Storia
della scuola
Nella
seconda metà del 1800 si assiste in Italia a molte iniziative per far
rinascere le Arti industriali. Anche a Firenze maturò l'idea di fondare
una scuola di disegno applicato che avrebbe dovuto preparare
artisticamente ebanisti e intagliatori. Pertanto viene creata, fin dal
1867, per iniziativa pubblica, una scuola per la loro preparazione
artistica; una scuola che negli anni si è evoluta nell'attuale Istituto
d'arte di Porta Romana. Si trattava della prima istituzione del genere
in Italia, seguita poi da quella veneziana (ex Scuola veneta delle Arti
applicate) e da quella romana (ex Museo Artistico-industriale).
Ufficialmente si aprì il 4 gennaio 1869 la “Scuola d’Intagliatori
in legno, Ebanisti e Legnajuoli”, ospitata nell’ex-convento della
S.S. Annunziata, e un anno dopo assunse la denominazione di “Scuola
Preparatoria di Intaglio e di Altre Arti Professionali”. Le lezioni
duravano due ore dopo di che i ragazzi si recavano a svolgere il loro
tirocinio pratico presso le botteghe cittadine dato che un buon
operaio non poteva nascere né dalla sola scuola né dalla sola officina
.
Fra i sostenitori e fondatori ci furono: il prof. Emilio Bechi, il prof.
Nicola Collignon e l'ing. L. Trivellini. Promotrice fu quindi una libera
associazione di cittadini che versavano una quota mensile per il
mantenimento della scuola; non si trattò di una istituzione voluta
dallo Stato, ma di una istituzione che scaturiva da un'esigenza della
città. Tuttavia, nonostante fosse un'iniziativa privata, riuscì ad
ottenere, a seguito dei successi ottenuti in campo nazionale ed
internazionale, sussidi anche dal governo e da altri enti.
Cresceva nei fiorentini l’esigenza di ricordare le antiche tradizioni
cittadine. Questa presa di posizione coincideva con un quadro nazionale
sensibile al problema dell’evoluzione delle arti industriali,
soprattutto dopo che l’Esposizione Universale di Parigi nel 1878.
Per i molti successi la scuola ottenne, nello stesso anno, il privilegio
del Patronato Reale.
I locali della scuola cominciavano a diventare inadeguati e così,
nel 1878, la sede della scuola d’intaglio fu spostata nei chiostri
Santa Croce con la possibilità di sistemarvi modelli in gesso ed
incisioni che costituiranno il primo nucleo del museo artistico.
Sono gli anni di storica crisi fiorentina in seguito allo spostamento
della capitale a Roma, ma paradossalmente essi furono gli anni d’oro
della scuola. Non più centro di potere politico, Firenze sceglieva
infatti di giocare la carta del ruolo di città d’arte e delle
industrie artistiche. La scuola venne influenzata e didatticamente
orientata dai personaggi di spicco del campo artistico fiorentino e fin
dal suo nascere considerò essenziale la sua proiezione verso
l’esterno partecipando attivamente alla vita cittadina.
Nel 1880 nacque un nuovo Comitato che mirava alla costruzione di una
grande scuola di arti applicate che avrebbe assorbito la precedente
scuola di intaglio. Uno dei maggiori sostenitori dell'iniziativa fu il
barone Giulio Franchetti che, con l’aiuto della popolazione
fiorentina, riuscì a far approvare lo statuto della nuova Società
promotrice e a condurre in porto l’operazione. La nuova istituzione
prese il nome di "Scuola professionale di Arti decorative e
industriali", ottenendo anche dal re il riconoscimento legale.
Giulio Franchetti dopo aver studiato i metodi didattici in uso delle
scuole industriali francesi e inglesi, voleva trasformare la scuola di
intaglio nella scuola di arte applicata che formasse operai qualificati
nel settore artistico industriale
Il 10 gennaio 1882 si ebbe l’effettivo inizio dei nuovi corsi.
L’insegnamento si divideva in 3 sezioni: Architettura, Pittura e
Scultura decorative. Il corpo docente era costituito da artisti
conosciuti e vecchi docenti. Nel corso dei due anni successivi i locali
di Santa Croce subiscono modifiche ed ampliamenti a testimonianza della
crescente importanza dell’istituzione. Il 31 Maggio 1883 infatti
l’architetto Giuseppe Boccini ebbe l’incarico di dirigere un
progetto formulato da Emilio De Fabris. Il 24 Febbraio 1884 le autorità
e i soci ricevettero l’invito a visitare locali modificati e quelli
costruiti ex novo.
Un Decreto Regio del 23 ottobre 1884 la colloca fra le scuole statali
superiori d’arte applicata all’industria. Nello stesso anno compare
tra gli azionisti Frederick Stibbert, noto collezionista d’arte .
L’organizzazione didattica della scuola era frutto della conoscenza
diretta di analoghe esperienze straniere .
La suola fiorentina diventò così un importante punto di riferimento di
cui veniva lodato il ricco materiale artistico (gessi, ardesie e marmi).
Furono anni, quelli, di grande dibattito sulla necessità di creare
musei artistico-industriali collegati alla didattica che fossero in
grado di stimolare la produzione italiana troppo lussuosa per essere
portata sul mercato straniero.
Furono promosse l’istituzione di una biblioteca e di una collezione
fotografica di modelli.
Cresceva l’interesse nazionale per la metodologia didattica
dell’istituzione fiorentina, segnalata dal Ministero come una tra le
migliori d’Italia. Nel 1888 nacque l’istituzione di corsi
diversificati: quello elementare, destinato a fornire le basi del
disegno geometrico e rivolto agli allievi che volevano subito
indirizzarsi all’esercizio del proprio mestiere; quello speciale,
riservato ai giovani che volevano dedicarsi alle arti decorative.
Entrambe duravano due anni e vi era la possibilità di frequentare un
corso di applicazione che dava ampio spazio all’esercizio di
“composizione di invenzione”, conseguendo infine il certificato di
capacità.
Sullo scorcio del secolo la crescita di qualità procura importanti
commissioni e la partecipazione a mostre nazionali e
internazionali. Successivamente, nell’Italia che sempre più avvertiva
l’esigenza di un decollo industriale, la scuola diveniva campo di
sperimentazione per i problemi connessi al passaggio dall’artigianato
all’industria. I brillanti riconoscimenti conseguiti dalla scuola
testimoniano la piena sintonia con i problemi sollevati dalla critica
contemporanea grazie al fruttuoso lavoro degli insegnanti. Poco per
volta, tuttavia, si avvertirà una crescente chiusura nei confini
nazionali, un ritorno all’accademismo e una sostanziale sordità nei
confronti delle novità proposte dalle avanguardie artistiche.
Nel 1895 si pubblicava il corso d’Ornato e Figura, destinato a
diventare un riferimento per tutte le scuole professionali italiane.
Nello stesso anno veniva creata, per il secondo e terzo corso speciale,
la cattedra di storia delle arti decorative e industriali. Si registra
una sempre maggiore presenza dello stato nella definizione
dell’indirizzo della scuola, ma anche un calo di interesse dei privati
nei confronti dell’istituto.
Nel 1905 l’iter scolastico comprendeva un corso di tre anni e uno
superiore di quattro e, nello stesso tempo, il sempre crescente numero
di allievi determinavano l’esigenza dell’acquisto di nuovi ambienti.
La scuola Professionale veniva ad essere chiusa come in un cerchio di
ferro a causa dell’imminente edificazione della biblioteca, e la
costruzione di un nuovo edificio scolastico era prevista nell’area
centrale dei giardini del Parterre, dopo porta San Gallo. Con
l’istituzione della scuola Leonardo da Vinci i due rami del disegno
tecnico industriale e di quello artistico si erano così a Firenze
definitivamente separati.
L’inizio della prima guerra mondiale portava intanto ad un
rallentamento dell’attività didattica a causa della chiamata alle
armi degli allievi. La crisi economica subentrata alla fine del
conflitto imponeva nuovi rallentamenti. Nel 1916 nascevano le sezioni di
Plastica Ornamentale, Pittura Decorativa e Disegno Professionale. Si
chiedeva l’ampliamento dei locali nella prospettiva di istituire
laboratori “per opere importanti in ferro battuto o di fusione di
metalli e per le industrie del vetro e della ceramica”. Si ribadiva
anche il bisogno di avere un locale destinato alla biblioteca e uno
dedicato al museo didattico. Veniva anche chiesta la classificazione
della scuola al livello superiore di terzo grado.
La vecchia scuola di S.Croce viene così trasformata nel 1919 in una
scuola artistica industriale di 3° grado, articolata su tre livelli.
UN CORSO OPERAIO di 4 anni, UN CORSO NORMALE di 4 anni dove oltre le
normali ore d’Istituto ci sono i laboratori per ciascuna sezione, di
arti decorative, pittoriche, plastiche e per disegnatori di
architettura, e infine UN CORSO MAGISTRALE di un anno.
Il commissario Mario Salvini chiese di trasferire la scuola
nell’edificio delle ex scuderie reali di Porta Romana e di acquistare
le forme e i modelli del laboratorio Lelli. Chiamò inoltre ad insegnare
lo scultore Libero Andreotti, il decoratore di vetro Guido Bolsano
Stella, l’architetto Enrico Lusini e altri artisti.
Nel 1920 un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri assegnava
in uso all’Istituto i locali dell’ex scuderie reali, a Porta Romana,
collegati con Palazzo Pitti tramite il giardino della Pace, così
sarebbe sorta a ridosso di Porta Romana una operosa cittadella di studi
artistici.
Un grande cancello, un imponente vialone d’ippocastani: è
l’ingresso dell’Istituto d'arte, una volta sede delle scuderie
reali, dei quartieri dei palafrenieri e degli impiegati addetti alle
scuderie.
Nell’Italia degli anni venti ci sono soltanto tre istituti d’arte:
Firenze, Napoli e Venezia, ma quello di Porta Romana viene considerato
il modello.
Nel 1923 i direttori dei tre Istituti d’arte che esistevano allora in
Italia lavorarono all’elaborazione del nuovo ordinamento degli
Istituti d’arte coinvolgendo anche il collegio degli insegnanti delle
singole scuole.
A seguito a della riforma Gentile del 1923 che prevedeva la
riorganizzazione delle scuole d'arte (accademie, istituti e scuole
industriali, scuole popolari per arti e mestieri, scuole di disegno a
per gli operai e consimili istituzioni tenute dagli Enti locali), nel
1924 venne inaugurato il nuovo Istituto Statale d'Arte. "La
Nazione" del è il 12 dicembre 1924 così ne descriveva le finalità:
"Questa Scuola in sostanza si prefigge di realizzare un vecchio
sogno di educatori e riformatori: riportare in onore una pura tradizione
italiana; restaurare la Bottega d'arte come la intendevano i grandi
Maestri del Rinascimento fiorentino; studio, lavoro, scuola e
laboratorio, dove i giovani possono lavorare a fianco dei maestri e
delle opere di questi". A quel momento funzionavano in pratica le
seguenti sezioni: Architettura decorativa, Pittura decorativa, Arti
grafiche, Arte del legno, Arte della ceramica e vetreria. Già dal 1922
era stata ceduta all'istituto la collezione dell'azienda di formatura in
gesso "Giuseppe Lelli", dando così vita al Museo dei Calchi,
il nucleo originario dell'attuale Gipsoteca.
L’ordinamento didattico è cambiato: un CORSO OPERAIO di 3 anni, un
CORSO NORMALE di 6 anni suddiviso in inferiore e superiore e UN CORSO
MAGISTRALE di due anni. Inoltre ci sono i corsi di perfezionamento e dei
corsi estivi organizzati liberamente. In questi anni il CORSO NORMALE
era quello più frequentato, ma negli anni ’30 prendeva consistenza
anche il CORSO MAGISTRALE.
Il 10 novembre 1924 viene inaugurata solennemente a Porta Romana la
nuova sede dell’Istituto alla presenza del re Vittorio Emanuele III e
della regina Elena. Vengono rinnovate le attrezzature didattiche per
adeguare la scuola al nuovo ordinamento. Vengono acquistate da una ditta
di Berlino 360 diapositive per l’insegnamento della storia
dell’arte. L’acquisita collezione Lelli viene sistemata
nell’enorme salone centrale delle scuderie e comincia a dare i suoi
frutti: l’annesso laboratorio di formatura nel 1924 deve rispondere a
richieste di calchi in gesso provenienti dall’Italia e dall’estero.
Le allettanti prospettive di sviluppo della gipsoteca, che si configura
come istituzione unica in Italia, inducono a richiedere più spazio. Le
richieste di frequenza da parte di studenti stranieri si fanno più
numerose: ne arrivano da tutte le parti del mondo. Elementi di crescita
si riscontrano anche all’interno della città: qualche ditta artigiana
che necessita di disegnatori si rivolge alla scuola. La scuola viene
visitata da importanti personalità e da artisti come Giò Ponti,
interessato all’arte di Libero Andreotti e di Bolsano Stella.
Il 24 giugno 1929 è il giorno dell’inaugurazione del “Museo dei
Calchi in Gesso delle Sculture italiane del Medioevo del
Rinascimento”. La consacrazione del modello didattico costituito
dall'istituto d'arte di Porta Romana avviene l'anno successivo, nel 1930
alla IV Esposizione Regionale d'Arte Toscana.
Nel 1929 le sezioni più affollate sono l'andreottiana sezione di
scultura e quella di pittura decorativa; la meno frequentata quella di
arti grafiche.
Il direttore Salvini sottolinea la funzionalità della scuola come
strumento di consolidamento del ceto artigiano dal quale provengono in
gran parte gli allievi e come veicolo di ascesa per i migliori, che
divengono insegnanti, direttori di scuole d’arte o artisti
riconosciuti.
Nel 1929 viene inaugurato nell’istituto il museo dei calchi; il
direttore Salvini viene chiamato dal nuovo segretario della federazione
fascista Pavolini alla segreteria della federazione fascista degli
Artigiani; il primato artistico di Andreotti si consolida con la
partecipazione alla seconda mostra del Novecento Italiano (seguita dopo
pochi mesi da un’altra mostra, alla galleria Pesaro di Milano, di
sculture degli allievi Berti, Romiti, Gelli e Innocenti, presentati
dallo stesso Andreotti).
Nel 1930 si tiene la Mostra Regionale d'Arte Toscana. Nel 1931 si
inaugura la prima Fiera Nazionale dell’Artigianato, che,
configurandosi come elemento di resistenza alla crisi economica, vuole
anche rispondere alle istanze di rinnovamento e di meccanizzazione del
settore e in specie dell'artigianato artistico. Il partito fascista ha
avviato, come strumento per fronteggiare la grande crisi, una nuova
stagione politico-culturale ed economica di una rifondata Firenze
turistica e artigiana e in questa nuova prospettiva l’Istituto
d’Arte viene a ricoprire un’importante funzione, configurandosi
sempre più come luogo di formazione di una aristocrazia artigiana che
da un lato tende ad accogliere le opportunità di mercato offerte dal
turismo internazionale, dall'altro mira a conquistarsi uno spazio nella
committenza pubblica. Tra il 29 e il 34 la scuola di Porta Romana
continua crescere, toccando il vertice del ventennio sia in termini di
iscritti e di attività didattiche che in termini di attività esterna
con la partecipazione a mostre e rassegne.
I riconoscimenti artistici si moltiplicano: nel 1930 Istituto in
via sue opere alla quarta esposizione di Monza e suoi insegnanti
Andreotti, Vagnetti, Innocenti e Gelli espongono alla biennale di
Venezia e nel ’31 la quadriennale di Roma acquista opere dei suoi
insegnanti. Alcuni di loro sono presenti alla biennale di Venezia del
1932 e l'anno successivo l'istituto partecipa alla quinta triennale
delle arti decorative, ora spostata a Milano e organizzata da Giò Ponti
e Mario Sironi; alla mostra dell'arredamento artistico di Valle Giulia a
Roma; a un'esposizione del libro italiano a Bruxelles; nel ‘34 sono da
segnalare la partecipazione alla Mostra Internazionale di Pittsburg e
alla XIX biennale di Venezia, dove si celebra il trionfo post mortem di
Andreotti con una personale di 39 opere presentate in catalogo da Ugo
Ojetti.
La gestione amministrativa della scuola contempla spese e bilanci che
non hanno confronto con nessun'altra scuola o istituto d'arte del paese
anche se il numero di questi nel frattempo è molto cresciuto.
Ma questa grande stagione ascendente non durerà ancora a lungo.
Libero Andreotti era morto all’improvviso nel 1933 e il direttore
Salvini, ormai anziano, era andato in pensione l’anno successivo,
proprio mentre gli effetti della crisi economica si fanno sentire
nella città e l’artigianato entra in grande difficoltà, col
fallimento di numerose ditte.
Verso la seconda metà degli anni Trenta fanno ingresso professori di
religione, di educazione fisica, e di arte militare. Il laboratorio di
formatura annesso alla Gipsoteca produce e vende i suoi calchi in gesso
in Italia e all'estero.
Nel 1937 fu aperto un corso di fotografia, a testimonianza
dell'interesse del regime per la fotografia come strumento di
comunicazione e di propaganda di massa. In questo nuovo corso erano
presenti molti allievi stranieri che alla fine degli anni trenta sono la
maggioranza nella scuola che organizza, proprio per gli stranieri,
appositi corsi invernali e primaverili. L’istituto è dunque
pienamente inserito nel circuito della politica turistico-culturale
fiorentina.
Nel 1939 tiene inaugurata, personalmente da Mussolini, la prima mostra
degli Istituti di Istruzione Artistica.
Al termine della seconda guerra mondiale si evidenziò la necessità di
una riforma nel settore dell’istruzione tecnica e professionale e
soprattutto degli istituti d’arte L’artigianato era uno sbocco
professionale sempre meno importante e inoltre, in settori importanti
quali il tessile, l’abbigliamento e l’arredamento, si andava
gradualmente affermando l’integrazione tra l’artigianato e la
piccola e media industria. Si dovette quindi attribuire maggiore
importanza alla professionalità, alla tecnica produttiva e
all’industria piuttosto che alla sola estetica che aveva fino ad
allora caratterizzato l’esercizio e l’applicazione delle arti. Anche
la fisionomia socio-economico dell’aria fiorentina stava profondamente
mutando, passando da una tradizione agricola e artigianale ad una nuova
produttività che richiedeva una maggiore competenza tecnica e
professionale.
Il 78% degli allievi dell’istituto provenivano da famiglie di
artigiani, operai, commercianti, categorie segnate dalle pesanti
difficoltà del dopoguerra e impegnate a sprecare il meno possibile le
loro risorse per scuole lunghe e pertanto orientate verso una formazione
che desse loro la possibilità di trovare un lavoro il più presto
possibile. Nonostante tutte le difficoltà, e forse anche per la sua
caratteristica professionalizzante, l’istituto uscì dalla fase di
ricostruzione in crescita.
Si cominciò anche a pensare a delle prospettive di riforma che
potenziassero una formazione culturale più ampia di quella
tradizionalmente fornita dalla scuola.
In questo periodo, in cui si richiedeva una maggiore formazione
professionale e un generale rinnovamento tecnologico, un ruolo di non
secondaria importanza era riservato all’istituto d’arte, soprattutto
nel settore artigianale, ma anche per le possibilità di creare forti
legami con l’industria. Negli anni seguenti ci furono molti sforzi da
parte dell’istituto sulla strada dell’ammodernamento delle strutture
didattiche. Nel 1954 nacque la sezione di Arte del Tessile e Decorazione
di Tessuti. L’anno successivo venne istituito il corso speciale di
Grafica Pubblicitaria e nel 1955 la sezione di Arte del Tessile impiantò
il primo laboratorio d’Italia per la stampa dei tessuti. Negli anni
‘50 e nei primi anni del decennio successivo emerse la domanda di
nuove capacità tecniche e progettuali che non potevano essere
soddisfatte. Sul finire del decennio il contributo dell’istituto di
Porta Romana nella formazione della manodopera era giudicato
particolarmente importante in alcuni settori. Nel 1962 fu stabilita una
nuova struttura didattica dell’Istituto che era articolato nelle
seguenti sezioni: Decorazione Pittorica, Arredamento, Disegno di
Architettura, Arti Grafiche, Decorazione Plastica, Oreficeria, Arte
Ceramica, Arte del Tessuto, Arte Pubblicitaria. Ma l’evento più
significativo del periodo fu senza dubbio l’apertura di un corso di
design industriale. Nel 1962, dopo l’esperienza dell’istituto
d’arte di Venezia, anche l’istituto fiorentino iniziò un corso che
aveva la durata di tre anni, e che rappresentava lo sbocco per i suoi
diplomati, ma che fu presto aperto anche a quelli che uscivano dalle
altre scuole secondarie. L’evento segnò una svolta decisiva nella
produzione delle fabbriche di mobili di Cascina, Ponsacco ed altrove in
Toscana. Con l’apertura di questo corso vennero aggiunte anche delle
materie culturali. Nel 1963 gli istituti d’arte dovevano considerarsi
come vere e proprie scuole professionali, superando il cliché di una
scuola che preparava solo copiatori scadenti e disoccupati. Con il I
Convegno Nazionale degli Istituti di Istruzione Artistica, tenutosi a
Firenze nel 1963, i direttori ribadirono la necessita di portare a
cinque anni la durata dei corsi degli istituti d’arte al fine di
allinearli ad altre scuole secondarie. Nel corso degli anni Sessanta
aumentano notevolmente le iscrizioni e ciò contribuisce a mutare la
storica fisionomia dell’istituto e a porre nuove esigenze.
Nel dicembre del 1968 si svolse un altro convegno per rilanciare e
sostenere la richiesta di una riforma organica degli istituti.
Successivamente vennero svolti altri convegni nazionali e finalmente,
nel 1970-1971, il Ministero autorizzò l’istituzione di un biennio
sperimentale, soddisfacendo così una delle richieste più sentite dagli
studenti e dagli insegnanti che vedevano in questo modo la propria
condizione allineata a quella dei giovani e dei docenti delle altre
scuole superiori. Nei primi anni settanta aumentano notevolmente le
iscrizioni e si faceva sentire sempre di più l’esigenza di un
rinnovamento. Nel 1975 nasce la sezione di Moda e Costume come cattedra
annessa alla sezione di Tessitura. Dieci anni dopo, nasce come sezione
sperimentale, Scenotecnica e nel 1992 viene approvata dal Ministero una
sperimentazione globale che va ad affiancarsi ai tradizionali corsi di
ordinamento.
Bibliografia: Storia dell’Istituto d’Arte di Firenze (1869-1989), a
cura di Vittorio Cappelli e Simonetta Soldani, Olschki, 1994.
Tratto
dal sito ufficiale dell'istituto Statale D'arte di Firenze.
|