La scuola dice "no" ai salti di classe

I docenti: non ci sarebbe rispetto per gli alunni. Oggi i genitori dal ministro: servono garanzie

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ROMA - La scuola dice no ai salti di classe per rompere l’onda anomala delle iscrizioni. Insegnanti, sindacati, pedagogisti ritengono che la soluzione prevista dal ministero dell’Istruzione sia peggiore del male. I genitori chiedono garanzie. Nel 2007 dovrebbero confluire nelle superiori un milione e 100 mila studenti invece di 550 mila. Il fenomeno, definito "onda anomala", è una conseguenza della riforma dei cicli che riduce di un anno il percorso scolastico della scuola di base e provoca l’accavallamento di due leve di studenti. I salti di classe previsti per una quota pari al 25% dei ragazzi del vecchio corso (che frequentano classi fra la III elementare e la II media) dovrebbero ridurre le dimensioni del fenomeno.
GLI INSEGNANTI - "Se ci sarà quest’onda - dice Alba Sasso, presidente del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti (Cidi), l’associazione professionale dei docenti di sinistra, che non nasconde un certo fastidio per la metafora marinaresca - la si affronterà in quel momento, senza progettare salti di classe a tavolino che vanno contro il principio dell’autonomia della scuola e di una progettazione didattica rispettosa dei bambini. Non si possono infrangere o frantumare le classi".
I GENITORI - Oggi il ministro dell’Istruzione, Tullio De Mauro, riceverà le associazioni dei genitori più rappresentative. Tema dell’incontro, la riforma dei cicli. Angela Nava, presidente del Coordinamento dei genitori democratici (Cgd), chiederà a De Mauro più informazione per le famiglie sulla questione dei "salti" e garanzie per i bambini che recupereranno un anno di studio. "Come si comporterà la scuola italiana verso questi ragazzi - domanda Angela Nava -. Verrà chiesto loro di più? Saranno trattati come i vecchi privatisti? Il ministro deve rassicurarci su un punto: gli alunni dovranno passare dal vecchio al nuovo percorso scolastico in una dimensione di assoluta accoglienza. Insomma non dovranno essere mandati allo sbaraglio". "Come genitori - dice Giuseppe Ricchiedei, presidente nazionale dell’Associazione genitori (A.Ge), d’ispirazione cattolica - siamo preoccupati che un’esigenza organizzativa diventi una forzatura sugli alunni".
I SINDACATI - Salti di classe per un alunno su quattro? Cgil, Cisl e Uil dicono no. "Mi rifiuto di pensare che sia l’unica soluzione praticabile: credo anzi che sia quella meno utile", dice Enrico Panini, segretario della Cgil scuola. "L’onda anomala è un problema reale da contenere e gestire con grande attenzione e rispetto per i bambini, le bambine e loro famiglie - spiega -. Si potrebbe pensare, ad esempio, a più classi per un certo periodo o a strumenti di flessibilità, anche sperimentali". Per Massimo Di Menna, segretario Uil Scuola, "il meccanismo del 25% è una stupidaggine e non è il caso di ricorrere a soluzioni estemporanee che, tra l’altro, rischiano di provocare danni ai ragazzi meno coinvolti sul piano formativo". "Il salto di classe è la cosa più astrusa del piano di fattibilità della riforma - è il parere di Silvio Colombini, segretario della Cisl Scuola -. Il rischio è quello di creare delle vere e proprie "caste". Chi fa la selezione? Quali sono i sistemi per consentire a tutti di provare a fare il salto" ?
IL PEDAGOGISTA - "I bambini non sono polli allevati in batteria - osserva il professor Giuseppe Bertagna, docente di Pedagogia generale all’università di Bologna -. Il salto di classe per un 25%? Soluzione che in teoria può anche funzionare, ma in pratica crea difficoltà, tensioni, fraintendimenti. In che modo si sceglierà?". "Le scuole devono avere l’autorità e l’autorevolezza per farlo - continua Bertagna - però c’è un vincolo, quel 25% appunto, stabilito dall’esterno e non autogestito. I ragazzi nel giro di tre mesi cambiano fisionomia, addirittura reattività personale, insomma maturano. Temo che alla fine la scelta avverrà con un ampio margine di discrezionalità e che le decisioni risulteranno improntate a una personalizzazione che sfiorerà l’arbitrio".
L’AMMINISTRAZIONE - "L’onda anomala, nonostante i salti di classe, si abbatterà sulla prima super i ore almeno per il 25/30% - avverte Giuseppe Valditara, assessore all’Istruzione della Provincia di Milano -. Ci saranno 9 mila studenti in più, serviranno altre 360 aule e si spenderanno 120 miliardi".
IL CONTRATTO - Il Consiglio dei ministri ha ratificato l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto del personale della scuola.

Giulio Benedetti

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IL CASO Così Ciampi è diventato il nuovo "testimonial" degli insegnanti

 

Una professione rispettata, ma dagli anni Sessanta in poi il maestro elementare, il professore di scuola media o di liceo hanno sperimentato quanto poco valesse, sul mercato del riconoscimento sociale, quella qualifica, quel loro ruolo. Si annuncia, ora, una sensibile inversione di tendenza. I quotidiani pubblicano in prima pagina gli articoli sul contratto dei prof, i ministri della Pubblica istruzione tornano ad essere figure familiari, criticati o difesi ma, miracolosamente, non più alieni al tessuto sociale. Intorno al mondo della scuola si sta creando un interesse nuovo, ma manca ancora qualcosa, qualcuno. Il testimonial, il garante. La magistratura ha avuto Di Pietro, la lotta alla globalizzazione Bovè, il popolo della partita Iva Berlusconi. Chi avranno gli insegnanti e, per estensione, gli studenti? Sugli insegnanti e sulla scuola in generale veglia dal Colle addirittura Carlo Azeglio Ciampi, ex insegnante di lettere e genitore di una professoressa. "Il presidente vorrebbe che la scuola e il ruolo degli insegnanti diventassero uno degli argomenti di rilievo nell’agenda della vita italiana" confermano al Quirinale.
Oltre alle buone intenzioni, Ciampi ha già inviato qualche segnale e avviato alcune iniziative. I segnali: le medaglie d’oro della presidenza assegnate a grandi pedagogisti e ai maestri di strada di Napoli. L’apertura dell’anno scolastico è stato solennemente sottolineato attraverso il messaggio pronunciato da Ciampi in visita al Vittoriano "simbolo dell’unità della nostra patria". E poi: è stato il presidente a voler rispondere subito, il giorno stesso, alla professoressa Mariavincenza Corea che, dalla prima pagina del Corriere della Sera , gli aveva scritto una lettera: "Perché il mercato del lavoro ci disprezza?". E’ ancora il presidente che vara, appena insediato al Quirinale, il Progetto scuola fatto d’incontri con gli studenti e gli insegnanti, visite guidate del palazzo, feste nella tenuta di Castelporziano, la prossima il 21 marzo. Carlo Azeglio Ciampi e sua moglie Franca vorrebbero promuovere, sia pure senza enfasi, un’operazione Orgoglio Ritrovato che, restituendo fiducia e riconoscimento sociale agli insegnanti, inneschi un circolo virtuoso in un settore, appunto la scuola, la formazione, che ci vede pericolosamente arretrati rispetto al resto d’Europa.
I Ciampi sono nati e cresciuti in un’Italia che ancora guardava agli insegnanti con rispetto, con deferenza. Nel 1958 Aldo Fabrizi dedicava alla figura del maestro elementare un film quanto mai delicato e minimalista, Il maestro , storia di un uomo che prima perdeva e poi recuperava, insieme, la fede e la vocazione per l’insegnamento. I professori erano "italiani che sapevano", classe dirigente a tutti gli effetti in un Paese piuttosto incolto e quasi analfabeta. Vennero poi gli anni Sessanta, il miraggio, e in molti casi l’opportunità, di una ricchezza rapida, miracolosa. Si scopriva che possedere era meglio che sapere, non per nulla Il maestro di Vigevano , protagonista del bestseller di Lucio Mastronardi come dell’omonimo film con Alberto Sordi, lasciava l’insegnamento per improvvisarsi piccolo imprenditore. Anni del boom economico, si rivalutava la lira e si svalutavano maestri e professori.
Anche Carlo Azeglio Ciampi, il professor Ciampi, insegnante di lettere a Livorno, lasciò l’insegnamento per un altro lavoro, entrò in banca ed ebbe, come si è visto, un gran successo. Ma chi è stato insegnante non dimentica, e chi è stato allievo alla Normale di Pisa vive quasi con disagio l’aver preferito alla docenza un’altra carriera. Così almeno ha confessato lo stesso capo dello Stato, il 6 dicembre scorso, parlando ai docenti e agli studenti della prestigiosa università pisana: "Mi sono trovato a fare un’altra scelta di vita e mi sono trovato quasi in imbarazzo, spirituale, psicologico, nei confronti della "Normale". Mi sentivo quasi un transfuga. Avevo vissuto questa Scuola, avevo letto lo Statuto, nel quale si sottolinea come la Scuola prepari esclusivamente all’insegnamento, mentre io ho percorso un’altra strada. Fu Guido Calogero, storico della filosofia, a farmi notare che la mia era forse un’esagerazione: la Scuola preparava per la vita e quindi qualunque cosa facessi, purché espletata con impegno, era ugualmente degna di un allievo della Scuola Normale".
Sul Corriere della Sera , rispondendo alla professoressa Corea, il capo dello Stato aveva del resto precisato che le facoltà umanistiche, almeno quelle che hanno saputo rinnovare i loro corsi, "riescono ad assicurare maggiori possibilità di inserimento" anche esterne al mondo delle aule. Ciò detto: "E’ nella scuola e nell’insegnamento la più diretta collocazione professionale, le ragioni di lavoro e di vita. E questo nell’interesse del Paese". Ricordatevi, conclude Ciampi nella lettera alla Corea, "la vostra è una vocazione e una nobilissima missione". Chiedere l’adeguamento agli stipendi europei è sacrosanto, ma poi ci vuole la voglia di entrare in classe, ogni mattina. "Agli insegnanti - Ciampi ricorda - è affidato il compito delicato ed entusiasmante di aiutare i giovani a divenire cittadini". Insomma, non si può fare il maestro elementare o il prof con lo stesso spirito col quale si negozierebbero Blue chips.
Il professore di lettere che sarebbe diventato banchiere ha insegnato a studenti provati dalla guerra. Era l’anno scolastico ’44-’45, al liceo scientifico di Livorno: "Per me fu quello il primo impatto con la scuola vera. Avevo dovuto lasciarla nel ’38, per le leggi razziali", ricorda una sua allieva di cinquantasei anni fa, Milena Piperno, oggi moglie del professor Umberto Colombo. Gli studenti di quella classe si chiamavano Billeri, Mainardi, Bertelli, erano quasi tutti maschi: "Ciampi non ci metteva soggezione, non alzava mai la voce. Era bello ascoltare le sue spiegazioni sulla Divina Commedia. Ma di quell’anno scolastico mi è rimasto impresso il suo parlarci della libertà, di quanto sangue fosse costata, a tutti i popoli, non solo al nostro che stava uscendo dalla guerra. Succedevano ancora cose spaventose, ricordo la mattina in cui si seppe che Mussolini era stato impiccato, in piazzale Loreto. In città c’era una certa esultanza e pure tra noi studenti. Ciampi tenne lezione proprio su quel che era accaduto. Ricordo ancora le sue parole: "Fate attenzione a non abbandonarvi alla crudeltà e alla vendetta"". Maria Latella

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L’ALLARME DI MARTINI

"Agli studenti diamo più notizie ma meno verità"

Il cardinale: la riforma va affrontata senza logiche di schieramento

MILANO - Il cardinale Carlo Maria Martini ha invitato i cattolici ad affrontare la riforma della scuola senza essere settari, "sarebbe molto opportuno che il dibattito rimanesse lontano da ogni logica o tattica di schieramento, ciò su cui ci si confronta è più importante del successo dell’una o dell’altra opinione: nell’interesse comune". E soprattutto ha esortato tutti quanti a guardarsi dal "rischio di una deriva scientifico-tecnologica che metta in secondo piano o addirittura sostituisca il riferimento ai valori fondamentali alla base dei saperi", un’involuzione dickensiana alla Tempi difficili , ("Quello che conta sono i fatti, solo i fatti!"), aliena da ogni cultura umanistica o religiosa, "agli studenti rischiamo di dare sempre più notizie e sempre meno verità". Un avvertimento rivolto a sinistra e a destra, visto che a quanto pare l’arcivescovo biblista non risparmia neppure le ormai famose tre "i" (internet, impresa, inglese) di Silvio Berlusconi: "Anche l’enfasi su certi modelli di scuola, che taluni vorrebbe assimilare all’impresa, deve essere prudentemente ridimensionata...". L’argomento del convegno organizzato ieri dalla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, del resto, non girava intorno all’argomento: "La riforma della scuola, cosa resta da pensare". Un confronto aperto a religiosi e laici come Massimo Cacciari, anche lui preoccupato da un problema che lo stesso rettore dell’università Bocconi, Carlo Secchi, ha denunciato di recente: "Che lo abbia fatto notare anche il rettore della Bocconi è importante, un sapere tecnico scientifico non può non essere anche un sapere umanistico - sospira il filosofo -. Purtroppo quello di una pura scuola strumentale, dell’informazione, è molto più di un rischio. Tanto più che pure l’opposizione alla riforma Berlinguer è condotta proprio in nome di questo modello, una scuola che si vorrebbe ancor più strumentale".
Alla fine il problema, ha spiegato Martini, è essenzialmente educativo: "Nella società attuale si parla molto di educazione, ma sembra paradossalmente diminuire l’impegno educativo". L’arcivescovo di Milano ha elencato una serie di problemi giovanili ed è sembrato tra l’altro alludere al caso recente di Monica, la studentessa sedicenne accoltellata e uccisa dall’ex fidanzato Roberto in una scuola di Sesto San Giovanni: "Non ci stupiamo allora più tanto delle aberrazioni che tutti deprechiamo, dalle stragi del sabato sera all’uso di stupefacenti, dalle spericolate gare di velocità in automobile tra giovani alle derive della violenza negli stadi e persino nell’ambito della scuola". Perché "i processi educativi sono ben più complessi della semplice informazione o proposta di riflessione in questi campi. Nessuno disconosce l’importanza delle iniziative di sensibilizzazione. Il problema è che in genere si attribuisce a queste attività informative un valore educativo che non possono avere".
In fin dei conti "la riforma deve essere vista come un’impresa comune a cui cooperare e a cui dare dare il proprio contributo, anche da diversi punti di vista". Per evitare lo spettro evocato da Cacciari: "Una scuola al servizio dei "fatti", come suol dirsi con il falso disincanto del senso comune...".

G. G. V.

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