Significato dell'escursionismo

                                                                 

Da qualche tempo, giustamente, si conferisce particolare attenzione ed importanza all'escursionismo. Attività che prima era stata forse un po' trascurata. A torto. Ma questo ora non deve indurre a pretendere per essa un livello superiore ai suoi limiti. Né si potrebbe compiere più grande errore che contrapporla all'alpinismo. Perché proprio in questo l' escursionismo "trova non solo la sua collocazione logica, ma specialmente quello che conta di più la reale essenza che gli conferisce validità etica. Ma procediamo con ordine, e cerchiamo di chiarire le caratteristiche di questa attività. Anche nell' ambito del CAI che la gestisce. Possiamo innanzitutto osservare che esistono due generi di escursionismo. Il primo prescinde totalmente dalla meta finale. Che può quindi essere rappresentata anche da un laghetto, un corso d'acqua, una forcella, un rifugio. E da altri elementi naturali o artificiali. Può consistere anche in una traversata, possibilmente in quota.
Il secondo escursionismo invece è quello che si pone per fine irrinunciabile il raggiungimento di una vetta. Ed in ciò appunto collima con l'alpinismo, tanto da integrarsi in esso. Ma prima di dedicarci a questo secondo genere, certo il più essenziale, vediamo di esaminare più a fondo il primo e a rilevarne le peculiarità essenziali che lo distinguono. L'escursionismo che non ha per meta la cima, presenta in genere aspetti che rientrano poi naturalmente anche nell' altro. Queste particolarità comuni culminano nell' assoluta mancanza dell' elemento sportivo almeno secondo il significato che diamo oggi al termine. Perché nella scalata di cui anche la 
competizione risulta componente, c'è chi ha cercato e purtroppo chi tuttora cerca di parlare di sport "tout court". Inoltre l'escursionismo non è certo prassi effettuata a scopo di lucro e manca pure almeno in senso lato dell' elemento ambizione e ricerca di gloria, che pure troviamo nei fattori inerenti all'alpinismo in misura certo molto ridotta, perché i grandissimi scalatori godono di una fama indubbiamente minore di quella d'un calciatore di serie C. Ma quest'assenza di agonismo e di ambizione contribuisce invece ad innalzare l'escursionismo ad un livello etico superiore, tale da farne un'attività di guadagno, tipiche dell' odierna forma di vita. Cosa dunque può spingere l'uomo a praticare questa inconsueta attività? Innanzi tutto, motivi ideali anche se perlopiù inconfessati come tali.  E lo sviluppo stesso di questa nostra civiltà, sempre più invadente oppressiva, che ha dato luogo, per contrasto, a movimenti artistici e filosofici tendenti ad evocare la liberazione da un ambiente dedito soltanto alla materia, rivalutando il fattore troppo spesso rinnegato, ma non per questo meno effettivo di questo mondo: la natura. E il ritorno alla natura costituisce l'essenza caratteristica di movimenti quali il romanticismo, dal "bon sauvage" di Rousseau al ritorno al cosmo genuino dei monti di Buchner. Questo bisogno, sentito non solo spiritualmente, ma anche fisicamente, trova la sua pura, al di sopra delle esigenze di benessere e realizzazione nell' anteporre il camminare al mezzo meccanico, il creato genuino alle costruzioni artefatte, la solitudine alla folla. Consiste dunque nel privilegiare l'evasione dalla quotidianità,dall'automatismo robotiano degli slogan propagandistici. 
Evasione non solo mentale ma effettiva, in cui viene coinvolta la totalità dell'essere umano nell' attuazione di una prassi voluta, e liberamente scelta,in opposizione alle dosi sempre più massicce dell' oppio televisivo, o all'amalgama esaltato che fa corona ai cosiddetti spettacoli sportivi. Questo l'aspetto etico. Ma cosa lo sostiene, lo rende attraente, lo impone? Proprio il ritorno effettivo al mondo naturale, nel quale l'uomo è stato creato. Per cui la gita, l'escursione equivale appunto ad un ritorno all'ambiente con stessa sostituzione dell'uomo. E gli permette di affermare la sua esistenza più elevata: la spiritualità. 
Questa azione in montagna, proprio perché lo ripeto ancora, pure fisica, gli regalerà una sensazione accentuata di benessere fisico e morale. Fisico per l'ambiente puro, l'atmosfera non inquinata, lo sforzo prolungato, ma non violento. Morale per il fatto stesso, come già detto, di compiere azione fine a se stessa, estranea ad ogni ricerca di fruizione utilitaristica. 
Quanto detto di positivo e di effettivo per il primo tipo di escursionismo, è pure conglobato integralmente nel secondo. Che inoltre si distingue per il fine dichiarato e irrinunciabile sono alla del raggiungimento di una vetta. Meta così importante ed essenziale da coronare tutti i fattori idealistici di questa prassi. In questo senso la ricerca della vetta rappresenta una conclusione insieme logica ed ideale:"Ponte Alato" sospeso tra superficie e cielo, che simbolicamente i grandi saggi dei miti avevano attinto nella loro questa meditativa di elevazione. 
Ora, nel clima odierno di appiattimento, facile la critica, persino la derisione. Come attribuire una volontà di altezza metafisica al comune gitante per cui la cima rappresenta il termine dello sforzo e della fatica, da festeggiare tutt' al più con qualche sorso di bevanda portata appresso nella borraccia? Al massimo gli possiamo concedere il piacere visuale di un bel panorama e la soddisfazione di uno scopo progettato e portato a buon fine. Ma già così esprimiamo elementi,chiari segni di una diversa dimensione toccata e conglobata dall' alpinista o dall'escursionista, che arriva così all'acme del suo atto:quello che comunemente viene definito "sentimento della vetta". Questo infatti va ben oltre la semplice soddisfazione di una prassi portata a termine o della vista di un panorama suggestivo. Si tratta infatti di un' emozione ben più forte,più profonda, difficilmente definibile o spiegabile, Che inoltre cito ancora una volta Dante -".. .intender non la può chi non la prova."- Tanto intensa e pregnante da parere assurda, se giudicata col parametro della normalità pianificata. Che invece, proprio per questa illogicità apparente, permette all'uomo di toccare un'altra grandezza, già virtuale, ma oggi latente in lui. Che spiega pure le forme più belle ed elevate del nostro pensiero. L'arte, la fede, validità del simbolo. Cosa altro significa nella religione -per esempio –il segno della croce? Virtualità del simbolo. Come spieghi l'intuizione dell'infinito? L'esistenza di miliardi di stelle, se non ammettendo appunto una dimensione che va oltre i limiti ristretti del ragionamento? E come puoi accostarti a quella che rappresenta la logica espressione di queste realtà 
superiori, cioè la natura? Cosa ti indicano i monti, le guglie, con il loro slancio verticale, se non la questua di elevazione che malgrado tutto specifica l'essere umano, e mai potrà essere soppressa dagli idoli del lucro, guadagno, egoismo? Questo quindi il significato primo e più profondo dell' escursionismo. Ricerca della vetta. Che dobbiamo avere il coraggio di affermare coraggio perché oggi è diventato questo l'affermazione dello spirito di fronte al materialismo utilitaristico. O meglio, questo il significato primo dell'alpinismo. Perché in 
questa ottica l’escursionismo collima con l'alpinismo. Il valore primo dell'escursionismo, in senso etico, sta dunque nella ricerca della vetta, per cui idealmente diventa alpinismo. Da questo si distingue più di tutto per motivi tecnici. Ma questi, per quanto importantissimi, non alterano il concetto generale. Semmai rappresentano una discriminazione simile anche se più essenziale a quella  che distingue la scalata libera da quella artificiale. 
Questa assimilazione non giustifica però la tendenza a vedere nell' escursionismo l'attività base del CAl. Perché questa va ricercata non certo nella base aritmetica, ma nell'aderenza al simbolo ed all'ideale. La scalata inoltre comporta un fattore essenziale e specifico, cioè la catarsi. Dovuta non al fatto di affrontare i rischi, ma a quello di vincere la propria paura, dovuta proprio ai pericoli da superare. E la riproposta di quanto già affermato oltre un millennio fa dalla filosofia dello Shugen-do. È quanto, oltre centocinquanta anni fa ha asserito e continua oggi ad asserire sempre, oltre ogni evoluzione di maniera il solo atto tecnico e fisico. 



Spiro Dalla Porta-Xydias 

(CMI -GISM)

Articolo apparso sul sito www.montagna.org  - 09/02/2005 - da fonte "La Rivista" bimestrale del Club Alpino Italiano.  Numero di Gennaio/Febbraio 2005