L'IDROGENO: CARATTERISTICHE E TECNOLOGIE DI PRODUZIONE

 

Tecnologie di produzione dell'idrogeno

Attualmente, in tutto il mondo sono commercializzati circa 500 miliardi di Nm3 di idrogeno la cui maggior parte trae origine da fonti fossili. Esso è prodotto principalmente come "co-prodotto" dell’industria chimica, in particolare dei processi di produzione del polivinile di cloruro (PVC), che forniscono il 38% dell’idrogeno mondiale, e di raffinazione del petrolio greggio, che contribuisce al 2% circa della produzione.

Per quanto riguarda invece il suo impiego come fonte d’energia, attualmente esso avviene solo in piccoli impianti che servono prevalentemente industrie del settore petrolchimico. Per il futuro, considerata l’attuale evoluzione del settore energetico, si prevede un notevole incremento della domanda di idrogeno. Essa sarà determinata principalmente dalle conseguenze che avranno i numerosi vincoli imposti dalla legislazione ambientale e dalla necessità di trovare altre fonti di energia. La produzione di idrogeno incontra nella pratica numerosi problemi soprattutto riguardo l'alto costo della sua produzione e la selezione dei migliori processi di produzione e immagazzinaggio.

Le principali tecnologie di produzione dell'idrogeno sono:

Elettrolisi dell’acqua.

Steam reforming del gas metano.

Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi.

Gassificazione del carbone.

Gassificazione e pirolisi delle biomasse.

Altri metodi.

Le tecnologie di produzione sono meno sviluppate rispetto a quelle d’immagazzinaggio e trasporto ed un loro miglioramento si tradurrebbe in una notevole riduzione dei costi d’investimento del settore energetico. Inoltre, progressi nelle tecnologie di produzione dell'idrogeno consentirebbero di ottenere significativi miglioramenti nelle infrastrutture necessarie per un uso diffuso dell'idrogeno.

Oltre al miglioramento dell’efficienza dell’elettrolisi dell’acqua e degli altri metodi già sfruttati commercialmente, l'attenzione della ricerca è rivolta a progetti per metodi innovativi quali processi di fotoconversione come sistemi fotobiologici e fotoelettrochimici, oltre a processi termochimici come gassificazione e pirolisi. 

 5.1. L'elettrolisi dell’acqua

L'idrogeno può essere ottenuto tramite l’elettrolisi dell'acqua (Fig. 2.1). Questo processo fu applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’anno 1839.

L'elettrolisi richiede il passaggio di corrente elettrica attraverso l'acqua. La corrente entra nella cella elettrolitica tramite il catodo, un elettrodo caricato negativamente, attraversa l'acqua e va via attraverso l'anodo, un elettrodo caricato positivamente. L'idrogeno e l'ossigeno così separati confluiscono rispettivamente verso il catodo e verso l'anodo.

L'elettrolisi è il metodo più comune per la produzione di idrogeno anche se incontra notevoli ostacoli per la quantità limitata di idrogeno prodotta e per i costi, ancora troppo elevati, dovuti all'impiego di energia elettrica. Attualmente, solo il 4% della produzione mondiale di idrogeno avviene per elettrolisi dell'acqua e solo per soddisfare richieste limitate di idrogeno estremamente puro.

 

Fig. 1. L'elettrolisi.

 

Per risolvere questo problema, si prevede l’applicazione dell’elettrolisi con vapore ad alta temperatura (900-1000 °C). L’alta temperatura del sistema accelera le reazioni, riduce le perdite d’energia dovute alla polarizzazione degli elettrodi ed accresce l’efficienza complessiva del sistema. Questa tecnologia offre l’opportunità di ridurre il consumo di elettricità al 35% di quella utilizzata dagli attuali elettrolizzatori in commercio. Questa notevole riduzione dei costi, e l’elevata efficienza di conversione stimata (circa il 90%), consentirebbe all’elettrolisi di essere competitiva anche con lo steam reforming, che richiede notevoli investimenti strutturali.

In ogni caso, prima che le nuove tecnologie vengano perfezionate e divengano completamente operative, il costo per la produzione dell'idrogeno dall'elettrolisi è il più alto rispetto a qualsiasi altra tecnologia. I costi maggiori sono rappresentati dai sistemi fotovoltaici ed eolici i quali, nonostante i miglioramenti tecnologici previsti per i prossimi anni, richiedono e richiederanno ancora costi elevatissimi per la produzione di energia da impiegare nell'elettrolisi. Un altro aspetto da valutare è che l'idrogeno attualmente viene prodotto in sito e su domanda, vengono quindi trascurati i costi di magazzinaggio e trasporto che renderebbero il prezzo dell'idrogeno "consegnato", anche se in quantità ridotte, ancor meno competitivo. Nell’ambito delle applicazioni pratiche i costi per l'elettrolisi tramite celle a membrana polimerica si prevede che siano minori dei sistemi con celle alcaline.

L'elettrolisi, nonostante le ancore insormontabili barriere dei costi, resta comunque il procedimento che riveste maggiore interesse e su cui la ricerca punta maggiormente. E’ questo il motivo che spinge la ricerca allo studio di sistemi che impieghino fonti di energia alternative a quella elettrica. 

 5.2. Steam reforming del gas metano (SMR)

Lo steam reforming del metano è un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato e attraverso il quale si produce circa il 48% dell'idrogeno mondiale. Tale metodo può essere applicato anche ad altri idrocarburi come l'etano e la nafta. Non possono essere utilizzati idrocarburi più pesanti perché essi potrebbero contenere impurità. Altri processi, invece, come l'ossidazione parziale, sono più efficienti con idrocarburi più pesanti.

Lo SMR implica la reazione di metano e vapore in presenza di catalizzatori. Tale processo, su scala industriale, richiede una temperatura operativa di circa 800 °C ed una pressione di 2,5 MPa. La prima fase consiste nella decomposizione del metano in idrogeno e monossido di carbonio. Nella seconda fase, chiamata "shift reaction", il monossido di carbonio e l'acqua si trasformano in biossido di carbonio ed idrogeno. Il contenuto energetico dell'idrogeno prodotto è, attualmente, più elevato di quello del metano utilizzato ma l'enorme quantità d'energia richiesta per il funzionamento degli impianti fa scendere il rendimento del processo a circa 65%. Tramite assorbimento o separazione con membrane, il biossido di carbonio è separato dalla miscela di gas, la quale viene ulteriormente purificata per rimuovere altri componenti. Il gas rimanente, formato per circa il 60% da parti combustibili, è utilizzato per alimentare il reformer. I processi di questo tipo su scala industriale avvengono alla temperatura di 200 °C o superiore, e richiedono l'impiego di calore per dare avvio al processo.

Il costo del gas naturale incide fortemente sul prezzo finale dell'idrogeno, secondo alcune analisi costituisce il 52%-68% del costo totale per impianti di grosse dimensioni, e circa del 40% per impianti di dimensioni minori.

I costi dello SMR sono notevolmente inferiori a quelli dell'elettrolisi e competitivi con quelli delle altre tecnologie, esso comporta inoltre un ridottissimo impatto ambientale. Alcuni autori, sostengono che la tecnologia SMR può essere conveniente, se combinata con l'alimentazione di veicoli, per l'applicazione su celle a combustibile prodotte su scala ridotta.

La tecnologia SMR inoltre, è stata ampiamente sperimentata nella produzione combinata di idrogeno, vapore ed energia elettrica tramite un sistema integrato di produzione. Dopo le prime installazioni negli Stati Uniti d’America ad opera di compagnie come la Mobil, la Texaco, la Air Products e centrali di grosse dimensioni come quelle sulla costa occidentale, questi impianti si stanno diffondendo anche in Europa, uno tra i più importanti è situato a Pernis, vicino Rotterdam.

Il funzionamento principale di tali sistemi è quello descritto in precedenza con la particolarità che il calore prodotto grazie alla alte temperature operative, viene opportunamente recuperato ed impiegato nelle fasi di preriscaldamento e desulfurizzazione del metano, riscaldamento dell’acqua e generazione di vapore. L’idrogeno prodotto è impiegato direttamente per la produzione di energia elettrica che verrà poi erogata dall’impianto stesso.

Tali sistemi integrati presentano numerosi vantaggi rispetto al caso di impianti separati per la produzione di idrogeno, vapore ed energia elettrica. Innanzitutto, consentono di realizzare risparmi già al livello di progettazione in quanto un unico progetto coinvolge tre strutture, successivamente proprio l’integrazione consente di risparmiare fino al 50% dei costi operativi e di ridurre notevolmente l’incidenza dei costi fissi all’aumentare della produzione; basta considerare il fatto che gli investimenti iniziali costituiscono il 60% dei costi per la costruzione di un impianto isolato per la produzione di energia. Un altro aspetto fondamentale riguarda l’impatto ambientale ridottissimo di tutta la tecnologia che comporta una riduzione del 50% delle emissioni di NOx mentre il CO prodotto dalle turbine a gas viene bruciato all’interno del reforming stesso. In futuro, il funzionamento continuo ed il perfezionamento di questi impianti consentirà inoltre di migliorarne l’efficienza e l’affidabilità.

Gli impianti attualmente funzionanti, si limitano alla fornitura di energia elettrica ad industrie del settore chimico e petrolchimico con delle piccole reti di trasmissione ma si prevede che nei prossimi decenni possano svilupparsi e sostituire gradualmente le attuali centrali.

Altre innovazioni invece, riguardano più in particolare lo SMR stesso. Uno degli obbiettivi della ricerca è, infatti, quello di migliorare il tradizionale processo SMR con il perfezionamento di un nuovo processo denominato Sorbtion Enhanced Reforming (SER). Rispetto al tradizionale SMR tale processo implica la produzione di idrogeno a temperatura particolarmente bassa e l’abbinamento di un processo di rimozione selettiva dell’anidride carbonica rilasciata durante la fase di reforming. Il vantaggio principale del SER quindi, consiste nell’ottenere direttamente dei flussi separati, estremamente puri, sia di idrogeno che di CO2 senza ricorrere a costosi sistemi di purificazione. Questo nuovo processo ha dunque la possibilità di prevalere rispetto ai processi convenzionali, e di favorire l’introduzione a breve termine dell’idrogeno, non solo per i ridotti costi operativi che esso comporta ma anche per il contributo alla riduzione della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera.

Le attività di ricerca sono ovviamente volte all’individuazione dei materiali più idonei all’assorbimento di CO2, alla dimostrazione della validità tecnica dei sistemi sperimentali e all’analisi dei relativi vantaggi economici.

Anche il tradizionale processo di cracking dei combustibili fossili sta subendo delle notevoli innovazioni. Le nuove tecnologie di decomposizione termocatalitica degli idrocarburi, in assenza di aria o ossigeno, eviteranno di sostenere costi per la purificazione dell’idrogeno prodotto tramite l’eliminazione della produzione degli ossidi di carbonio. Ciò avverrà tramite l’identificazione e la modificazione di opportuni catalizzatori a base di carbonio e la successiva ottimizzazione del processo di produzione tramite l’impiego di combustibili liquidi o gassosi. L’obbiettivo primario è, inizialmente, quello di aumentare il contenuto di idrogeno a più dell’85% e di ridurre notevolmente le emissioni di gas inquinanti. Nel 2002 si prevede la sperimentazione dei primi impianti abbinati a celle a combustibile di modesta potenza.

 5.3. Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi

L'idrogeno può essere ottenuto dall'ossidazione parziale non catalitica, ad una temperatura che varia tra 1300-1500° C, di idrocarburi pesanti, come la nafta. Questa tecnologia può utilizzare qualsiasi genere di idrocarburo che possa essere compresso. In ogni caso l'efficienza complessiva del processo (50%) è minore di quella ottenuta dalla tecnologia SMR (65%-75%) ed è necessario ossigeno puro. L’ossigeno necessario alla reazione, infatti, è quello contenuto nell’atmosfera per cui mescolato con una grande quantità di azoto. Dunque con l’ossidazione parziale si ottiene un flusso di idrogeno impuro fortemente contaminato dall’azoto. Nel caso si utilizzi del metano, l'efficienza di questo processo raggiunge solo il 70% di quella dello steam reforming. Tramite una reazione controllata tra combustibile e ossigeno, si ottiene anidride carbonica, ossigeno e molto calore. Un sistema rapido che consente però di ottenere modeste quantità d’idrogeno, tanto quanto ne contiene il combustibile di partenza. I reformer per l'ossidazione parziale utilizzano in genere solo combustibili liquidi. Attualmente solo due compagnie, la Texaco e la Shell, hanno la disponibilità, a livello commerciale, di queste tecnologie di conversione.

I costi per la produzione di idrogeno tramite combustibili pesanti sono sensibilmente più alti, per stesse quantità di materia impiegata, di quelli relativo all'utilizzo di gas di cokeria. Questo è dovuto alla necessità di sostenere il trattamento e la rimozione delle impurità derivanti dal processo. Nel caso dell'utilizzo di gas di cokeria è possibile, attualmente, realizzare economie di scala che si riflettono in una notevole riduzione del prezzo finale dell'idrogeno. Simili risultati sono attesi per l'impiego di combustibili pesanti.

Anche se i costi di questa tecnologia non sono particolarmente elevati rispetto a quelli degli altri processi, bisogna anche considerare i costi aggiuntivi per l'eventuale pulizia degli impianti, a cui conseguirebbe un aumento del prezzo finale dell'idrogeno.

 5.4. Gassificazione del carbone

In generale, il processo di gassificazione consiste nella parziale ossidazione, non catalitica, di una sostanza solida, liquida o gassosa che ha l'obiettivo finale di produrre un combustibile gassoso, formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e da idrocarburi leggeri come il metano.

Tramite la gassificazione il carbone viene convertito, parzialmente o completamente, in combustibili gassosi i quali, dopo essere stati purificati vengono utilizzati come combustibili, materiali grezzi per processi chimici o per la produzione dei fertilizzanti.

La produzione di idrogeno mediante gassificazione del carbone è una tecnologia che trova numerose applicazioni commerciali, ma è competitiva con la tecnologia SMR solo dove il costo del gas naturale è molto elevato (per esempio: Repubblica Popolare di Cina e Sud Africa). Nel settembre del 2000 è stato siglato dall’ENEA e dal Ministero della Scienza e della Tecnologia (MOST) della Repubblica Popolare di Cina, un Accordo Tecnico di collaborazione tecnico-scientifica per lo sviluppo congiunto della ricerca sull’idrogeno, a seguito degli accordi stipulati dai due organismi lo scorso mese di giugno a Pechino. Come ben noto, nella Repubblica Popolare di Cina, i problemi associati all’inquinamento atmosferico all’interno delle città e, più in generale, l’ingente quantità di emissioni di CO2 legato all’uso massiccio del carbone, sono estremamente gravi ed urgenti. Si prevede infatti che nel 2020 la Repubblica Popolare di Cina brucerà ben tre miliardi e mezzo di tonnellate di carbone all’anno, contribuendo a più di un quarto delle emissioni planetarie di anidride carbonica. Nel programma di cooperazione con l’ENEA, il carbone, in presenza di acqua, è trasformato in idrogeno e CO2. L’idrogeno è poi bruciato con emissioni zero, mentre la CO2 è "sequestrata" permanentemente in forma liquida nelle profondità della terra, senza apprezzabili emissioni nell’atmosfera. E’ quindi possibile trasformare anche il carbone in un combustibile pulito e quasi ad "emissioni zero".

Per quanto riguarda la gassificazione, vengono utilizzati principalmente tre metodi: fixed-bed (letto fisso), fluidized-bed (letto fluidificato) e entrained-bed (letto trascinato). Tutti questi metodi impiegano vapore, ossigeno o aria, per ossidare parzialmente il carbone ed ottenere come risultato del gas. I gassificatori a letto fisso producono, a basse temperature (425-650 °C), un gas contenente prodotti "devolatilizzati" come metano, etano ed un flusso di idrocarburi liquidi contenente nafta, catrame, oli e fenolici. I gassificatori a letto trascinato producono gas ad alta temperatura (>1260 °C), che essenzialmente elimina i prodotti devolatilizzati dal flusso di gas e dagli idrocarburi liquidi. Questo metodo, infatti, consente di ottenere un prodotto composto quasi interamente da idrogeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio. I gassificatori a letto fluidificato, infine, producono pressappoco dei prodotti intermedi, nella composizione, rispetto ai due precedenti ed agiscono a temperature medie (925-1040 °C).

Il calore necessario per la gassificazione è fornito principalmente dall'ossidazione parziale del carbone. Generalmente le reazioni di gassificazione del carbone sono esotermiche, così al gassificatore vengono di solito abbinate delle caldaie per il riscaldamento dei rifiuti da smaltire. La temperatura, e quindi la composizione del gas prodotto, dipendono dalla quantità dell'agente ossidante e del vapore, nonché dal tipo di reattore utilizzato nell'impianto di gassificazione.

I gassificatori producono delle sostanze inquinanti (principalmente ceneri, ossidi di zolfo e ossidi di azoto) che devono essere eliminate prima che entrino a far parte del gas prodotto. Il loro livello dipende sia dal gassificatore utilizzato sia dalla composizione del combustibile. Esistono due tipi di sistemi per la separazione delle impurità: sistemi a caldo e sistemi a freddo. La tecnologia di separazione a freddo è sfruttata commercialmente e sperimentata da diversi anni mentre i sistemi a caldo sono ancora in fase di sviluppo. La ripulitura dei gassificatori a letto trascinato, comporta una serie di operazioni in base alla diversa natura dei residui con una perdita di efficienza, affidabilità ed un aumento rilevante dei costi di questi sistemi.

Per questa tecnologia, il costo della materia impiegata raggiunge quasi il 25% del prezzo dell'idrogeno prodotto. Costo del capitale, manutenzione dell'impianto e smaltimento dei rifiuti solidi, costituiscono altri costi da sostenere. Rispetto alle altre tecnologie quindi, sempre escludendo l'elettrolisi, i costi sono leggermente più elevati ed, allo stato attuale, non è ancora possibile realizzare delle particolari economie di scala.

La presenza di numerose riserve in diverse parti del mondo, fa del carbone il possibile sostituto di gas naturale ed oli come materia prima per la produzione di idrogeno. 

 5.5. Gassificazione e pirolisi delle biomasse

Come la gassificazione, anche la pirolisi, o distillazione secca, è un processo che per mezzo della decomposizione termica, spezza le molecole complesse delle sostanze organiche in elementi semplici, separati. Essa consiste nel riscaldare la sostanza a 900-1000 °C, in assenza di aria, in opportuni impianti, con ottenimento di sostanze volatili e di un residuo solido.

L'applicazione di calore alle biomasse (legno, grassi e rifiuti agricoli) produce numerosi differenti gas, tra cui l'idrogeno. La composizione dei gas dipende dal tipo di materiale, dalla presenza di ossigeno, dalla temperatura della reazione e da altri parametri. La ricerca sull'idrogeno è incentrata attualmente sui gas dalle biomasse, a medio potere calorifico, da utilizzare principalmente come combustibili . La gassificazione delle biomasse, prevede l’impiego sia di materiale derivato dai rifiuti solidi urbani sia materiali specifici appositamente coltivati per essere inpiegati come fonte d'energia. Gassificatori di biomasse sono stati sviluppati utilizzando tecnologie di combustione fixed-bed, fluidized-bed, entrained-bed.

Le biomasse possono essere gassificate utilizzando metodi indiretti e diretti. La gassificazione indiretta, come avviene negli impianti della Battelle-Columbus Laboratoires and Future Energy Resource Corporation (BLC/FERCO), usa un veicolo, come la sabbia, per trasferire calore dal bruciatore alla camera di gassificazione. Nella gassificazione diretta il calore alla camera di gassificazione è fornito dalla combustione di una parte delle biomasse. In generale, il costo dell'idrogeno prodotto tramite gassificazione indiretta è leggermente minore di quello dell'idrogeno ottenuto per gassificazione diretta.

Un metodo alternativo di produzione dell'idrogeno dalle biomasse è la combinazione di pirolisi e processo di steam reforming. Tale metodo, applicato alle biomasse, genera vapori reattivi che possono, quindi, essere convertiti in idrogeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio usando vapore in ambiente catalitico.

Tramite questo processo le biomasse vengono decomposte termicamente ad alte temperature (400-450 °C), in atmosfera inerte, per formare un "bio-olio" costituito da sostanze organiche ossigenate, per l’85%, e acqua, per il 15% . Il "bio-olio", quindi, viene sottoposto al processo usuale di steam reforming per la produzione di idrogeno. Alternativamente i componenti fenolici del "bio-olio" possono essere estratti con etil-acetato per ottenere come prodotto aggiuntivo delle resine fenoliche. Anche in questo caso i restanti componenti possono essere sottoposti allo steam reforming. In entrambi i casi il gas prodotto viene purificato tramite un processo standard di assorbimento a pressione variabile. Anche i deflussi derivanti da altre tecnologie di trattamento delle biomasse possono costituire un interessante materiale per la produzione dell'idrogeno.

In particolare, sono stati compiuti degli studi sul trattamento dei residui della separazione del "bio-olio" in derivati della lignina, utilizzati per la produzione di resine fenoliche o additivi per combustibili, e derivati dei carboidrati, eventualmente sottoposti allo steam reforming.

Questo sistema ha numerosi vantaggi rispetto alla tradizionale tecnologia di gassificazione delle biomasse, innanzitutto il "bio-olio" può essere trasportato più facilmente delle biomasse e quindi la pirolisi ed il reforming possono essere realizzati in luoghi diversi, con eventuale riduzione dei costi. Per esempio una serie di pirolisi di piccole quantità di materiali, può avvenire dove essi sono disponibili ad un costo non elevato. Successivamente, l'olio può essere agevolmente trasportato in un impianto di reforming, situato dove siano presenti impianti d'immagazzinaggio ed infrastrutture per la distribuzione. Il secondo vantaggio è, ovviamente, il notevole potenziale derivante dal recupero dei materiali derivati. Questo è stato dimostrato con l'utilizzo di un reattore a letto fluidificato, con del nichel come catalizzatore, sviluppato per il trattamento di gas naturale e nafta, con cui è stato possibile ottenere sostanze composte il cui contenuto di idrogeno approssima o supera il 90%.

Questo processo potenzialmente può divenire una delle tecnologie di produzione meno costose, ma è ancora ai primi stadi della ricerca. I ricercatori sono impegnati nella ricerca di un catalizzatore ottimale per la fase di reforming ed alla valutazione della fattibilità economica e della sostenibilità ambientale dell'intero processo.

La produzione dell’idrogeno dalle biomasse, sia tramite gassificazione sia tramite pirolisi, possiede notevoli possibilità di sviluppo tra i processi che utilizzano fonti rinnovabili di energia. Un importante vantaggio ambientale dell'utilizzo delle biomasse come fonte di idrogeno è che il biossido di carbonio, una delle principali emissioni responsabili dei cambiamenti climatici, emesso nella conversione delle biomasse, non contribuisce ad aumentare la quantità totale di gas nell'atmosfera. Il biossido di carbonio è consumato dalle biomasse durante la crescita e solo la stessa quantità viene restituita all'aria durante il processo di conversione. Purtroppo, però, il contenuto d'idrogeno è solo del 6%-6,5%, rispetto al 25% del gas naturale.

Per questa ragione i costi sono ancora molto elevati e ciò non consente a questi sistemi di essere competitivi con altre tecnologie come, per esempio, il reforming del metano. Di gran lunga, i maggiori costi operativi per questa tecnologia sono legati alla materia da impiegare e quindi sono particolarmente alti per processi che utilizzano biomasse costituite da materiali specifici mentre possono scendere nel caso si impieghino biomasse da rifiuti.

Anche in questo caso, come per i sistemi fotovoltaici ed eolici, trattandosi di fonti di energia rinnovabili, i costi sono ancora sensibilmente elevati. In questi casi, infatti, le tecnologie non sono ancora perfezionate, mancano dei sistemi specifici d'immagazzinaggio e applicazione dell'energia prodotta per cui non è ancora possibile realizzare economie di scala che ne consentano un possibile largo impiego. D'altro canto il ridotto impatto ambientale, riveste un importante ruolo per la ricerca.

Inoltre, gli oli vegetali hanno un potenziale per la produzione di idrogeno, maggiore delle sostanze che contengono cellulosa o lignina, ma il loro costo è ancore notevolmente alto e probabilmente gli oli necessari saranno acquistati su di uno specifico mercato previsto per il futuro. Quindi, solo un processo integrato, che preveda il riutilizzo delle sostanze derivate dalle biomasse, può consentire una alternativa economicamente valida.

Affinché le biomasse diventino una fonte di idrogeno con costi accessibili, la ricerca deve ancora compiere notevoli passi. Le tecniche per la separazione e la purificazione dell'idrogeno tramite delle membrane selettive o processi catalitici, devono essere migliorate. Nuove idee per la purificazione dei gas (rimozione di catrame ed oli) necessitano una migliore valutazione. Una delle principali priorità della ricerca è un concetto avanzato di gassificazione catalitica che consenta di ottenere risultati quando il gassificatore agisce continuamente mentre altri settori della ricerca si stanno occupando della messa a punto di un nuovo sistema di gassificazione. Esso, agendo ad elevate temperature e con particolari catalizzatori al carbonio, consente la produzione di idrogeno da materiali con un alto contenuto di umidità. Le biomasse, infatti contengono circa il 50% d’acqua e sono stati messi a punto diversi processi termici per eliminarla. Questo nuovo processo di gassificazione invece, eliminando il ricorso a strumenti di essiccazione non pone particolari limiti al tipo di biomassa da impiegare. Inoltre, ottenendo il reforming completo delle biomasse impiegate dal processo non si hanno residui di combustione. I primi reattori di questo genere sono stati costruiti recentemente mentre l’intera tecnologia deve essere ancora testata e verificata nei prossimi anni.

 5.6. Altri metodi di produzione

Oltre ai metodi analizzati nei precedenti paragrafi, la ricerca è attiva in diversi settori riguardanti la produzione dell’idrogeno. Essa si muove fondamentalmente in due direzioni: migliorare le tecnologie esistenti e sperimentare nuovi metodi.

L’obbiettivo principale è quello di abbattere i costi delle tecnologie ormai in uso riducendo la quantità dei materiali impiegati e aumentando quindi i rendimenti di conversione degli impianti esistenti. In secondo luogo, si cerca di perfezionare nuovi sistemi che consentano di risolvere la questione dell’impatto ambientale delle tecnologie basate sull’impiego degli idrocarburi. In particolare, si sta puntando molto su sistemi che consentano la produzione di idrogeno tramite l’impiego diretto dell’energia solare, in sostituzione dell’energia elettrica necessaria per l’elettrolisi dell’acqua.

Uno di questi, la produzione dell'idrogeno per fotoconversione, associa un sistema di assorbimento della luce solare ed un catalizzatore per la scissione dell'acqua. Questo processo usa l'energia della luce senza passare attraverso la produzione separata di elettricità richiesta dall'elettrolisi. Ci sono due classificazioni principali di tali sistemi: fotobiologico e fotoelettrochimico.

Un altro esempio dell’interazione tre energia solare e produzione dell’idrogeno è fornito dalle centrali fotovoltaiche a idrogeno le quali costituiscono, attualmente, l’unico esempio fattibile di impiego di fonti rinnovabili per la produzione di idrogeno.

Si tratta, tuttavia, prevalentemente di tecnologie in fase sperimentale, le cui attività di laboratorio richiedono ancora notevoli perfezionamenti.

 5.6.1. Tecnologie fotobiologiche

I processi di produzione fotobiologici riguardano la generazione dell'idrogeno da sistemi biologici, che usano generalmente la luce solare. Alcune alghe e batteri sono in grado di produrre idrogeno sotto specifiche condizioni. I pigmenti delle alghe assorbono l'energia solare e gli enzimi nella cellula agiscono da catalizzatori per scindere l'acqua nei suoi componenti di idrogeno e ossigeno.

La ricerca sta analizzando i meccanismi dettagliati di questi sistemi biologici. In ogni caso si è ai primi stadi ed il livello di efficienza di conversione in energia (rapporto tra l'ammontare di energia prodotta dall'idrogeno e l'entità della luce solare impiegata) è basso, circa il 5%. Per la produzione di idrogeno su larga scala, questi processi richiedono efficienza più elevata e riduzione dei costi.

La ricerca è incentrata su due approcci: sistemi "whole-cell", che coinvolgono batteri, e sistemi "cell-free", che utilizzano solo gli enzimi che producono l'idrogeno. I sistemi "whole-cell" hanno potenziale per la produzione a breve termine con efficienza di conversione dal 5% al 10%, mentre i sistemi "cell-free" si prospettano come tecnologie di produzione a lungo termine che possono raggiungere un'efficienza di circa il 25%.

Oltre ai problemi relativi alla bassa efficienza di conversione, l’azione di quasi tutti gli enzimi che elaborano l'idrogeno, è notevolmente rallentata dalla presenza dell'ossigeno prodotto dalla scissione dell'acqua. C'è, inoltre, il problema del mantenimento in vita dei sistemi produttivi per periodi prolungati che consentano di ottenere maggiore stabilità di produzione.

Esistono numerose attività di ricerca che hanno lo scopo di adeguare i sistemi di produzione fotobiologica a tali difficoltà. A breve termine si prevede l’identificazione di batteri e sviluppo di un sistema che possa produrre idrogeno puro a temperatura e pressione ambiente, nell'oscurità. Attualmente, sono state isolate circa 400 specie di questo tipo di batteri, capaci di combinare, nell'oscurità, monossido di carbonio ed acqua per produrre quantità piuttosto elevate di idrogeno e biossido di carbonio. L'analisi dettagliata di 25 tra queste specie, ha dimostrato che esse sono in grado di produrre idrogeno da circa il 100% del monossido di carbonio impiegato ma un solo tipo di sistema, basato sull'azione di alcune specie di cianobatteri, ha dato risultati soddisfacenti.

I cianobatteri possono crearsi semplicemente all’interno delle miniere di sale con la luce solare come fonte d’energia, l’anidride carbonica come fonte di carbonio e l’acqua come fonte di elettroni. Sempre nell’ambito delle sperimentazioni riguardanti i cianobatteri, sono allo studio alcuni progetti per la modificazione genetica di alcune di queste specie, in grado di produrre quantità elevate di idrogeno. Esse verrebbero modificate tramite i geni clonati di enzimi in grado di produrre reversibilmente molecole di idrogeno da ioni di idrogeno. La modificazione genetica di questi organismi incontra però alcuni ostacoli nelle fasi di isolamento del DNA e clonazione dei geni per cui la realizzazione di questo sistema prevede diverse fasi, tra cui la costruzione di un vettore per i geni e il mantenimento delle colonie di batteri, la cui realizzazione avverrà gradualmente nel tempo.

Un altro obbiettivo della ricerca è quello di superare l'intolleranza di tali sistemi all'ossigeno tramite l'individuazione di batteri i cui enzimi non presentino questo inconveniente. Tali enzimi verrebbero estratti ed introdotti geneticamente in una specie di alga, la Chlamydomonas, creando così una nuove specie i cui enzimi hanno la capacità di produrre simultaneamente idrogeno ed ossigeno. Attualmente sono state identificate sei tipologie di organismi con queste caratteristiche. Sempre allo stesso scopo, si sta sviluppando un sistema "cell-free" che separerà gli enzimi produttori di idrogeno dagli enzimi produttori di ossigeno con una sostanza solida. La separazione fisica supererà il problema della tolleranza dell'ossigeno ed i sistemi "cell-free" avranno un potenziale di efficienza di conversione che raggiungerà circa il 25%. Anche in questo caso il progetto sperimentale coinvolge la Chlamydomonas, e punta alle due reazioni a catena che nelle piante usano la luce solare per sintetizzare carboidrati ed idrogeno. Nella prima fase i pigmenti scindono l'acqua direttamente ottenendo ossigeno e creando un flusso di elettroni per la reazione successiva. Nella seconda fase tali elettroni vengono utilizzati per ridurre il biossido di carbonio in carboidrati. In assenza di ossigeno questi elettroni sono utilizzati per la produzione di idrogeno.

 

 5.6.2. Tecnologie fotoelettrochimiche

I sistemi fotoelettrochimici usano degli elettrodi semiconduttori in una cella fotoelettrochimica per convertire energia ottica in energia chimica. Esistono essenzialmente due tipologie di tali sistemi: una utilizza semiconduttori, l'altro metalli complessi dissolti.

Nel primo tipo, un materiale semiconduttore è utilizzato sia per assorbire l'energia solare sia per agire da elettrodo per la scissione dell'acqua. Questa tecnologia è ancora ai primi stadi del suo sviluppo sebbene l'efficienza di conversione dell'energia sia cresciuta da meno dell'1%, nell’anno 1974, all'attuale 8%. Efficienze ancora più elevate sono state ottenute con l'aggiunta di una carica elettrica esterna per facilitare la reazione chimica. L'azione a lungo termine di tali sistemi è limitata dalla corrosione dei materiali semiconduttori indotta dalla luce ed altri effetti chimici.

La ricerca attualmente si sta occupando di migliorare l'efficienza di conversione in energia di tali celle, della loro durata e della riduzione dei costi, a tale scopo vi sono progetti per l’identificazione di nuovi materiali semiconduttori ad alta efficienza e stabilità. Attualmente il materiale con la più alta efficienza è un composto (conosciuto come fosfuro di indio tipo-p) che agisce come semiconduttore. Il fotoelettrodo più stabile è il biossido di titanio, il quale, però, ha un'efficienza di conversione minore dell'1%. Entrambi questi materiali necessitano di un voltaggio esterno che faciliti la reazione di scissione dell'acqua. Sono allo studio altri materiali, che non richiedono elettricità esterna, come fosfuro di indio e gallio, semiconduttori organici stabili, e diverse nuove leghe di semiconduttori.

La ricerca punta inoltre alla scoperta di nuovi metodi per ridurre la corrosione: uno dei più promettenti è l'uso di un materiale protettivo ultra-sottile applicato sulla superficie dell'elettrodo. Nell’anno 1996, gli studi in questo campo hanno dimostrato di poter ottenere un'efficienza di conversione del 7,8%, usando un "fotocatodo" costruito per il 10% da silicio amorfo. La configurazione di questi sistemi prevedeva il collegamento tra l'anodo ed il "fotocatodo", separati, tramite un conduttore. Negli anni successivi l'attenzione si è spostata su sistemi con anodo e catodo integrati. Attualmente, si sta sperimentando il progetto di un nuovo "fotoelettrodo" integrato, fabbricato completamente con la lavorazione di una pellicola sottile, di cui sono state dimostrate le sequenze della lavorazione per la costruzione del prototipo. Di conseguenza la ricerca progredisce verso il perfezionamento di pellicole conduttive, protettive, con efficienza ottimale. Alcuni dei sistemi sperimentati hanno raggiunto un'efficienza di conversione dell'energia solare in idrogeno, del 15%.

Si sta sperimentando inoltre, l’incorporazione di strati multipli di materie coloranti sensibilizzate per massimizzare l'assorbimento solare e la conversione in idrogeno. Tale progetto imita la fotosintesi, dove sistemi multipli di fotoconversione agiscono insieme per intensificare l'energia della luce solare al fine di provocare reazioni chimiche. La ricerca sta procedendo nell'area dei sistemi a bassi costi che potrebbero provenire dall'utilizzo di strati multipli di materie coloranti organiche e semiconduttori a strato sottile.

Il secondo tipo di sistemi fotoelettrochimici usa materiali complessi dissolti come catalizzatori. Il materiale complesso solubile assorbe energia e crea una separazione tramite carica elettrica che conduce alla reazione di scissione dell'acqua. La ricerca si sta occupando di individuare dei catalizzatori che possano dissociare più efficientemente l'acqua e produrre idrogeno. Questo metodo è attualmente meno avanzato dei processi con semiconduttore ma offre buone prospettive per evitare il problema della corrosione.

  5.6.3. Centrali fotovoltaiche ad idrogeno

Come già detto, le fonti rinnovabili costituiscano la base per la produzione di combustibili di sintesi, in particolare di idrogeno, come sistema di accumulo. Nel campo della produzione di energia elettrica infatti, si prevede la produzione dell'energia dalla luce solare tramite una cella fotovoltaica la quale fornisce l'elettricità necessaria per la produzione d'idrogeno tramite elettrolisi.

Indubbiamente, tali sistemi rivestono interesse per i loro benefici ambientali ma due sono le principali barriere alla loro realizzazione: l'elettricità solare non trova sempre applicazione diretta, per esempio nei motori a combustione, ed è difficile e costosa da immagazzinare. Bisogna quindi confrontare questa possibilità di produzione con le altre, in termini di costi, impatto ambientale ed efficienza. Il vantaggio fondamentale dei sistemi fotovoltaici ad idrogeno è quello di soddisfare la richiesta di corrente continua necessaria per l'elettrolisi; d'altro canto la produzione di idrogeno tramite steam reforming di idrocarburi, è il metodo che consente di ottenere l'efficienza di conversione più elevata.

Obbiettivo della ricerca, a breve e medio termine, è principalmente quello di sviluppare la potenzialità dei sistemi fotovoltaici, tramite lo sviluppo di sistemi integrati, che comprendano, oltre al generatore fotovoltaico, anche un sistema di accumulo stagionale dell'energia previsto per particolari applicazioni o nicchie di mercato.

Uno dei primi Paesi che ha creduto, sin dagli anni 1980, al potenziale di sfruttamento dell’energia solare con un sistema di accumulo è l’Arabia Saudita. Risale infatti ai primi anni 1990 la costruzione della prima centrale solare a idrogeno. Anche se nella prima fase di attuazione si sono verificati dei problemi, la centrale è attualmente funzionante; con una potenza di 350 kW e capace di produrre 463 m3 di idrogeno al giorno, essa è in grado di fornire energia elettrica al cosiddetto "Solar Village", presso Riyadh in Arabia Saudita, costituito da un agglomerato di zone rurali con circa 4000 abitanti. Questo progetto è realizzato in collaborazione con ricercatori tedeschi che a stanno realizzando una centrale di questo tipo a Stoccarda. Altri progetti che coinvolgono produzione di idrogeno ed energia solare sono realizzati in collaborazione con il Department of Energy Statunitense.

Anche l’ENEA sta compiendo da alcuni anni numerosi studi relativi alla produzione di idrogeno da sistemi fotovoltaici.

Questo modello di centrale fotovoltaica è composta da un generatore fotovoltaico, da un sistema di produzione elettrolitica e di stoccaggio dell'idrogeno e da un sistema a cella combustibile per il suo successivo utilizzo, è potenzialmente capace di competere sul piano tecnico con le centrali elettriche convenzionali. In questo modo le centrali fotovoltaiche potrebbero gradualmente sostituire gli impianti di potenza convenzionale, aggiungendo al valore del kWh prodotto, altri vantaggi in termini di risparmio di combustibile e capacità di potenza.

Il funzionamento della centrale, in termini di flusso di energia, è schematizzato nella figura 2.2. L'energia solare, che cade sui pannelli fotovoltaici, viene trasformata in energia elettrica in tempo reale. Durante le ore di buona insolazione, una parte dell'energia elettrica viene inviata direttamente ad alimentare il carico, mentre la parte eccedente le necessità istantanee dell'utenza viene trasformata in energia chimica sotto forma di idrogeno ed immagazzinata nel serbatoio di accumulo.

Durante le ore di buio e nei giorni di scarsa insolazione, l'energia chimica dell'idrogeno viene ritrasformata in elettricità nella cella a combustibile ed inviata a soddisfare le esigenze del carico. La possibilità di immagazzinare energia solare per lunghi periodi e di usarla in tempo differito al momento della richiesta consente di garantire la continuità temporale dell'alimentazione dell'utenza, portando la centrale fotovoltaica ad idrogeno sullo stesso piano delle centrali a combustibili fossili.

 

Fig. 2. Schema di una centrale fotovoltaica ad idrogeno.

 

Le centrali a idrogeno fotovoltaico possono quindi rappresentare un’ottima soluzione tecnica per superare il ruolo marginale in cui il fotovoltaico si viene a trovare a causa della intermittenza della generazione di energia. Inoltre, i costi aggiunti al kWh fotovoltaico dalla produzione ed accumulo dell'idrogeno possono essere mantenuti entro limiti accettabili, in considerazione dell'alta efficienza energetica dello stadio intermedio di condizionamento della potenza.

Sempre a cura dell’ENEA, si è sperimentata una piccola centrale fotovoltaica ad idrogeno per fornire energia elettrica ad un’utenza domestica nell’ambito del progetto SAPHYS. L’impianto realizzato è di piccole dimensioni e non ha dato i risultati attesi. E’ stato comunque importante dimostrare che con un opportuno sistema di controllo tali sistemi possono garantire affidabilità di funzionamento senza sorveglianza diretta.

Gli studi relativi a questo tipo di centrale sono ormai numerosi, il che fa ben sperare in una prossima effettiva realizzazione, con costi accessibili, di tali tecnologie il cui pregio principale è senz'altro l'impatto ambientale praticamente nullo. Per il momento si prevede la loro diffusione nel mercato attraverso l’applicazione di impianti di dimensioni modeste per alimentare utenze situate in zone lontane dalla rete centrale (isole, montagne, basi militari ecc.). Ovviamente, nel lungo termine lo sviluppo di tali sistemi sarà fortemente condizionato anche dal parallelo perfezionamento dell’intera tecnologia e riduzioni dei costi si potranno ottenere solo con l’aumento della taglia degli impianti e con l’operatività continua.

  5.6.4. Altre tecnologie innovative

Una delle tecnologie di produzione dell'idrogeno che è ancora ai primissimi stadi della ricerca, è basata sui metodi di conversione enzimatica del glucosio e di altri zuccheri.

Il glucosio, come prodotto della fotosintesi, è un prodotto rinnovabile così come altri zuccheri quali xilosio, lattosio e saccarosio. Tutti hanno la possibilità di essere convertiti in idrogeno tramite l'azione di due enzimi: il Thermoplasma Acidophilum ed il Pyrococcus Furiosus. Il contenuto massimo di idrogeno ottenibile da questa conversione è di una mole per ogni mole di zucchero utilizzato anche se recenti studi hanno dimostrato che è possibile aumentare questo risultato a circa 12 moli di idrogeno per una mole di glucosio.

Con l'obbiettivo di favorire la produzione di idrogeno da utilizzare per celle a combustibile con applicazione mobile o in impianti stazionari di modeste dimensioni, sono in fase di sviluppo piccoli reformer ed ossidatori parziali. Questi ultimi agiscono a temperature più basse rispetto ai reformer, per cui il loro processo di commercializzazione, con costi accessibili, è sicuramente più semplice. Nelle applicazioni mobili si spera di trarre vantaggio dall'alta densità di energia di tali sistemi e dalla maneggevolezza del combustibile per le celle. Attualmente non è ancora possibile la produzione in serie di questi impianti, che hanno solo un'applicazione sperimentale.

Un altro metodo per la produzione di idrogeno, utilizzato molto frequentemente, è il recupero dei gas residui di altri processi industriali. Essi spesso forniscono residui con alta concentrazione d'idrogeno come accade, per esempio, per i cascami dei flussi delle raffinerie di petrolio, i gas prodotti dallo scoppio delle camere di compressione, i residui dei processi delle industrie chimiche, ecc., accumulare e purificare questi gas non comporta costi elevatissimi. La maggior parte dell'idrogeno così ottenuto, viene utilizzato dalle stesse industrie che lo producono, quindi, benché questo metodo costituisca un'importante figura del mercato futuro, sembra improbabile che possa contribuire in misura significativa al soddisfacimento della crescente richiesta di idrogeno come combustibile.

Un'altra tecnologia ancora in fase sperimentale è la radiolisi. Essa consiste nella separazione delle molecole dell'acqua tramite la collisione con particelle ad alto contenuto energetico prodotte in un reattore nucleare. Purtroppo, dato che gli atomi di idrogeno ed ossigeno così prodotti si ricombinano molto velocemente, si suppone che questo metodo non raggiunga un'efficienza superiore all'1%. Per questo motivo la maggior parte dei ricercatori considera questa tecnologia meno promettente delle altre.

Sempre nell’ambito delle tecnologie innovative, si prevede che possano essere commercializzati nel 2002 particolari impianti per il reforming del plasma. Il plasma è uno stato della materia ad alto contenuto energetico caratterizzato da alte temperature ed un’elevata ionizzazione. Rispetto agli altri processi, i reformer del plasma offrono numerosi vantaggi quali alta densità energetica, flessibilità nell’uso del combustibile, semplicità dei materiali di costruzione ed alta efficienza di conversione. Un reformer del plasma può agire in diverse tipologie di processi inclusi lo SMR, l’ossidazione parziale e la pirolisi. La ricerca attualmente si sta occupando di definire le eventuali emissioni nocive di tale processo e i metodi per eliminarle. Inoltre, si progetta la costruzione di un reattore compatto che incorpori la reazione del metano e la "shift reaction" in un’unica fase e che possa essere utilizzato anche per le applicazioni mobili.

Si stanno sperimentando anche sistemi che permettano di sostenere costi particolarmente bassi come il processo denominato Ion Transport Membrane (ITM) il quale consente la produzione di un gas di sintesi, formato da idrogeno e monossido di carbonio, ottenuto dal gas naturale. Il processo ITM prevede l’utilizzazione di membrane di ceramica, conduttrici, per separare l’ossigeno dall’aria e, contemporaneamente, convertire il gas naturale in idrogeno. L’aria viene pre-riscaldata a più di 600 °C e passata attraverso un reattore ITM il quale è composto di una membrana di ceramica non porosa che trasporta l’ossigeno verso un reticolato di cristalli. L’ossigeno a sua volta reagisce con una parete catalizzata nella parte in cui affluisce il combustibile e quindi passa sul letto a base di catalizzatori del reformer per favorire la produzione del gas. Naturalmente, il sistema ITM deve essere perfezionato tramite l’individuazione dei materiali ottimali per la costruzione delle membrane e dei processi di purificazione del gas prodotto ma se ne prevede una fase dimostrativa già nell’anno 2002.

Recentemente infine, a causa dei costi ancora eccessivamente elevati, sono stati sospesi i progetti di ricerca relativi alla produzione di idrogeno tramite gassificazione di una sostanza liquida ottenuta dal trattamento dei rifiuti solidi urbani. Il progetto presentava aspetti interessanti per il contributo che avrebbe fornito al problema dello smaltimento dei rifiuti e per la possibilità di ottenere, dopo una opportuna fase di "pre-trattamento", un materiale da impiegare integralmente e che non avrebbe posto, in seguito, il problema dello smaltimento delle scorie residue.