Che cos’è The Invisibles?

Questa è la domanda opprimente che mi ha tenuto finora distante dal redigere queste righe. Come spiegare qualcosa che fatico ancora a comprendere, dopo una lunga e faticosa rilettura che forse ha generato più dubbi di quanti si proponesse di risolverne? Facciamo subito incazzare qualcuno, allora: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Parole di Calvino, a me tanto care. Sì, ho dato del “classico” a The Invisibles. Per le lettere di protesta e le minacce di morte, usate tranquillamente l’indirizzo e-mail collegato alla firma…The Invisibles è quello che qualcuno che conosco, in uno slancio di ispirazione lessicale, definirebbe un virus. Un organismo che cresce e si riproduce nell’individuo ospite al fine di impossessarsene e di diffondersi ulteriormente. Ma è altresì quello che altri miei conoscenti definirebbero una solenne cazzata: un confuso remix di tradizioni mistiche e teorie del complotto fuse ad una inquietante logica situazionista, eredità di quegli anni settanta che troppi quarantenni sembrano non voler scordare. Il tutto infarcito dal più blando citazionismo inglese, al limite dell’alienante per il pubblico non britannico. Quindi, a quale delle due interpretazioni attenersi? 
Possibile che una delle alternative non escluda necessariamente l’altra, in nome del relativismo assoluto? Immagino che pretenderete da me una risposta a tutto questo. Povero me. Gli Invisibili sono un gruppo rivoluzionario che combatte una cospirazione volta a conquistare il mondo come lo conosciamo attraverso un lento ed inesorabile condizionamento che dovrebbe sfociare il 22 dicembre 2012, ovvero alla prevista fine del mondo, nella presa del nostro piano d’esistenza da parte di esseri antichi provenienti da una dimensione vicina alla nostra. Tale potere arcano e maligno, o presunto tale, mira a schiavizzare la razza umana usando la paura, la disperazione ed altre emozioni come nutrimento per gli esseri transdimensionali, relegando gli uomini a mere bestie da pascolo. Ai suoi emissari che pianificano il grande cataclisma si oppongono gli Invisibili, un gruppo di individui eterogenei e dai più disparati talenti che usa le conoscenze di cui dispone in termini di occultismo e doni psichici per proteggere il libero arbitrio. La grande famiglia degli Invisibili si divide in piccoli gruppi operativi, indipendenti l’uno dall’altro e spesso perfino ignoranti della reciproca esistenza. Nel corso della serie veniamo introdotti alla cellula in questione, composta come tutte le altre da cinque elementi. 
King Mob è il capo rivoluzionario, uomo dal passato di scrittore affezionato alla sua pistola e dotato di disparati talenti psionici, avvezzo all’uso di droghe allucinogene. Boy è una poliziotta di New York, esperta nelle arti marziali e militante nel gruppo per vendicare la morte dei fratelli. Ragged Robin è una pazza dalle grandi capacità psichiche, che spesso ruba a King Mob il ruolo di leader attivo della cellula. Lord Fanny è un travestito brasiliano che ha assunto il ruolo di strega tramandato nella sua famiglia di donna in donna. Quattro elementi, ne manca uno. So contare, non vi preoccupate. La storia, infatti, si apre sul giovane Dane McGowan, e con il procedere della vicenda veniamo a scoprire che è il quinto elemento destinato a sostituire lo scomparso John-A-Dreams. Attraverso di lui e della sua lenta iniziazione veniamo a scoprire il mondo degli Invisibili, approfondendo la conoscenza degli altri personaggi e del conflitto che li vede coinvolti. Non riassumo ulteriormente la trama perché finirei inevitabilmente per anticipare rivelazioni ed accadimenti più o meno fondamentali per un reale appro-
fondimento della lettura, che d’altronde molti siti autorevoli si propongono già di fare da parecchio tempo. Se volessi convincervi della qualità di The Invisibles, vi parlerei per ore dello spessore che intravedo nei vari personaggi, degli spiragli della vita dell’autore che vedo riflessi negli eventi narrati o della trascendente filosofia con la quale mi sono trovato a confrontarmi nel proseguo della lettura. Ma non lo farò. Non voglio convincervi: non ne sono convinto neppure io.  The Invisibles non è un’equazione algebrica, un sistema dall’inevitabile conclusione. Non ha una soluzione univoca, ammesso che ne abbia una. Non è nemmeno una storia a fumetti, nella tradizionale definizione che attribuiamo al termine. Non ha un inizio ed una fine, ma solo una serie infinita di richiami attraverso tempo e spazio, un complesso lavoro di ricostruzione che cerca di rimettere ogni pezzo del puzzle nella giusta posizione. Non terminerete di leggere queste storie fieri di avere appreso il segreto dell’Universo, ammesso che ne esista veramente uno solo (di universo). Tutto quello che troverete in queste pagine è uno squarcio di vita, una serie di approfondimenti di personaggi insoliti e stravaganti e di posizioni filosofiche che potranno farvi sorridere od intrigare, secondo quanto predisposti
all’assurdo vi rivelerete essere. Assisterete a risposte alle grandi domande dell’uomo che si riveleranno più complesse delle domande stesse, e non avrete mai la sensazione di aver realmente capito cosa è accaduto sotto i vostri occhi. Ma se anche solo per un attimo smarrirete la strada di casa, e perderete l’assurda convinzione che la realtà sia quella che vi circonda e che in quanto tale quelle pagine contengano solo un fumetto, allora vi si dispiegherà davanti agli occhi un nuovo universo. Un universo che si chiama Grant Morrison, retto da un unico Dio, governato da leggi e dettami da letteratura di quart’ordine ammassata negli ipermercati, frutto della mente di un uomo che si ritiene un mago del chaos iniziato e che amava correre per le strade di Glasgow vestito da Flash. E lì forse capirete che non state leggendo una storia inventata a vostro uso e consumo, ennesima variazione sul tema supereroi con superpoteri: state leggendo un fumetto che trova stretta l’etichetta Vertigo, che in realtà trova stretta qualunque etichetta. The Invisibles è Morrison che si offre al lettore nella sua nudità, pronto nella sua superbia ad essere adorato e venerato come il Buddha del ventunesimo
secolo, più seducente di un nuovo Fitzgerald, più ammaliante dell’ennesimo Faulkner.  E’ un “fottutissimo” inglese che sente di aver compiuto il colpaccio, di aver buttato a gambe all’aria l’America e tutti i suoi mustbe e wannabe, convinto di potersi permettere una serie autobiografica, un esperimento più pretenzioso di un romanzo di formazione, più dannatamente letterario di una qualsiasi altra produzione seriale. E’ un uomo che sfida le leggi di un mercato non per istituire un mondo migliore ma solo perché è convinto di poterlo fare, e vuole dimostrarlo. Un uomo tanto folle da divenire il proprio fumetto. La serie The Invisibles si divide in tre archi narrativi completi, composti di 25, 22 e 12 albi. In ogni arco esistono poi delle trame pressoché autoconclusive, opportunamente radunate nei volumi italiani. Parlare dei disegnatori, che variano quasi costantemente nel corso dei quasi sessanta episodi, sarebbe inutilmente dispendioso. In genere il livello gra- fico si assesta nello standard Vertigo, con alcune sporadiche cadute di tono in termini di dinamicità che non pregiudicano comunque la comprensione dell'opera. Per quanto riguarda le sue vicende editoriali, sappiate che The Invisibles è stata
Nat
una serie fortemente voluta dall’autore, concessagli dall’editore quasi a malincuore. Il mercato non ha premiato la sua complessità, tanto che dopo la prima serie si è parlato di una possibile chiusura. Fortunatamente gli sforzi dei responsabili coinvolti che hanno creduto nella produzione hanno permesso a Morrison di concludere in modo naturale la sua narrazione, contando su uno zoccolo duro di fan (di Morrison o della serie?). Rimane nei progetti dell’autore pubblicare un giorno un romanzo che dovrebbe fungere da seguito alle vicende di The Invisibles, ma non mi è dato sapere se ciò avverrà realmente o meno e in quale ipotetico futuro. Tornando quindi all’incipit di questo folle excursus, cos’è The Invisibles? Probabilmente è la cultura pop fatta fumetto, e quindi commercializzata: una squallida manovra commerciale o una sublime ispirazione strappata alla colta letteratura? Un complesso affresco narrativo, partorito da un autore che non teme la definizione di scrittore di fumetti, e che probabilmente non si sente in qualche modo limitato dal media. In teoria, la dimostrazione di quali aspirazioni sia lecito concedere ai fumetti. Nella pratica, un’opera controversa e destinata a far discutere. Ma per citare Wilde: “La diversità di opinioni su un’opera d’arte sta a dimostrare che quell’opera è nuova, complessa, vitale. Quando i critici non concordano, l’artista concorda con se stesso”.

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agosto 2002