ME NE FREGA ‘NA SEGA… NO FUTURE:

GIORGIO GABER VS JOE STRUMMER

 

Di GIUSEPPE IANNOZZI

 

“Morirei per la verità, ma dubito che la verità morirebbe per me: questa vita non ha pietà neanche per se stessa e non ha alcun istinto di sopravvivenza.”

 

Giuseppe Iannozzi

 

                                                 

 

 

Ecco, il 2002 è ormai andato, fottuto, stracciato, un niente che nessuno, o pochi, ricorderanno. Niente di nuovo. E’ normale che così sia, meno normale è la rabbia che dilaga per le strade e che urla ad ogni angolo il solito disagio giovanile e non.

Ma che diavolo sto dicendo?

Probabilmente niente di nuovo, come sempre del resto.

Ma c’è una cosa che proprio non reggo: chi si improvvisa Pasolini e manifesta ai quattro venti di voler esser processato e scambiato per vittima del sistema, dello Stato, della Destra e della Sinistra. Ma c’è proprio bisogno di scomodare i vecchi del passato per promuovere valori nuovi? Che cazzo mi significa?! Ma una cosa la so anch’io che sono un pezzo di merda che conta poco o nulla in questa Italia sempre più incazzata, un Italia che alla sera si confessa davanti al tubo catodico e dimentica che un momento prima era in piazza a manifestare contro tutto e tutti.

Ma chi ha detto che per “dire & fare” c’è bisogno di gridare? Gridare, gridare, gridare… Se volete gridare, per piacere, abbiate almeno la buona educazione di farlo senza sospetto di ipocrisia.

Viviamo il tempo degli “urlatori”; questi vanno proprio di moda e ognuno ha un motivo buono per incazzarsi. Oh, se è per questo, anche io sono incazzato & sono uno stupido urlatore, di quelli che sparano parole a raffica e che poi, in realtà, non fanno un emerito cazzo per cambiare la società. Troppe parole, e nessun fatto, è questo il fatto che mi disgusta ogni giorno di più & che mi fa dire che la nostra generazione è nichilista, mai anarchica o politicamente schierata. Ci si incazza sempre (e solo) quando vengono toccati i nostri interessi personali, poi, dopo, tutti a casa; come dire che si scende in piazza solo quando la situazione è grave davvero ed è impossibile metterci una pezza, una qualsiasi.

Se guardo a me, se guardo a chi come me, ho davvero paura perché mi rendo perfettamente conto che non c’è spazio per la mia generazione: il futuro, molto semplicemente, non è, e tanto fa.

Che cosa speriamo di avere (ottenere) dal domani? Molti si illudono che domani è un altro giorno e che le cose dovranno pur cambiare in un modo o nell’altro. Poveri illusi! Qui non cambia mai niente. Per chi se ne fosse dimenticato, siamo in Italia, un paese tanto povero nelle idee che vive in un medioevo tanto oscuro e manco se ne rende conto. I giovani come me blaterano belle parole di libertà, gridano diritti uguali per tutti, invocano la pace, si fanno in quattro per farsi spaccare la testa dai fascisti e mostrarsi vittime dello Stato, ed io provo pena per loro, per me. E’ tutto già visto: il Sessantotto ne ha contate non poche di teste spaccate, e oggi quelle teste che prima manifestavano “contro”, oggi siedono su una poltrona statale o Mediaset, & non gliene frega ‘na sega se oggi i giovani c’hanno la testa calda & aspirano a qualcosa di più che non un tenebroso vivere il giorno presente.

Io mi chiedo sempre troppe cose & mai trovo una risposta soddisfacente, ed è questo il problema vero, quello mio e di chi come me. Inutile prendersi in giro e intorno alle parole girare quasi fosse una caccia al tesoro con tanto di premio per chi scova la parola più difficile da appendere al prossimo albero di Natale al posto della stella cometa. Insomma, viviamo nell’era dei paroloni, quelli da quiz e intendiamo la vita come un quiz. Tra “ismi” e “cazzate varie” il futuro ce lo siamo giocato al lotto.

 

Domenica 12 aprile 2002, Joey Ramone moriva, moriva uno dei protagonisti della scena musicale punk e voce del gruppo Ramones.

I Ramones nacquero nel 1974, e Joey ne divenne il cantante, il leader carismatico. I Ramones hanno aperto la strada a gruppi che hanno radicalmente cambiato la scena musicale internazionale. Insieme ai Clash, sono stati quelli che hanno gridato le disgrazie, le ingiustizie del nostro mondo assurdo.

"Sono stati i padri di tutti i gruppi punk", aveva detto di recente Joe Strummer, il cantante dei Clash in una intervista. Ma anche Joe Strummer se n’è andato e il 2003 non l’ha visto neanche di striscio. Una cosa curiosa: tanti riconoscimenti, ma i Ramones non sono mai riusciti con un loro singolo a entrare nei primi 40 dischi più venduti. Tra i titoli più celebri: "Beat on the brat", "I wanna be sedated", "Now I wanna sniff some glue", "Teenage Lobotomy", "Sheena is a punk rocker". Erano troppo scomodi, dicevano parole troppo vere, non usavano prostituirsi e per questo hanno pagato. Ma fa strano che uno come Bruce Springsteen si dichiari ammiratore dei Ramones. 

Il vecchio Boss con un disco ambiguo torna a calcare le scene nel 2002: le sue dichiarazioni sono al vetriolo, di quelle che non fanno digerire e che ti fanno venir voglia di boicottarlo. Non è più il Boss degli anni Ottanta, quello che un tempo disprezzava la guerra in ogni sua forma: oggi è un uomo ben più che maturo, diciamo pure vecchio, che dopo l’ignobile attentato alle Torri Gemelle, non esita a dire che l’America si deve difendere. Insomma gli attentati si combattono con la guerra & le guerre si combattono con le guerre, questo sembra suggerire Springsteen. Ma intanto il suo ultimo album gira (e come gira) e anche in Italia il tour non gli è andato affatto male. A Bologna, Springsteen è stato seguito da un pubblico in visibilio, un pubblico un po’ addormentato che è riuscito a cantare le canzoni di “The Rising” con totale disinvoltura. Evidentemente è un pubblico che crede nella guerra del Boss o una generazione addormentata che si lascia addomesticare dal grande nome di fama internazionale. Ma anche Bono Vox, leader degli U2, ieri simbolo di una generazione che ricusava la guerra, oggi non è più lo stesso: “Sono cambiato, ma resto pacifista.” Come sei cambiato, Bono? Come fai a restar pacifista se sei cambiato? Ecco come: “E’ pure scorretto suggerire che io abbia in qualche modo cambiato idea riguardo alla ‘rappresaglia’ che seguì l’11 settembre… E’ vero che non sono un pacifista in senso letterale, così come ero negli anni Ottanta. Il mio cambiamento interiore si deve a un’incapacità personale di vivere la vita secondo le aspirazioni più alte e si deve anche, in verità, avendo oggi dei figli, alla responsabilità e alla volontà di proteggerli… Le mie energie trovano un impiego assai migliore in un altro tipo di guerra: la guerra contro la povertà e l’Aids. Dovremmo essere molto preoccupati di vivere in un mondo nel quale 2 milioni e mezzo d’africani moriranno l’anno prossimo, benché ci siano i farmaci che potrebbero salvarli… La guerra contro il terrore può dominare i mass media, sì, ma non potrà essere vinta senza vincere la guerra contro la povertà.” Parole di Bono Vox. E’ come se mi stesse dicendo che non giustifica la guerra, ma qualche vittima ci deve pur essere, perché adesso c’ha famiglia e questa viene prima di tutto, prima degli ideali. Ok Bono, va bene. Visto che sei incapace di vivere la vita secondo le aspirazioni più alte (ma negli anni Ottanta non eri dello stesso avviso), forse è il caso che tu appenda le scarpe al chiodo, o meglio chitarra e voce, e non rompi più i coglioni. Se ti piace tanto fare l’ambasciatore, o meglio, il leccaculo per il Papa e per Bush, non rompere i coglioni e datti alla politica: come “politicante” mi sembra che c’hai proprio la stoffa. 

Ma Joe Strummer, il grande leadere dei Clash, dove lo mettiamo?

"No future", il manifesto del punk è, dal 22 dicembre 2002, la realtà per uno dei suoi padri fondatori, Joe Strummer. Strummer muore stroncato da infarto quando aveva appena 50 anni; è morto senza far rumore nella sua casa di Somerset, nell'Inghilterra occidentale.

Chi ricorda London Calling?

 

LONDRA CHIAMA

 

Londra chiama le città lontane

Ora che la guerra è dichiarata e la battaglia è in corso

Londra chiama il mondo sommerso

Fuori dal guscio, tutti voi ragazzi e ragazze

 

Londra chiama, adesso non badate a noi

La beatlemania fasulla ha morso la polvere

Londra chiama, guardate che non abbiamo swing

Tranne il roteare di quel manganello

Sta arrivando l'era glaciale, il sole piomba giù

Fusione in vista, il grano viene su male

Le macchine smettono di funzionare ma io non ho paura

Perché Londra sta annegando ed io vivo vicino al fiume

Londra chiama la zona d'imitazione

Scordatene fratello e fallo da solo

Londra chiama gli zombi della morte

Smettete di resistere e tirate un altro respiro

Londra chiama ed io non voglio gridare

Ma mentre parlavamo ti ho visto distratto

Londra chiama, guardate non siamo schizzati

Tranne quello con gli occhi giallastri

Sta arrivando l'era glaciale, il sole piomba giù

Le macchine smettono di funzionare, il grano viene su male

Un errore nucleare ma non ho paura

Perché Londra sta annegando ed io vivo vicino al fiume

Londra chiama, si c'ero anch'io

E sapete cosa dicevano….

Bene qualche cosa era vera!

Londra chiama mentre arriva l'ora decisiva

E dopo tutto questo, non potresti sorridermi?

Non mi sono mai sentito così …. 

 

Joe Strummer è morto a cinquant’anni lasciando in eredità la sua coerenza, una coerenza che è quasi impossibile riscontrare in altri personaggi dello spettacolo e non.

Muore anche Giorgio Gaber il 1 gennaio 2003: ha visto di striscio il 2003.

Critiche non gli sono mancate né dalla Destra né dalla Sinistra.

Ma lo si può ricordare, al di là di tutto, con queste sue parole che sono fra le migliori che ha scritto, ricordandoci però che sono solo parole di un cantautore che cantava la rabbia, ma che nulla faceva per far della rabbia strumento reale per cambiare la realtà:

 

Io se fossi Dio...

e io potrei anche esserlo,

sennò non vedo chi!

 

Io se fossi Dio,

non mi farei fregare dai modi furbetti della gente,

non sarei mica un dilettante,

Sarei sempre presente!

Sarei davvero in ogni luogo a spiare

o meglio ancora a criticare

appunto cosa fa la gente.

Per esempio il piccolo borghese

com'è noioso,

non commette mai peccati grossi,

non è mai intensamente peccaminoso.

Del resto, poverino, è troppo misero e meschino

e pur sapendo che Dio è più esatto di una Sveda

lui pensa che l'errore piccolino non lo conti o non lo veda.

 

[…]

 

Ma in fondo tutto questo è stupido

perché logicamente

io se fossi Dio,

la Terra la vedrei piuttosto da lontano

e forse non ce la farei ad accalorarmi

in questo scontro quotidiano.

 

Io se fossi Dio,

non mi interesserei di odio o di vendetta

e neanche di perdono

perché la lontananza è l'unica vendetta

è l'unico perdono!

 

E allora

va a finire che se fossi Dio,

io mi ritirerei in campagna

come ho fatto io...

(da Io se fossi Dio)

 

 

Gaber è stato un personaggio scomodo, inutile negarlo, ma è stato soprattutto un anarcoide (e non un anarchico), e questo suo modo di essere ha dato vita a diverse interpretazioni del “Signor G”. Alcune sue liriche sembrano che diano addosso agli operai, altre ancora hanno un sapore razzista contro i gay, e altre ancora sembrano sputare addosso anche contro l’anarchia e il comunismo:

 

“Anarchico a me!? Ah, ah! Sono un demonio io, una belva umana, altro che anarchico. Sono dotato di una tale dose di cattiveria da affossare tutte le guerre del mondo.

Sono anche brutto, per rappresaglia. Fascino zero. Forse sono malato di fegato, ma non mi curo, così imparano!

Anarchico. Gli anarchici amano l'umanità. Sono una merda io, altro che anarchico. A me l'umanità mi piace guardarla dall'alto. A volte spengo la luce e mi metto alla finestra…”

(da L’anarchico)

 

“Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo. Perché sentiva la necessità di una morale diversa. Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.

Sì, qualcuno era comunista perché, con accanto questo slancio, ognuno era come… più di sé stesso. Era come… due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall'altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita.

No. Niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare…come dei gabbiani ipotetici.

E ora? Anche ora ci si sente come in due. Da una parte l'uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana

e dall'altra il gabbiano senza più neanche l'intenzione del volo perché ormai il sogno si è rattrappito.

Due miserie in un corpo solo.”

(da Qualcuno era comunista)

 

No, Gaber non è mai stato un anarchico né un comunista né altro. Un anarcoide, ma niente di più. Ma ciò che più fa indispettire è che oggi, dopo la morte del Signor G, tutti (o quasi) sono pronti a tesserne le lodi. Al funerale, era presente anche il nostro tanto amato, e onnipresente, Silvio Berlusconi. Ok, non è poi troppo strano se si tiene conto che il Signor G ha rilasciato dichiarazioni abbastanza ambigue dove diceva che avrebbe votato per “Forza Italia”. Una provocazione? Se è una provocazione, quella di Gaber è comunque molto pesante.

 

“CNN Italia” ecco come annuncia la scomparsa del Signor G:

 

“Gaber non perdona, non ha mai perdonato. Cattivo, sì, ma cattivo quando ci voleva, mettendo in berlina i vizi e i vezzi soprattutto di una certa generazione di intellettuali, riconoscibili nel popolo di sinistra. La stessa generazione a cui farà perdere la sua guerra nel suo ultimo disco: "La mia generazione ha perso", uscito nel 2000, primo disco in studio da oltre 20 anni. Non è il caso a Gaber morto di elevare solo peana. Critiche, grazie a dio, non gli sono mancate, Da destra, ma anche da sinistra. Gaber-borghese, Gaber-opportunista, Gaber-nichilista, ma non a caso tutte critiche che si riferiscono a lui come ci si riferisce ai "maestri del pensiero" e non a quello che, in fondo, restava un cantautore, anzi cant-attore. Perché tra l'altro da molti anni Gaber non scriveva più i suoi testi, o comunque non li scriveva da solo, ma con Sandro Luporini, il suo alter-ego ancora più misterioso e misantropo di lui, artista viareggino, pittore di professione, ma sodale di Gaber in tutte le sue escursioni teatrali, ma il sodalizio tra i due parte addirittura nel 1961 con "Suono di corda spezzata", una canzone minore, ma con un testo ancora interessante.”

 

Mentre “La Repubblica”:

 

“Ma chi ha davvero una risposta per un amore che finisce, come dirà nelle parole de Il dilemma, la sua canzone probabilmente più bella. Sono gli ultimi anni della sua carriera, e sono lontani i tempi della clamorosa invettiva contro Aldo Moro, pronunciata in Io se fossi Dio dopo l'uccisione da parte delle Brigate Rosse. Ma Gaber non ha smesso mai del tutto di parlare di "politica". Solo che la sua politica, il suo mondo, sono ormai il teatro di una sconfitta. Lo dirà nel suo ultimo lavoro, La mia generazione ha perso, prima di un nuovo disco ("Io non mi sento italiano") che ora uscirà postumo.

Una sorta di testamento, anche se sfogliando gli spartiti e i testi di trent'anni di teatro-canzone, almeno un altra pagina meriterebbe di recitare, insieme al suo autore, l'epitaffio per una vita d'artista vissuta pericolosamente in bilico tra dramma e sarcasmo. "Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri...", cantava Giorgio Gaber raccontando l'anima e il cuore di una generazione. Quella che ha perso, certo, ma che probabilmente se n'è andata con lo stesso sogno di allora.

(1 gennaio 2003) “

 

E per i suoi funerali, sempre su ”La Repubblica”:

 

“Un lungo applauso per Giorgio Gaber, ai funerali che si sono svolti oggi pomeriggio all'abbazia di Chiaravalle, e a cui hanno assistito circa diecimila persone. Il feretro, portato a braccia per un centinaio di metri, è stato seguito dalla moglie Ombretta Colli, dalla figlia Dalia e dal genero Roberto Luporini. In chiesa, ad attendere l'arrivo del feretro - oltre al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - Gianni Morandi ("era l'artista italiano che ho sempre rispettato più di tutti"); Bruno Lauzi; Memo Remigi; l'amico di sempre, Enzo Jannacci ("ho perso un fratello"); Adriano Celentano con Claudia Mori.

E ancora: il sindaco di Milano Gabriele Albertini, il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu, Lorella Cuccarini, anche Mario Lavezzi, Ricki Gianco, Franz Di Cioccio, Bruno Lauzi, Valentina Cortese, Enrico Beruschi. […]Ma non è solo Milano ad essere accorsa a salutare il suo artista. C'è anche chi è arrivato da lontano. "Sono venuto qui da Forlì a salutare il poeta della mia vita", ha detto ad esempio uno studente di filosofia. "Con la sua morte la nostra generazione - ha aggiunto una signora bionda in lacrime - oggi ha davvero perso" 3 gennaio 2003”

 

E ancora da “La Repubblica”, qualcuno ricorda così il Signor G:

 

“[…]La televisione, che insieme al rock'n'roll fu la sua prima patria artistica, non poteva contenere né reggere una così potente smania di esprimersi. Decise così di sparire dal video e di ricomparire solo sui palcoscenici. Inventò un genere - lui lo definiva "canzone a teatro" - fatto a sua misura, a misura del suo corpo di artista. Imparò a mettersi da solo le luci (nel campo, diventò un maestro), a disegnare la scena per isolare e esaltare la sua silhouette solitaria, a orchestrare le canzoni in modo che la musica sostenesse la sua voce senza mai incombere.

Ne sortì un carisma scenico stupefacente: forse solo Carmelo Bene, in Italia, per ben altre vie e con altri linguaggi, sapeva catalizzare il flusso emotivo del pubblico con altrettanta sicurezza. Pur di tutelare il "qui e ora" del teatro, di difenderlo da ogni interferenza, evitava le interviste, e i passaggi televisivi si contano, negli ultimi venticinque anni, sulle dita di una mano: l'ultimo, quasi due anni fa, da Celentano.

Gaber era un uomo intelligente e timido. Non semplice. Non sempre afferrabile. Ha traversato la parte finale di un difficile secolo sempre in stato vigile, quasi febbrile, meditando, leggendo, parlando con altre persone, misurando con la propria sensibilità gli umori collettivi (lui, così solitario) come per compensare il suo carattere appartato.

L’ultima volta che l'ho visto ha aperto la porta di casa, pallido e vestito di scuro come sempre, con un sorriso sofferente. Per un attimo ho avuto la percezione che il sipario non si sarebbe più aperto. Camminava a stento. Poi si girò, salì le scale, sistemò il corpo invincibile su una poltrona di cuoio, cominciò a parlare muovendo le mani, muovendo la faccia. Mi sembrò agile come sempre, vivo più che mai. Da leso, da vecchio, da stanco, più agile e più vivo che mai. Più Gaber che mai. (2 gennaio 2003)”

 

Il quadretto è abbastanza allarmante: adesso che il Signor G non è più, tutti sono pronti a scommettere che era davvero una brava persona. Mah! Sembra che tutti abbiano dimenticato le intemperanze di Gaber, la sua ostinata visione del mondo che additava contro gli operai, contro i gay, il Signor G che se ne usciva bello bello e diceva senza mezzi termini che avrebbe votato per “Forza Italia”. Ed Enzo Jannacci dice d’aver perso un fratello e spiega in un comunicato stampa: “Enzo Jannacci e la sua famiglia intendono affrontare in silenzio la perdita del fraterno amico, vivendo l´umana necessità di lasciare un tempo al dolore, a cui si aggiunge, immediata, l´angoscia per il vuoto culturale lasciato dalla sua scomparsa.” Ma Jannacci non si era forse separato artisticamente da Gaber? Mah, il mondo è strano, o meglio, i funerali sono strani: basta morire e tutti diventano più buoni e pronti a dimenticare. Anche Enzo Jannacci in simili occasioni riesce a palesare una “umanità” non troppo cristallina. Ma soprattutto, tutti sono pronti a “mitizzare”. E a dire: “Gaber era di destra”, “Gaber era di sinistra”, evidentemente perché fa comodo portarselo anche da morto dalla propria parte. Caspita! E’ proprio vero che la generazione del Signor G ha perso, ha perso nel modo più ignobile e ipocrita che si possa pensare.

Ma più ridicolo di tutti è il premio Nobel Dario Fo: “Un grande commediografo ma anche un pessimista brutale… Ma mai opportunista, anche se i politici non lo hanno mai amato perché li graffiava, anzi randellava. Il nostro incontro fu una canzone, molti anni fa si intitolava 'Il mio amico Aldo'. Lui aveva fatto la musica io recitavo le parole. Molti ricordano l'uomo di teatro, il monologatore, il cantante ma Gaber è stato un grande commediografo e questo viene ricordato poco… l'ironia, il senso del grottesco, a volte anche l'autolesionismo, il pessimismo brutale. Ma la sua non era una vena distruttiva fine a se stessa, era sempre onesto in quello che diceva. Non aveva rabbia e rancore verso le persone, semmai per la società e per la politica. Per questo i politici non lo amavano". Inutile, devo riconoscere che Fo quando ci si mette riesce a tirar giù dei pezzi di assoluta bravura. Ma Dario Fo non era quello che bastonava tutti e disdegnava l’ipocrisia? Evidentemente si è dimenticato tutti i difetti del Signor G, o meglio, è stato per lui conveniente aver dei “voluminosi” vuoti di memoria. “Non aveva rabbia verso le persone”? Ma cosa diavolo sta dicendo ‘sto premio Nobel? Di rabbia ne aveva e tanta, tantissima e nella vita e sul palcoscenico. Caro Dario Fo, ma vatti a rileggere “Io se fossi Dio” e dimmi se non spara a zero contro tutti e tutto. E adesso chi ieri l’attaccava per quel che il Signor G diceva ha partecipato con lagrime da coccodrillo al suo funerale. Non fatemi ridere. Tutto ciò è pateticamente ridicolo! Abuso di aggettivi e avverbi, perché almeno così si capisce cosa intendo dire. Non nego che sia una bella protesta quella contenuta in “Io se fossi Dio”, ma per piacere, qualche personaggio, farebbe bene a cucirsi la bocca. E la ciliegina sulla torta è quella di Carlo Azelio Ciampi, giusto per evidenziare che i politici non lo amavano: “…ha portato sulle scene una satira raffinata e costruttiva delle speranze e delle ansie degli italiani… per quarant´anni ha saputo intrecciare arte e vita italiana dando dignità letteraria e teatrale alla lingua parlata. Con uno stile originale, discreto ed elegante…”

E Sergio Endrigo:  “Io qualche volta lo criticavo. E´ stato un precursore dei tempi, ma lo criticavo in quanto idealista politico e qualunquista: oggi mi rendo conto che ha anticipato i tempi. Nessuno crede più in niente perché non c'è più niente in cui credere. Mi ricordo bene di lui quando faceva parte dei "Due corsari" con Jannacci  ancora impegnato nella riabilitazione per l'ischemia che lo ha colpito ad agosto, ma pronto a condurre oggi in seconda serata su Raidue lo speciale dedicato a Gaber. Devo a lui, come a Bindi, a Tenco, ai primi cantautori, gli inizi della mia carriera. Erano altri tempi: si andava a casa di Franco Crepax, vicedirettore della Ricordi, per fargli sentire le canzoni con la chitarra”. E Roberto Sorge, Prefetto di Milano, non lesina le lodi: "..ci mancherà sicuramente, mancherà a tutti noi. Ci mancherà la sua capacità di riflettere sulle nostre difficoltà, sui nostri problemi e anche sulle incongruenze della società. Gaber era una voce critica molto alta, una coscienza limpidissima".

Ma c’è anche la voce di Maria Monti, l'attrice che ebbe con lui una storia d'amore, tanto tempo fa, agli inizi della loro carriera, quella di Gaber e della Monti, (in realtà la Monti è stata scaricata da Gaber per la Colli quando Gaber divenne abbastanza famoso da poter far il filo alla Colli – ma questo è un pettegolezzo, quindi, lettore prendilo come tale): “Io ho già vissuto il mio lutto per Giorgio anni fa. Lasciarlo mi è costato un grande sforzo, sono stata male per più di cinque anni.” La panna sulla torta con tanto di ciliegina, ce la mette Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera: “Era un grande artista e un cantore generoso e geniale dello spirito libero e dinamico della sua Milano. Il suo sorriso e la sua satira intelligente e mai volgare mancheranno molto a tutti noi”.

E’ proprio vero, i funerali rendono tutti più buoni. Peccato che tutti, o quasi, si siano dimenticati di Sandro Luporini, l’alter ego di Giorgio Gaber. Forse Gaber deve molto a Luporini, coautore di molti, molti testi del Signor G, quindi colpevole quanto il Signor G, da ammirare quanto il Signor G. Luporini è ancora fra noi, quindi almeno un buon cinquanta per cento del Signor G è ancora vivo. Comunque non piangete e non disperatevi troppo, perché il 24 gennaio 2003 dovrebbe uscire il disco postumo di Giorgio Gaber, “Io non mi sento un italiano”. Nel brano, "Io non mi sento italiano", Gaber invita a non insegnare "ai bambini la vostra morale" perché "è così stanca e malata che potrebbe far male… Non insegnate ai bambini, non divulgate illusioni sociali. Non gli riempite il futuro di vecchi ideali. L'unica cosa sicura è tenerli lontani dalla nostra cultura. Non esaltate il talento che è sempre più spento, non li avviate al bel canto, al teatro alla danza ma se proprio volete raccontategli il sogno di una antica speranza". E se non vi basta, uscirà anche un suo libro scritto insieme al suo intimo alter ego, Sandro Luporini, “Il Grigio”, editore Einaudi, ovviamente.  Il libro è stato annunciato come un monologo “sull´impossibilità di essere felici”. “Il Grigio”, un titolo, una promessa: che dirà la coppia Gaber/Luporini? Mah, qualcosa di simile al testamento contenuto ne “La mia generazione ha perso”, c’è da scommetterci.

Ma perché ho parlato così tanto di Giorgio Gaber? Per due importanti motivi.

Ecco il primo.

Joe Strummer, molto più coerente e vero ribelle mai ambiguo, è morto e la stampa ha trattato la sua morte con poche laconiche righe e nessuna lode. Solo MTV – sì, proprio MTV che tutti gli intellettuali odiano – ha dato la notizia e si è preoccupata di dare la triste notizia esprimendo lodi per la coerenza, l’umanità, il profondo impegno politico di Strummer. Canzoni come “Rebel waltz” evidenziano l’impegno politico e umano di Strummer e dei Clash. Ecco:

 

IL VALZER DEL RIBELLE

 

Dormivo e ho sognato di un tempo lontano

Un esercito di ribelli danzava nell'aria

Sognavo mentre dormivo e potevo vedere i fuochi dell'accampamento

Un canto di battaglia nasceva fra le fiamme

Ed i ribelli ballavano un valzer

Ho ballato con una ragazza sull'aria di un valzer

Scritto per essere danzato sul campo di battaglia

Ho ballato seguendo la melodia di una voce di ragazza

Una voce che diceva

"Resistiamo finché cadiamo

Noi resistiamo finché un ragazzo sarà in piedi"

E mentre ballavamo arrivò la notizia

Che la guerra non era stata vinta

Cinque eserciti stavano arrivando

Armati di cannoni e fucili

Nel cuore dell'accampamento

La notizia dal fronte fece il giro del campo

Una nuvola oscurò la luna

Un bimbo pianse affamato

Sapevamo di non poter vincere la guerra

Così danzammo con il fucile al ritmo degli spari

In una radura fra gli alberi vidi la mia amata

Poi la terra sembrò diventare rovente come il sole

I soldati morivano e dai lamenti trapelava una melodia

Era una vecchia canzone ribelle

Mentre le nostre speranze andavano in fumo su quel campo

Tra luna ed alberi la vista mi giocò uno scherzo

Dormivo mentre sognavo e vidi l'esercito sollevarsi

Una voce cominciò ad esortare "Resistete fino alla morte"

Era un antico canto ribelle                                                                                                       

 

E come dimenticare “Hate and War”!

 

Odio e Guerra …le uniche cose che ci restano oggi

E se chiudo gli occhi

Non se ne andranno

Devi fartene una ragione

Così va il mondo Odio.. Odio…Odio

L'odio di una nazione

A un milione di miglia da casa

E sono in guerra con i tossici

A cui non piace il mio aspetto

Rimarrò in città anche se la casa crolla

Non sogno una vacanza

Quando intorno ci sono odio e guerra

Odio e guerra ….

Ho voglia di sopravvivere

Se non posso vincere imbroglio

Se qualcuno mi chiude fuori

Entro sfondando

E se vengo aggredito

Gliene restituisco il doppio

Ogni giorno lo stesso

Con addosso odio e guerra

Odio e guerra…odio tutti gli inglesi

Odio e guerra…sono stronzi come coatti

Odio e guerra…odio la buona educazione

Odio e guerra …odio tutti gli sbirri

Voglio camminare in una strada qualsiasi

Con un'aria da spostato

E non mi importa di prenderle da un qualunque greco da kebab 

 

Ragazzi, queste cose venivano dette nel 1980 (Rebel Waltz) e nel 1977 (Hate and War). Cazzo, più di vent’anni fa quando c’era ancora qualcuno che resisteva e che non si arrendeva.

Ma chi era Joe Strummer?

Ve lo dico io chi era, a voi che avete la memoria corta.

Joe Strummer nasce in una famiglia borghese; il padre, Ronald Mellor, è infatti funzionario del ministero degli esteri inglese. A causa del lavoro del padre, Joe è costretto a diversi trasferimenti insieme alla famiglia: da Ankara a Mexico City, e successivamente a Bonn. Joe ha nove anni, quando avviene il definitivo trasferimento in Inghilterra, in una casa a Werlingam, 14 chilometri a sud di Londra. Viene iscritto presso una scuola privata che Joe, già ribelle allora, non accetterà mai. La passione per la musica, questo il destino nel sangue di Joe: ascolta Rolling Stones, Them, Who, Cream, ma soprattutto bands di rhythm and blues. Nel 1970, David, fratello di Joe, si suicida. E’ una ferita che accompagnerà il giovane Joe per tutta la vita. Joe molla la scuola ed inizia a suonare la chitarra: diventa un suonatore di strada sul modello dei “buskers”.

E’ il periodo della vita negli squat: si interessa di politica, quella rivoluzionaria di Sinistra. Il suo primo gruppo sono i Vultures, una r'n'b band, e con loro affronta una serie di concerti; successivamente forma un nuovo gruppo,101'ers di cui è il leader indiscusso. Il battesimo live della band avviene al Telegraph Music Pub in Brixton. La band ha una immagine politica ben definita: bandiere rivoluzionarie e foto di Che Guevara, Allende e Marx volteggiano nell’aria ai concerti dei 101’ers, le stesse che volteggeranno ai concerti dei Clash. Joe abbandona il soprannome Woody per Strummer (strimpellatore).

La prima canzone che Joe firma è "Keys to your heart". Nel 1976, Joe assiste al concerto dei Sex Pistols: è il momento della svolta. Pochi mesi dopo incontra i compagni di viaggio Mick Jones, Paul Simonon e Bernie Rhodes. Sono i CLASH. Il resto è storia. Dopo lo scioglimento dei Clash, Joe si mette alla prova come attore: compare in alcuni film come Sid & Nancy (1986), Walker (1988) e Mistery Train (1989). Nei primi anni Novanta è apparso più volte in tour con i Pogues, mentre nel 1999 forma, insieme ad Antony Genn, i Mescaleros. Nel 1999 esce "Rock Art & The X- Ray Style", il primo disco dei Mescaleros, con il quale Joe ritorna in tour in tutta Europa; i Mescaleros sono anche in Italia a Bologna nel ’99 e propongono un ricco repertorio storico dei Clash. Il successo dei Mescaleros fa sì che i concerti proseguano anche nel 2000 sia in Europa che negli States.

L’ultimo concerto di Joe Strummer è stato a favore dei pompieri che chiedevano un aumento di salario. Strummer muore di infarto a cinquant’anni: lascia tre figlie, una moglie e milioni di fans sparsi in tutto il mondo che conoscono a memoria le sue parole, che ricordano perfettamente le battaglie sostenute da Joe Strummer per boicottare il sistema, per rendere la società un po’ migliore, per aiutare gli indigenti e chi vive ai margini della società. Tutto questo è stato Joe Strummer, ma la stampa italiana, ingenerosa come sempre, pare che si sia dimenticata del valore umano e politico di Strummer.   

Forse il manifesto del punk è stato “Nessun Futuro”, ma ragazzi!, guardatevi intorno e ditemi che futuro vedete? Io non vedo nessun futuro. Vedo solo un ghetto dove i poveri verranno imprigionati.

Ed ecco il secondo motivo.   

La Fiat… La Fiat… La Fiat… Cosa è successo alla Fiat? Ai suoi lavoratori, soprattutto.

In mancanza di un accordo scattano i licenziamenti per oltre 8.000 operai.

In vista del D-Day, si è tenuto, il 4 dicembre 2002, a Palazzo Chigi un vertice al quale hanno partecipato il presidente del Consiglio, Berlusconi, il ministro dell'Economia, Tremonti, delle Attività produttive, Marzano, del Welfare, Maroni, delle Politiche comunitarie, Buttiglione, dell'Ambiente, Matteoli e il sottosegretario al Welfare, Sacconi. Quest'ultimo si è così espresso: "E' una situazione molto aperta, credo che ci possa essere un vero negoziato… Fino ad ora il vero negoziato non c'è stato, un negoziato che favorisca i termini per un accordo-ponte. Non ci sono sul tappeto discorsi di finanza straordinaria.” E i sindacati hanno risposto: "Se partono le lettere, la reazione sarà pesante e dura". Questa la giusta minaccia da parte del segretario generale della Cisl, Pezzotta. Pezzotta ha ribadito: "Credo che uno degli obiettivi è cominciare a dire: non fermiamo nessun sito e nel frattempo andiamo avanti con la trattativa".

Scrive Paolo Baroni su “La Stampa” del 02/01/2003: “La Fiat va avanti col piano di rilancio del gruppo approvato dal consiglio di amministrazione d'intesa con governo e banche. Ieri con una breve dichiarazione Umberto Agnelli ha stroncato ogni illazione su possibili modifiche sia degli assetti azionari come dei piani industriali e finanziari del gruppo. “L´unico piano per la Fiat - ha dichiarato il presidente dell´Ifil - è quello del cda”. Martedì scorso sui quotidiani italiani, in alcuni casi anche con grande enfasi, era stata riportata la voce di un possibile nuovo piano di salvataggio messo a punto da Roberto Colaninno. Ieri è stata la volta del New York Times che in un articolo ne ha rilanciato la fattibilità. “In linea di massima è tutto fattibile”, aveva dichiarato al quotidiano americano un dirigente del Lingotto che basava essenzialmente il suo ragionamento sulla certezza che “Colaninno ha i soldi”. […] “Apprezzo l'interesse dimostrato - ha dichiarato Umberto Agnelli - ma vorrei ancora una volta ricordare che esiste un solo piano approvato dal consiglio di amministrazione Fiat e concordato con le banche creditrici ed il Governo”. Il presidente dell´Ifil, quindi, è tornato a confermare “il pieno sostegno degli azionisti ai responsabili Fiat, impegnati nella progressiva realizzazione di questo piano. La priorità assoluta per Fiat Auto oggi - ha concluso Umberto Agnelli - è lavorare con serenità per fare avanzare gli impegnativi progetti industriali in corso. Questa è la via per avere al più presto nuovi prodotti competitivi che consentano ai clienti di preferire le autovetture Fiat, Lancia e Alfa Romeo”. L´ipotesi-Colaninno, dopo il no grazie della proprietà, non scalda nemmeno i sindacati. Per il leader della Cisl, Savino Pezzotta, non si deve escludere l'ingresso di altri industriali privati nel gruppo torinese, ma “al momento la cosa più urgente da fare è riaprire il confronto tra azienda e sindacati al quale il Governo non può solo assistere. Il primo obiettivo di un sindacato - afferma Pezzotta - è che il Paese non abbandoni il settore dell'auto. Bisogna fare dunque qualsiasi tipo di sforzo in questa direzione. È per prima lo deve fare l'attuale proprietà. Certo - prosegue il segretario Cisl- se la proprietà non è in grado di fare questo sforzo, oppure non lo vuole fare, allora non escludo l'intervento e la partecipazione di altri industriali privati”. Gli fa eco Luigi Angeletti: “Abbiamo bisogno di azionisti che credano e siano disposti a scommettere sul futuro del settore auto e che abbiano le risorse per farlo. Dunque, ben venga chiunque risponde a queste caratteristiche”. Quindi il segretario generale Uil aggiunge: “Se ci sono privati che hanno la forza di entrare nell'azionariato Fiat bene, altrimenti ci dovremo rassegnare a un intervento pubblico”. La Cgil invece non tifa “per alcuna cordata”. Spiega il segretario confederale Carla Cantone: “Prima di dare giudizi su chi si fa avanti bisogna capire bene come stanno realmente le cose. Per noi il punto vero è se ci sono le condizioni per riscrivere un piano che rilanci davvero Fiat e il settore auto. Poi se ci sono investitori privati davvero interessati ben vengano. Ma il giudizio lo daremo quando avremo di fronte un piano diverso”.

Si parla di una ripresa della Fiat, ma intanto oltre 5.000 onesti lavoratori, padri di famiglia, sono a casa in stand by. E tanti sono stati licenziati e altri ancora stanno aspettando, purtroppo, la fatidica lettera. Ho visto uomini di quarant’anni piangere come bambini, ho visto uomini disperati, ho visto uomini pieni di rabbia, ho visto uomini manifestare lungo le strade di Torino, ho visto uomini che non avevano più lagrime, ho visto uomini impotenti, ho visto uomini disperati, ho visto uomini che gridavano di non avere più un futuro, ho visto uomini nascondere la faccia fra i palmi delle mani vergognandosi d’aver perso il posto di lavoro, ho visto uomini a cui è stato negato il diritto d’esser uomini, ho visto uomini maledire Dio, ho visto uomini maledire Agnelli, ho visto uomini maledire Berlusconi, ho visto uomini maledire il Governo, ho visto uomini impotenti, ho visto troppo e il mio animo è diventato una pietra che mi ha sprofondato in oscuro futuro, in un “non futuro”. Ma come cazzo funziona ‘sto mondo senza più legge ma invaso da padroni? Funziona perché i padroni continuano ad esistere & noi permettiamo che esistano, noi “arrabbiati” che continuiamo ad urlare la rabbia agli angoli di strada, ma che non facciamo azioni concrete perché la situazioni cambi. Quanto credete che valgano queste mie stupide inutili parole? Niente. Sono parole di uno che è incazzato, di un urlatore, di un arrabbiato che sa solo una cosa: NOI NON ABBIAMO FUTURO. A canzonette non si fanno rivoluzioni mi sembra che dicesse un cantautore, Francesco Guccini. E’ vero: con le parole non si fanno le rivoluzioni. E’ troppo semplice andare in piazza e manifestare il proprio dissenso e poi tornarsene a casa con la faccia dello sconfitto. E’ troppo facile anche per me. E ciò che è più tragico, in questa commedia tragica che è la vita, è che io stesso non ho una soluzione reale da suggerire. Posso solo urlare, perché questa è l’unica libertà fittizia che ancora lo Stato mi ha lasciato. A cosa è servito il Sessantotto? A un cazzo, ecco a cosa è servito. E’ una leggenda che pochi ricordano & chi la ricorda la ricupera per scrivere libelli nostalgici, per raccontare un tempo che ha visto i suoi protagonisti sconfitti & che oggi non disdegnano di farsi staccare un pompino dalla loro segretaria mentre scrivono la parola “Fine” su l’ultimo capitolo d’un libro che ancora una volta ci parlerà del Sessantotto, & che probabilmente verrà pubblicato da una grande casa editrice. Sì, un libro che verrà pubblicato da una grande casa editrice, una di quelle che si può permettere una massiccia distribuzione. E volete sapere perché pubblicheranno ‘sto fottuto libro? Perché è un modo come un altro per far vedere agli italiani che la libertà esiste ancora & che nessuno ha intenzione di censurare nessuno. Niente di più falso. La libertà non esiste, non esiste più da un sacco di tempo. Si spaccia informazione rivoluzionaria perché gli animi si inebrino con l’informazione (o dovrei chiamarla contro-informazione?) e non si mettano in testa di passare all’azione. Personalmente sono arcistufo di sentire i giovani per le strade a gridare come Pasolini impazziti; sono incazzato con chi dalle colonne dei giornali grida che si vuole immolare sull’altare della libertà; sono schifato da chi mi spara a raffica, prendendomi alla schiena, le sue pallottole di buonismo, le sue innocue pallottole incazzate, le sue tronfie parole. Sono stufo di chi si crede tutto perché crede che gridare e proporsi come modello “agnello sacrificale” sia l’unico modo per ottenere giustizia da uno Stato che la giustizia non sa più dove sta di casa. Sono stramaledettamente incazzato con tutti quelli che parlano di rivoluzioni impossibili & pubblicano per i padroni, perché c’hanno la casa editrice che tira e assicura una massiccia distribuzione. Sono incazzatissimo come mai lo sono stato in questo periodo storico di merda. Sono incazzato con chi si inventa rivoluzioni  per darle in pasto alla carta stampata, sono incazzato “CON ME STESSO PERCHE’ IO SONO IL PEGGIOR NEMICO CHE POTESSI INCONTRARE SULLA MIA FOTTUTA STRADA SENZA FUTURO”.

E sono stufo di “sedere la mia sedia” & pregare che non mi facciano fuori, perché anche io ho bisogno di lavorare. E sono stufo di pregare per ogni singola sciocchezza. Odio i quiz a premi, odio i premi letterari, odio tutto quello che è una scommessa & soprattutto odio chi tenta di ridurre la mia vita ad una scommessa giocando con dadi truccati, perché è ora che ce lo mettiamo in testa una volta per tutte: tutto è falso. Odio dirmi “libero” quando la libertà la vivo fra le sbarre di chi ha progettato il mio destino dalla nascita fino alla morte. Sono stufo di farmi raccontare la libertà come fiction in romanzetti da quattro soldi. Sono stufo, così stufo da sentirmi arido di dentro. E quando questa mia rabbia si esaurisce nelle parole che ora sto scrivendo, mi faccio tremendamente schifo. E non fotte un cazzo se faccio abuso di avverbi e aggettivi, se metto a nudo il mio “io”, perché il mio io non è mio, è un “IO COMUNE”, quell’IO che noi “arrabbiati” abbiamo & che quasi ci vergogniamo di mostrare alla luce del sole, un sole sempre più negro, sempre più malato di retorica. Sono stufo, incazzato marcio, di dire “io sono questo e quello & mi sento così piuttosto che così e così”. Il fatto è che non ho soluzioni, ma riesco ancora a distinguere il falso dal vero, riesco ancora a distinguere la vera informazione dalla falsa. E ci vuole davvero poco, perché se tutto è falso, va da sé che informazione reale non esiste. Morirei per la verità, ma dubito che la verità morirebbe per me: questa vita non ha pietà neanche per se stessa e non ha alcun istinto di sopravvivenza.

Devo scegliere da che parte stare, se con Joe Strummer o con Giorgio Gaber. Non è una scelta difficile, anzi non è neanche una scelta perché è chiaro che sto con Joe Strummer & rifiuto l’ambiguità di Gaber.

Oh, anche io ci sono cascato, anche io amato visceralmente Gaber, ma sono stato un incosciente perché l’ho amato totalmente e incondizionatamente. Ma adesso so che posso amare Gaber solo come artista, ma non come uomo, so che non mi posso seppellire con lui e le sue canzonette belle da ascoltare, ma che all’atto pratico sono un ambiguo nulla che nell’aria svapora. Ma direte voi che anche Strummer è sotto terra? Ve lo concedo. Ma c’è modo e modo di finir nella tomba. Strummer ha cantato il “non futuro” e ha combattuto per tradurlo in futuro, invece Gaber ha semplicemente gridato portando avanti il ruolo del cantautore. Anzi del mezzo cantautore, perché la più parte dei testi li ha scritti in coppia con il suo alter ego. Strummer, sino alla fine, ha combattuto contro le ingiustizie, non si è limitato a cantarle. Gliene fregava un cazzo a lui di cantare se non tentava almeno di tradurre le sue parole in realtà. Se c’è un immortale, quello è Joe Strummer e non Giorgio Gaber. Con la poesia rosicata fra i denti non si fanno le rivoluzioni.

 

In quanti siete disposti ad odiarmi?

Sapete che me ne frega ‘na sega.

E il perché è semplice: io ho urlato ancora una volta inutilmente, ma questa volta ho urlato l’”IO COMUNE” di tutti gli arrabbiati, di tutti gli urlatori.

E non ho alcuna intenzione di immolarmi fintamente per essere un urlatore, non sento il bisogno di gridare “fatemi fare la stessa fine di Pasolini”. Le vittime non esistono in questo caso. Gli urlatori che urlano per il semplice piacere di gridare mi fanno solo schifo. Quindi io mi defilo, esco da questa razza di urlatori con tante parole in bocca,  ma che non fanno un cazzo per cambiare il mondo.

Non ho una soluzione, ma non mi lascerò imprigionare dalla falsa libertà urlata che qualcuno vorrebbe che digerissi come se nulla fosse.

No, un piano non ce l’ho. Ma sono stanco di “sedere la mia sedia”, quindi mi sparo una sega che almeno qualcosa di concreto la faccio. Bella forza! ‘Na sega è ‘na sega. Niente di più vero. Allora sapete che faccio: me ne sparo due, anzi tre, o quattro, a comando, una dopo l’altra. Me ne sparo dieci e tutte una dopo l’altra. Provateci un po’ voi e poi ditemi se è facile o difficile.

 

                                                                                                                                                                 

GIUSEPPE IANNOZZI


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