Estratti |
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In questa sezione si propongono alcuni saggi o parti di pubblicazioni. | ||
La cena con
Costanzo di Daniele Trucco Il mio lavoro consiste nel
montare impianti di amplificazione audio per conferenze o concerti per
conto della Cuneo Music Service; è il mio capo che prende i
contatti con i clienti, che smista gli impegni ai vari tecnici del suono e
che conosce le caratteristiche di ogni spettacolo. Generalmente io lo
scopro il giorno stesso del lavoro in quanto, quasi sempre, mi dimentico
di annotare sull’agenda i nomi delle associazioni o dei gruppi che si
esibiranno e a cui io dovrò dare assistenza. Poco tempo fa mi capitò di lavorare al palazzetto dello sport di Boves per la celebrazione dei venticinque anni della casa editrice Primalpe; si trattava di montare degli altoparlanti in filodiffusione in modo che le parole dei relatori si sentissero in ogni luogo dell’ampio edificio. Sarebbe stata una giornata di lavoro normalissimo, probabilmente noiosa, se non si fosse verificato un fatto che mi fece tornare in mente un episodio accaduto molto tempo prima. Durante la premiazione finale degli autori migliori pubblicati dalla casa, il presentatore chiamò sul palco la moglie di Costanzo Martini, storico fondatore delle edizioni, per consegnare un premio ad uno scrittore. Non ricordavo che Costanzo fosse stato sposato né avevo associato la sua figura alla Primalpe: scoprii tutto in quel giorno dopo circa sei anni da quella cena. Al tempo ero uno studente di Liceo; erano gli anni in cui si cominciava ad acquisire quella certa indipendenza culturale che, mescolata ad un’estrema curiosità, ti porta ad acquistare i libri ed i dischi più strani che esistono in commercio per il solo gusto di dimostrare la tua autonomia e la tua capacità di scelta. Alberto un giorno se ne arrivò in classe con un libretto scritto da un tipo totalmente sconosciuto e mi disse: – Pensa che insieme al libro ti regalano un pacco di pasta. – Abbinamento più originale che curioso, pensai, dato che il titolo era Diario di un uomo goloso. Sul retro del libro c’era però una frase più curiosa che originale: diceva pressappoco che chi fosse stato intenzionato ad invitare l’autore a cena, poteva telefonare al numero indicato e chiarire direttamente con lui i particolari dell’incontro. Letto fatto: a diciannove anni non si pensa, si fa. Senza sapere assolutamente nulla sul suo conto – non c’era nemmeno una foto sul retro di copertina –, Alberto gli telefonò e si mise d’accordo sul giorno, sull’ora e sul luogo dell’appuntamento. Il ‘ristorante’ lo decidemmo fra di noi: casa mia. La sera del ventinove
maggio io, Alberto, Chiara e, naturalmente, dato che casa mia era
soprattutto casa loro, i miei genitori, eravamo pronti per accogliere lo
sconosciuto: Alberto si presentò puntuale nel luogo di incontro prescelto
e lo condusse fino a noi. Grande fu l’emozione nell’aprire la porta allo
scrittore misterioso: ci aspettavamo tutti un uomo grasso, barbuto e con
una grande confusione mentale (gli scrittori per noi dovevano essere
obbligatoriamente tutti un po’ così). Falso allarme: era magrissimo,
tranquillissimo e spettinato (ma senza barba); indossava una camicia a
quadri azzurra con sopra una felpa grigia. Al collo portava appesi con una
cordicina un paio di occhiali da vista, ma non di quelli a mezzaluna.
Credo che i miei genitori, nel vederlo così pacato e così ‘normale’,
tirarono un enorme sospiro di sollievo e, sotto sotto, anche noi. Dopo le
solite formule di rito ci sedemmo a tavola: di ciò che mangiammo non
ricordo altro se non gli involtini di frittata fatti da mia madre ed il
tiramisù portato da Chiara (quest’ultimo solo perché compare in bella
mostra nella fotografia che scattammo a fine cena). I discorsi invece, quelli
sì che mi sono rimasti in mente; iniziammo con le solite cose riguardanti
la scuola e i nostri progetti futuri: la maturità alle porte, se o cosa
avremmo fatto all’università, cosa volevamo fare nella vita. Io ed Alberto
gli accennammo ai nostri intenti umanistici e lui ci incoraggiò a seguire
quella strada rendendocela affascinante attraverso i suoi racconti e le
sue esperienze. Tutte parole bellissime per noi: la sua carriera come
giornalista, l’obiezione di coscienza in un tempo in cui non si sapeva
nemmeno cosa fosse, la scrittura, le poesie, i convegni. Tutto bene, tutto
splendido, finché non ci parlò dell’orologio. Cambiò la serata. Costanzo aveva mangiato
tutto quella sera ma ci confidò che non avrebbe dovuto mangiare quasi
niente. E che non poteva nemmeno guidare. E che non poteva fare tardi. E
che tutte le sigarette fumate durante la sera (ed erano tante) erano per
lui sensazionalmente innocue in quanto il cancro ai polmoni non avrebbe
fatto in tempo a venirgli. E che il suo corpo era un grande orologio. Costanzo, oltre al diabete,
aveva una malattia strana all’intestino, anche se non ricordo con
precisione di che cosa si trattasse. Ci disse che ogni sei mesi circa
aveva già prenotato il suo posto fisso in ospedale per farsi aprire la
pancia e farsi rattoppare il disastro che il male gli avrebbe procurato
nel frattempo. Quella malattia era il suo orologio personale, il suo conto
alla rovescia, e sapeva che un giorno i dottori non lo avrebbero più
riaperto ma gli avrebbero detto di aspettare il miracolo. La cosa che sconcertava era
la calma estrema con cui raccontava le sue disgrazie: non una calma
dettata dalla rassegnazione bensì scaturita dalla certezza e dalla
consapevolezza tipiche di chi della vita sa già quasi tutto. E fu anche
grazie a questa sua pacatezza che riuscì a sollevare il nostro imbarazzo
ed il nostro umore, rattristato a causa della sua condizione. La serata andò avanti a
lungo ma non riesco più a ricordare nulla di ciò che disse Costanzo. Dopo avergli imposto il
doveroso autografo con dedica sul suo libro, ci lasciammo con la promessa
di una cena da fare – questa volta a casa di Alberto – dopo la maturità e
lo accompagnammo infine alla macchina. Io mi sono laureato in
Lettere l’anno scorso. Alberto si è immatricolato alla mia stessa facoltà
ma non ha mai frequentato né dato esami; l’anno successivo si è iscritto
ad un diploma di ingegneria meccanica ma non si è ancora laureato. Chiara
vive a Lisbona. Il libro con l’autografo è andato perso. Costanzo è morto
due anni dopo la cena e nessuno di noi tre l’ha più rivisto. Il miracolo non ci fu. Falicetto, 29/01/2002
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