STARWAY
Imperterrita Passo dopo passo Percorro la via Lastricata di sterco Che mi schizza il volto Tra risa di scherno E alzate di spalle. Oh, collettivo disprezzo, Mia salvezza. Gli sputi negli occhi Tergono La merda che l’imbratta. Vi auguro Un felice soggiorno Tra la plastica e le rose E le luci di Natale. Ben più lieto È il mio cammino sul letame. Illusa? Forse. Ma concreta.
THE PRISON OF BRANDING
Gorgoglia Il calderone A fuoco Marchiata Da un codice A barre Temprate Di quel ferro Bollente La mia ira Inesorabili M’imprigionano Indelebili L’etichetta non cambia. “…il marchio deve restare impresso…”
PROCELLA
Candidi cimieri D'agguerriti pugnanti Sfavillano Sul poseidonico campo di battaglia Increspato come i loro volti esangui Dalla sprezzante consapevolezza Della morte Che a un di presso Abbracceranno Sfracellandosi sulle rocce.
AMANTE MEDITERRANEO (WAVES)
E gonfia il viril petto Con impetuoso moto E sprizza di mattana di libido perversa E schiuma a morte irato Urlante rabbia muta Cozzando con fragore Contro l'indifferenza Di pietra, dura, immota Che lei sì bieca ostenta Spaccando e rinnovando Il pathos del suo cor.
AUTRICE
Oh laude bramata Gloria agognata Fidenda venerata Sola Dea.
A te Per te Sub te Chino Il capo Piegata In ginocchio Il collo Inarcato
Due dita Ficcate In gola Di sbieco
Vomito a fiotti Virtuose allegorie Sinestesie toccanti Rime incatenate.
Poscia Asperrima L’arsura del rigetto Dolce La fragranza del successo Frammiste nel palato Son fervidi impulsi D’un nuovo conato
Mia unica sponte. Il resto È per forza.
SANTO NATALE (2002)
Sfavillano I nuovi pendenti Ai miei lobi, Lucciconi Allucinanti Come il dolore Che m’infliggono.
Soffio sul brodo Di buoni sentimenti Che mi scotta la lingua.
Labbra velate Di scuro belletto E limpido sorriso Celano Una smorfia disgustata.
Unghie fresche Di manicure S’intrufolano Tra I bei fiocchi Dei ricchi doni.
Scartarli? Provate piuttosto A sbrogliare Le mie viscere Annodate dallo schifo!
SONETTO AUTOLESIONISTA
Scintilla maledetta, dannazione Che dagli atri muscosi del mio cuore Anima il pravo gesto di dolore, Sacro rito di casta redenzione.
La lama inesorabile e grottesca Penetra sotto la rea carne mia, Sangue lordo di sporca lascivia La candida epidermide arabesca.
Nello scarlatto di quel rio sgorgante Dalle lacere piaghe sulla cute Insite son la bieca pena urlante
Scontata con l’infliggermi ferute E lussuriosa voluttà inebriante Che m’ha sedotta con parole mute.
ANDREA
Come scarlatto petalo di rosa Stupisce nel posarsi su candore Di landa immacolata per nevosa Tormenta, così mi colse stupore Quan tu fè ingresso in mia trista esistenza Che illuminasti dolce con bagliore. Sicchè inebriata dalla dolce essenza Emanata dal cuore tuo gentile Accolsi come dono tua presenza Provando nell’abbraccio tuo virile E nel contempo tenero letizia Come scaldata dal bel sol d’aprile. Ma come fera squallida mestizia Immobile in agguato dietro un canto Pronta stava a gittarsi con malizia. Parea dolcetto ed innocente quanto Timido bimbo il liquido incolore: Ahi, non pensai potesse doler tanto! N’era inodor, nè men che mai insapore Quel liquor cristallino come fonte Che fonte sì ti fu, ma di livore. Bottiglia galeotta, che rimonte Dense di gloria prima ti mesceva T’avea già tramutato in un Caronte: La bragia nei tuoi lucidi occhi ardeva Mentre su pelle mia, che con affetto Tua bella mano carezzar soleva Lasciavi I segni del tuo vizio gretto, Sordo all’urla d’angoscia e di paura, Essendo sfigurato nell’aspetto! Placar la pena mia fu impresa dura, Chè il mal delle ferite si sommava A quello del cuor arso nell’arsura Del fuoco che nell’intro tuo bruciava E colmo d’ira antica e tracotante Tutto sul tuo cammino devastava. Ancora soffre il corpo dolorante E forte in bocca è quel sapor di sale Di lacrime che piansi allor, tremante Per panico, per patio, per gran male. Illusa m’hai di gioie che m’hai tolto Mutandoti in un demone infernale Ma or son lungi da te, bramante molto Di riacquistare ciò che m’hai sottratto: Solo pietate pel tuo infame volto! Quel che bottiglia rea t’avrebbe fatto Crudele, sempre tu ne fosti sciente: Inconsapevol mai tu fosti affatto!
CANZONE DELLA CONFESSIONE
Come prudente assennatezza invita Audace cacciatore in bosco fitto Che perso ha cognizion di suo tragitto Emergendo da zona recondìta Dell’orgoglioso cor a ritornare Su’passi suoi, pur nel recalcitrare,
Così confesso ardita,
Accantonando dignità di gloria Eterno mio valor fondamentale, Vestendo come saio clericale Umiltà priva d’alterigia e boria Che non svilisce me recando oltraggio, Ma culmin’è dell’intimo coraggio.
ODE AD UNA POVERA ILLUSA
Flebil sol soletta gemi D’un lamento ancor puerile, Mentre com’al gelo tremi Nell’afa primaverile, E sciogliendosi tue spemi Al tepor del sol d’Aprile: Tua figura è sì penosa Di bimbetta dolorosa.
Riponesti fede e sorte In crudele ingannatore, Come in blinda cassaforte Lustra gioia di valore: Ah, visioni sì distorte Ti dè il menzognero Amore! Or ti squassa il patimento A cagion del tradimento!
Su tua pelle adesso vivi Dell’amore la doppiezza: Se dapprima tu gioivi De’ sua tenera carezza, Or tuoi occhi sono schivi, Vuoti d’ogni contentezza; Il perchè t’è arduo capire Di tuo squallido avvenire.
A me invece è dura impresa Capir com’è cagionata Sorprendente tua pretesa Di pietà incondizionata: Ti ritieni forte offesa O nell’intimo oltraggiata? Oppur vittima innocente D’ingiustizia contundente?
Infantile scioccherella! A ragion privilegiasti Di passione la favella, E tua sponte trascurasti Di rifletter: serenella A colui t’abbandonasti. Fu tua scelta ponderata Pena c’hai costì scontata!
Stai solinga, in toto avulsa Da colui ch’amasti molto: Se tuo cuore mesto pulsa, Riso s’apre sul mio volto, Rovinandomi convulsa A codesto suolo incolto. Vittimismo tuo ridesta Allegrezza come a festa!
Del patir – è mia speranza – Tesor ricco tu ne faccia, Meritata di doglianza Tragga insegnamento e taccia: Sicchè mai dimenticanza Sarà dell’avventuraccia, E alla prossima occasione Farai uso di ragione!
SENI
Sozza, pacchiana, Volgare libertina, Nell’infimo mio rango Pur trasudo Vereconda alterigia. D’un drappo gualcito Dilavato Velo I nudi seni, Miracoli celesti Di carne lasciva Mortale peccatrice.
Candidi Come neve Che soffice attutisce Ogni rumore, Succosi Come mature, dolci Pesche rosee Refrigerio Nell’opprimente Calura estiva.
Inebrianti odorano Di resinosa linfa vitale, Stillano Ambrosia divina.
Son speziali, Smercian droghe D’immediata, totale Assuefazione.
Cuori pulsanti, Pompano a fiotti Sangue rovente Nel contempo Gravido e assassino.
Prodigi geometrici Incontestabili Postulati di perfezione.
Fiera Spingo la porta del mio lupanare. ELOGIO DELLA RAGIONE
Vestal che custodisci’l foco sacro Chetante e spaventevol della Scienza, Pure sei dea, cui alto simulacro Offerte porgo ed impetro clemenza.
Fulgido astro, unica insignita Del dono di mostrar la retta via, Mai ti potrò ghermir tra le mie dita, Per quanto devotissima ti sia!
Salvare puoi con fervida tua luce Miseri bisognosi di catarsi, Quei debol che non seppero sottrarsi A Stige cui nemica tua conduce.
Vorace arpia dalla bellezza arcana, Costoro attira in infide sue trame, Osceni giochi di tormento infame: E’ la Passione, vile cortigiana!
Concupiscevo d’esser tuo possesso, Bramata ch’in mie stanze penetrasti E ansando muta nel carnale amplesso Tra voluttà e sudor m’ingravidasti.
D’allor in caldo, gonfio grembo reco Figliola tua illegittima: mai posa Mi dà, qual emozione averla meco! Coscienza ha nome, ed io ne vo orgogliosa!
Oh, scalcia la bimbetta repentina Spossandomi da vespero a mattina, Ma a lei m’appello, già che più matura Ben è di me, sì saggia e imperitura!
AD MORBUM
Dimori ne la fosca mente mia Tu che tra rosse viscere contorte Sventrandomi con lamine ritorte Ti sei insinuata in me, Patologia!
A fuoco ‘l marchio d’aspra malattia M’hai impresso su la fronte e nella sorte, Ch’ognuno scorge in me d’atroce morte Portatrice crudel, e fugge via!
Presa da maschia gelosia ossessiva, Ossessa tu m’hai fatta, delirante: Giacchè m’amasti dalla prima volta
Che vista m’hai, bramandomi esclusiva Devota serva, vittima ed amante: Maniacale passion, quea che t’ha colta!
DICHIARAZIONE
Tacciono I bambini. Radi anelli di fumo Dalle bocche Impastocchiate di zucchero.
Nell’hi-fi Gorgoglia acquosa Un’insipida minestra scongelata.
Tra I fiori di plexiglass Grosse dita Depravate Carezzano Fluenti Chiome posticcie.
Di tenero amore saffico Amo l’apatia.
MORBOSITA’
Umido schiocco Di frattaglie turgide Sul piano da macello Rosse assatanate Di sezione, viziosa Sevizia.
Ossesse insanabili Ninfomani crude, I petti gonfi D’orgasmico livore Squassa una torbida Sadica brama Di stupro cruento.
L’amore morboso È un cucchiaino raso Di zucchero spalmato Su una ferita lacera, Fino velo nuziale Invischiato di sangue infetto.
DENTRO DI ME
D’idiomi e di linguaggi una Babele Furiosa si scatena in questo ventre. Volano verbi amari come fiele, Tutti berciando nello stesso mentre: Deturpano la bocca delicata Delle mille pulzelle ivi concentre. Ognuna de la turba sciagurata Con astio le compagne maledice, Chè vede in loro sorte sua dannata. Del cupo, angusto carcere non lice Fuggire, dove tutte son recluse: E Maria casta ed Eva tentatrice Che a stare presso mai furono use, Or devono conviver ne la cella, L’una per l’altra impertinenti intruse. Miserere di me, scarna donzella Che mille identità recomi appresso, In men che ognun di lor sempre m’appella! Riuscire a stabilire un cheto nesso Tra le impunite sorde ma non mute Nell’esistenza mai mi fu concesso. Ecco che incipriandosi la cute Audaci ne le vesti lor succinte Appaion due mordaci prostitute. Abiti e toni a forti tinte tinti Dilettano pia monaca schernire: Pudori inutil suoi da tempo han vinti. La religiosa oltre non può patire Oltraggio ignominioso al sacro onore: E scaglia epiteti da non ridire, Costì perdendo innocuo suo candore! Ha dieci anni d’età la scolaretta Che della vita affronta il primo albore: Ma tra le labbra già una sigaretta E turpe turpiloquio fan comparsa, Infama la prigion che calza stretta All’ambizione da cui è riarsa, Del mondo d’intraprender la scoperta. Tal brama è inesistente oppure scarsa Nella coetanea in vezzi e trine esperta, Che ingiuria presuntosa con baldanza La fanciulletta dalla mente aperta, Ostenta sì patetica ignoranza Qual unico trofeo spettacolare: Squallida è lei ne la squallida stanza. Ma vane scaramucce, benchè amare, Son queste: ed or s’avanza una figura Terrea che fa la pelle accapponare. Scheletrica è la vecchia ne la scura Veste cadente, biechi gli occhi; l’empia Sputacchia schifida parola impura Mentre sacrale icona straccia e scempia, Per bocca sua grinzosa forte grida Il Demonio: “voler mio s’adèmpia! Soccomber possa ad ingiuriose strida Quel Dio che m’ha dannata, e la salvezza Che lo distingue presto sì lo elida!” E nello sguardo vena di tristezza Adombra di bestemmia il bianco lampo, Scoccato da una vita a pene avvezza. Dal carcer mero e nero non v’è scampo Per la sacrilega e per la bambina Che sogna d’inondare un verde campo Ridente con risata sua argentina. Sian lineamenti lor marcati o sfatti, Su tutti I volti guizza repentina Medesma brama d’uguali riscatti: E logica vorrebbe lor unione, Che tramite reciproci contatti Sedasse divergenze d’opinione. Insieme le ribalde scatenate Allora evaderebber la prigione, Divelte con vigore ferree grate: Ma fermamente ciò è negato a tutte, Al lagrimar perenne destinate Che tiene gole urlanti secche e asciutte E stilla su la gota rosso fuoco: Sconforto galeotto le fa brutte. Dio tristo le ha serrate in questo loco, Ove nolente serbar lor mi tocca: Dannate, a mio confronto, sono poco! Dicemi istinto d’ogni fulva ciocca Strappar de’ folta chioma, orripilante Delirio sgorga fuor de la mia bocca Come corrente in piena devastante: Giacchè se d’esse ognun per sè dispera, Io soffro il lamentar di tutte quante! Dall’alba dita rosa fino a sera Contendono la bella e l’invidiosa, La giovine deride la megera, Frigna la bambinetta capricciosa, In troppe si riservano la grama Soddisfazion di freccia velenosa Scagliata a quella ch’altre donne ama E forte è nel patir, che ad alta fronte Cammina nella torma che l’infama. Ah! Che mal feci, perchè mala fonte Di turbamento in corpo m’è sgorgata? Qual è di tutto ciò cagion a monte? Sola certezza è ch’Egli m’ha plasmata Nè una, nè trina a sua somiglianza, Ma scissa dentro in mille e sciagurata: E mio triste lamento di doglianza Divenne questo canto ch’or si spegne, Chè, se non troppo, detto ho già abbastanza.
ROMA, 15 FEBBRAIO 2003
Si spoglia il cielo senza alcun pudore Dellacerulea, sempiterna veste, Mentre sgargiante stria multicolore L’avvolge sopra tre milion di teste.
Non pago di brillar sulle bandiere Strette da molti in mano sì orgogliosa Ostenta’l fascinoso suo potere L’arcobaleno, donna vanitosa:
Si specchia in ogni luogo e posizione E instilla variopinto suo riflesso Nei nostri sguardi, che gran commozione Vela di lacrime alla vista d’esso.
Così marciamo, tutti omologati D’un marchio ch’esibiscon con fierezza Pure gli antiglobali più sfrenati: Giacchè quel simbol con immediatezza
Evoca quel prodigio che di tante Voci ne fa una sola, alta e vivace, E stringe in questa piazza traboccante Noi tutti paladini della pace!
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