessi, vili e difficili a spostarsi un millimetro dai pregiudizi dominanti. Da quaranta anni ho imparato a fondo quanto più facilmente un uditorio operaio afferra tesi audaci, radicali e in controsenso alle idee tradizionali, laddove i benpensanti magari con diverse lauree rispondono enunciando fesserie giganti e pietose. Ho quindi deposto per sempre la preoccupazione che gli operai non capiscano. Appunto perché liberi dalla via scolastica e con metodo che tiene più dell'istinto che del raziocinio, essi si portano sul piano di classe e agiscono in conseguenza".

Il testo di Bordiga sollecita più l'istinto che il raziocinio, o meglio, prima l'istinto e poi il raziocinio; è un testo che muove soltanto chi ha già dentro di sé le premesse per capirlo e per digerirlo. Chi non è già vicino lo trova scostante e ostico, incomprensibile. Lo si trova sempre più ricco frequentandolo molto, e in questo dimostra di essere molto vicino a ciò che Umberto Eco chiama "opera aperta", un meccanismo di comunicazione che muove la passività psicologica di chi riceve il messaggio obbligandolo alla parteciapzione, cioè alla formulazione del messaggio stesso. Per questo gli intellettuali "non capiscono" mentre un auditorio operaio recepisce benissimo. Ricordiamo che Bordiga era un formidabile oratore capace di inchiodare l'auditorio di un comizio anche con temi che da comizio non erano, come ricordano alcuni rapporti di polizia negli anni prima della formazione del PCd'I.

Per questi motivi si legge Bordiga con il piacere con cui si leggono i "classici". Dietro la sua lingua dall'apparenza contorta e barocca c'è un rigore formulato per via poetica. Non sembri un'esagerazione. Sul solido e insuperato apporto linguistico della borghesia rivoluzionaria (con i Cattaneo e i De Sanctis citati all'inizio del volume), si sovrappone e intarsia una lingua d'invenzione che non ha corrispettivo nella letteratura odierna, piatta, inespressiva, banale. Solo nelle opere di un altro ingegnere, costruttore di centrali elettriche e grande scrittore, si trova un linguaggio per molti versi simile: Carlo Emilio Gadda.

"L'ingegnere progettista (...) non vede sé, vede l'opera, vede 'la cosa che dovrà essere'. Il filo dell'atto, degli atti, che discende dalla conocchia del pensiero. Vede il compito davanti a sé, 'il problema da risolvere', la disciplina dell'esecuzione (...) Il buon ingegnere, come il buon tecnico e il buon operaio, ha il senso pressoché istintivo di ciò che è logico o altrimenti detto razionale. La sua meditazione pacata eseguisce degli accostamenti, degli aggiustamenti che risultano molto vicini a quelli del calcolo. Egli ama e vuole ciò che è bene congegnato e perfetto, egli predispone il 'mezzo' vale a dire lo strumento migliore per raggiungere il fine".