Nota
Fra le varie contumelie ricevute per aver introdotto - per passione, praticamente a mie spese, e dopo quattro anni di lavoro assai poco grato - l'opera di Antonio Lima-de-Faria in Italia, sono stato accusato perfino di essere una sorta di agente intellettuale del Vaticano, senza peraltro tener conto del materialismo ateo e del determinismo di Lima-de-Faria, né del fatto che la posizione della Chiesa Cattolica nei confronti della teoria della selezione naturale è ormai possibilista. A mio parere, in ciò la Chiesa Cattolica ha dimostrato ancora una volta un grave ritardo epistemologico e scientifico, come per il caso Galileo: arriva oggi a dire ciò che avrebbe dovuto dire ieri, e lo fa quando ormai la scienza seria (ma non la vulgata televisiva) è già andata oltre.
E' difficile non sorridere di simili deliri isterici, che gridano all'eresia appena si prova a discutere l'ultima grande ideologia dei nostri tempi. C'è tuttavia meno da sorridere se si pensa che tale atteggiamento rivela un aspetto riprovevole della pratica scientifico-accademica, basata su un crivello ideologico neanche velato. Più che la diatriba evoluzionismo/anti-evoluzionismo, la possibilità stessa di intavolare un dibattito fra le due correnti è esclusa a priori con argomentazioni degne di un sacrestano di provincia o di un agit-prop; fra queste la falsa dicotomia urlata e ripetuta ad nauseam che vorrebbe opporre come unica alternativa all'evoluzionismo un mistico e antiscientifico creazionismo di stampo americano. D'altronde la diffusione di tale atteggiamento preconcetto risponde a una precisa divisione geopolitica: si può infatti discutere in termini scientifici di teorie alternative all'evoluzionismo neo-darwiniano in Russia, Francia, Germania, Svezia ma non nel mondo angloamericano, vassalli economici e culturali compresi (Italia, Giappone e Spagna in prima fila). E se si riflette sulla giustificazione "scientifica" che il darwinismo prima e il neo-darwinismo poi hanno sempre fornito all'aggressivo sistema sociale occidentale, quello dell'industrializzazione, del colonialismo e del fardello dell'uomo bianco, dell'individualismo e della lotta finanziaria, si capisce il perché del perdurare tenace di una dottrina sociologica (Malthus) come cornice paradimatica di tutte le scienze biologiche. Non soltanto tale dottrina calza come un guanto sul nostro sistema socioeconomico, ma gli fornisce una specie di giustificazione mitica, il crisma della cosa più simile alla religione che sia rimasta davanti agli occhi delle masse: la Scienza.
Recentemente qualche buontempone ha deciso di lanciarsi in una sorta di estemporanea crociata all'italiana (potenza, serietà e durata di un petardo) "contro il darwinismo". Politici di secondo livello hanno improvvisamante deciso che Darwin è "di sinistra", e va dunque eliminato, forse memori (in ritardo di trent'anni!) delle aggressioni operate negli anni '70 dal PCI nei confronti del prof. Giuseppe Sermonti, illustre genetista italiano antidarwiniano e antiscientista. Peccato che allora, quando forse sarebbe servito alzare la voce, persone come Sermonti o come l'antropologo Roberto Fondi vennero invece abbandonate all'isolamento e al linciaggio.
Simili boutade si commentano da sole, anche se per livello rispecchiano le espressioni di arroganza di certo professorame ormai prossimo alla pensione. Cosa ci sia di "sinistra" in Darwin è chiaro solo alle menti di quei giovanotti invecchiati, a meno che non ci si riferisca agli stermini sociali operati da Josif Stalin, visto che anche Darwin "prevedeva" l'ineluttabile sopravvento violento delle "razze superiori" (la parte giusta) sulle altre. Ma in ciò credo che anche Adolf Hitler avrebbe qualcosa da spartire con la dottrina.
Di destra o di sinistra, ma possibilmente né di destra né di sinistra ma interessati al sapere, al dibattito scientifico, alle teorie biologiche, alla filosofia della scienza, invito insomma tutti - soprattutto i detrattori, e chi comunque non sarà d'accordo - a leggere e godersi questa bella opera, che per il nostro Paese sempre in ritardo è veramente nuova.
Stefano Serafini
Nota del curatore all'edizione italiana di Antono Lima-de-Faria, Evoluzione senza selezione. Autoevoluzione di forma e funzione, Genova, Nova Scripta, 2003 (Ed. originale: Evolution without Selection. Form and Function by Autoevolution, Amsterdam-New York-London, Elsevier, 1988)
"La gente prima nega una cosa; poi la minimizza; infine decide che la si sapeva già da tempo" Alexander von Humboldt
Antonio Lima-de-Faria è uno scienziato di raro carattere. Ha il dono innato del coraggio e la capacità di affrontare grandi problemi indipendentemente dalle opinioni dominanti. E' rigoroso e tenace nel metodo, di una conoscenza sterminata e una tagliente razionalità. Dall'alto dei suoi 81 anni portati con magnificenza, si è autodefinito un dinosauro sopravvissuto: proprio lui, in anticipo sui tempi fin dal'inizio della carriera, quando - si era nei primi anni 60 - fu discretamente richiesto da una società multinazionale per sviluppare un futuribile programma di bioingegneria agroalimentare, oggi realtà cronachistica degli OGM.
Noto al mondo scientifico come pioniere ed uno dei più rilevanti esponenti della citogenetica molecolare (il suo Handbook of Molecular Cytology edito nel '69 è ancora un classico da cui non è possibile prescindere), autore di oltre 180 articoli sperimentali e monografie di prestigio, è membro di alcune fra le più importanti società scientifiche del mondo, inclusa la nostra Accademia Nazionale dei Lincei. Ha ricevuto premi e riconoscimenti per la sua attività fuori del comune, e ha ricoperto incarichi di consulenza scientifica per Governi e Istituzioni, dall'Agenzia Spaziale Europea, all'UNESCO, alla Banca Mondiale. Attualmente è Professore Emerito di Citogenetica Molecolare presso l'Università di Lund (Svezia) dove continua a lavorare quotidianamente, interessandosi soprattutto al problema dell'organizzazione molecolare del cromosoma.
Il libro, che superando non poche difficoltà viene qui presentato per la prima volta al pubblico italiano, è ormai esaurito da anni nelle edizioni inglese, russa e giapponese. Oltre ad essere uno studio fondamentale e rivoluzionario, di cui forse deve essere ancora apprezzato appieno il significato, esso ha dimostrato di rappresentare un caso da manuale di sociologia della scienza per le feroci resistenze che ne hanno reso impervia la diffusione.
Nelle sue pagine costate una vita di ricerca ai massimi livelli, il grande citogenetista, giunge a indicare cause della forma biologica di principio indipendenti dal gene e dal cromosoma, e a sostenere la vacuità del concetto di selezione naturale.
La cosa destò controversie nel 1988, allorché apparve l'edizione originale per i preclari tipi di Elsevier, e continua a levarne ancora oggi, quando della genetica sembrano essersi impadroniti giornalisti, divulgatori e grande pubblico con attenzione a volte assolutizzante e sovente molto confusa. E' dunque inutile ricordare, perché immaginabile, l'acredine di certe reazioni alla visione di quest'opera, che sulla base della competenza fisica, chimica, cristallografica, botanica e zoologica del suo Autore attaccava dal di dentro dell'evoluzionismo il dogma del paradigma neo-darwiniano, e ridimensionava il ruolo del gene nell'architettura del vivente. La visione autoevoluzionista tratteggiata nel libro pare raccogliere intuizioni aristoteliche e goethiane per riunire in un unico reame mondo biologico ed inorganico a partire dalla spiegazione delle omologie morfofunzionali, giungendo a figurare una sorta di "parentela non genica" fra lo spin dell'ultramicroscopico elettrone, la viva Limnaea dalla conchiglia ritorta e le spirali delle immense galassie.
Diversi equivoci, in buona e cattiva fede, hanno dipinto Lima-de-Faria come un anti-evoluzionista, o hanno limitato il punto centrale della sua opera all'attacco contro la selezione naturale, "gioco da salotto per spiegare la vita" come direbbe Giuseppe Sermonti.
In realtà esistono pochi evoluzionisti più convinti di Lima-de-Faria. Ma soprattutto, se pure è vero che la negazione del ruolo della selezione ha conferito il titolo a quest'opera, non è essa l'oggetto più importante del suo studio. Il selezionismo (e per selezionismo si deve intendere una concezione che identifica nella selezione naturale non una concausa, ma il primo motore, più o meno onnipotente, dello sviluppo biologico) è infatti il maggiore ostacolo metodologico al riconoscimento e alla spiegazione dell'omologia morfofunzionale. E' tale fenomeno, che universalmente si riscontra in tutti i regni naturali indipendentemente dall'esistenza o meno del gene, il vero protagonista del libro. Un ordine attraversa e definisce per progressive e deterministiche canalizzazioni il mondo subatomico, chimico, fisico in tutte le sue scale, per ritrovarsi infine anche nel vivente. La forma di Chitoniscus feedjeanus, contraddittoriamente al fatto che nelle scuole venga spiegata come un classico esempio di imitazione mimetica della pagina fogliare, compare prima dell'avvento delle foglie sulla Terra, ed ha un precedente nella figura in cui si dispongono i cristalli del bismuto puro. La medesima struttura e torsione si rivela nella disposizione dei cristalli di clorite, negli uncini di certe piante, nei gusci di antiche ammoniti, nel corno della capra. L'estuario di un fiume visto dall'alto, la ramificazione di un albero, la va scolarizzazione di un mammifero seguono un unico schema dendritico di sviluppo, tanto che le loro immagini, una volta ridotte alla stessa dimensione, risultano difficili a distinguersi. Comunanze chimiche costanti si rivelano basare queste e innumerevoli altre apparenti curiosità di natura. Ora, non soltanto la selezione è impotente a dar conto di tale evidenza; ma è logicamente incompatibile con qualsiasi tentativo di spiegarla. Come tutti i sistemi teorici forti dinanzi a un fatto refrattario all\rquote integrazione, la biologia selezionista ignora l'omologia, e quando non può fare a meno di incontrarla la definisce mera analogia, relegandola così in quella metafora dell'annichilimento che è l'accidentalità; la quale tuttavia, piuttosto testarda, insiste a rivelarsi ovunque, in natura, si volga lo sguardo.
Non è più nemmeno qui in questione l'accettabilità epistemologica della continua produzione, da parte dell'establishment scientifico, di teorie evoluzionistiche ad hoc per spiegare il fenomeno, anche se di passaggio l'Autore accenna a tale spia dello stato di salute del neo-darwinismo. Il campo di ricerca oggetto del libro è infatti del tutto invisibile a chi lo affronti dal di dentro di tale prospettiva, e non avrebbe senso tentarne un adattamento, anche fortemente critico.
Da parte di Lima-de-Faria, demolire il selezionismo in quanto limite strutturale di stampo sociologico - vittoriano di nascita - della biologia, è insomma soltanto la premessa necessaria alla teoria dell'autoevoluzione, verso la quale egli ci conduce con mano ferma, metodica, elegante, dispiegando un corredo di immagini e osservazioni che conoscono pochi pari nella letteratura scientifica moderna.
Al di là degli studi classici sull'argomento, da D'Arcy Thompson in avanti, è indubbio che la biologia molecolare degli ultimi anni ha continuato a confermare con sempre maggiore evidenza l'importanza di elementi complementari alla genetica teorica classica nella formazione degli organismi viventi; elementi che Lima-de-Faria aveva già cominciato a indicare e sistematizzare un ventennio fa in Molecular Evolution and Organization of the Chromosome (1983). E in effetti, come rammenta lo stesso Autore, Evoluzione senza selezione è la conseguenza di quelle premesse, una volta applicate all'evoluzionismo.
Non ricorderemo gli sviluppi delle ricerche convergenti durante i 14 anni che ci separano dalla prima edizione del libro. Sono molti i fermenti di sviluppo paradigmatico che si potrebbero collegare a quest'opera come a uno snodo fondamentale e attuale, anche in altre discipline, quale la fisica dell'ubiquità [ Cfr. Mark Buchanan, Ubiquity: the Science of History, Weidenfield & Nicholson, New York, 2000. Trad. italiana: Ubiquità, Mondadori, Milano, 2001 ]. Ci limiteremo a rammentare uno studio di biologia teorica particolarmente significativo.
Nel 2001 Nature, una delle riviste maggiormente stimate dal'ortodossia scientifica, ha pubblicato una nota dei biochimici Michael Denton e Craig Marshall dell'Università di Otago (Nuova Zelanda) dal titolo Laws of form revisited [ Nature, 410, 22 marzo 2001, p. 417 ] . In essa, sulla base dei risultati ottenuti da Cyrus Chothia del British Medical Research Council, suggeriscono che le unità di base per la costruzione delle proteine, le piegature proteiche, rappresentino un insieme finito di forme naturali, organizzate da "regole di assemblaggio" simili a quelle che determinano la tavola degli elementi di Mendeleev. Ciò deporrebbe a favore di una determinazione fisica diretta sull'architettura vivente. In pratica esistono prove che le forme biologiche più ricorrenti (ad es. quella delle cellule dei protozoi ciliati) sono il frutto di una legge fisica. I due studiosi concludono tirando delle somme che Lima-de-Faria aveva già presentato più di un decennio prima: se è vero che una quantità sostanziale di forme biologiche è di origine fisico-chimica, le implicazioni portano assai lontano. Le leggi fisiche hanno nell'evoluzione biologica un ruolo più importante di quanto sia stato accettato sinora, e le diversità morfologiche derivano da un insieme finito di forme naturali già scritte e ricorrenti in un universo che, in ultima analisi, segna la vita sul carbonio.
Stefano Serafini