Renzo Tomatis
« I ricercatori somigliano di più a sociologi che a innovatori rivoluzionari, si identificano, e finiscono per amare i dogmi. Come i sociologi trovano gran difficoltà a immaginare veri cambiamenti che li costringerebbero a mettere in discussione un dogma. Gli eretici sono rari tra i sociologi come lo sono tra i ricercatori e per anni chi si azzardava a sostenere che esistevano meccanismi fondamentali al di fuori del genoma nucleare rischiava l'ostracismo, se non il rogo. »
Renzo Tomatis, Storia naturale del ricercatore. Il mondo della ricerca visto dall'interno, Milano, Garzanti, 1985, p. 34.
In un'intervista di qualche
anno fa, uno dei tanti scienziati italiani impiegati in USA,
Gianfranco Delle Fave, denunciava insieme alla fuga delle menti
creative verso l'estero, il danno economico sofferto dal nostro
Paese per il drammatico ritardo accumulato nel settore della
ricerca: « L'Italia non ha brevetti. Il miracolo del Nord-Est
non è tecnologico, è commerciale. (...) Non spendere per la
ricerca è uno spreco di soldi: niente ricerca, niente brevetti.
E alla fine costa di più ».
L'accusa non è certo nuova, e s'inquadra nella costatazione
generale di un Paese ormai da decenni abbandonato alla deriva,
gestito con gretta miopia dai diversi governi che si susseguono
su un ponte di comando ogni anno più simile a uno studio
televisivo.
Lorenzo Tomatis, classe 1929, oncologo di prestigio mondiale, è
stato fra gli apripista dell'emigrazione intellettuale italiana
di massa. Studi e lunga permanenza in USA dal 1959 al 1967 lo
hanno condotto infine a dirigere l'Agenzia Internazionale per le
Ricerche sul Cancro di Lione, in Francia, dove ha lavorato
dall'età di 38 anni fino al pensionamento, sul finire del 1993.
Conosce molto bene il problema posto da Delle Fave, e su di esso
riflette da tempo, sviscerandone insospettabili risvolti di
sociologia della scienza e di politica dell'euristica in bei
saggi ed articoli quali Il laboratorio (Einaudi, 1965), La
ricerca illimitata (Feltrinelli, 1974), Storia naturale
del ricercatore. Il mondo della ricerca visto dall'interno
(Garzanti, 1985) e La rielezione (Sellerio, 1996). Il
primo di questi libri, in particolare, criticava e metteva
impietosamente a nudo il sistema accademico italiano,
meritandogli da una parte un lusinghiero successo editoriale, e
dall'altra, con l'odio di molti baroni, l'impossibilità pratica
di perseguire in Patria qualsiasi forma di carriera
universitaria.
Nei suoi scritti che a metà tra la cronaca e la riflessione si
sono affiancati ad oltre duecento studi scientifici di frontiera
(ad es. sugli effetti cancerogeni delle sostanze chimiche, già
negli anni '60) espone il tessuto umano e psicologico da cui la
scienza prende forma, e mostra che molto spesso non di buona
stoffa si tratta. E' vero: la miopia e la pochezza di una classe
politica attenta al predominio del momento anziché alle
prospettive di sviluppo si concretizza in triste inedia di spazi
e strumenti scientifici; si fa dunque impossibilità di restare,
viaggi lontani, sradicamento; ma infine giunge a riflettersi non
meno colpevole negli odi personali e nelle coazioni caratteriali
di uomini da laboratorio pronti a ingannare in nome di una
"scienza" che se in Italia è misera, altrove è
addirittura ipertrofica di emolumenti, carriere e borse di
studio, soggetta al grande affare dell'economia che è poi la
politica più avanzata nel tempo e ad occidente. La verità,
parola per antonomasia legata al concetto di scienza, la si vede
sovente scivolar via fra le righe dei saggi di Tomatis come
un'umbratile illusione giovanile, nonostante egli scriva che «
esistono ancora ragioni per non disperare ».
L'esperienza dell'accademia e dei laboratori internazionali di
vertice, del prodursi concreto del corpus scientifico condiviso
al quale ha grandemente contribuito, gli hanno insegnato molto e
le sue acute osservazioni sull'esagerazione del valore della
"certezza scientifica" e del metodo in camice bianco,
sui miti della concentrazione tecnologica, o della statistica,
per fare qualche esempio, meritano di essere letti. La
riflessione epistemologica, che tante volte pecca di astrazione
fra i professionisti della materia, è qui al suo livello
empirico e realissimo, è cosa viva, e colpisce con grande
immediatezza.
Le sue pagine avrebbero anche molto da dare a qualche politico di
buona volontà, ammesso che possa esistere una tale rarità
d'individuo. In ogni caso comporrebbero un buon breviario per i
giovani desiderosi di farsi scienziati, finché ancora in Italia
duri la possibilità almeno di cominciare, per poi andar fuori e
fiorire - possibilmente senza bruciarsi l'anima.
Peccato che nel nostro Paese, da diversi anni, i suoi libri siano
diventati introvabili.
v v v
« Sarebbe di gran sollievo poter concludere che la buona scienza e la scienza migliore è fatta da ricercatori moralmente e ideologicamente impegnati, e naturalmente impegnati dalla giusta parte. Ma come tutte le tentazioni manicheiste ci porterebbe fuori strada, verso facili approssimazioni e lontano dalla complessità dolorosa della commistione di buono e cattivo, giusto e ingiusto, bene e male, e dalle ambiguità e ambivalenze che ne possono derivare e delle quali è imbevuta non certo solo la ricerca scientifica, ma la nostra intera esistenza. Contribuisce alla complessità dolorosa della nostra condizione umana il fatto che i ricercatori impegnati non siano sempre o necessariamente i più dotati o quelli che producano i migliori risultati scientifici, e così pure che alcuni scienziati sulla cui integrità morale si potrebbero avere dei dubbi producano risultati importanti. »
Renzo Tomatis, recensione a: Robert Proctor, The Nazi War on Cancer.