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Quante
pietruzze
abbiamo già lasciato sul
sentiero? |
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Kafka |
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Heidegger |
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Che cos'è la Metafisica? |
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Bomba
Pensiero |
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Primo appuntamento e
prima pietruzza.
Le chiameremo proprio pietruzze queste riflessioni.
Le pietre sul sentiero possono essere un fastidio o possono aiutarci a
ritrovare la strada… Possiamo pure mettercele in tasca e giocare a
lanciarle sempre più lontane…
Vediamo quanti rimbalzi riusciamo a fargli fare a questa…
Se anche per un nano-secondo vi fermate a pensare su qualcuna di
queste righe avremo raggiunto il nostro scopo. |
Verso una società di scarafaggi?
- Una doppia lettura della Metamorfosi di
Franz Kafka -
di
Tonino Pintacuda |
Nel § 840 del III volume
della Storia della Filosofia di Nicola Abbagnano, leggiamo
testualmente: “L’esistenzialismo si è collegato con certe
manifestazioni letterarie in cui più vivo era il senso della
problematicità umana” e, soprattutto, l’opera del
praghese Franz Kafka è definita come “l’espressione letteraria di
ciò che l’esistenzialismo cerca di chiarire concettualmente nelle
sue analisi”.
Esamineremo quindi alcuni dei punti chiave dell’universo di Kafka
con particolare attenzione al racconto La Metamorfosi. Si terranno
presenti l’Appendice su Kafka che chiude il saggio IL MITO DI SISIFO
di Camus e i numerosi spunti critici che emergono dagli Appunti su
Kafka di T.W. Adorno.
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cenni
biografici e contesto storico
Franz Kafka, nato a
Praga il 3 luglio 1883 da genitori ebrei, trascorse un'infanzia
solitaria e infelice, amareggiata dai difficili rapporti con la
madre e soprattutto col padre, figura autoritaria e opprimente, come
testimonia anche la famosa Lettera al padre che egli scrisse nel
1919, accusandolo di essere causa del proprio insuccesso
esistenziale. Laureatosi in legge nel 1906, lavorò come impiegato
presso alcune compagnie d'assicurazione e pur non amando questo
lavoro, vi si dedicò con impegno, fino a quando le malattie di cui
soffriva – tubercolosi, insonnia, nevrastenia – lo indussero ad
abbandonare questa attività. Fragile e introverso, ebbe una vita
sentimentale intensa, ma inappagata e problematica; desiderava
essere amato e trovare conforto in un legame amoroso e sereno, ma
nello stesso tempo non sapeva rinunciare alla propria solitudine. Le
donne della sua vita, con le quali intrecciò storie inquiete,
segnate da alterne speranze e delusioni, furono Felice Bauer, Julie
Wohryzeok, Milena Jesenka, e la giovane ebrea Dora Dymant. Con
quest'ultima si stabilì a Berlino, e finalmente libero dalle
imposizioni paterne, visse per la prima volta una relazione
sentimentale felice e serena. Ma era ormai giunto alla fine della
sua vita. Ricoverato in un sanatorio presso Vienna, morì il 3 giugno
1924.
Motivo di conforto nella sua vita contrastata fu l'amicizia con Max
Brod, che ne intuì e incoraggiò le grandi doti di scrittore; gran
parte dei suoi scritti, infatti, fu pubblicata dal fedele amico dopo
la morte.
Tra le opere di Kafka ricordiamo i romanzi America (iniziato nel
1910 e pubblicato nel 1927), Il processo (1924), Il castello (1926)
e numerosi racconti, di cui il più famoso è La metamorfosi (1915).
Il periodo storico in cui si trova a vivere è fondamentale per
capire il clima che si respira nelle sue opere. Nel campo
intellettuale e morale la Grande guerra ha inevitabilmente
accelerato le evoluzioni che si profilavano prima del 1914. La
coscienza europea attraversa una crisi che la conduce a una profonda
revisione dei valori e delle idee. Vacillano le certezze e la
scienza perde prestigio dopo aver contribuito a rendere la guerra
più sanguinosa e distruttiva. Dal fermento culturale emerge la
psicoanalisi freudiana, il teatro pirandelliano, la Nietzche
Reinassance, schiere di futuristi, dadaisti, cubisti. Emerge anche
l’esistenzialismo. L’uomo è condannato alla libertà, in preda al
carattere minaccioso e paralizzante di ogni possibilità[1].
Gli esistenzialisti vogliono riflettere concretamente sull'uomo e
sulla sua condizione nel mondo che è l’esistenza. Il tratto
fondamentale di ogni filosofia dell'esistenza è costituito
dall'intuizione e dall'esperienza di una libertà assoluta. La
formula sartriana "l'esistenza precede l'essenza" significa infatti
che noi non siamo predeterminati al momento del nostro apparire nel
mondo, ma che creiamo il nostro destino con le nostre libere scelte,
che siamo del tutto responsabili di noi stessi; esigenza del resto
già espressa nella teoria kantiana del "carattere".
L'esistenzialismo è dunque in primo luogo una filosofia morale, un
"umanismo" che esalta l'impegno e rifiuta la speculazione
tradizionale la quale, illudendosi di ricercare all'infinito i
motivi dell'azione umana, conduce all'assenteismo e all'immobilità.
Dal punto di vista teorico, l'esistenzialismo muove dalla
constatazione che l'uomo inizialmente non è un essere raziocinante,
ma semplicemente un essere incarnato nell'esistenza. In tal senso
siamo come "imbarcati" e non possiamo riflettere che a partire
dall'esistenza, la quale rappresenta la verità immediata. In questo
senso l'esistenzialismo si avvicina al marxismo per il quale
l'impegno che ci lega alla vita è la struttura di fondo di tutte le
nostre idee. Un approfondimento speculativo della teoria
dell'impegno, cioè un'analisi "dell'esserci" (Dasein) è stata
tentata da Heidegger e costituisce una vera e propria "filosofia
esistenziale" od ontologia. Nel suo complesso l'esistenzialismo
costituisce uno sforzo grandioso mirante a pensare la totalità delle
determinazioni del mondo nell'immanenza della coscienza reale che
ognuno ha di sé e sfocia in una teoria che tende a esaurire tutta la
problematica umana in un sistema di antropologia filosofica. |
LA
METAMORFOSI (1915)
La metamorfosi narrata è quella di Gregor Samsa, viaggiatore di
commercio, che una mattina svegliandosi da sogni tormentati scopre
di essersi trasformato in un enorme insetto. La tragedia sconvolge
la sua famiglia. L'epilogo necessario sarà la morte di Gregor, ormai
abbandonato e rifiutato dalla famiglia, che vede nella sua morte,
per inedia e consunzione, quasi una liberazione.
Una lettura esistenzialista: Camus e
l’opera di Kafka
La vicenda mette in evidenza l'assurdità della realtà terribile e
indecifrabile, che rompe la vita regolata e normale di una famiglia
borghese, il destino di un uomo condannato a una condizione
incomprensibile e drammatica. La realtà metafisica è quello dello
stravolgimento della superficie dell'esistenza che fa trovare
immersi nel mondo dell'assurdo. Permea Le metamorfosi lo stupore che
l'uomo prova nel sentire in che bestia possa trasformarsi senza
sforzo. Quello che Albert Camus ha chiamato "il segreto di Kafka"
sta nella compresenza e nell'alternanza del naturale e dello
straordinario, del tragico e del quotidiano, dell'assurdo e del
logico. Due mondi si confrontano, si toccano e sono in relazione: "I
due mondi sono quelli della vita quotidiana da una parte e
dell'inquietudine soprannaturale dall'altra". Kafka – aggiunge Camus
– "esprime la tragedia, per mezzo dell'elemento quotidiano, e
l'assurdo per mezzo di quello logico".
Tutta l’arte di Kafka viene colta nelle sfumature, quello che
spiazza il lettore non è la metamorfosi in scarafaggio che subisce
Gregor; quello che lascia basiti è la sua semplice “leggera
contrarietà”. È uno scarafaggio gigante e pensa che farà tardi al
lavoro! Camus coglie soprattutto l’assurdità dell’intera vicenda
racchiusa nella fitta simbologia kafkiana. L’incipit dell’appendice
su Kafka (il saggio s’intitola La speranza e l’assurdo nell’opera di
Franz Kafka) è lampante: “Tutta l’arte di Kafka sta
nell’obbligare il lettore a rileggere”. Rileggere per cogliere
quella “mancanza di meraviglia” che sta al centro di tutta l’opera
di Kafka.
Tutta l’analisi di Camus è incentrata sul concetto di simbolo. Le
situazioni paradossali che devono affrontare tutti i personaggi di
Kafka rappresentano altrettante immagini della vita umana. Gregor
Samsa, Josef K., l’agrimensore K., il campagnolo dinnanzi alla porta
della legge… rappresentano le varie sfaccettature dell’inutile lotta
per la sopravvivenza. Sono sconfitti in partenza e non ci sono
rifugi per loro (cfr. la talpa della Tana). Quindi
l’esistenzialismo, senza nessuna forzatura ideologica, vede
l’angoscia, la colpa, la condanna, lo scacco finale magnificamente
rappresentati.
Josef K., il protagonista del Processo, “è accusato ma non sa di che
cosa” e per tutto il romanzo cercherà di difendersi sino alla sua
esecuzione. Non saprà mai la sua colpa. Il coltello gli gira due
volte nel cuore ma lui continua a sperare. Vede una luce e una
finestra che si apre. “Si aprirono d'un colpo le imposte di una
finestra […] Chi era? Un amico? Un buon uomo? Uno che prendeva
parte? Uno che voleva aiutare? Era uno solo? Erano tutti? C'era
ancora salvezza? C'erano eccezioni che si erano dimenticate? Certo,
qualcuna c'era. La logica è certo incrollabile, ma non resiste ad un
uomo che vuole vivere. Dov'era il giudice che non aveva mai visto?
Dov'era l'alto tribunale fino al quale non era mai arrivato?” e
poi muore, come un cane. Bastano queste poche righe per cogliere il
senso dell’opera. Josef K. ha aspettato un anno per conoscere la sua
colpa ma nel frattempo ha continuato la sua solita vita e quando
sembra aver dimenticato il Tribunale e tutto il resto arrivano i due
sicari. Heidegger considera la colpa "un modo d’essere
dell’Esserci", è pertanto una condizione ineliminabile
dell’esistenza. Allo stesso modo Jaspers la considera una
situazione-limite dell’esistenza, una situazione alla quale l’uomo
non può sottrarsi. E Josef non si sottrae.
Un’acuta e assurda attesa: un altro dei capisaldi dell’opera di
Kafka. Non è un attesa diversa da quella di Vladimiro e Estragone in
Aspettando Godot di Beckett. Attende il campagnolo dinnanzi al
portone della Legge, attende sino alla morte per poi scoprire che
quella porta era aperta solo per lui. Attende K. tra le pagine del
Castello. Attende inutilmente d’essere chiamato dal conte West-west
per offrire i suoi servigi al Castello. Attendono tutti i personaggi
di Kafka e non smettono mai di sperare. Forse è proprio questa la
loro più grande colpa. Non è un grido disperato quello che
riecheggia nelle ultime righe: come fa notare Camus, “è un immane
grido di speranza”. |
Una possibile lettura alla luce degli Appunti su Kafka di Adorno
Dicevamo che tutta l’analisi di Camus è incentrata sul concetto di
simbolo, leggiamo negli Appunti su Kafka di Adorno che “nulla si
adatta di meno a Kafka”. Il filosofo della Dialettica negativa
preferisce parlare di allegoria o, secondo la terminologia di
Benjamin, di parabola.
“Ufficio informazioni sulla situazione dell’uomo, a seconda dei casi
eterna o attuale” a questo è stato degradato Kafka dalla “disinvolta
saccenteria” di coloro che, leggendolo, hanno eliminato proprio
quello scandalo a cui mirava “il lavoro di Sisifo di Kafka”. Adorno
mira a una nuova lettura di Kafka per evidenziare soprattutto la vis
demolitrice di Kafka, quel quid che lo rende uno degli ispiratori
del Surrealismo.
“Non sovrapporre al testo concetti dall’alto”, “soltanto la fedeltà
alla lettera, e non la comprensione con fini già prefissati, potrà
prima o poi aiutare”. Adorno fornisce una valida metodologia per
accostarsi alle parabole kafkiane. Cerchiamo di rileggere la
Metamorfosi in questa nuova ottica.
Gregor Samsa si sveglia da sogni tormentati. Si sveglia ed è un
gigantesco scarafaggio. Ma le trasferte sono dure, per il mal di
testa e i dubbi forse può bastare un altro po’ di sonno. Altri sei
anni. Solo sei anni e il debito della sua famiglia sarà finalmente
estinto. Solo sei anni tra campionari di stoffa, orari dei treni,
coincidenze e levatacce. Il treno delle cinque è già partito da
un’ora e mezza. Sente con quelle nuove orecchie (orecchie? Antenne?)
la dolce voce della mamma e subito dopo il bussare insistente del
padre. Risponde con una voce roca, incomprensibile. Niente di cui
preoccuparsi: sa bene che i raffreddori sono compagni dei
viaggiatori. La ditta apre alle sette ma già a quell’ora il
procuratore in persona è stato mandato a casa di Gregor per indagare
sulla sua assenza. Ogni azione rallenta e si dilata. Gregor cerca di
giustificarsi ma arrivano solo incomprensibili mugolii. Il
procuratore insinua qualcosa su una certa cifra affidata a Gregor…
Alla fine Gregor, con un sforzo immane, riesce ad afferrare con la
mandibola la chiave e ad aprire. Il procuratore lo vede,
terrorizzato fugge via come se le sue suole stessero per prendere
fuoco. Scappa, salta più gradini per volta. Il padre di Gregor
prende il bastone del procuratore e rispedisce il gigantesco insetto
nella sua stanza.
È già sera quando si risveglia per i morsi della fame. Il latte che
prima amava lo disgusta. La porta ora è chiusa dall’esterno, dopo
tutta la fatica fatta per aprirla… La sorella entra, vede che il
latte non è stato toccato è gli porta “una gran scelta di cibi
sparsi su un vecchio giornale. C’era della verdura vecchia e
appassita, ossa avanzate dalla cena, qualche chicco d’uva e un pezzo
di formaggio che Gregor aveva qualificato immangiabile due giorni
addietro”, inizia proprio da quella crosta di formaggio. Lentamente
sta perdendo ogni minima traccia della sua passata umanità ma questo
non gli impedisce di continuare a pensare. L’azienda di suo padre
era fallita cinque anni fa e lui aveva dovuto abbandonare il suo
impiego di modesto impiegato per quella carriera di commesso
viaggiatore, lavorava già da cinque anni in quella ditta. Pensava
che il padre non fosse riuscito a salvare niente dal tracollo ma ora
scopriva che, invece, era riuscito a mettere da parte un discreto
patrimonio che s’era accresciuto con gli interessi e con tutto
quello che riuscivano a mettere da parte con il lavoro di Gregor.
Per un solo istante pensa che quella somma avrebbe potuto liberarlo
prima dal debito che lo costringeva a lavorare in quell’odiosa
ditta, lo pensa per un solo momento. L’abnegazione di Gregor è
totale: ha sacrificato tutta la sua vita per la sua famiglia e ora,
anche da scarafaggio, si preoccupa per loro. Il padre “sano ma
vecchio” non poteva di certo tornare a lavorare, la vita sedentaria
l’aveva notevolmente appesantito. La madre? Con la sua asma?
Impossibile. Grete aveva solo diciassette anni. Solo lui poteva e
doveva. Vergogna e dolore lo rispediscono sotto il divano.
Passano i giorni. Gregor fa di tutto per non spaventare Grete,
l’unica che si occupa di lui. Per scomparire totalmente dalla sua
vista, con grande sforzo, riesce a coprirsi con un lenzuolo. La
metamorfosi procede, inizia perfino a camminare sulle pareti e sul
soffitto ma i mobili lo ostacolano. La madre non vuole toglierli,
quei mobili simboleggiano tutto il suo passato umano. La sorella “in
qualità d’esperta nelle questioni che riguardavano Gregor” decide,
invece, di portarli via tutti, tranne il divano. Muta anche la
stanza: da calda e arredata con piacevoli mobili di famiglia a antro
spoglio e desolato, di certo più adatto a uno scarafaggio. Gli
portano via tutto e lui assiste passivamente reagisce solo quando
stanno per portare via il quadro con la signora col boa di
pelliccia. La madre lo vede e sviene, la sorella cerca di rianimarlo
ma proprio in quel momento rientra il padre ( “Quello era il padre?
Era la stessa persona che stava sprofondata nel letto con aria
affranta, incapace d’alzarsi?Ora stava ben diritto; indossava
un’attillata divisa azzurra con i bottoni dorati […], le sue chiome
un tempo perennemente in disordine erano accuratamente pettinate con
una perfetta scriminatura”).
Assistiamo quindi a una doppia metamorfosi: Gregor vittima
dell’alienazione regredisce a gigantesco scarafaggio, il padre da
pingue e sedentario diventa un perfetto usciere di banca in perfetta
forma. Con il fallimento dell’azienda, il SISTEMA aveva perso il
signor Samsa e l’aveva rimpiazzato con Gregor, ora che quest’ultimo
è inutilizzabile deve necessariamente ripiegare e riassorbire il
vecchio ma sano padre. Segno tangibile del ritorno nel SISTEMA è la
divisa che diventa una vera e propria armatura. Da lei riceve
sostentamento e sicurezza, non la toglie mai e s’addormenta sicuro e
sereno tra le cuciture azzurre e i bottoni dorati. La logora
vestaglia in cui aveva vegetato per cinque anni giace inutilizzata
nell’armadio.
Nell’universo di Kafka gli oggetti si caricano anch’essi di profondi
significati, soprattutto quelli rigurgitati dal Sistema.
Analizziamoli.
Il bastone, che il procuratore ha abbandonato nella sua fuga
frenetica, passa nelle mani del signor Samsa e diventa la prima arma
contro Gregor. Sembra quasi che il bastone della ditta voglia punire
il diverso, l’anomalia che ha momentaneamente inceppato gli
ingranaggi (ricordate Charlot e l’orologio di Tempi moderni?). Il
padre ritorna a casa vede sua moglie svenuta e guarda subitamente in
direzione della cosa che un tempo chiamava figlio. Naturalmente
indossa la divisa (altro oggetto del Sistema) e proprio le tasche
della divisa diventano una perfetta cartucciera. Le riempie di mele
e poi le scaglia una dopo l’altra su Gregor. L’ultimo tiro di
quell’assurdo bombardamento -quindi, logicamente, la mela che è
stata per più tempo nella tasca della divisa– colpisce violentemente
Gregor rimanendogli conficcata nella carne.
La famiglia non ha che da sopportare quella disgrazia, Gregor devo
solo aspettare e sappiamo bene quanto sia significativa l’attesa in
Kafka.
Gregor ama guardare fuori dalla finestra anche se l’ironia di Kafka
gli offre come panorama solo la facciata grigia d’un ospedale.
Sperano, continuano sempre a sperare le creature di Kafka, loro sono
gli scarti del sistema, cenciosi spaventapasseri imbottiti
d’immondizia. Nei suoi Appunti su Kafka, fa notare proprio come
Kafka fa arte con la spazzatura della realtà e nient’altro, con gli
Abfallsprodukten, quegli scarti eliminati dalla società.
Non c’è più tempo per accudire Gregor, anche Grete e la madre ora
hanno un impiego. La sorella si limita a spingere con una scopa il
cibo, ora deve accudire i pensionanti a cui hanno affittato le
stanze di quell’appartamento troppo grande, per loro e le loro barbe
suona anche il suo violino. Gregor, estasiato dalla musica, esce dal
suo antro (“Era davvero una bestia se la musica l’afferrava come se
potesse indicargli la strada per raggiungere un nutrimento ignoto e
bramato?”) e s’avvicina più del dovuto. Il padre ricaccia i
pensionanti incuriositi e disgustati nelle loro stanze. Ora è
chiaro: devono liberarsi della bestia, per troppo tempo hanno
continuato a identificare quella “cosa” con l’amabile e servizievole
Gregor “ripensò alla famiglia con affetto e commozione. La sua
convinzione di dover sparire era forse ancora più ferma di quella
della sorella. Rimase in questo stato di vuota e serena meditazione
sino a quando la torre dell'orologio suonò le tre. Assistette ancora
al primo albore antelucano fuori dalla finestra. Poi chinò
involontariamente il capo e dalle sue narici uscì fioco il suo
ultimo respiro” , si lascia morire perché sa che è la migliore cosa
che può fare, ha già smesso da tempo di mangiare, sa di essere un
diverso, un’anomalia, ne è profondamente consapevole. La cameriera
lo getta tra i rifiuti, non poteva esserci migliore sepolcro per
lui, rifiuto tra i rifiuti.
La famiglia caccia i pensionanti e la governante, tutti e tre
scrivono tre lettere di scuse ai loro principali e, per la prima
volta dopo troppo tempo, parlano a lungo, prendono perfino il tram e
vanno fuori città. Ci sono nuove prospettive, nuove speranze e anche
la sorella di Gregor subisce una metamorfosi, la più naturale: il
suo corpo tra tutte quelle sofferenze è sbocciato, ora è una bella e
florida ragazza in età da marito. Cala il sipario.
Crollano le certezze. Quello che è successo a Gregor non trova
motivazioni esterne, ha semplicemente somatizzato l’alienazione. Il
sistema sociale non cerca di guarirlo, sa che non c’è guarigione per
lui. Lo elimina il più rapidamente possibile riassorbendo il resto
della famiglia, rinforzando l’incatenamento delle loro coscienze.
Alla fine di tutta la storia i Samsa devono andare fuori, prendere
il tram, distrarsi, evitare di pensare, guardare sempre avanti senza
soffermarsi troppo su particolari che, per la stessa sopravvivenza
del sistema, devono essere ritenuti insignificanti.
La facciata sintetica che celava le sofferenze è caduta, non è che
cartone dipinto e plastica colorata. Dietro c’è la vera sofferenza.
L’industria culturale decide quando e come dobbiamo divertirci e noi
utenti siamo solo oggetti passivi, cani di Pavlov. “Quella di Kafka
è una potente capacità demolitrice. Egli lacera e abbatte la
facciata che cela l’enormità del dolore, facciata a cui s’adegua
sempre più il controllo razionale”, Adorno lo sottolinea con
chiarezza.
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Tonino Pintacuda |
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Chi è
Tonino
Pintacuda?
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"Il laboratorio si
fonda sulla convinzione che la filosofia non sia un gioco
pedante o solennemente artificioso, né il semplice prodotto di
una razionalità ormai in crisi, né finalizzata ad un pragmatismo
esasperato, bensì che nasca da una profonda esigenza di
interrogazione e di riflessione, dalle domande che l’essere
umano si pone continuamente.”
dal BombaBook |
“La
Filosofia, che una volta sembrò superata, si mantiene in vita, perché
è stato mancato il momento della sua realizzazione”
T.W. Adorno, Dialettica Negativa |
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