IL PROBLEMA DELLA CULTURA IN ITALIA: 

TUTTI DOTTORI DELLA DOLCE VITA FASCISTA… SCANDALO PER UN ARTICOLO DI FABIO FEMINO’ SU URANIA DELLA MONDADORI CHE INCITA ALL’INTOLLERANZA… E INTANTO NANNI MORETTI SI SCAGLIA CONTRO BERTINOTTI E COMPAGNI OTTENENDO IL PLAUSO DEGLI SPIRITI LIBERI 

Di GIUSEPPE IANNOZZI

Il problema della cultura in Italia non è nuovo: se ieri esisteva l’impossibilità pratica a crearsi una propria disciplinata formazione culturale perché l’analfabetismo era ancora diffuso e i pochi che sapevano leggere e scrivere detenevano il potere, oggi che l’analfabetismo è pressoché scomparso o quasi, l’Italia rimane comunque un paese essenzialmente povero sotto il profilo intellettuale.

Il problema cultura è sempre stato identificato come una mancanza di interesse da parte dell’italiano medio nei confronti della lettura: questa analisi poteva andare bene negli anni dell’immediato dopoguerra, ma già negli anni Cinquanta e Sessanta la cultura ha risentito d’un cambiamento radicale, infatti, sull’onda degli entusiasmi del Sessantotto, molti si sono prodigati a formarsi intellettualmente arrangiandosi a studiare nelle biblioteche e a trovare libri in prestito presso amici e conoscenti più o meno abbienti. Per un breve periodo l’italiano medio è stato fortemente attirato da tutto ciò che era fonte culturale: gli anni Sessanta hanno prodotto nel piccolo borghese così come nel proletario la volontà a scoprire quelle fonti di conoscenza che durante la Seconda Guerra Mondiale gli erano state proditoriamente negate. Molti si sono fatti una cultura, molti hanno seguito le nuove correnti ideologiche, molti hanno persino cercato di capire perché l’Italia era così affamata di cultura: non rari i casi di persone che si sono fatte da sole, per così dire, impegnandosi a scoprire la cultura underground e quella del già famoso Umberto Eco e suoi discepoli. L’Italia, insomma, era profondamente affamata di ogni cosa: guardava all’America e la disprezzava (almeno l’area di Sinistra), ma anche i giovani fascisti non amavano più la loro condizione di ignoranza e si sono impegnati a studiare per diventare gli imprenditori di oggi. Il libro divenne qualcosa di pagano ma paradossalmente sacro e poco importava se il libro era la Bibbia o il Capitale di Marx, ciò che maggiormente premeva a tutti era di uscire dall’ignoranza. I giovani degli anni Sessanta, non si può negare, che si prodigarono non poco per darsi un’aria intellettuale: i cliché dell’intellettuale riconosciuto erano quelli di chi con la cravatta e di chi con la camicia rossa sbottonata e occhiali sulla punta del naso. Purtroppo il risveglio culturale che si è avuto negli anni Sessanta è stato inficiato dall’esasperazione, ovvero tutti affannosamente cercavano di conoscere ogni disciplina negandosi così la possibilità di specializzarsi in un ramo preciso culturale. Gli sconfitti furono ovviamente i giovani proletari: ad un certo punto l’imprenditoria delle tangenti e delle raccomandazioni si era già imposta sul mercato culturale/politico come una forza inamovibile, e per il proletario intellettuale fu impossibile far valere le sue ragioni e la sua verve imparata nelle biblioteche. Presto ci si rese conto che l’Imprenditoria capitalistica aveva messo mano sulla cultura e l’aveva fatta sua: l’editoria divenne subito un affare commerciale e persino quegli editori dichiaratamente di Sinistra evitavano come la peste di aver a che fare con un proletario che aveva delle idee da proporre e magari da pubblicare. Se il fascismo aveva bruciato i libri perché li temeva, la presunta morte del fascismo ha dato nuovo valore ai libri, ha dato così tanto valore alla cultura che praticamente l’ha raccolta tutta nelle sue mani. Gli editori hanno cominciato a proporre sul mercato editoriale libri e di Destra e di Sinistra perché il libro è stato subito  considerato un prodotto: e quando il proletario intellettuale si è reso conto che il libro era ormai diventato un prodotto in mano dell’editore ha lasciato perdere ogni ambizione intellettuale. I libri ridotti a mero prodotto commerciale non potevano più servire ad una cultura libera: com’era pensabile di acquistare le opere di Gramsci o di Marx ad un prezzo di copertina imposto dal capitalismo? Non era pensabile. E il proletario, con il suo magro stipendio, alla fine si è visto costretto a dichiararsi sconfitto perché il suo stipendio non gli poteva certo assicurare la necessaria sussistenza alla famiglia e alla cultura; a questo punto il proletario è diventato proletario in tutti i sensi, si è dedicato anima e corpo al suo lavoro in fabbrica e ha riposto la sua fiducia, la sua speranza nei figli. L’ambizione più grande di un proletario degli anni Settanta è stata quella di avere dei figli da poter mandare a scuola per farne dei dottori, degli avvocati. Con grandi sacrifici molti sono riusciti a far diventare i propri figli delle persone che contano nella società, ma sono stati molti di più quelli che ai loro figli non hanno potuto far altro che assicurare loro la sopravvivenza/schiavitù in fabbrica. Intanto l’elite degli intellettuali di Destra e di Sinistra durante gli anni Settanta hanno cominciato a scannarsi fra di loro a colpi di pubblicazioni e vaghe discussioni filosofiche; pochi, pochissimi intellettuali di Sinistra sono rimasti veramente fedeli alla Sinistra, pochi spiriti liberi sono riusciti a rimanere veramente liberi. Negli anni Ottanta, gli anni della cultura dell’immagine, pochi intellettuali sono stati fedeli a se stessi: Pier Vittorio Tondelli e Aldo Busi durante gli anni Ottanta hanno prestato il loro ingegno, la loro sensibilità creativa all’Italia, Umberto Eco invece ha prodotto romanzi e saggi che i più non hanno mai compreso appieno, troppo difficili per una Italia invasata dal demonio dell’immagine. La morte di Pier Paolo Pasolini, il suo omicidio, negli anni Settanta non ha solo tolto al mondo un grande intellettuale, la sua morte ha soprattutto segnato la sconfitta degli intellettuali di Sinistra, degli spiriti liberi, e gli anni Ottanta per i pochi spiriti liberi sopravvissuti sono stati veramente duri se non impossibili. Forse solo Aldo Busi a metà degli anni Ottanta ha saputo elevarsi al di sopra delle inutili dispute filosofiche intorno all’arte, ha saputo essere un vero spirito libero lasciando a Dario Bellezza, Alberto Bevilacqua e compagnia bella il triste e ingrato compito di portare avanti le diatribe intorno al mondo della cultura. 

Gli anni Ottanta hanno prodotto cultura dell’immagine, questo l’ho già ampiamente specificato in tanti altri miei scritti apparsi sulle colonne di questo nobile giornale, il Daily Opinions, quindi non mi sembra il caso di parlarne ancora in questa sede approfonditamente: chi ha voglia di saperne di più circa gli anni Ottanta non ha altro da fare che sfogliare il Daily Opionions e troverà sicuramente parole illuminanti. Beh, sia chiaro, io non sono l’Onnisciente ma penso che grandi parole siano state spese e da me e da Guido Ferranova circa gli anni Ottanta e la cultura imperante del capitalismo. Arriviamo dunque agli anni Novanta: Internet è stata la rivoluzione, finalmente tutti hanno avuto la possibilità di esprimere la loro propria opinione attraverso le pagine elettroniche di Internet. Internet, per un po’ di tempo, è stato un territorio libero, veramente libero dove chiunque poteva tranquillamente esprimere la sua opinione, ma come tutte le cose belle anche Internet, una volta diventato tanto popolare, è passato sotto le mani degli editori del capitalismo. In breve tempo molti quotidiani cartacei hanno invaso la rete proponendosi ai lettori nella loro versione elettronica e multimediale; poi è stato tutto un gran casino, perché tutti si sono rivolti ad Internet e oggi il cinquanta per cento delle informazioni passano attraverso la rete. Ma le informazioni che la rete lascia passare sono veramente tali? No. Il cinquanta per cento della rete è infestato da siti porno, il restante quaranta per cento, più o meno, è un Grande Fratello multimediale con scopi promozionali politici-religiosi di controllo sulle masse, rimane un dieci per cento occupato da pochi siti veramente interessanti (!), perché questo dieci per cento dev’esser spartito fra chi fa informazione sul serio, da chi ha voglia solo di gettar fango sulla reale informazione, da chi può permettersi di invadere la rete perché tanto ha soldi da buttar nel cesso proponendo siti del tutto inutili ma comunque legali.

Facciamo un passo indietro, la cultura del libro negli anni Novanta: i giovani in questi anni non ne volevano sapere di leggere un libro. Ed ecco la crisi editoriale. Questa si è manifestata soprattutto con un calo delle vendite in libreria: il prodotto-libro ha cominciato a funzionare davvero male, gli editori si sono visti costretti a proporre sul mercato sempre più libri senza un vero contenuto, belle copertine, e così l’editoria è entrata nei supermarket e nelle edicole. Il mercato editoriale proiettato nei luoghi del grande consumo di massa ha funzionato a metà perché di fatto chi non leggeva prima ha continuato a non leggere, chi invece è rimasto abbacinato dalle copertine patinate ha pensato bene che forse qualche libro poteva stare bene con l’ambiente di casa perfettamente in stile new age. Ma negli anni Novanta abbiamo almeno due grandi casi editoriali, due libri che nel bene e nel male hanno letto più o meno tutti, persino i più riottosi, perché costretti quasi a forza, infatti Come un romanzo di Daniel Pennac e Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro erano in ogni dove, persino nelle toilette per men and women al posto della carta igienica. In questi anni tutti si sono vestiti di buonismo letterario, tutti si sono dichiarati lettori entusiasti: chi non leggeva la Tamaro era una persona fuori dal mondo, un asociale, un libro che alla fine ha finito col vendere nel mondo molte più copie del Nome della Rosa di Umberto Eco, e io oggi ancora mi chiedo come ciò sia stato possibile, infatti per come la Tamaro si era imbarcata bene con il suo Va’ dove ti porta il cuore mi aspettavo almeno almeno che le venisse attribuito il premio nobel per la pace, un nobel per la pace ironica, ovviamente. Il libro della Susanna Tamaro è quanto di più intollerante il mercato editoriale italiano abbia mai prodotto: infarcito con un finto buonismo, il romanzo è un vero e proprio manifesto littorio, un manifesto che alla fin dei conti assevera che il cuore non può che stare in famiglia e in chiesa, se uno ha poi desiderio di andare altrove con il proprio cuore allora deve ritenersi un sovversivo e un nemico della società. Comunque non è neanche poi tutta colpa della Tamaro: sull’ondata dello spirito di moda della new age era inevitabile che un libro del genere venisse scritto, probabilmente se non l’avesse scritto lei, sicuramente l’avrebbe scritto Alberto Bevilacqua o addirittura Umberto Eco, quindi la Tamaro ha solo seguito la corrente e ha avuto fortuna, forse un po’ troppa. Come un romanzo di Daniel Pennac non è stato tormentone minore di quello della Tamaro casa & chiesa: un libello apparentemente innocente è diventato arma in mano a potenziali lettori e editori. I famosi dieci comandamenti contenuti in questo libro hanno fatto di quelli che potevano essere potenziali lettori di altri libri dei semplici disfattisti, quelli che alla fine hanno optato per acquistare libri dalle copertine patinate convinti che leggere anche solo il titolo di copertina e la quarta di copertina fosse farsi una autentica cultura. Ovviamente Pennac non ha mai detto di leggere la quarta di copertina: il suo messaggio era ben chiaro, peccato che gli italiani degli scioperati hanno interpretato Come un romanzo di Pennac con troppa frivolezza e civetteria: gli italiani che hanno letto il Pennac di Come un romanzo erano convinti che il professore francese invitasse il pubblico a leggere solo quello che a loro discriminatorio giudizio poteva servire in qualche modo a formare la cultura di un popolo. E gli italiani, ovviamente, si sono detti: allora per noi è sufficiente che si legga solo la quarta di copertina, poi i libri li mettiamo in libreria perché lì ci fanno proprio una bella figura e chi li vede ci dirà sicuramente che siamo persone colte.

Oggi che il Duemila è il nostro barbaro oggi partorito dal medioevo del XX secolo i lettori non esistono proprio più, neanche quelli che negli anni Novanta si affannavano dietro le copertine patinate di libri e riviste: non si legge più nulla, neanche le istruzioni per la carta igienica (oggi ci vuole una laurea in ingegneria perché un comune mortale capisca a cosa serve la carta igienica… molti pensano che essa sia uno strumento multiuso… multiuso per cosa è poi tutto da scoprire). Internet comunque si è sostituito ai libri: all’inizio era una cosa bella, tutti potevano esprimere liberamente la loro opinione anche quando non avevano un cervello dalla loro per manifestare segni di intelligibile intelligenza, poi la rete è stata monopolizzata e volgarizzata e globalizzata, e così adesso dobbiamo fare i conti con la “rete patinata”, e chi si sforza di fare della informazione seria, spesse volte, non viene neanche preso in considerazione, perché è ormai risaputo che tira di più una foto porno che un giornale apertamente critico. Come è potuto accadere tutto ciò? Semplicemente è accaduto perché la politica editoriale ha voluto così: gli editori hanno dato il permesso agli italiani di non leggere, hanno investito in proposte editoriali “mordi & fuggi” che durano il tempo di una moda momentanea, i grandi classici della letteratura sono stati ridotti a dispense, ecco come è potuto accadere tutto ciò. Per fortuna qualche editore serio sul mercato è ancora rimasto, ma questi sono così pochi, rare mosche bianche, che trovano davvero poco spazio sugli scaffali delle grandi librerie dei nostri centri cittadini e nessun spazio nei supermarket e in edicola.

Uno scandalo editoriale si prefigura in questi giorni contro la rivista mondadoriana per l'incauta pubblicazione di un articolo di Fabio Feminò sul numero 1433 di Urania; Fabio Feminò in un suo articolo intitolato Gli errori dell’Occidente ha avuto la sventatezza e la gran faccia tosta di asserire che in Italia vengono pubblicati solo libri su Che Guevara perché eccitano i gay, non contento di ciò con delirio littorio si è scagliato addosso a tutta la cultura di Sinistra per dichiarare alla fine che l’unica cosa che conta è l’intolleranza negando così la democrazia. Oggi la Mondadori è invasa da lettere di protesta: perché? Leggiamo insieme qualche stralcio illuminante dell’articolo di Fabio Feminò e se avete una coscienza, lettori, indignatevi: “A quell’epoca non potevo rendermi conto che in quegli anni tutta la stampa italiana era sotto controllo comunista, ‘Corriere dei Ragazzi’ incluso, e che molti paesi arabi come l’Egitto intrattenevano eccellenti rapporti con l’URSS… Il secondo errore è stato quello di non ricorrere all’unica soluzione alternativa: il massiccio ricorso all’energia nucleare. Tuttavia in quegli stessi anni sorse anche il movimento antinucleare. La simultaneità degli avvenimenti mi ha assolutamente convinto che il movimento antinucleare fu a sua volta creato e finanziato per rendere l’Occidente ancor più dipendente dal petrolio arabo… E’ probabile che tali finanziamenti siano tuttora in corso. Ma comunque ormai non servono più tanto, perché non è stato difficile trovare milioni di mentecatti che hanno fatto ricche donazioni a Greenpeace, WWF, Legambiente e organizzazioni simili, credendo che servissero per salvare le balene. Se volete la pace, sostenete l’energia nucleare… Se l’editoria non cesserà di pubblicare tre o quattro nuovi libri alla settimana su tormentoni del passato come il nazifascismo, Hitler e Mussolini, oppure su Che Guevara, ignorando invece quello che sta succedendo oggi sotto i nostri occhi adesso... perderemo. Se i giornali continueranno a seguire le direttive imposte ai tempi di Breznev, solidarizzando con gli arabi ritenuti ‘compagni’… perderemo. Se la scuola non sarà in grado di formare una classe dirigente del tutto nuova, senza più far studiare il ‘latinorum’ che io ho già detto di aver completamente dimenticato… perderemo… Ma perché gli editori italiani hanno ignorato  così precisi ammonimenti, stampando invece dozzine di libri di e su idoli del passato come Che Guevara? Probabilmente perché la sua celebre foto da supermacho eccita i ‘gay’. Se è così, prima che con Bin Laden, bisogna prendersela con gli editori italiani. Anche questo fa parte dell’ormai indifferibile risanamento della società. O perderemo.” Come commentare parole di una tale volgare virulenza pregna di ignoranza fascista? Impossibile: Fabio Feminò non ha neanche bisogno di un commento, il suo è un delirio fascista. Ma Feminò non si limita a sparare a zero contro la democrazia, fa anche assurde osservazioni scientifiche, le stesse che durante la Seconda Guerra Mondiale i fascisti e i nazisti proponevano all’opinione pubblica, infatti questo personaggio ha il coraggio di asserire che le radiazioni causate da incidenti nucleari come quelle di Cernobyl non sono nocive; leggete e provate orrore: “Cernobyl ha semmai dimostrato che le valutazioni dell’effetto della radioattività sugli uomini erano campate in aria, perché basate sullo studio dei superstiti di Hiroshima (cioè ustionati, mutilati, storpi e ciechi) o su esperimenti compiuti su pazzi abbandonati nei manicomi, ergastolani o condannati a morte, oppure su malati già terminali. Su persone sane le radiazioni atomiche hanno scarso effetto. I raggi X sono radiazioni atomiche come quelle di Cernobyl…” Questo è puro delirio. Se questa è la piega che ha preso l’editoria italiana, allora non posso che dare ragione a quanti si ostinano a non voler leggere: in certi casi è meglio una sana ignoranza intelligente piuttosto che dover aver a che fare con simili asserzioni prive di un qualsiasi valore umano, scientifico, democratico. E’ ormai chiaro che il XXI secolo è quello della disinformazione massificata e volgarizzata: se gli editori sono pronti a pubblicare simili schifezze, allora significa che gli italiani sono davvero tanto ma tanto ignoranti per non accorgersi di una simile vergogna. Io non credo che tutta l’Italia sia un popolo ignorante: ritengo che ancora molti hanno la testa sulle spalle anche se hanno dimenticato come usare criticamente il loro cervello, probabilmente hanno solo bisogno di tornare a pensare, questo è quello che io voglio sperare, mi voglio illudere che ci sia solo bisogno di tornare a pensare.

In conclusione un’ultima riflessione: in questi giorni stiamo anche assistendo al caso Nanni Moretti che senza mezzi termini ha polemizzato contro l’attuale Sinistra: che dire? Finalmente qualcuno ha le palle quadrate per parlare senza peli sulla lingua, uno spirito libero esiste ancora nel XXI secolo. Purtroppo, come ho avuto più volte modo di dire, non esiste più un netto distinguo fra Destra e Sinistra e Nanni Moretti si è opposto alla Sinistra di oggi che è lo zerbino della Destra; certamente sta rischiando grosso – pubblicità gratuita a parte che si sta facendo nel bene e nel male come artista – perché lui, da sempre considerato un rosso, oggi critica la Sinistra di Bertinotti senza mezzi termini: “Durante questa manifestazione ho avuto momenti di ottimismo. Ma dopo aver sentito gli ultimi due interventi (quelli di Rutelli e Fassino, ndr) devo dire che anche questa serata è stata inutile. Per vincere bisogna saltare due o tre generazioni? Con questi dirigenti non vinceremo mai. La ‘burocratia’ che sta dietro le mie spalle non capisce niente. La maggioranza a Berlusconi, che utilizza personaggi come Emilo Fede, che è come uno squadrista degli Anni 50 e 60, gliel’ha data l’Ulivo facendo una campagna elettorale timidissima, non gestendo l’unità e non riuscendo a fare il proprio mestiere… Gli elettori della Sinistra non meritano lo spettacolo penoso dei loro vertici”.

Ma Nanni Moretti non è nuovo a queste uscite, originali, pienamente giuste e ragionate, intelligenti e coraggiose: memorabile il suo intervento dello scorso anno da Cannes quando additò Bertinotti come responsabile della sconfitta del centrosinistra alle elezioni politiche. «Non capisco perché Berlusconi ringrazi milioni di persone: è sufficiente che ne ringrazi una sola, Fausto Bertinotti». Un grazie di cuore a Nanni Moretti, non potrei essere più d’accordo. Purtroppo di spiriti liberi l’Italia non è generosa: Moretti insieme a pochi altri non può difendere l’Italia dall’inciviltà dilagante politica e culturale. L’Italia ha bisogno di spiriti liberi e nell’editoria e nella politica, quindi spiriti liberi alzate la voce e gridate, gridate, gridate…

GIUSEPPE IANNOZZI


Qual'è la vostra opinione su questo argomento? Scrivetemi al seguente indirizzo:

guidoferranova@tiscalinet.it 


Daily Opinions

"Quello che gli altri giornali non dicono"

 

 

Per informazioni

Scrivete a Guido Ferranova E-mail:

guidoferranova@tiscalinet.it