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Chiuse il cofanetto con attenzione, in silenzio.
Lo ripose attentamente nella borsa di pelle di camoscio, che faceva capolino tra gli stracci, all’altezza dell’anca, facendo bene attenzione a mantenere serrato il pugno sinistro.
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Un
sorriso le sfiorò le labbra prima che la mano destra
si aggiustasse il cappello, spiegazzato, sulla nuca.
Volse lo sguardo al sentiero che si snodava nel bosco.
Il ghiaino bianco, i pochi ciuffi d’erba, qualche sasso
fuori posto qua e là. Abbassò lo sguardo verso la punta
delle sue ciabatte. Si chinò, e prese la paletta d’oro
con la mano destra. Brevemente, compì un gesto circolare,
preciso, scavando un piccolo buco nel terreno ancora
umido.
Aprì finalmente il pugno della sua mano sinistra, dove aveva riposto il prezioso contenuto del cofanetto. Delicatamente, prese il seme tra il pollice e l’indice e lo depose sul fondo della piccola fossa. Fatto.
Coprì il seme con il terriccio e versò un po’ dell’acqua della borraccia che portava a tracolla.
Soddisfatta, si alzò. La sua figura si stagliava incerta
tra i rami frondosi degli ultimi alberi lungo la strada,
coperta di stracci viola e rossi e coronata da una fitta
matassa di riccioli color carota.
Tornò a sistemarsi il cappello sulla testa e, dopo essersi
assicurata con una rapida occhiata attorno che nessuno
l’avesse vista, biascicò un paio di formule strane e
prese infine il volo verso ovest.
La strega di Smirne si lasciò dietro un piccolo crepitio di rami spezzati e una nuvoletta di polvere sollevata dalla sua gonna color ciclamino. Il seme, piantato al 41° miglio del sentiero, nella quiete della terra aveva già iniziato a germogliare.
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