IL FASCISMO

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L'Italia alla fine della prima guerra mondiale

 

Premesse storiche

L’Italia era entrata in guerra con due obiettivi fondamentali:
·        Il completamento del processo d’unificazione nazionale con la conquista di Trento di Trieste;

·        L’affermazione del primato italiano nell’Adriatico.

Fu pienamente raggiunto soltanto il primo obiettivo; il secondo fu in parte mancato.

I nazionalisti parlarono perciò di <<vittoria mutilata>>, riprendendo il tema che aveva posto Gabriele D’Annunzio.

Mussolini chiedeva il pieno soddisfacimento di tutte le rivendicazioni territoriali italiane; egli riteneva, inoltre, che la <<trincerocrazia>>, cioè la nuova élite che si era formata nelle trincee, avrebbe potuto sostituire il vecchio ceto politico liberale, che giudicava inadeguato ai nuovi compiti posti dall’ingresso delle masse nella storia.

In più, mentre una parte dell’opinione pubblica era insoddisfatta e delusa per i risultati ottenuti, un’altra parte continuava a giudicare negativamente l’intervento, nonostante la vittoria. La polemica tra interventisti e neutralisti non si placò, infatti:

·        I socialisti (neutralisti) attribuivano ai nazionalisti la colpa di avere trascinato l’Italia in una guerra che non era stata voluta e sentita né dalla maggioranza del parlamento né dalla maggioranza della popolazione;

·        I nazionalisti (interventisti), a loro volta, ritenevano i socialisti responsabili di aver provocato Caporetto con un atteggiamento <<disfattista>>.

La delegazione italiana alla conferenza per la pace di Parigi guidata da Orlando e Sonnino, che aveva il compito di far valere le rivendicazioni dell’Italia, non mostro grandi capacità diplomatiche, infatti, le decisioni finali non furono favorevoli all’Italia ma andarono a vantaggio soprattutto della Gran Bretagna e della Francia. L’insoddisfazione del parlamento per il modo in cui Orlando aveva condotto le trattative di Parigi portò alle dimissioni del suo ministero e alla nascita di un governo guidato da Nitti nel 1919.

 

 

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