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MANTOVA DEI GONZAGA  la “Celeste Gal(l)eria”

-  6 Novembre 2002 -

Prima di parlare  della “ Celeste Galeria”,  che sta riscuotendo un grande successo internazionale di critici, studiosi dell’arte e di pubblico, oltre che un successo, fino ad oggi é stato un vero trionfo, un trionfo senza precedenti nella città dei Gonzaga e così, sono certo, continuerà fino al giorno 8 dicembre, giorno della sua chiusura programmata.

Così per incominciare quest’ultimo  capitolo, che concluderà questa nostra fatica letteraria ,é doveroso  parlare delle origini della Città di Mantova, che fu  il ducato dei Signori Gonzaga, che diedero lustro, prestigio e splendore a questa bellissima città d’arte e di cultura.

Per chi non  lo sapesse, Mantova é una città legata in modo indissolubile all’acqua. Dario A. Franchini, così la definisce: “Mantova é un’isola nella immensa  Pianura Padana che dell’isola ha mantenuto le caratteristiche proprie. Una grande depressione naturale, colmata dalle acque del Mincio che periodicamente straripava, circondava uno scampolo di terra sulla quale si venne costituendo, nei tempi mitici del passato di Ocno e Manto.

 Ocno, nella mitologia greca, personificazione della pigrizia e della sbadataggine; venne raffigurato mentre intrecciava una corda non accorgendosi che il suo asino la mangiava dall’altro lato: Mentre Manto, antica profetessa tebana, figlia di Teresia; dopo  la conquista della sua città, fondò una colonia a Claro per ordine di Apollo. Nella mitologia etrusca, dio dei morti, marito di Mantuana; avrebbe dato il nome alla città di Mantova

Baldus, II. 62 ( Mantua mantois quondam fabricata diablis, una città).

Dante, nel  XX Canto, (40-45) , nella quarta bolgia dell'Inferno,  dove vi sono gli indovini e gli avvelenatori, che hanno la testa e il collo volti verso la schiena, e sono così costretti a camminare all’indietro perché “vollero veder troppo davante”. Virgilio gli indica Manto ed espone a sua volta le origini di Mantova.

Vedi Tiresia, che mutò sembiante

Quando di maschio femmina divenne,

Cangiandosi le membra tutte quante;

E, prima, poi ribatter gli convenne

Li due serpenti avvolti con la verga,

Che riavesse le maschili penne”

“Ma soltanto nel 1190, attuando un’opera di alta ingegneria, queste acque furono regolate, secondo il progetto di Alberto Pitentino, in una successione ordinata di laghi interconessi con salti di quota ben regolati e da canali. Le acque scorrevano, così, senza impaludarsi ed anche quelle in accesso non creavano problemi di sopravvivenza. Il Rio, più ancora del Fossato dei Buoi e della Fossa Magistrale gli altri due canali che tagliavano la città in cerchie ordinate, si integrò nel tessuto urbano e divenne parte fondamentale della città,

Parlando del Rio qualcuno ha ricordato affinità, o assonanze con Venezia ma il paragone sembra improprio. Lungo il Rio si insediarono artigiani, ogni casa aveva un accesso di servizio all’acqua, molti - e fino a pochi anni fa' - le lavandaie lavavano e sciorinavano il loro bucato, mentre i pescavano in esso ma nessuna casa aveva la fronte principale rivolta verso l’acqua come a Venezia. Il Rio aveva la funzione di fiume interno.

“E’ stato scritto più volte che le più belle città si sono venute formando lungo i fiumi e che la civiltà deve molto a queste vie liquide, e Mantova non sfugge alla regola. Anzi, nell’aria tra magica e ingannevole che la caratterizza, essa non contenta del fiume che la circonda in un abbraccio sé fatta penetrare dal fiume e lungo queste rive si sono venute arroccando fascinose ma criptiche costruzioni.

Al suo ingresso in città il Rio é limitato da un possente muraglione dotato di bastioni e contrafforti. E’ il muro di cinta del complesso monastico di S. Francesco, che verrà trasformato nel 1811  in Arsenale per essere restituito, dopo la seconda guerra mondiale, alla sua funzione religiosa. Questo essere stato arsenale si legge bene - quasi una promozione - nella forza dei muri in pietra a vista. Il Rio potrebbe essere un fossato di difesa. Oggi, oltre al complesso monastico, esiste solo il Rio, che in parte interrato, attraversa una buona parte della città, per emergere nelle vecchia pescheria romana al fianco al piazzale dove sorge il Palazzo delle Poste. Lungo il Rio, più volte, e in tempi diversi,  ci siamo soffermati con il nostro cavalletto o con il blocco da disegno, per ritrarre quegli scorci caratteristici che maggiormente ci hanno impressionati e sedotti dalla loro bellezza e dai colori tenui e sfumati. “Questo itinerario scandito fra le pietre nobili, vecchie case , scorci panoramici e selciati antichi. Valgono le parole di Giovanni Arpino, da lui scritte per Torino, quando dice: “ La città sa spiegarsi con dolcezza e con quel briciolo di mistero inesauribile che ciascuno deve scoprire ed intuire da sé”. Noi, nelle nostre continue passeggiate, fra il Rio e le vecchie stradine della Mantova antica, abbiamo scoperto tutto questo.

 Ma tutto questo non é sufficiente per scoprire questa caratteristica e bella città. Le sue stradine, i vicoli, le nobile pietre, gli scorci panoramici dei laghi  ed il Rio,  sono  come una collana di pietre preziose che impreziosisce il collo di una bella donna. “Ma solo chi entra in città da oriente o da settentrione per le porte di San Giorgio attraverso il lungo terrapieno, sigillo tombale d’antico potente medioevale ivi sotto da non molto sepolto, o di Molina percorrendo il caratteristico ponte  impostato su di una diga millenaria, sol chi entra in città da queste due direzioni provenendo dal Veneto o da Brescia, ha l’esatta sensazione di Mantova”.  La massa dei turisti, che in questi giorni invade la città, in occasione della “Celeste Galeria”, può osservare un profilo basso, allungato, solo segnato dall’elevarsi d’alcune torri che si rinserrano quasi a protezione dell’alta cupola centrale che tutto domina; non colori vivaci colpiscono la vista dei turisti internazionali: un sottile velo di vapore ricopre tutto il panorama ed attenua e smorza ogni vivacità di tinta; il grigio domina su tutto, ma un grigio fatto di chiarezza, di trasparenza; la diresti una città d’argento. Un profilo basso, allungato, appoggiato su di un tappeto di tenere canne il cui verde subito sfuma in giallo mollemente aurato, tappeto cui fan corona l’acque del Mincio che talvolta  nel colore si rammentano di esser state Garda, ma che più spesso hanno la mutevole luce dell’acciaio. Visione eminentemente virgiliana; e se volgi lo sguardo a mezzogiorno, e di là del ponte ferroviario vedi alzarsi timidi svettando per l’aria  gli alti e secolari pioppi del lucus Viegilianus creatovi nel bimillenario di sua nascita, va ripensando i versi del poeta:

...... Primus Idumeas referan tibi, Mantua, palmas

Et viridi in campo templum de marmore ponam

Propter acquam, tardis ingens ubi flexibus errat

Mincius, et tenera pretezit harundine ripas......

Un cronista dell’epoca, così scriveva: “Entrando nel cuore del centro storico della città, ecco la piazza del mercato ove i banchi dei rivenditori sono ancora protetti dai bianchi ombrelloni come nella piazza di Verona, ed ecco le belle costruzioni che la circondano: dalla millenaria rotonda di San Lorenzo alle ridenti case medioevali dei modesti mercanti Boniforte e Groppolli; ed ecco la piazza Sordello, cuore di Mantova antica, che la mattina del 16 agosto 1328 vide in un combattimento a corpo a corpo tramontare la signoria bonacolsiana e sorgere la fortuna dei Gonzaga.

Come nel nome dei Gonzaga s’impernia tutta la storia e la vita cittadina dal Tre al Settecento, così in quella che fu la loro dimora s’assomma oggi quanto di più bello. Questi signori che amavano circondarsi dai geni più eletti ( Guido  ospitò il Petrarca; Gian Francesco accolse il Pisanello; Mantegna più che padovano può dirsi mantovano per il lungo soggiorno fatto alla corte dei Gonzaga; l’Alberti fu intimo di Lodovico; famose son le relazioni d’Isabella con tutti i più  grandi artisti del suo tempo; Federico chiamò Giulio Romano; il Rubens fu il consigliere di Vincenzo, e questo sol per dir dei maggiori), questi signori col volger dei secoli seppero crearsi una reggia e null’altra seconda in Italia, se si accetta la dimora vaticana. Reggia dei Gonzaga, fastosa dimora dei più fastosi principi, dedaleo intrico di costruzioni sorte in quattro secoli, palestra di tutti gli artisti convenuti a Mantova nelle più varie epoche, fulcro intorno a cui gravitarono le cupide brame di soldatesche predatrici, asilo e rifugio del Tasso cacciato da Ferrara, ultima tappa del calvario dei Martiri di Belfiore innanzi di salir il patibolo, già immensa ruina cantata da D’Annunzio ed oggi tutta rinovellata per la passione costante e tenace de suoi custodi, chi non vorrà scendere a’ tuoi cancelli  per visitarti?. E chi non vorrà far quattro passi fuor della Pradella per soffermarsi a quella villa in mezzo al folto di secolari platani dallo strano  nome del Te, villa che fu casino di piaceri principeschi dopo che fu resa splendida dal genio pagano di Giulio Romano?. Noi , cittadini di un’epoca diversa in trasformazione, oggi, in questo pomeriggio tiepido d’autunno dai mille colori caldi, ci siamo introdotti e soffermati in quella villa  in mezzo al folto dei secolari platani, in attesa di entrare nel tempio che fu reso splendido dal grande genio di Giulio Romano e prima di qui, abbiamo mosso timidamente i nostri passi nell’interno della Reggia dei Gonzaga, dove ha accolti i più famosi artisti del suo tempo. Si, é vero, ho detto che timidamente abbiamo varcato la soglia di quella che fu l’Olimpo dell’arte e delle lettere, la sede naturale dove sono conservate le grande opere pittoriche che rispecchiano la mitologia greca e l’arte romana.

Questa nostra escursione nel tempio dell’arte gonzaghesco, é stata fortemente voluta e realizzata dall’Ente Valle di Campitello, che molto sta facendo per il benessere dei cittadini di questo minuscolo paese della Bassa Padana, da quello assistenziale a quello culturale ed escursionistico. Quest’escursione mantovana, é stata curata nei minimi particolari della solerte e premurosa, nonché  simpatica signora Amelia Salardi. Per  quanto riguarda il percorso escursionistico, sia al Palazzo Ducale, quanto al Palazzo del Te, dove é stata sapientemente allestita la grande mostra espositiva dei maggiori capolavori dell’arte pittorica, appartenuti ai Gonzaga, siamo stati assistiti e sapientemente guidati dalla preparatissima guida, Signora  Monica Montanarini, che ha saputo imprimere il concetto dell’arte nella nostra mente di profani.

Da un’ampia finestra della Reggia, che da sulla piazza Sordello che prospetta il palazzo del Capitano, abbiamo ammirato questo dedalo antico di costruzioni erette durante più di tre secoli costituisce una delle maggiore regge d’Europa. Gli edifici bonacolsiani del secolo XII costituenti il nucleo più antico, la cosiddetta Corte vecchia; verso il ponte di S. Giorgio si erge il castello omonimo, dei secoli XIV e XV; le rimanenti fabbriche, della Nuova Domus del Fancelli ( 1480) alla basilica palatina di S. Barbara, del Bertani (1562 - 1565), sono tutte posteriori. Qui si vede il giardino pensile, del Bertani e del Traballese ( fine del secolo XVI). Si ammirano inoltre il campanile di santa Barbara e le torri del castello di S. Giorgio, che si profilano sulle acque del lago Inferiore. Una vista senza pari, un panorama meraviglioso e illuminato dagli ultimi raggi del sole calante.

Nella nostra esplorazione della Reggia dei Gonzaga, abbiamo visitato moltissimi locali, fra i quali: La Galleria dei marmi del museo greco - romano; la Sala della Leda nell’appartamento degli arazzi Quest’appartamento accoglie, in ricchi ambienti neoclassici  (1779) una delle più antiche serie di arazzi raffaelleschi; la Galleria degli specchi o sala da ballo. La decorazione delle pareti di questa grandiosa sala venne rinnovata, con molta ricchezza, al tempo dell’impero napoleonico. Gli affreschi della volta sono invece, come ci ha spiegato la Montanerini, ancora quelli eseguiti nella seconda metà del Cinquecento da Lorenzo Costa il giovane. Giulio Romano ed Ippolito Andreasi, allievi di Giulio Romano; vi si ammirano curiosi e sapienti giochi prospettici: Mentre nella Sala dei Fiumi, che fu un antico refettorio di corte le cui pareti e la volta sono ricoperte da affreschi recanti la personificazione allegorica dei vari fiumi della provincia di Mantova. Furono eseguiti sullo scorcio del sec. XVIII dal pittore veronese Giorgio Anselmi.

Per ultimo, la camera degli Sposi,  non perché di minore importanza, anzi é il più prezioso  ambiente del castello, interamente  ricoperto da affreschi di Andrea Mantegna ( 1431- 1506) figuranti episodi della vita di Lodovico Gonzaga, della moglie sua Barbara di Brandeburgo e del loro secondogenito Francesco. Queste pitture costituiscono il più importante ciclo mantegnesco che esiste. Abbiamo appreso che questa singolare sito, non fosse proprio la stanza degli sposi, come si crede, ma un locale dove Lodovico Gonzava riceveva gli ospiti più  illustri ed importanti della politica di quel tempo. Per dire la verità, questa meravigliosa sala, non ci ha fatto una grande impressione come avrebbe dovuto o come avremmo sperato che fosse, forse perché il poco tempo a nostra disposizione e la poca illuminazione della camera non ci ha fatto cogliere l’essenza delle sfumature del grandioso affresco o anche perché , si pensava fosse molto più spaziosa, per fare risaltare maggiormente i capolavori dipinti dal grande Giulio Romano. Comunque sia, si tratta solo di una nostra personale impressione e nulla più. Dopo la visita della Reggia dei Gonzaga, un palazzo di meravigliosa bellezza, la comitiva campitellese, si é trasferita al Palazzo del Te.

 

IL PALAZZO DEL TE

IL CAPOLAVORO DI GIULIO ROMANO..

 Il nostro primo impatto nel grandioso palazzo del Te, é stato nel grande atrio d’onore, aprentesi sul giardino del meraviglioso palazzo. E’ simile al quello della romana villa della Farnesina, con decorazioni a grottesche e statue allegoriche. Offre una chiara idea della ricchezza ornamentale che ha fatto la fama di questo edificio. Giulio Pippi dè Iannuzzi, detto Giulio Romano, dalla sua patria ( 1492- 1546), architetto e pittore, fece del palazzo Te il suo capolavoro. La splendida decorazione pittorica, che costituisce uno dei complessi decorativi più notevoli dell’avanzato Rinascimento, fu tutta da lui eseguita, o da allievi secondo i suoi cartoni originali. In precedenza, alcuni anni fa, abbiamo visitato la Sala dei cavalli, affrescata in parte da Rinaldo Mantovano e da B. Pagni su cartoni di Giulio Romano, in parte dal maestro stesso. Vi sono ritratti sei cavalli preferiti dal Gonzaga. La Sala dei giganti, con affreschi raffiguranti la nota leggenda mitologica dei Giganti abbattuti da Giove; vennero eseguiti da allievi su cartoni di Giulio Romano; sono impressionanti le spaventose colossali figure.  L’Appartamento del banchetto nuziale di Psiche con Amore. Le pareti e gli scomparti del soffitto di questo splendido ambiente recano dipinti ad olio ed a fresco eseguiti dal Pippi e da collaboratori, sempre su cartoni suoi: Quella scena rivela senz’altro l’immediatezza della mano del celebre maestro. In questa nostra visita al Palazzo Ducale, oltre al complesso della Reggia, abbiamo ammirato un’importante selezione di disegni sull’architettura e le decorazioni della reggia dei Gonzaga, che vanno tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento.

Dopo questa carrellata di opere insigne, sia del Palazzo Ducale, quanto del Palazzo del Te, veniamo alla visita della “ Celeste Galleria”, per il quale motivo, oggi, noi semplici amatori, siamo giunti dal piccolo borgo medioevale di Campitello.

 

“LA CELESTE GAL(L)ERIA”.

(Museo dei Duchi di Mantova),

Appena siamo entrati all’interno della “ Celeste Gal(l)eria ” dei Gonzaga”, é stato come aprire una scatola magica, lo scrigno più prezioso dell’arte pittorica di un antico tesoro, formato da decine di migliaia di tessere, e rivelarne l’identità una ad una; ripercorrere le loro vicende, rintracciare la loro nuova sede ed infine riunire un nucleo eccezionale in una mostra che pareva impossibile per gli ideatori mantovani.

“ Quella dei Gonzaga era la raccolta d’arte più importante e straordinaria di tutto l’Occidente. All’apice della sua estensione, nel secondo declinino del Seicento, la collezione accumulata dai Duchi di Mantova contava più di 2000 dipinti e quasi 20.000 oggetti preziosi tra bronzetti, sculture, cammei, libri,  cristalli e gemme: frutto di tanti sforzi per creare una corte in grado di colloquiare con l’Europa, fonte di stupore e d’ammirazione. Un insieme favoloso d’opere d’arte collezionato nel corso di tre secoli e incrementato e strutturato, a partire dalla metà del Cinquecento, dai duchi Guglielmo, Vincenzo I e Ferdinando Gonzaga, il VI Duca - precorrendo tutti i tempi - di dare un ordinamento quasi museale a tante preziosità. Poi fu la decadenza. Nel 1625 iniziarono le bramosie dei collezionisti inglesi, nel 1630 -1631 i lanzichenecchi saccheggiarono la città e il patrimonio dei Gonzaga venne disperso definitivamente: tante opere attraversarono montagne ed oceani, passarono di mano in mano, entrarono a far parte nuove collezioni: di molti si persero le tracce o la memoria.

Ora, dopo quasi quattro secoli, la mitica collezione dei Duchi di Mantova, meticolosamente “ ricostruita” attraverso lunghe ricerche documentarie ed archivistiche, torna nella sua città con una selezione esemplare di capolavori prestati per l’occasione dai musei e dalle collezioni d’America, Australia e di tutta Europa, compresa la Royal Collection di Sua Maestà la Regina Elisabetta, dalla quale giungono ben 9 importanti dipinti.

Dal 2 settembre all’otto dicembre, circa trecento significative opere della collezione saranno esposte nelle Fruttiere di Palazzo Te.

Oltre alla quadreria, abbiamo ammirato i cristalli di rocca, cammei di impensabile valore, gioielli delle più famose botteghe del tempo, oltre ad armi, sculture e codici. Questa  mostra, oltre che culturale, é stata mostra di grande risonanza internazionale, che ha richiamato a Mantova, migliaia e migliaia di visitatori, provenienti da ogni parte del mondo. E’ stata una esperienza unica e, bene ha fatto l’Ente Valle, nel programmare questa visita per noi della terza età. Grazie a questa mostra d’arte, la nostra cultura ne é maggiormente arricchita, come pure il nostro spirito e la nostra anima sensibile. Sebbene stanchi dalle attese e dalle lunghe  code, che hanno messo a dura prova le nostre membra stanche, alla fine del tour, sul viso di ognuno di noi, per un momento, era ritornato il sorriso, ma soprattutto la gioia di aver potuto ammirare,  tutti riuniti, questi capolavori assoluti della pittura.

Riportiamo qui di seguito alcuni capolavori, che maggiormente ci hanno impressionati, come il ritratto di giovane donna allo specchio di Tiziano dal Louvre di Parigi, La Toilette di Venere di Guido Reni, prestata dalla National Gallery di Londra, Davide con la testa di Golia del grande Mantegna e, della Galleria del Castello di Praga, l’imponente e spettacolare l’Assemblea degli Dei nell’Olimpo con cui Pietro Paolo Rubens, nel 1602, raffigurò il X canto dell’Eneide di Virgilio.

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