Mi
piacerebbe ricordarci tutti come dentro una foto. Sfidando il mondo,
noi sempre lì. Stefano era malinconico. Ormai i dicotomici furori
s'erano placati. Tutti se ne sbattevano, si lasciavano vivere negli
ultimi giorni di quello strano giugno. Fumavano con distacco,
maledicendo l'avvicinarsi dell'esame di stato. Tutti lì, a ronfare sul
banco di formica con la testa piena di sogni in bikini. Erano
cambiati, sicuro, erano cresciuti tutti. Stefano aveva detto pure
addio a Stephen King, s'era letto Cuori in Atlantide e aveva smesso.
Ora leggeva i classici, uno dopo l'altro, pagina dopo pagina nella sua
testa si affollavano Hesse, Vittorini, Kafka, Golding, Beckett, Garcia
Marquez. Tutti lì a cercarsi il loro spazio in quel cervello più che
confuso.
Dovevano studiare almeno qualcosa, sputacchiare dalle loro Epson
almeno una mappa concettuale a cui ancorarsi, nulla. L'apatia batteva
come sempre il buon senso.
Era davvero successo, non riuscivano a crederci. Avevano combattuto
per il loro liceo, s'erano battuti fianco a fianco contro il preside e
i suoi folli sogni di strapotere ed erano riusciti a farcela. Bastava
guardare nell'abisso azzurro degli occhi di Carlo, qualcosa era
successo. Qualcosa la sapevano di sicuro.
Carlo, Stefano e Stefania erano cambiati più degli altri. Amici e
nemici di un tempo erano ora qualcos'altro, qualcosa che Calogero non
riusciva a spiegarsi. Gli mancava il vecchio Stefano, le sue battute
senza senso, le sue urla sguaiate contro il parrucchino di Stefania.
Niente, tutto era passato, perso per sempre. Si consolava tra le tette
di Astra.
Dario aveva buchi di memoria, si sentiva addormentato da tempo,
cercava di svegliarsi, ma il sonno restava appiccicato agli occhi, lì
tra la pupilla e le lentine.
Che giorno s'era fatto? Il 9 giugno, quello strano dicembre così
lontano.
Stefano scriveva ancora: il giornalino del liceo era suo, suoi gli
articoli, sua l'impostazione grafica, suoi i fotomontaggi, sua la
grinta che teneva in piedi quella strampalata redazione. La quinta E
era una bella classe, uno stano miscuglio di personalità discordanti e
geniali, Stefania non la pensava così, si sentiva estranea a
quell'aula, a quel liceo, a quella vita. Pensava al futuro, pensava
alla sua vita a Forlì. Doveva stringere i denti ancora per poco.
La campanella della sesta ora stavolta suonava alle 14,07, lo zio
Filippo si era stancato di grattarsi il pancione. Anche quella
giornata era finita. Tutti erano già scappati via, fiondati fuori da
quell'aula come millenni prima i ragazzi di Laurentius sotto
costellazioni aliene avevano cercato di scansare una stana marea
bluastra.
Erano rimasti solo Stefano, la Montebianco e Stefania. I due rivali di
sempre e la loro professoressa. Qualche indiscrezione sugli esami? La
solita domanda senza risposta di Stefano e il solito battibecco con
Stefania, la solita routine e la solita risatina tra i denti della
professoressa.
Domani il meeting, non dimenticatevelo. L'avviso di Pedro Busetta,
nuovo acquisto della gloriosa V^ E. Stava simpatico a tutti e due, sia
a Stefano che a Stefania. Sapevano del suo innato talento nello
sfruttare sino al midollo le persone, ma all'alba degli esami non
gliene fregava più niente. Niente.
Stefano stava accompagnando la stimata rivale a casa, forse insieme
riuscivano a ricordare. Non potevano dimenticare, loro erano i
risvegliati… Si cucivano addosso stracci di silenzio, bastava guardare
i loro occhi. Avevano ripreso a frequentarsi. Chissà, forse sarebbero
finiti di nuovo assieme. Il dubbio rimaneva, affogato negli occhi di
Stefania. Pensava in un subdolo trucco per distrarla dal suo studio,
lei doveva studiare ma voleva anche toccare con mano la perfidia del
ragazzo che passeggiava con lei sotto il sole, quello strano ragazzo
con i capelli troppo lunghi e con una sigaretta penzolante nelle
labbra.
Voleva rischiare, aveva voglia di uscire fuori dalla prigione di libri
e quaderni e mappe concettuali in cui si era barricata. Stava per
rincitrullirsi a forza di cercare di capire l'origine
dell'Interpretazione. Idem per Stefano, doveva sloggiare dal monitor
del suo computer, a forza di rileggere il difficile rapporto tra
politica e cultura s'era gasato così tanto d'avere allucinazioni
audiovisive, appena chiudeva gli occhi si vedeva davanti Togliatti e
Vittorini vestiti come due lottatori di Wrestling a darsele di santa
ragione. Basta, avevano bisogno di una pausa. Calogero e Astra avevano
aperto la strada, dopo i loro costanti avviluppamenti orizzontali
sembravano così rilassati…
E gli esami, il tema, il compito di matematica, il test, il
colloquio… Devo ripassare, devo ampliare, studiare, cronometrare…
Non la ascoltava più, Stefano continuava a fumare e le labbra di
Stefania sfornavano parole incomprensibili, era ridotta male. Si
vedeva, lui lo vedeva e aveva deciso di caricarsi sulle spalle quella
missione. Era la sua rivale preferita, una di quelle all'antica. Gli
capitava spesso di calare per un solo istante le palpebre. Un solo
istante in cui si vedeva insieme a Stefania, vestiti come due antichi
cavalieri, gli cadeva la spada, lei poteva dargli il colpo di grazia
ma preferiva fermarsi, fermarsi e fargli raccogliere la spada. Si
stimavano, era una bella rivalità.
Ora erano lì, sotto quel sole invadente. Sentivano una certezza
lontana, distante anni luce, su un'altra costellazione, un'altra
galassia parallela, un altro inferno. Si vedevano come antichi
egiziani a combattere zombi con spadoni arrugginiti.
Stavano rincoglionendo, non c'era altra spiegazione. Però sentivano
che quei lampi erano reali, loro avevano vissuto quell'incubo,
l'avevano vissuto e in qualche modo erano riusciti a tornare in quella
vecchia noiosa vita.
Gli esami non li spaventavano, erano pronti a tener testa a qualunque
membro esterno, glielo leggevi negli occhi, quei due avrebbero fatto
scintille. Già si parlava di 100 e menzione… Una cosa che faceva
imbestialire qualcuno. Era direttamente proporzionale: più i
professori vantavano con iperbolici giri di parole Stefano e Stefania
e più serpeggiava un odio accecato nei loro confronti. Lorefia non lo
nascondeva, poteva studiare notte e giorno ma restava sempre una
preparazione banale, libresca, scolastica. Tutti i suoi sforzi non le
permettevano di raggiungere l'oltre, quel qualcosa che rendeva
eccezionali le interrogazioni e i temi di quei due.
Manola marciva in uno strano torpore, si sentiva inutile, l'ultimo
tema era stato un completo naufragio e solo quattordici giorni la
separavano dal tema. Lei e le analisi testuali non riuscivano a
trovare un equilibrio, non aveva ancora capito che un tema è come una
buona ricetta, tutto sta nell'azzeccare le dosi di ciascun
ingrediente. Odiava Stefano, l'odiava spassionatamente. Lui che
fischiettava allegramente Max Gazzè durante le sei ore del tema,
poltriva le prime tre, scarabocchiava qualche scaletta e poi vomitava
tutto di getto, senza filtrarlo, così come gli veniva giù. Sapeva
scrivere il bastardo, sapeva scrivere e lei non riusciva a
sopportarlo.
Dario aveva gettato la spugna, s'era fatto trascinare via dalla strana
corrente dei riccioli rossi d'Astra. S'erano messi assieme, stavano
intere giornate con uno sguardo da triglie e pensavano al futuro
lingua nella lingua… E poi un bel giorno Dario s'era accorto di un
piccolo particolare, proprio lui che cercava una ragazza casta e pura
era capitato con la versione casteldaccese di Lady Chatterley. Lei
voleva consumare il loro amore, era passionale, eccitante,
irrinunciabile. Solo Dario poteva rinunciare, lasciando libertà
d'azione a più scaltri milicioti.
La vita è strana, pensava Dario, prima ami alla follia una
donna, ci stai benissimo con lei e poi un bel giorno ti crollano le
palle. Ti ritrovi a Praga: lei ti ama ancora, mentre s'ubriaca tra le
braccia di Calogero…
Stefano e Stefania continuavano i loro soliti battibecchi, si
ritrovavano spesso a guardarsi negli occhi, con le bocche piene di uno
strano silenzio. Non ci capivano granché di quella strana situazione
ma non gliene importava niente, per cinque anni s'erano azzannati per
trovare una ragione nelle cose, era bello sorridere senza motivo, era
bello aspettare il tramonto sul molo di Porticello, passeggiare ore e
ore sotto le stelle. Tutto quel romanticume era contro natura,
illogico, assurdo: loro dovevano combattersi, dovevano odiarsi! Si
erano mai odiati? Le professoresse si sganasciavano quando li vedevano
azzuffarsi per un qualsiasi nonnulla, era un vero e proprio putiferio
quando erano interrogati assieme, cercavano a vicenda di azzopparsi in
una maniera così leale che facevano tenerezza. Ma qualcosa stava
cambiando, bastava ascoltare il vento d'estate per vedere che presto o
tardi sarebbero finiti assieme. Lorefia li vedeva, li vedeva con i
suoi occhi di scarafaggio e li odiava con la stessa passione che
metteva nei frettolosi amplessi con il suo Silvio.
Stefano era diventato il ragazzo più gettonato della scuola, tutti lo
cercavano per fargli sfornare una mappa concettuale dopo l'altra.
Bastava vedere solo una freccia e già ne riconoscevi l'autore, erano
tutte sue, in tutte beccavi il suo stile inconfondi-bile. L'unica che
aveva fatto con una strana voglia era quella di Stefania, l'aveva
fatta con un qualcosa che cercava di catalogare, affetto? Stima?
Rispetto? Non lo sapeva, però l'aveva fatta e gliel'aveva portata
ancora zuppa d'inchiostro. Non riusciva più a staccarsi da lei, ci
provava in tutti i modi. Cercava di ripetersi che tutto era assurdo,
lei era la nasona con il parrucchino, lei era la mostriciattola che
s'isolava nel suo bieco arrivismo, lei era così bella… I suoi occhi
erano, erano… non riusciva a trovare le parole, da quelle iridi
sgorgava fresca e pura la poesia di Baudelaire!
Manola continuava a maledire Stefano, ora più che mai. Le aveva tolto
pure Stefania, la sua unica valvola di sfogo e ora stava per
impazzire, aveva voglia di scappare via da quella tomba, aveva una
jeep e non poteva guidarla, aveva un barile di soldi e non poteva
spenderli, per quanto ancora doveva sopportare l'egemonia dell'Hitler
che aveva per padre? Lui con i suoi due ciuffi di capelli e la sua
ossessione, vedeva in tutti i ragazzi dei possibili stupratori, bestie
bavose pronte a saltare addosso alla sua piccola principessa! Tutti
sapevano che razza d'idee circolavano sotto quello scalpo e tutti si
scompisciavano nell'immaginare quel disperato pronto a stantuffare le
cosce caramellate di Manola…
Mr. Manolo era solo un ricco illuso, sua figlia aveva raggiunto uno
stato così profondo di depressione che bastò il bacio di uno strano
animale domestico di Pizzo Calabro per trasformarla in una specie di
strano vampiro. Non aveva canini o mantelli neri di seta, aveva solo
una fica insaziabile sempre pronta ad addentare nuovi cazzi.
O almeno così straparlano le leggende metropolitane che svolazzano
libere tra il fumo e le scoregge dei cessi del liceo.
Praga e Vienna erano ancora lì, nella vecchia Europa. Loro erano lì a
sudare come prosciutto di terzo taglio sopra la pizza di Mineo's, il
10 giugno era arrivato come una pistolettata alla schiena. La scuola
era finita, non ci sarebbero più state le corse verso Don Gino, le
fughe ai cessi per la dose quotidiana di nicotina, perfino i rilasci
intestinali di Carlo non avrebbero avuto più lo stesso aroma. Il liceo
era finito, erano finite le grida di Laurentius per i corridoi, gli
involontari siparietti comici dei bidelli, gli sproloqui di Stefano,
la vaginocrazia della Montebianco. Che malinconia! Stefano se la
sentiva addosso come un paio di mutande troppo strette. Ormai gli
esami erano realtà, non erano più un lontano miraggio. Secoli prima
erano stati a Praga, s'erano divertiti, si sentivano fratelli di
sangue, pronti a dividersi pure l'ultima sigaretta. Era stata solo
un'illusione, Stefania lo sapeva bene, cercava di farlo capire a
Stefano ma lui non voleva crederci, non lo poteva accettare.
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