Chi è Giulia Merlino?

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 Nasce a Messina, la zattera dello stretto, il 7/9/1981. Giulia odia le biografie, con questa cercherà di fare del suo meglio... Fa teatro da anni ma dedica la maggior parte del suo tempo alla sua passione più grande: la filosofia (la studia da tre anni all'Università di Messina).
Scrive principalmente poesie ma, qualche volta, si è dedicata a monologhi e piccoli pseudoracconti. Suona la batteria da quando aveva 16 anni e adora viaggiare, sempre e comunque...   





 

 

> Il rapporto con l'amare
 
Spicchi di luna
puntuti

ci crocifiggono
a questo spazio
astratto

la terra trattiene il respiro

non c'è che musica di vetro
qui intorno

e pelli cristallizzate

un' alchimia
di paesaggi

si intinge
di sale
che si passa
gocciolante
tra le labbra

o
l' aspro fresco di un
limone
che condisce la terra

o di una roccia
asciutta
assetata
che graffia
le voci

le rende lontane
assenti


è spietata e assorta
questa strada

solo il tuo respiro
soffia.
 
Stracciati e nudi,
questi alberi,
si spezzano e si diramano
in tentacoli sottili
e doppie punte come di capelli scuri.
Rigidi e fragili
infilzano questo cielo e me.

Io lascio aperte
le ferite
perchè ci spiri la brezza invernale,
lascio che mi ritagli addosso
il suo ingresso.
La mia piccola lacerazione
è la sua accoglienza.
Ondulata e tagliente
soffia tra i graffi,
si fa strada fino alle viscere,
e non mi tocca soltanto, il vento,
mi fa madre.
Come questa terra che non prendo,
ma mordo e mastico.

Sono affamata
ed impaziente.

Ma anche silenziosa
ti aspetto
più in là di un tocco.
 
 

"e come portati via
si rimane"(G. Ungaretti)
 

Stringiti nel dondolo
lento
di questa intimità

nel gocciolare instabile
della tua temporalità
che si argina
in un silenzio
notturno,
fermo.

Lo annuso come scirocco ancora lontano;
porta il deserto.

Io congelo di sabbia.

Funambola
ti raggiungo nel bilico
del respiro di chi dorme

recito la tua anima a memoria

sgrano i tuoi capelli come un rosario.


Voglio guardarti
nel marmo
del tuo sonno
esausto

nella sospensione
di un fiato
che ricorda
e si assenta.


Vischiosità di piani che strisciano,
e asciugati stridono.

 

> Le dita callose
Ci tocchiamo
attraverso gli strati
del tempo.

Sotto suonano le onde
come orchestre di sabbia
e sale.
Le accompagnano come violini,
stridono
gli archi
della tua sensualità
sulla mia pelle
di legno.

Siamo qualcosa
di non detto
ma musicato
inciso
graffiato
nel silenzio
di terre urtate.


Vestiamoci l'uno del corpo dell'altro
o se vuoi rimaniamo scoperti,
a guardarci,
non c'è vergogna.

Disegnami la mappa della tua casa.


Io mi scopro a saperti.
 
 
Come luci al neon
che spezzano la continuità
della tua immagine.
Frammentato
scomposto,
ti muovi a scatti.

Allucinato e robotico.

Non voglio guardare
la tua pelle irrigidirsi
in istanti separati e artificiali.

O spezzarsi e cadere anonima
come ciocche di capelli tagliati.

Non ci raccogliamo.

Si frantuma la vista,
abbiamo smesso di guardarci
interi.

I nostri corpi stretti si squagliano.
Rimane lo spazio
denso
della distanza.
E il terrore ghiacciato
di un passo che media.


Non si muore di freddo?

 

 
Esser stati come mare
una volta,
con una terra
che non si sfiora
senza nascervi e morirvi.

Poi si ammutolisce,
e neanche questo mare
culla chi non si abbandona.

A guardarlo questo dolore,
è goffo
e idiota

a guardarlo viene da stringerlo,
il dolore,
da dirgli che non è niente

e che se si pente,
muore.
 


 I limoni occhieggiano tra le foglie scure e luminose, come gocce di sole raggrumato, pendono come oro povero di una terra che si sfa nella luce. Ma i limoni, dalle crepe nella buccia spessa, spruzzano sul viso lo stupore dell'aspro, un colare nascosto che perfora chi li assaggia, brucia di gelo e resta. Raccogliendo le gocce aspre celebri del passato, vogliamo seguirne i solchi tracciati, stillando anche noi un succo quasi sempre scomodo e inatteso

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