I calcoli (e gli
errori) di Dionigi il Piccolo
Un
argomento che nella prima stesura del nostro lavoro non era stata trattata è
l’analisi dei calcoli di Dionigi il Piccolo. Si ritiene opportuno affrontrarlo
ora, anche perché quest’anno la celebrazione della Pasqua è stata celebrata la
stessa domenica in tutte le Chiese, cattolica, ortodossa e protestante.[1]
Tale coincidenza avviene raramente, ma in quest’occasione ha risvegliato nuove
speranze. Il clima ecumenico e il dialogo instauratosi fra le varie Chiese
hanno fatto nascere un’idea nuova, che ha radici antiche: la possibilità di
celebrare in futuro la festa pasquale lo stesso giorno, come avveniva prima del
progressivo distacco delle confessioni cristiane. Tale speranza è stata
propugnata da Giovanni Paolo II e da altre autorità religiose.
In effetti, la causa della diversità della
festività pasquale, ma non solo di essa, è dovuta alla riforma del calendario
giuliano, attuata nel 1582 dal papa Gregorio XIII. Com’è noto il calendario
gregoriano aveva portato delle modificazioni sostanziali a quello giuliano.
Giulio Cesare, quando promulgò il nuovo calendario, non sapeva che l’astronomo
Sosigene aveva calcolato l’anno tropico più lungo di quello che era
effettivamente. Sebbene l’errore fosse minimo, ossia di 11m
14s, col passare dei secoli erano stati inseriti più giorni
bisestili di quanti ne erano necessari. Venne così a cessare il sincronismo
principale che il calendario doveva dare: la coincidenza dell’equinozio di
primavera con il 21 marzo. Nel XVI secolo tale fenomeno avveniva l'11 marzo,
perciò c’erano 10 giorni in più da eliminare. La riforma è nota: furono
soppressi i giorni in eccesso passando dal 4 al 15 ottobre, ma lasciando
immutati i giorni della settimana; si stabilì inoltre che gli anni secolari
(1600, 1700, ecc.) fossero bisestili soltanto se divisibili per 400.
Il nuovo calendario non fu accettato da tutti
e ancora oggi non lo è, soprattutto per i motivi di dissidio che separano le
Chiese. A prima vista potrebbe sembrare che l’accettazione del calendario
gregoriano in tutte le Chiese porterebbe a una sostanziale coincidenza delle
festività pasquali, ma, di fatto, la questione non è così semplice. Fra l’altro
bisogna rilevare un particolare da pochi evidenziato: nel 2001 la Pasqua cristiana
è stata celebrata esattamente una settimana dopo la pasqua ebraica. Infatti, il 15 Nisan, Pesah,
ricorreva domenica 8 aprile, mentre il 15 aprile era la Pasqua cristiana.
Poiché esiste un dialogo tra cristiani ed ebrei, c’è ancora bisogno di conservare
le norme fissate nel Concilio di Nicea (325), oppure è venuto il momento di
rivedere tutta la problematica? Non si può, infatti, sottacere il fatto che a
Nicea si volle distanziarsi dal mondo ebraico, proprio per combattere i Quartodecimani,
cioè quel gruppo di cristiani che ritenevano giusto celebrare la Pasqua
cristiana in concomitanza con quella ebraica.
Il problema dell’unificazione dei riti
celebrativi della pasqua,
presenta dunque un quadro molto complesso. Fra le altre cose non c’è neppure
concordanza sulla data storica della resurrezione
di Gesù Cristo, che fino ad oggi non è stata possibile accertare, perché sono
state trovate le date più disparate, non sempre ottenute con metodo omogeneo.
La Chiesa fino ad oggi si è astenuta dal pronunciarsi ufficialmente su tale
problema. Significativi in proposito sono due brani tratti dalle bolle di
indizione dell’Anno Santo straordinario del 1933 e rispettivamente di quello
del 1983.
Scriveva Pio XI, riferendosi alla redenzione
avvenuta per la morte e resurrezione di Gesù Cristo:
“Infatti, se non è del tutto accertato quanto
a fedeltà storica in che anno vada collocato, l’evento tuttavia, o qui
piuttosto l’ordine delle mirabili cose compiute, è di così grande portata e di
così grande importanza che non si addice passarlo sotto silenzio”.[2]
Esattamente 50 anni dopo, nell’indire il
1950° anniversario della redenzione, scriveva Giovanni Paolo II:
“Già nel 1933 il papa Pio XI di v.m. aveva
voluto ricordare, con felice intuito, il XIX centenario della redenzione con un
anno straordinario, prescindendo, peraltro, dall’entrare nel merito della data
precisa nella quale fu crocifisso il Signore”.[3]
In ogni caso, come abbiamo già visto nel
nostro studio, il problema è opportuno risolverlo e in effetti lo abbiamo
risolto. Per determinare tale data abbiamo seguito la precisa relazione che
esiste nel calendario ebraico fra le singole ricorrenze. Infatti abbiamo
analizzato alcuni brani del Vangelo di Giovanni, osservando se negli stessi è
descritta una relazione precisa tra il Capodanno ebraico (1° Tishri) e
il 15 Nisan, Pesah, dello stesso anno. La soluzione è
stata trovata e sappiamo così che la data storica della resurrezione di Gesù
Cristo è il 25 marzo dell’anno 31, corrispondente al 15 Nisan, Pesah.[4]
A questo punto è opportuno prendere in considerazione quanto fece
Dionigi il Piccolo (VI sec.) e vedere se gli era possibile arrivare allo stesso
risultato. Inoltre bisognerà analizzare anche alcune affermazioni di S. Beda il
Venerabile (672/673 – 735), che fu il divulgatore di Dionigi il Piccolo.
Questa analisi è interessante, in
quanto, nella prima stesura del nostro lavoro, abbiamo effettuato il calcolo
dei calendari ebraici indipendentemente dalle “tavole pasquali” di Dionigi il Piccolo. Bisognerà dunque
controllare se esiste una possibilità di confronto, ossia se ci sono delle
coincidenze o delle differenze e per quale motivo ci sono.
Dionigi il Piccolo
Dionigi il Piccolo era un monaco che visse a Roma tra il 500 e il
545. Era molto dotto, conoscitore del greco e coordinatore di documenti di
diritto canonico. La sua fama è però legata alla riforma del calendario
cristiano e alla fissazione della pasqua.
Nel 525, infatti, il papa Giovanni I lo incaricò di compilare delle nuove
tavole pasquali.
Il
problema della Pasqua era stato risolto, dopo notevoli difficoltà, nel 325 nel
Concilio ecumenico di Nicea. In quella sede si adeguò l’equinozio di primavera
al 21 marzo, e la Pasqua doveva essere celebrata la prima domenica successiva
alla luna piena (luna XIV) dopo tale data. Quindi i giorni utili andavano dal
22 marzo al 25 aprile. Inoltre la data della pasqua
doveva essere notificata a tutte le chiese
dal vescovo di Roma, ossia dal papa. Però proprio a Roma la situazione relativa
a ciò era diventata anomala. Quando Dionigi cominciò a lavorare l’equinozio era
già stato spostato al 18 marzo. Fin da allora, infatti, erano stati osservati
gli effetti del ben noto errore del calendario giuliano (11m
14s di eccedenza all’anno), quindi era stato necessario
adeguare le date. Però, singolarmente, per la fissazione della Pasqua, si
osservavano criteri precedenti a Nicea, cioè i limiti erano 25 marzo – 21
aprile.
Dionigi riformò completamente le modalità di
calcolo:
1.
Introdusse il
ciclo lunare di diciannove anni per calcolare la luna XIV, citando le decisioni
dei vescovi che si riunirono a Nicea,
“i
quali, per l’osservanza della Pasqua, fissarono stabili e invariabili le lune
XIV, per un ciclo che si rinnova sempre in sé per diciannove anni, per tutti i
secoli in cui tali cicli si ripetono, nell’inizio si svolgono senza
variazioni”.[5]
2.
Riformò il
computo degli anni, a cominciare dal 532. Infatti, soppresse gli anni di
Diocleziano,
“tiranno piuttosto che principe”.[6]
Perciò non volle inserire nei suoi cicli
“il ricordo di un empio persecutore”,[7]
ma preferì
“annotare gli anni dall’incarnazione di Gesù Cristo, nostro
Signore”.[8]
Per poter calcolare questa sostituzione si
avvalse del ciclo alessandrino, che poneva l’inizio del ciclo di diciannove
anni all’anno 0 (1 a. C.). Per far ciò Dionigi si collegò alla cronologia di
San Cirillo, che aveva iniziato il primo ciclo nell’anno 153 di Diocleziano (=
437 d. C.) per concluderlo nel 247 (= 531 d. C.).
3.
Dionigi
tuttavia non si limitò a considerare soltanto il ciclo lunare di 19 anni. Dal
momento che la Pasqua è determinata anche dal ciclo solare di 28 anni, utile a
fissare i giorni della settimana, Dionigi, applicò in modo sistematico ciò che
il secolo precedente aveva già trovato Vittorio di Aquitania: siccome 532 è il
minimo comune multiplo di 19 e 28, le fasi lunari e quelle solari si ripetono
identicamente ogni 532 anni. Per questo motivo gli fu possibile stabilire
l’inizio dell’era cristiana all’anno 0 (1 a. C.). Inoltre compilò le “tavole pasquali” per un periodo di 95
anni (19 x 5), dal 532 al 626, alle quali premise quelle dell’ultimo ciclo
lunare degli anni di Diocleziano, dal 229 (= 513 d. C.) al 247 (= 531 d. C.).[9]
4.
Fra le opere di
Dionigi è inserita la traduzione in latino della “Lettera di proterio, vescovo di Alessandria a papa
Leone”, nella quale è stabilito che
“Gesù
mangiò la cena pasquale il 14 del primo mese secondo gli Ebrei; il giorno
seguente poi, venerdì, luna XV, fu crocifisso per noi come un agnello pasquale;
e la sera del sabato, quando inizia il giorno della domenica, luna XVII,
risorse dai morti”.[10]
In questo modo, seguendo un ragionamento
complesso, egli pose dei limiti ben precisi alla celebrazione della Pasqua,
cioè dal 22 marzo al 25 aprile.
Beda il Venerabile
Ai calcoli e alle considerazioni di Dionigi
il Piccolo è opportuno aggiungere ciò che scrisse Beda il Venerabile,
sostenitore e divulgatore dei principi stabiliti dallo stesso Dionigi. Beda nel
suo libro De temporum ratione, ‘Il calcolo dei tempi’
dedica il cap. 47 all’“Anno dell’incarnazione del Signore”.[11]
Dopo aver esposto i principi generali già esposti da Dionigi il Piccolo, tratta
in modo specifico alcuni argomenti.
1.
Innanzi tutto
calcola la Pasqua dell’anno 1:
“Visto che, di conseguenza, nel secondo anno
del ciclo, di cui per primo scrisse Dionigi si è compiuto nell’anno 533
dall’Incarnazione del Signore, lo stesso è certamente per il concorso degli
astri, quello in cui è avvenuta l’Incarnazione, perché questo è il secondo anno
del ciclo lunare di 19 anni, epatta 11, di venerdì, luna XIV al 25 marzo; tutto
fu allora molto simile ad oggi, e se ci fosse stato allora chi avrebbe fatto
ciò che oggi fa la Chiesa, nell’usuale giorno di domenica, certamente lo stesso
giorno, come si è qui osservato, sarebbe caduto il 27 marzo, con luna XVI”.[12]
2.
Più avanti
menziona il periodo della predicazione del Signore:
“Se non mi sbaglio la Chiesa crede che il
Signore rimase in vita poco più di 33 anni fino al tempo della sua passione;
secondo il vangelo di Luca fu
battezzato a 30 anni e predicò dopo il battesimo tre anni e mezzo, come
Giovanni nel suo Vangelo non solo dimostra nel menzionato periodo della Pasqua
che si ripete, ma anche nell’Apocalisse”.[13]
3.
Rammentando poi
il principio che ogni 532 anni si ripetono le fasi lunari e quelle solari,
determina l’anno di riferimento all’anno 33 o 34 e lo trova nell’anno 566, e di
conseguenza stabilisce il giorno della passione e quello della resurrezione di
Gesù Cristo:
“Perciò, come sopra ricordato, il ciclo
pasquale si ripete dopo 532 anni, somma a questi 33 o piuttosto 34, affinché si
possa trovare lo stesso anno in cui il Signore ha patito e si ha 566. Lo stesso
è dunque l’anno della passione e resurrezione da morte di nostro Signore.
Perché il ciclo solare concorda del tutto con quello lunare nell’anno 533 col
primo e nell’anno 566 con il trentaquattresimo. E perciò, essendo stati
spiegati i cicli di Dionigi, se in relazione all’anno 566 dall’incarnazione del
Signore, essendo la luna XIV, troverai in esso giovedì 24 marzo e la domenica
di Pasqua il 27 marzo, luna XVII, ringrazia Dio, perché ciò che cercavi, come
lo stesso Dionigi promise, ti donò di trovare. Infatti, poiché il Signore fu
crocifisso di venerdì, essendo la luna XV, e il primo giorno dopo il sabato,
cioè di domenica è risorto da morte, a nessun cattolico è lecito dubitare; neppure
un cattolico può essere incredulo alla legge che comandava di immolare
l’agnello pasquale il giorno 14 del primo mese, né può essere incredulo in
ugual modo al Vangelo, che testimonia che il Signore fu imprigionato la stessa
sera dai Giudei e che fu crocifisso di venerdì mattina e sepolto; infine che
sia risorto il primo giorno dopo il sabato. Che Gesù sia stato crocifisso il 25
marzo e risorto il 27, risulta ampiamente diffuso dal parere di molti dottori
della Chiesa”.[14]
A questo punto occorre fare alcune
considerazioni sugli enunciati sia di Dionigi il Piccolo sia di Beda il
Venerabile. Nella letteratura critica di solito si asserisce che Dionigi ha
sbagliato i calcoli in quanto non ha tenuto conto di quanto scrive matteo nel suo Vangelo, che Gesù è nato
prima della morte di Erode. A parer nostro il problema non sta in questi
termini, perché, come si vedrà più avanti, Dionigi non ha fatto altro che
recepire una tradizione già esistente.
Il
lavoro di Dionigi è stato, in ogni caso, senz’altro meritorio: aver uniformato
il calendario, rapportandolo all’anno di nascita di Gesù Cristo, è stato
senz’altro un fatto innovativo, indipendentemente dal fatto che la data
d’inizio dell’era cristiana fosse vera o sbagliata. Del resto Dionigi non fece altro
che uniformarsi a quanto una tradizione a lui precedente aveva costantemente
affermato, cioè quella della Chiesa alessandrina che fissava l’anno della
nascita di Gesù all’anno 1 a. C. (anno 0). Tuttavia nei suoi calcoli e in
alcuni ragionamenti ci sono degli errori da non sottovalutare. Comunemente si
ritiene che Dionigi si sia sbagliato, in quanto non tenne in alcuna
considerazione quanto afferma il Vangelo di Matteo in relazione al fatto che
Gesù nacque prima della morte di Erode. Probabilmente allora questo problema
non esisteva. In ogni caso Dionigi il Piccolo sembra essere stato più un
compilatore che un ricercatore. Perciò era molto legato alla tradizione
ricevuta. Ciò si evince dal fatto che i suoi computi altro non furono che
un’estensione di quelli di San Cirillo,
il quale a sua volta tramandava una tradizione della Chiesa alessandrina.
Invece gli sbagli di Dionigi sono di tutt’altro tipo.
Il primo errore è il modo di fissazione del
plenilunio del primo mese, secondo l’uso ebraico (Nisan – marzo/aprile).
E’ noto che per convenzione i mesi lunari sono alternativamente di 30 e di 29
giorni, e il primo mese è di 30 giorni. Perciò il plenilunio va calcolato al 15
del mese (luna XV) e non al 14. E’ vero che Dionigi cita Es 12, 2 s., però,
quando si cita la Sacra Scrittura non bisogna tralasciare i particolari, anche
se sembrano minimi. Si parla è vero del “quattordici di questo mese”, ma
dell’immolazione dell’agnello si fa riferimento al tramonto di quel giorno e
l’obbligo di mangiare gli azzimi comincia di notte. Ma secondo l’uso ebraico si
è già al 15 Nisan, quindi il 14 è giorno di vigilia.
Il secondo errore è di considerare immutabili
le fasi lunari di diciannove anni per tutti i secoli. Ogni 19 anni il ciclo
lunare comincia con 1h 29m 1s
di anticipo rispetto al ciclo di 19 anni giuliani. Perciò dopo 310 anni (in
cifra tonda 300 anni) le fasi lunari hanno un giorno di anticipo.[15]
Probabilmente Dionigi mantenne fisse le fasi lunari per lo stesso motivo che
non fece variare l’equinozio di primavera, mantenendolo costante al 21 marzo.
Questo errore peraltro ci è utile per considerare le fasi lunari avvenute 532
anni prima: infatti, se le “tavole
pasquali” vanno dal 513 al 626, si possono considerare valide anche per gli
anni che vanno dal – 19 al 94 d. C.
Il terzo errore, che è anche il più grave è
quello di aver scritto che Gesù Cristo “fu crocifisso venerdì, luna XV” e
risorse dai morti un giorno di domenica, quando la luna era XVII. L’errore qui
è triplice: la luna XV, ovvero il 15 Nisan, secondo l’uso ebraico, non
può mai cadere di venerdì; il giorno 15 Nisan è il giorno della
celebrazione della Pasqua ebraica e quindi sono vietate esecuzioni capitali
(cfr. At 12, 1 – 4); per trovare una domenica di Pasqua, all’epoca di Gesù, che
possa cadere in un giorno di luna XVII, bisogna prendere in considerazione gli
anni 22, 26 e 36 d. C., che con ogni evidenza o sono troppo anticipati o troppo
posticipati al campo di osservazione. Su quest’ultimo errore vale la pena di
riflettere ancora un po’: come poteva Dionigi il Piccolo considerare valida
quella datazione, quando aveva dinnanzi a sé le “tavole pasquali”? Doveva ben sapere che esse erano valide e
congrue per qualsiasi anno della serie, al quale fosse sottratto 532, e non
soltanto per l’anno del primo ciclo lunare. Sull’analisi di questo errore ci si
soffermerà più a lungo dopo i raffronti con le affermazioni di Beda il
Venerabile.
Su quanto ha scritto in proposito Beda, ci
sono da fare due osservazioni.
La prima si riferisce al calcolo della Pasqua
dell’anno 1, per poi effettuare il confronto con l’anno 566 (rapportato
all’anno 34). Effettivamente è vero
quanto scrive a proposito dell’anno 1, ma errato il confronto con l’anno 34,
come si vedrà più avanti. Tale paragone è puramente gratuito e non trova nessun
sostegno in teorie precedenti. In effetti, qui si tratta di un notevole
svarione. S. Agostino e S. ambrogio
avevano in realtà affermato che il giorno dell’Incarnazione del Verbo era lo
stesso della sua crocifissione, cioè il 25 marzo. Ma l’Incarnazione, secondo la
Chiesa alessandrina, era avvenuta
nell’anno 1 a. C. (anno 0) e non nell’anno 1. Inoltre è errato asserire che i
cicli lunari e solari siano gli stessi anche dopo 34 anni.
La seconda osservazione da fare è sulla
Pasqua dell’anno 566. Si è già affermato che, secondo Beda, Gesù fu crocifisso
a 34 anni. Quindi con le “tavole
pasquali” di Dionigi e con il criterio da lui stabilito della differenza di 532
anni, si arriva all’anno 566. ma
in quell’anno la luna XIV cade il 21 marzo; inoltre il giorno di giovedì è il
25 marzo e non il 24; infine la domenica di Pasqua cade il 28 marzo e non il
27, con luna XXI e non con luna XVII.
Si è dunque visto che né Dionigi il Piccolo,
né Beda il Venerabile sono riusciti a determinare esattamente la data storica
della passione, morte e resurrezione di Gesù cristo.
C’è da chiedersi ora come mai siano incorsi in errori del genere. Innanzi tutto
doveva essere chiaro, all’uno e all’altro, che le date storiche stabilite
relativamente alla passione di Gesù Cristo non erano congruenti con le “tavole pasquali”. Né si può asserire
che avessero creduto che ai tempi di Gesù le date fossero state calcolate
diversamente. Ciò sarebbe stato contraddittorio col principio fermamente
stabilito che ogni 532 anni si ripetono le fasi lunari e quelle solari. E’ da
ritenere che ci fossero fondamentalmente due cause che avevano provocato tali
errori. La prima era disciplinare, la seconda esegetica e in ogni modo legata
alla prima. Qui ci si soffermerà soltanto alla questione disciplinare, in quanto
quella esegetica è trattata in altra parte del nostro lavoro.[16]
Il concilio di Nicea (325), come già si è
fatto osservare, aveva stabilito il modo di computare la Pasqua. Ciò era stato
ribadito nel sinodo di Antiochia (341), e in più era stato aggiunto che, agli
inosservanti e a chiunque avesse osato mettere in discussione quei canoni,
sarebbe stata comminata la scomunica e l’espulsione dalla Chiesa. Dionigi,
nella relazione al vescovo Petronio, riporta dettagliatamente, quanto era stato
deliberato ad Antiochia. Quindi, se qualcuno aveva dei dubbi, non c’era scelta:
doveva piegarsi a quanto autoritariamente stabilito, a costo di contraddirsi e
di sbagliare. si può arguire da
alcuni segnali lasciati da Beda il Venerabile, che entrambi i monaci si fossero
sbagliati per obbligo disciplinare, ma che avessero intravisto la strada giusta
per trovare la soluzione del problema. In ogni caso Beda non trasse delle
conclusioni, per i motivi indicati. A proposito di ciò è interessante leggere
come si chiude il citato capitolo 47:
“Tuttavia Teofilo di Cesarea, dottore antico,
cioè vicino ai tempi apostolici, in una lettera del Sinodo, che scrisse assieme
agli altri vescovi della Palestina contro chi celebrava la pasqua assieme ai Giudei, alla luna
XIV, così dice: «E non è empio che la passione del Signore, mistero di così
grande sacramento, sia escluso oltre un limite. Poiché il Signore patì il 22
marzo, nella cui notte fu consegnato per causa dei Giudei e risorse il 25
marzo. In che modo si escludono tre giorni oltre il termine?»”[17]
Qui Beda introduce la frase che descrive la
tradizione di Teofilo, con un quamvis e indicando subito che il vescovo
nominato era un dottore antico, vicino ai tempi apostolici. L’avviso di Beda in
questo contesto è chiaro: egli accetta quanto detto sopra, perché lo deve
accettare, però fa notare che una tradizione antichissima è di diverso avviso.
Sullo stesso argomento si era ancora soffermato nel cap. 66 dove scrisse:
“Teofilo, disputando con moltissimi altri
vescovi, non solo della palestina,
sulla questione della Pasqua, scrisse che il Signore fu crocifisso il 23
marzo”. [18]
ancora Beda scrive in chiusura del
capitolo 47:
“Tuttavia i Galli celebravano sempre la Pasqua il 25 marzo,
qualunque fosse il giorno della settimana, poiché la tradizione aveva loro
trasmesso che Cristo fosse risorto quel giorno”.[19]
Non si può però sottacere che le ultime
parole del capitolo dicono che
“Gesù, che già stava iniziando a compiere i
trenta anni (Jesum, incipientem jam fieri quasi xxx annorum)”.[20]
Questa è una citazione di Lc 3,23. Però nel
testo del Vangelo il verbo fieri non c’è: Iesus, erat incipiens quasi
annorum triginta. La differenza di significato è evidente. La citazione
esatta significa che Gesù stava quasi per iniziare trent’anni, o in altre parole,
stava quasi per compiere ventinove anni. La citazione di Beda invece lo fa più
vecchio di un anno, cioè stava quasi per compiere trent’anni. In effetti,
questo è il significato che Beda dà del brano del Vangelo di Luca. Il motivo
dell’inesatta citazione può essere duplice. O Beda citava a memoria, senza il
testo davanti agli occhi, oppure inserì ad arte il verbo fieri.
La soluzione del dilemma può venire dal
capitolo 49 della sua opera, che il monaco inglese dedica al modo di trovare
l’indizione:
“Aggiungi sempre tre, perché secondo Dionigi
il Signore è nato nella quarta indizione…e dividi per 15. Il resto è l’anno
dell’indizione. Se il resto è zero, l’indizione è la XV”.[21]
Per trovare l’anno dell’indizione bisogna
dunque sommare sempre tre all’anno corrente e poi proseguire con le altre
operazioni. E’ singolare che qui Beda scriva che “secondo Dionigi il Signore è
nato nella quarta indizione”, quasi volesse prendere le distanze dal dotto
monaco vissuto due secoli prima di lui. In effetti, le cose potrebbero stare
proprio così. Non poteva sfuggire a Beda che, se secondo Dionigi, Gesù era nato
nella quarta indizione, la prima era avvenuta nell’anno – 2 (3 a. C.).
Infatti se x è l’anno della I indizione, allora vale l’equazione
x + 3
= 1
x = 1 – 3
x = -
2
Quindi l’anno della I indizione è l’anno –2. Ma la prima indizione
corrisponde allora a quanto scrive Luca: “In quei giorni un decreto di Cesare
Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra” (Lc 2, 1).
Infatti, l’edictum di Augusto prescrivendo il censimento, dava proprio
inizio alle indizioni. Anche senza conoscere la somma algebrica o i numeri
negativi, Beda allora poteva fare rapidamente i calcoli: se Gesù è nato il 25
dicembre dell’anno – 2, allora il 25 dicembre dell’anno 27 ne compiva 29. Se
poi, come aveva affermato Beda Gesù predicò tre anni e mezzo, ne compiva 32 al
25 dicembre dell’anno 30. Gli altri sei mesi si potevano dividere in due parti:
tre prima del compimento del 29° anno e altri tre mesi dopo il compimento del
32° anno. Così Beda poteva arrivare al 25 marzo dell’anno 31, che, secondo le “tavole pasquali” di Dionigi,
corrisponde esattamente alla pasqua
cristiana dell’anno 563. Questa era l’unica data coerente che Beda poteva
trovare. Infatti, 563 – 532 = 31; inoltre 563 – 33 = 530 e 530 – 532 = - 2.
Tuttavia non poteva pubblicare una notizia del genere, perché avrebbe dato
ragione ai Quartodecimani e torto al Concilio di Nicea. Infatti, il 25
marzo dell’anno 31 è il 15 Nisan e il sabato precedente il 14 dello
stesso mese. Affermare che Gesù Cristo è risorto lo stesso giorno della pasqua ebraica, significava vanificare
e impugnare il deliberato del Concilio citato.
E’ possibile ritenere che Beda il Venerabile
abbia occultato ad arte la sua scoperta, lasciandone soltanto alcune tracce? Si
ritiene di dare una risposta positiva. Ad esempio, nella storia della
letteratura si ricorda in modo particolare il caso di Torquato Tasso, il quale
nel 1593, per scrupoli religiosi e su pressione del revisore Silvio Antoniano,
fece una revisione della Gerusalemme Liberata e scrisse La
Gerusalemme conquistata. Non si può del tutto escludere che ci siano stati
dei casi precedenti analoghi a questo. In ogni caso è certa una cosa: rimettere
in discussione il Concilio di Nicea e il sinodo di Antiochia avrebbe comportato
la scomunica. A proposito di ciò illuminanti sono le parole di Petavio (Denys
Petau S. I., 1583 – 1652), a commento di alcune osservazioni di Dionigi il
Piccolo su alcuni dubbi dei Padri del Concilio di Nicea:
“Perciò non bisogna riprenderli, in quanto, per privata autorità,
farebbero vacillare l’osservanza civile
ed ecclesiastica”.[22]
Era impensabile all’epoca che ci si potesse
discostare dalla Tradizione fissata. Si può osservare però, che già nel XVI –
XVII secolo si avvertiva che alcune norme ecclesiastiche fossero del tutto
inadeguate, in quanto non erano di stretta competenza della Chiesa. Infatti, il
calcolo delle fasi lunari e solari, dovevano essere trattate dalla scienza.
Nell’antichità tuttavia non ci si ponevano problemi del genere e tutto era
accettato per obbedienza e nulla poteva essere discusso.
le “tavole
pasquali”di Dionigi il Piccolo
E’ necessario a questo punto analizzare le “tavole pasquali” ed effettuare un
confronto con i calendari che abbiamo calcolato in modo indipendente. Avevamo
affermato più sopra che Dionigi compilò le “tavole
pasquali” per un periodo di 95 anni (19 x 5), dal 532 al 626, alle quali
premise quelle dell’ultimo ciclo lunare degli anni di Diocleziano, dal 229 (=
513 ) al 247 (= 531). In buona sostanza, secondo il criterio fissato da
Dionigi, le sue tavole sono valide anche per il periodo di anni che va dal –19
al 94.
Fra le tavole del nostro studio abbiamo
allegato la traduzione in italiano di dette “tavole
pasquali”, limitatamente agli anni dal –19 al 35, integrandole con altri dati.
Per un migliore controllo abbiamo ampliato questa parte del lavoro di Dionigi.
Le tabelle allegate sono divise in due parti. Nella prima parte, dopo le due
colonne che si riferiscono agli anni giuliani corrispondenti, vengono riportate
tre colonne che corrispondono alle ultime tre delle tavole di Dionigi. Nella
seconda parte è esposto il calendario ebraico con gli stessi anni giuliani di
riferimento, però sono evidenziate in modo particolare le date del 15 Nisan
e del 1° Tishri con gli anni ebraici corrispondenti. Inoltre accanto ad
ogni data sono riportati i giorni della settimana.[23]
La compilazione e traduzione è stata limitata
all’anno 35, tralasciando gli anni successivi, che esulano dalla nostra
ricerca. L’esame e il raffronto coi nostri calendari è stato ancora più
ristretto e quindi limitato all’arco di anni che va dal –3 al 33.
In prima analisi è stato osservata una
sostanziale coincidenza tra il nostro lavoro e quello di Dionigi. Importante è
ancora osservare che è stata effettuata la stessa intercalazione degli anni
embolismici. L’unica differenza è che Dionigi non ha tenuto in considerazione
il fatto che il 15 Nisan, secondo il calendario ebraico, può cadere
soltanto nei giorni di domenica, martedì, giovedì e sabato. Di conseguenza il
14 Nisan (luna XIV) poteva ricorrere soltanto nei giorni di sabato,
lunedì, mercoledì e venerdì. Egli si è infatti limitato a considerare soltanto
il plenilunio astronomico ed era quanto gli bastava per calcolare con esattezza
la Pasqua cristiana. Un’altra cosa che Dionigi ha trascurato è il fatto che la
fissazione del 15 Nisan dipende strettamente dal 1° Tishri
dell’anno ebraico corrente e dalla stessa data d’inizio dell’anno ebraico
successivo. Tenuto conto che il 1° Tishri può cadere soltanto nei giorni
di lunedì, martedì, giovedì e sabato, le ricorrenza festiva in parola può
essere spostata anche di due giorni in avanti rispetto al novilunio
astronomico. Di conseguenza anche Pesah può variare rispetto al
plenilunio rispettivo.[24]
La seconda parte della tavola, che si
riferisce al calendario ebraico, non ha tali anomalie, ma soltanto si
differenzia per l’intercalazione degli anni embolismici. Ciò avviene quando si
legge nella tavola che il 1° Tishri ricorre il 29 o il 30 o il 31 agosto.
Di conseguenza il 15 Nisan ricorreva a partire dal 19 marzo. Ciò era
ammissibile nel periodo di Dionigi, in quanto l’equinozio astronomico di
primavera oscillava tra il 18 e il 19 marzo. Ciò non era possibile invece nel I
secolo in quanto l’equinozio ricorreva quasi sempre il 22 marzo. E’ opportuno
osservare qui che il Concilio di Nicea (325) era incorso in un errore di
calcolo. Già dalla metà del II secolo, infatti, l’equinozio di primavera
cominciava a oscillare tra il 21 e il 22 di marzo. Rimase quasi sempre costante
il 21 dal 180 al 227 e successivamente si spostò lentamente al 20, tanto che
dall’inizio del IV secolo fino al 323 soltanto 6 volte ci fu l’equinozio al 21
marzo. Successivamente rimase costante al 20 marzo, ma già nel 356 cominciò a spostarsi
al 19.[25]
La fissazione dell’equinozio al 21 marzo era dunque valida già un secolo prima
del Concilio.
Nel nostro studio abbiamo ritenuto che, ai
tempi di Gesù, in Israele si usasse un calendario sufficientemente esatto, per
la fissazione delle ricorrenze religiose. In proposito abbiamo visto con
chiarezza come Giovanni ricordasse con precisione le date dei fatti, dei
miracoli e degli insegnamenti di Gesù, rapportati con precisione a delle
ricorrenze religiose. Qui invece riteniamo opportuno osservare come il
calendario fosse necessario anche per la vita sociale ed economica. Illuminante
in tal senso e un brano della parabola dei talenti, e precisamente il
rimprovero che il padrone fa al servo negligente: “Il padrone gli rispose:
Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo
dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così,
ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse” (Mt 25, 26 –27).
Secondo il principio che ciò che è ovvio non
occorre spiegarlo, dalla parabola dei talenti si evince che il mondo degli
affari, all’epoca di Gesù, aveva raggiunto un buon grado di sviluppo. Si può
notare che c’erano coloro che facevano investimenti in grande stile, altri
affari di media portata e infine c’erano quelli che, non avendo attitudini
imprenditoriali, si limitavano a versare il proprio denaro ai banchieri per poi
ritirare, a loro piacimento, il capitale versato con gli interessi maturati. Il
fatto che Gesù faccia dire al padrone un così grave rimprovero, significa che
era cosa normale e abituale l’uso del risparmio con il diritto a riscuotere
l’interesse. Per fare ciò con giustizia era necessario tuttavia che esistesse
un calendario ufficiale di riferimento, per il calcolo degli interessi
maturati, in modo che il banchiere non potesse frodare il risparmiatore.
Per uniformare il computo delle date al
calendario ebraico era dunque necessario evidenziare le discordanze tra le
tavole di Dionigi con lo stesso calendario, facendo rilevare in modo
particolare come i suoi calcoli avessero portato a un’errata fissazione del 15 Nisan.
Tali discordanze sono state evidenziate in apposita tabella, particolarmente
per gli anni in cui Dionigi non ha tenuto conto del calendario ebraico.
A tale tabella sono state apportate le opportune
rettifiche in modo che esista piena conformità tra ogni ricorrenza e i giorni
permessi per la celebrazione della festa di Pesah. Nella tabella
denominata “Correzioni parziali” sono state apportate le opportune variazioni,
anno per anno, al 14 e 15 Nisan.
Infine è stata compilata una nuova tavola,
denominata “Tavole corrette”. Le date errate sono state sostituite da quelle
corrette e riportate in corsivo. Dal momento che esiste una differenza costante
e precisa di 163 giorni tra il 15 Nisan e il 1° Tishri si è
ritenuto opportuno uniformare anche la seconda parte della tavola, che si
riferisce al calendario ebraico. Le rettifiche sono riportate in corsivo. Le
tavole corrette tuttavia si estendono dall’anno – 3 al 33, che è il campo
d’osservazione del nostro studio.
Dopo aver effettuato le opportune correzioni
abbiamo rilevato l’esatta coincidenza tra i nostri calcoli e le tavole di
Dionigi rettificate. Si può quindi affermare che se Dionigi avesse tenuto conto
delle norme del calendario ebraico, si avrebbe avuto la possibilità di
conoscere esattamente il calendario dei tempi di Gesù Cristo già da 1500 anni
circa.
A questo punto si ritiene opportuno far rilevare
un particolare: le “tavole
pasquali” di Dionigi cominciano con l’anno 513, che fatta la debita
sottrazione, corrisponde all’anno –19. A questo punto vale la pena di
riprendere alcune conclusioni fatte al cap. 1 del nostro studio.[26]
Si asseriva che la festa della Natività
di Maria fissata all’8 settembre e quella dell’Immacolata Concezione all’8
dicembre, pur essendosi affermate in un periodo abbastanza tardivo, avevano un
significato proprio soltanto se erano retaggio di un’antica tradizione
ricordata e tramandata dall’Ecclesia ex
circumcisione. Si diceva ancora
che l’8 dicembre e l’8 settembre potevano avere un riferimento facilmente
memorizzabile dagli ebreo-cristiani in quanto tali ricorrenze potevano aver
coinciso con il periodo di Hanukkah e rispettivamente con quello di Rosh ha-Shanah. Si concludeva infine affermando che se invece di
Dionigi, fosse stato un ebreo-cristiano a fissare l’anno iniziale della
redenzione l’avrebbe fatto iniziare dalla nascita di Maria. In effetti Dionigi
il Piccolo non poteva ancora sapere nulla di tali festività in quanto
cominciarono a celebrarsi in periodi posteriori al suo.
Eppure, esaminando attentamente la problematica,
non si può escludere a priori che Dionigi avesse avuto un’intuizione, che forse
non era in grado di dimostrare, ma della quale ha lasciato un traccia da
seguire. Se Dionigi voleva semplicemente far decorrere il computo del tempo
dall’anno di nascita di Gesù Cristo, che interesse aveva di premettere i 19
anni che precedono tale nascita? Proviamo ora a seguire questa traccia e vedere
se è possibile riscontrare qualche elemento significativo.
Se si fanno gli opportuni calcoli,[27]
si può rilevare che il 1° Tishri relativo all’anno giuliano –19, cade
martedì 17 settembre. Di conseguenza l’8 dicembre è equivalente al 24 Kislew,
vigilia di Hanukkah, quando si accende il lume centrale e il
primo lume della Menorat Hanukkah, iniziando così le celebrazioni della
Dedicazione e Purificazione del Tempio. Inoltre si può osservare che l’8
settembre dell’anno –18, corrisponde al 3 Tishri, il giorno del
digiuno di Godolia (Ghedaliahu).
Si può allora comprendere perché rimasero
impresse nella memoria degli ebreo-cristiani le date dell’8 dicembre e dell’8
settembre. La Dedicazione e
Purificazione del Tempio avevano un significato tipologico, in quanto
prefiguravano l’Immacolata Concezione di Maria. Come il Tempio veniva
nuovamente dedicato al Signore e purificato dalle profanazioni dei pagani, così
il fatto che Maria fosse stata concepita senza peccato originale significava
l’inizio della redenzione dell’umanità dal peccato. E’ noto che le verità di
fede sono tali, in quanto i cristiani sin dalle origini hanno sempre creduto
che essere fossero rivelate da Dio, anche se hanno avuto una lenta maturazione
teologica all’interno della Chiesa. Perciò i cristiani hanno sempre creduto che
Maria fosse stata concepita senza peccato, anche se il dogma dell’Immacolata
Concezione è stato proclamato soltanto nel 1854 come verità di fede. Non si può
escludere peraltro, che tale verità sia emersa ufficialmente nella Chiesa dopo
diciotto secoli, proprio per il distacco dalla matrice ebraico-cristiana delle
origini.
La stessa analogia si può fare per l’8
settembre. Il fatto che Maria sia nata
in coincidenza del 3 Tishri corrispondente all’anno
–18, il giorno del digiuno di Godolia (Ghedaliahu) aveva un significato
tipologico ancora più marcato di quello precedente. Gli ebreo-cristiani di
allora, non potevano non vedere, nella Natività di maria, realizzarsi la promessa annunciata dal Signore al
profeta Zaccaria: “Mi fu ancora rivolta questa parola del Signore
degli eserciti: «Così dice il Signore degli eserciti: Il digiuno del quarto,
quinto, settimo e decimo mese si cambierà per la casa di Giuda in gioia, in
giubilo e in giorni di festa, purché amiate la verità e la pace»” (Zc 8,
18-19). Il digiuno del settimo mese a cui fa riferimento il profeta è proprio
quello del 3 Tishri. Gli
ebreo-cristiani hanno visto trasformarsi questo giorno di digiuno in giorno di
gioia, per la nascita di Maria, madre di Gesù.
In chiusura di quest’analisi si può dire che
se si intende veramente unificare la celebrazione delle festività pasquali,
bisogna innanzi tutto ripensare i fatti come si sono svolti storicamente,
quando cioè è avvenuta la resurrezione di Gesù Cristo. Non si può tuttavia
sottacere che si pone un’alternativa: o si celebra l’evento nella data in cui è
realmente avvenuto, come facevano i Galli, o si sceglie di lasciare tutto
immutato, tranne che uniformare i calendari in tutte le Chiese. Una cosa
certamente si dovrà fare e cioè togliere dalla disciplina della Pasqua tutte quelle
norme antigiudaiche, alle quali si sono ispirati sia il Concilio di Nicea, sia
il sinodo di Antiochia, che sanciva, a pena di scomunica, il divieto di
celebrare la Pasqua con gli Ebrei (cum Judaeis Pascha celebrare). Ciò è
fattibile perché si tratta di una questione che non riguarda il dogma, ma
soltanto la consuetudine. Bisogna fare ciò, per non ricadere un’altra volta
nella stessa contraddizione avvenuta quest’anno, ossia di celebrare la Pasqua
esattamente una settimana dopo quella ebraica, che, com’è stato dimostrato, è
storicamente inattendibile.
DARIO BAZEC
[1] Nota: Il
riferimento è relativo alla festività della Pasqua del 15 aprile 2001.
[2] Pio XI, Quod nuper,
Indizione dell’anno santo straordinario e giubileo nel XIX centenario della
redenzione, 6 gennaio 1933, in Bollario dell’anno santo – Documenti di
indizione dal giubileo del 1300, Edizione bilingue, Edizioni Dehoniane,
Bologna, 1998, pag. 1111.
[3] Giovanni Paolo II, Aperite
portas Redemptori, Indizione del giubileo universale nel 1950° anniversario
della redenzione, 6 gennaio 1983, in Bollario cit., pag. 1469.
[4] Cfr. La cronologia
nel Vangelo secondo Giovanni.
[5] Dionysii Esigui, Incipit
Liber Dionysii Esigui, in Patrologiae
Latinae, Tomus 67, Turnholt (Belgio), Tipografi Brepols Editori Pontifici, Col. 485,
Traduzione del brano in lingua italiana a cura di Dario Bazec.
[6] Ibid., col. 487, traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[7] Ibid., traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[8] Ibid., traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[9] Cfr. Ibid., Cyclus
decemnovennalis Dionysii, coll. 493-498.
[10] Ibid., Proterii,
Episcopi Alexandrini, epistola ad Leonem Papam, col. 509, traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[11] Cfr. Venerabilis
Bedae, De temporum ratione, Caput XLVII, De annis dominicae Incarnationis,
in Patrologiae Latinae, Tomus 90, Turnholt (Belgio), Tipografi Brepols
Editori Pontifici, coll. 491-496.
[12] Ibid., Col. 493, traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[13] Ibid., Col. 494, traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[14] Ibid., Col. 495, traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[15] Cfr. G. Armellini, I
fondamenti scientifici dell’astronomia, Editore Ulrico Hoepli,
Milano 1947, pag. 77.
[16] Cfr. supra, La
cronologia nel Vangelo secondo Giovanni.
[17] Venerabilis Bedae, op. cit., col. 495, traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[18] Ibidem, col. 522,
traduzione del brano a cura di Dario
Bazec.
[19] Ibidem, col. 495,
traduzione del brano a cura di Dario
Bazec.
[20] Ibidem, col 496, traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[21] Ibidem, Traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[22] Cfr. Dionysii Esigui,
Incipit Liber Dionysii Esigui cit., col. 491, nota d, Traduzione del brano a cura di Dario Bazec.
[23] Cfr. Adriano Cappelli, Cronologia,
Cronografia e Calendario perpetuo, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1998,
Settima edizione riveduta, corretta e ampliata a cura di Marino Vigano, con
“allegato al manuale, per la prima volta un dischetto con un programma per
confrontare le date da un calendario all’altro”, Marino Vigano, Prefazione
all’edizione critica aggiornata, § 5.
[24] Cfr. supra,
Metrologia e cronologia. Il calendario ebraico.
[25] Cfr. Jean Meeus, op.
cit., Equinoxes and Solstices 1-3000, tavv. da 3-3 a 3-10.
[26] Cfr. supra, Cap. 1,
Breve analisi di alcuni studi importanti fatti sull’argomento.
[27] Cfr. Jean Meeus, op. cit., Phases of the moon, tavv. da
4-28 a 4-36.