Discussioni
dal Forum Culturaviva

 

Indice (in fieri)

 

- Il complotto del libro

- Risposta a Gian Arturo Ferrari di Mondadori

- Lettera aperta all'informazione italiana sulla guerra

- Il dibattito su guerra e informazione con Paolo Guzzanti

- Le donne dell'Afghanistan

- Lo zombie del giornalismo italiano

- Il problema dell'editoria scientifica

 

 

 

16 gennaio 2001 da Massimo Citi cs@arpnet.it

Il complotto del libro

Gentili corrispondenti

difficile resistere alla tentazione di intervenire nella discussione innescata dall'intervento, all'inizio di quest'anno, di Stefano Serafini.
Io sono Massimo Citi - libraio e lillipuziano editore - partecipante al "complotto per il libro", uno degli esiti del quale è proprio il "comunicato di Francoforte" dal quale è partita la vostra discussione.
Comincerò dallo stato dell'arte, per poi avanzare alcune riflessioni sul merito dell'intervento iniziale di Stefano Serafini.

Al momento attuale il "complotto per il libro" è una rete dalle maglie molto larghe e, fondamentalmente, vive ancora più nelle fantasie di alcuni editori e librai che nella realtà. L'uscita del libro di André Schiffrin - Editoria senza editori, Bollati Boringhieri editore - è stato senz'altro un elemento reale e tangibile di stimolo, qualcosa di più di una sirena d'allarme, e che ha determinato una serie di iniziative (la presentazione contemporanea in 11 città italiane del libro di Schiffrin, l'incontro alla Fiera del Libro del 2001) ma che non ha alle spalle un gruppo di lavoro collaudato che possa dedicarsi a tempo pieno al collegamento di iniziative, alla verifica di ipotesi e al progetto di un coordinamento di editori, librai e altri soggetti legati al mondo del libro. I contatti sono numerosi e le intenzioni ottime, ma antiche e contorte diffidenze e l'oggettiva difficoltà di ricavare tempo disponibile nell'ambito delle fatali 24 ore rende complicato giungere a definire un processo che, come tutti immaginano, deve essere fatto di tappe successive, riflessioni, verifiche e - persino - di qualche risultato.
Il nostro desiderio - ribadito nel corso di interventi a Popolare Network e presso la mostra della piccola editoria di Monza, a ottobre del 2000 - è quello di giungere ad un forum dell'editoria e del commercio librario indipendente, inteso come struttura di coordinamento (anche economica e commerciale) che permetta di sostanziare un'ipotesi peraltro tutta da verificare e che sintetizzerò in modo eccessivamente schematico con una domanda:

"L'editoria di cultura [intendendo per " editoria di cultura" un'attività imprenditoriale che persegua coerentemente un progetto - di ricerca, di ricreazione o di innovazione] può dare di che sopravvivere alle librerie di proposta (e anche agli autori, traduttori, rappresentanti, redattori, tipografi, traduttori eccetera)?"

Se la risposta è sì il nostro lavoro sarà quello di individuare un certo numero di librerie in tutta Italia disposte a correre il rischio di lavorare sulla piccola - media editoria di cultura, fornendo un polmone che impedirà a quegli editori di morire di asfissia e nel contempo assicurandosi la possibilità di fornire un servizio ai lettori che né supermercati né librerie di catena sono in grado di offrire.

Questa è l'ipotesi. Ma se la risposta è "no" non resta che rassegnarsi a fare del nostro discorso di "resistenza" alla globalizzazione culturale (da leggere, a questo proposito, proprio il libro di André Schiffrin) una semplice petizione di principio da diffondere in rete, almeno finché Internet sarà ancora uno spazio relativamente libero.
Secondo l'intervento di Stefano Serafini questi spazi (nel senso di lettori) esistono e anche la mia esperienza di libraio concorda con le sue osservazioni, ma il tempo e il sistema mediatico dell'entertainment non lavorano certo per noi. Il fatto che, tuttavia, il sistema sia tarato verso il massimo profitto possibile, rende debole e quindi potenzialmente interessante, anche la posizione di editori non piccoli, tra cui la Bollati Boringhieri e altri firmatari del comunicato di Francoforte                                                                                                                                                                                                                                                   

Per venire alle riflessioni inviate da Stefano Serafini, mentre sono assolutamente d'accordo sulla possibilità e opportunità di costituire "una rete di collegamento", attività alla quale dedico i pochissimi momenti liberi che ho, non nego di avere qualche ragionata diffidenza verso "l'idealismo" di taluni piccoli editori, categoria alla quale - peraltro - mi ascrivo volentieri.
Personalmente ho letto con profitto e divertimento il libro di Flavio Pagano, lui stesso ex-piccolo editore, perché mi è parso che, con pungente ironia, indicasse con precisione i difetti dell'editoria di cultura italiana, primo tra tutti la relativa (talvolta criminale) incapacità di definire i termini economici e gestionali della propria attività nel nome di un malinteso idealismo che, in omaggio al malaugurato crocianesimo tipico della cultura italiana, considera con disprezzo e sufficienza economia e scienze.
Il rischio di una deriva estetizzante della discussione è stato ben chiaro a noi "complottardi" fin dall'inizio del nostro lavoro e credo sia importante ripeterlo anche in questa sede. A questo proposito ho particolarmente apprezzato che Stefano Serafini mettesse in evidenza che, tra gli altri, scopo dell'editoria - piccola, media o grande - sia quello di produrre profitto.
Il mio passato può largamente testimoniare che non provo nessuna particolare attrazione per il profitto in quanto tale, ma, in quanto operatore, non posso fingere che si possa farne a meno, né che scopo di un'impresa sia quello di produrre perdite.

A questo punto temo di aver superato almeno due limiti: quello della pazienza e della buona volontà di chi mi legge e, in subordine, quello della mia ipotetica lucidità.

Non posso che invitare chi mi legge a continuare a seguire e, se lo ritiene opportuno, sostenere le nostre attività, sottoscrivendo il comunicato di Francoforte e collegandosi al sito della rivista LN - LibriNuovi o procurandosene la versione cartacea, disponibile in alcune librerie italiane. Ovviamente continuerò a seguire il dibattito in corso e, ove richiesto, a fornire spiegazioni e comunicare iniziative.

Ringraziando ancora per l'attenzione, i migliori auguri di buon lavoro a tutti.

Massimo Citi

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C.S. - Coop. Studi libreria editrice
V. Ormea 69 - 10125 Torino
Tel 011 650 3158
fax 011 650 3502
e-mail
cs@arpnet.it

 

 

27 marzo 2001 da Massimo Citi cs@arpnet.it

Risposta a Gian Arturo Ferrari di Mondadori

I Librivendoli
Torino


Gentili colleghi.

Vi inviamo di seguito lettera ai librai italiani con alcune osservazioni e una doverosa replica alla «lettera aperta ai librai italiani» a firma G.A Ferrari.

Restando in attesa di Vs. comunicazioni, i più cordiali saluti.


I sottoscritti firmatari, titolari e dirigenti di librerie, presa visione della lettera a firma Gian Arturo Ferrari della direzione della Arnoldo Mondadori editore:


- affermano il loro pieno sostegno alla legge sul libro recentemente approvata.


- considerano assolutamente irragionevole e insostenibile, viste le condizioni commerciali attualmente in vigore, la proposta di un tetto massimo di sconto al pubblico pari al 20%.


- viste le numerose inesattezze e l'uso apertamente distorto dei dati riportati, giudicano intollerabile e fuorviante l'analisi della legge e delle sue conseguenze presentate nella lettera.

Reputano gravemente strumentali e demagogiche le osservazioni ivi contenute sulle temute conseguenze a danno del lettore. Nella realtà la disciplina degli sconti favorirà, per obiettive ragioni di concorrenza, una riduzione reale dei prezzi di copertina, contribuendo al diffondersi della lettura nel nostro paese.

Ritengono inoltre che il tono e le minacce di ritorsioni ivi contenute pregiudichino gravemente i rapporti in essere tra le librerie e la casa editrice Arnoldo Mondadori.


- giudicano che l'approvazione della legge con la conferma del tetto massimo di sconto al 10% e al 5% per i testi scolastici costituisca una garanzia per il lettore di pluralità di letture e di fonti d'informazione.

Ritengono ancora che tale provvedimento avrà benefici effetti, come è avvenuto in Francia e Germania, sia per la diffusione della lettura in Italia che per la limitazione di fenomeni di sovrapproduzione a fini esclusivamente finanziari.


- esprimono il proprio assoluto disaccordo con la politica commerciale Mondadori che, pur di fronte ai numerosi fallimenti nell'imporre al mercato librario la propria egemonia, ancora una volta propone la propria politica aziendale come unica possibile strada di sviluppo per il comparto editoriale e librario.

Ritengono altresì intollerabile che, secondo un costume ormai collaudato, siano ancora una volta le librerie a dover rispondere di carenze di gestione e errori di conduzione della politica commerciale mondadoriana.


- confermano il loro pieno appoggio ai rappresentanti delle proprie categorie professionali impegnati nella difesa della legge.


- invitano i colleghi, a sostegno della legge e come risposta alle gravi affermazioni della Direzione Commerciale della Arnoldo Mondadori editore a sottoscrivere il documento e, come prima concreta forma di protesta a:


RESPINGERE AL MITTENTE IL PRIMO INVIO NOVITA' AME DEL MESE DI APRILE.

Come aderire:

1 - reinviare a mezzo fax o e-mail avvenuta adesione a:

C.S. Coop. Studi Libreria Editrice, Torino - Tel 011 650 31 58 / Fax 011 650 35 02
cs@arpnet.it

Libreria La Torre di Abele, Torino - Tel 011 53 7777 / fax 011 512 07 23
torabel@inwind.it

Libreria La Città del Sole, Torino - Tel 011 817 1076 / fax 011 837487
lacdsole@tiscalinet.it

LN - LibriNuovi - Trimestrale di attualità libraria - tel. 011 650 31 58
librinuovi@hotmail.com

2 - inviare a tutti i colleghi dei quali si possiede numero di fax / indirizzo posta elettronica il testo INTEGRALE del messaggio, ivi comprese le istruzioni per l'adesione.

3 - È FONDAMENTALE che l'adesione comporti l'impegno attivo a respingere il primo invio di novità AME del mese di aprile. Adesioni di principio non sono, in questo momento, di alcuna utilità.

Attenzione: presso il sito
www.arpnet.it/cs verrà attivata una pagina di adesioni delle librerie che verrà aggiornata quotidianamente a partire dal giorno 27 marzo 2001.


Adesioni al 26.3.2001: Libreria Cortina Torino; Libreria Dante e Descartes, Napoli; Libreria La Città del Sole, Torino; Libreria La Torre di Abele, Torino; Libreria l'Isola del Sole, Milano; Libreria Bissoni, Sondrio; Libreria La Bancarella, Piombino; Librinformatica, Livorno; C.S. Coop. Studi, libreria editrice, Torino; Libreria Il Punto Esclamativo, Cernobbio CO; Libreria Febo, Avigliana TO; Libreria Il Leggio, Busto Arsizio MI; Libreria Scaldapensieri, Milano; Libreria Salesiana, Pisa; Cooperativa Libraria '900, Vigevano

 

20 settembre 2001 da Stefano Serafini stefasha@libero.it

Lettera aperta all'informazione italiana sulla guerra

Gentili Direttori, Capiredattori, Giornalisti, Operatori dell'informazione
pubblica e privata,

Gli eventi tragici appena abbattutisi sugli Stati Uniti d'America e sul mondo intero hanno trovato vasta eco nel vostro lavoro di informazione di questi giorni. Tutti i cittadini debbono ringraziarvi per l'importante funzione da voi svolta nelle ore immediatamente successive al dramma.

Tuttavia, attraverso le televisioni e i giornali, la cronaca e la pietà per il Paese vittima dell'immane tragedia si sono rapidamente trasformate in una sorta di propaganda della sua politica e delle sue azioni a venire che si profilano non meno gravi e luttuose.

Negli ultimi giorni abbiamo udito servizi televisivi ad effetto emotivo praticamente inneggianti alla guerra santa occidentale, slogan e commenti che esaltano gli USA come nazione modello di civiltà e democrazia, svergognando così la nostra cultura e la nostra storia, talvolta persino frasi che è difficile decidere se attribuire all'ignoranza o ad un' incontrollata emotività.

Nulla giustificherà mai un atto mostruoso come l'attacco terroristico alle Torri di New York e alla sede del Pentagono, una delle pagine più nere della storia contemporanea. Nulla giustifica i due milioni di uomini, donne e bambini morti per l'embargo imposto dagli USA all'Iraq, né i bombardamenti su Belgrado, né i finanziamenti trascorsi e attuali ai terroristi "amici", né quanto ora avverrà sotto i cannoneggiamenti occidentali di popoli altrettanto innocenti e degni di umana considerazione delle vittime di New York. La vera cultura europea, costata guerre e sofferenze innumerevoli, ci ha insegnato che nessuna ideologia, fede, modello sociale deve poter giustificare la mano dell'uomo contro l'uomo.

Eppure, mentre il clamore per certe vittime ed il silenzio per certe altre sembrano far pesare i morti in modo orrendamente diverso sulla bilancia dell 'informazione mediatica, dobbiamo assistere basiti all'invocazione del sangue innocente per giustificare il versamento di altro sangue innocente.

Non rivolgiamo questa lettera ai politici, perché siamo consapevoli che sarebbe inutile: il potere e la violenza avranno il loro corso indipendentemente dalle proteste, né i nostri governanti avrebbero il potere di impedirlo.

Crediamo però sia importante richiamare almeno le vostre coscienze, su cui pesa la responsabilità di agevolare o infiacchire la riflessione della gente, ad un uso di toni più consoni all'obiettività critica che sempre dovrebbe rappresentare l'ideale del giornalismo. Non possiamo salvare il corso degli eventi, ma certamente non dobbiamo infierire abbassando quella razionalità del pubblico che siamo invece chiamati a promuovere.

E' vero, il vostro ruolo non è semplice, ma è lo stesso rispetto di voi stessi come persone e professionisti che deve imporvi un maggior senso di responsabilità e di attenzione; perché parole e immagini, se strumentalizzate, possono cadere assieme alle bombe trascinando nel fango la nostra umanità, o, in cerca del vero, elevarsi assieme alle preghiere di tutti gli uomini di buona volontà, e sostenerle.

Stefano Serafini, consulente editoriale, Roma
(
http://groups.yahoo.com/group/culturaviva )

Claudio Martinotti, consulente, Ozzano Monferrato (AL); Danilo Brogli, impiegato comunale, Ferrara; Luigi Pellini, agricoltore, Oppeano (VR); Renato Bordonali, libraio ed editore, Milano; Gianrico Gualtieri, ricercatore artistico, Ginevra; Giuseppe Gorlani, imprenditore agricolo, Assisi (PG); Giuseppe Lucchesini, studioso, Roma; Alberto Giovanni Biuso, docente di Filosofia, Milano; Laura Maffeis, fotografa, Bergamo; Domenico Pievani, insegnante, Bergamo; Enrico Falcioni, custode, Baveno (VB); Mauro Quagliati, ingegnere ambientale, Imperia

 

20-22 settembre 2001 da Stefano Serafini stefasha@libero.it

Il dibattito su guerra e informazione con Paolo Guzzanti


-----Messaggio originale-----
Da: Paolo Guzzanti <
p.guzzanti@mclink.it>
A: Stefano Serafini <
stefasha@libero.it>
Data: giovedì 20 settembre 2001 21.25
Oggetto: Re: Lettera alla stampa italiana, ultimo atto


Purtroppo io sono di quelli che al delitto desiderano veder seguire il castigo. E quando Hitler invade la Polonia, dichiara guerra ad Hitler e ignora i pacifisti che vogliono (volevano) la pace con il nazismo. Sorry, è il momento della difesa degli inermi.

Nessuna distruzione indiscriminata, ma tutte le necessarie distruzioni necessarie. La pace non è la soluzione giusta per combattere la mafia e nemmeno per combattere il terrorismo. Non sottoscrivo e vi invito a riflettere che anche chi vuole il castigo è buono e ama l'umanità. E chi non rispetta l'umanità deve pagarne il prezzo ed esserne messo al bando.
Con rispetto,
Paolo Guzzanti

Caro Guzzanti,

grazie per la risposta. Il problema è trovarlo il nemico. Anche noi siamo per la reazione, la giustizia e la punizione del colpevole: ma viste le premesse fatte di aerobombardieri, incrociatori, truppe, e scenari bellici ipotizzati sinora dagli esperti tattici, temiamo di dover assistere piuttosto a una vendetta. Il terrorismo, a differenza della Germania nazista, non ha un territorio da invadere, un'esercito sul campo da sbaragliare, e a malapena ha un volto (quello di Bin La Den, concesso e non ammesso).

Anche i morti di Baghdad, di Belgrado, del Sudan erano inermi, lo erano quelli di Dresda, di Hiroshima, di Nagasaki; e per non parlare solo degli USA lo erano i kulaki e i menscevichi russi  - gli uomini sono inermi ovunque, indipendentemente dal loro credo o dalla parte in cui li situano storia, politica ed economia, e tutti meritano pari difesa e dignità di notizia.

Se vogliamo parlare di politica è un'altra faccenda, sortirebbero fuori tante opinioni. Per ora pensiamo ai morti, e a non usarli per farne altri che, come loro, non c'entrano niente. La pace non è ebetismo infantile da sottocultura di sinistra, ma dono divino e compagna della giustizia severa.

Cordialmente,

Stefano Serafini

Caro Guzzanti,

mi fa piacere vedere che continua a rispondermi, e considerando il daffare che avrà per ben più numerosi lettori, la ringrazio davvero.

Quel che lei dice è tutto sensato, ma evidentemente non riusciamo a capirci: pare davvero che lei creda che gli Stati Uniti abbiano ucciso e combattutounicamente per il bene dell'umanità; e che d'altra parte gli estremisti islamici siano stati partoriti dall'inferno con l'unico scopo di rovinare il paradiso in terra creato dagli allievi di Soros. Insomma, ancora una volta tutto bianco e tutto nero, col risultato che santi e peccatori impenitenti (gli uni o gli altri, a seconda dei punti di vista opposti suo e di certa sinistra, e anche di certa destra) continuano a spargere sangue.

Per rispondere brevemente alle sue osservazioni: 1) I Curdi sono stati massacrati a milioni dalla Turchia, stato amico degli USA; ma in tal caso nessuno li conta; 2) Né cibo né medicinali potrebbe, anche volendo, acquistare il malvagio Saddam dato l'embargo voluto dagli USA, embargo prontamente ritirato - è notizia odierna -  a quei Paesi che daranno il loro appoggio tattico, improvvisamente divenuti "buoni"; 3) Dresda, Iroshima e Nagasaki, come altre atrocità, avvennero a guerra quasi finita, quando Germania e Giappone erano ormai praticamente sconfitti, e il loro orrore venne denunciato dallo stesso parlamento inglese; 4) Il bombardamento del Sudan fece un numero di vittime ancora sconosciuto, si richiese un'inchiesta ONU, che venne impedita dagli USA ; 5) Ai kulaki e ai menscevichi aggiungerei anche gli altri 3 milioni di civili fatti sparire ed i i 10 milioni reclusi nell'arcipelago Gulag. E poi c'è Pol Pot, e la Cina di Mao, e Cuba, e tanta parte d'Africa, e lei queste cose, con mia gratitudine, le insegna a un'Italia ancora vergognosamente a due pesi e due misure.

Con ciò, certamente, non si giustifica l'operato di Saddam Hussein, del Giappone imperiale, dei nazisti o dei pazzi delle Twin tower. Si dice semplicemente che non si può eguagliarli nell'atrocità, cioè in quell'elemento che ce li fa qualificare come abominevoli.

E poi si domanda: chi ha creato, e fino a ieri supportato, finanziato, armato, rifocillato Saddam Hussein, Bin Laden, la guerriglia cecena, i contras nicaraguensi, i dittatorucoli centroamericani, i falchi israeliani, l'UCK, ecc.? Specularmente: chi ha sostenuto l'Iran khomeinista, la Cuba castrista, le dittature marxiste africane, la revoluccion sandinista, i palestinesi oltranzisti, Slobodan Milosevic finché s'è potuto, ecc.? Vogliamo continuare a confondere etica e politica, e rimanere alle favolette
dei buoni contro i cattivi per coprire lo scenario della guerra per il dominio mondiale, un po' come faceva il PCI di Berlinguer "pacifista" e "anti-missili" dell'ultim'ora?

Sinceramente mi sorge il dubbio se Guzzanti, dato il suo ruolo in prima linea, possa cadere vittima  -come un po' tutti in Italia in questo momento- delle vecchie categorie sinistra-antiamericana e destra filo-USA. Capisco e approvo lo spirito della vis polemica, ma mi sembra che si possa andare oltre, almeno per se stessi.

Forse il vero problema è che dal 1991 in poi la fine dei bilanciamenti geopolitici ha creato una situazione altamente instabile, che sta precipitando alla resa dei conti finali. In tal caso una cosa è la propaganda, credendo alla quale si sarebbero investite migliaia di miliardidi dollari nella guerra e nella successiva ricostruzione dei Balcani unicamente per dei poveri albanesi di cui fino a ieri non caleva nulla ad alcuno; un'altra i fatti: l'espansione a Est di un impero che comincia ad aver paura di certi scricchiolii, ed usa la forza per accelerare la storia. Non possiamo restare ancorati alle categorie di un mondo, e di un'Italia, che non esiste più. E forse è questa anche la prima occasione (occasione fra l'altro, a mio parere, pagante anche politicamente) per provare a ripristinare un po' di umanità elementare, e di dialogo. Perché il mio problema continua a essere quello dei morti inermi da entrambe le parti, non "chi ha ragione". La guerra va, e miete: il suo strumento è la falce, chiedo solo non lo si confonda con la bilancia, degna di altra sostenitrice.

Cordialmente,

Stefano Serafini

-----Messaggio originale-----
Da: Paolo Guzzanti <
p.guzzanti@mclink.it>
A: Stefano Serafini <
stefasha@libero.it>
Data: sabato 22 settembre 2001 17.48
Oggetto: Re: R: R: Lettera alla stampa italiana, ultimo atto


Non credo affatto che tutto sia o bianco po nero, ma viene il momento in cui si deve dividere in bianco e nero, vero e falso, buono o cattivo, oppure non si farà mai la guerra ad Hitler e lo sbarco in Normandia. L'America non l'ha fatta il magnate ungherese Soros, grande corruttore dell'Est europeo e della Russia. Comunque: 1) i curdi non sono stati sterminati a milioni di turchi, ma sanguinosamente repressi, questo sì. Per questo motivo la Turchia paga la sua esclusione dall'Europa.
2) l'embargo di cui tanto si fantastica riguarda soltanto i prodotti americani. Posso farle conoscere tre case farmaceutiche che riforniscono quotidianamente l'Iraq di medicinali non americani e che le diranno come l'Iraq preferisca spendere tutte le sue enormi, straripanti, fantamiliardarie risorse in armi, fottendosene della popolazione cvile, così come se ne fottono tutti gli stati arabi seduti per caso su barili di petrolio di cui incassano passivamente le prebende, lasciando le loro popolazioni alla morte televisiva, per far sì che lei pensi davvero che sono gli americani ad uccidere i bambini iracheni e non Saddam. Lo stesso vale per Cuba, dove l'embargo riguarda soltanto le merci americane: se lei vuole esportare in Iraq o a Cuba quel che le pare, purché non sia un brevetto o un prodotto americano, può farlo a suo piacere.

3) Dresda, Hiroshima e Nagasaki furono fra le cause ultime della fine della guerra: inglesi e americani, prima delle bombe atomiche avevano dovuto pianificare un milione e trecento mila morti alleati (senza contare le perdite del nemico e dei civili) prima di poter invadere il Giappone costringendolo alla pace. Il tempo previsto era un anno e mezzo, cioè l'inizio del 1947. La Germania non si è arresa mai, combattendo fino all'ultimo uomo e Berlino era ridotto molto peggio di Dresda quando l'armata rossa riuscì finalmente ad espugnarla. La carneficina della seconda guerra mondiale fu creata e attuata dalle potenze dell'aggressione (Germania, Urss, Italia) e subìta da quelle che poi dovettero combattere fino alla fine per impedire alle forze del male di vincere. E scrivo forze del male intendendo forze del male. E le ripeto che i pacifisti nel 1939 attaccarono ferocemente Francia e Inghilterra per la loro assurda pretesa di contrastare Hitler con le armi. Cambiarono idea soltanto nell'estate del 41, quando improvvisamente Hitler pugnalò alle spalle l'alleato Stalin, ciò che fece cambiare fronte ai comunisti occidentali e ai pacifisti.

4) E' del tutto falso, e la sfido a provare le sue affermazioni, che gli Stati Uniti abbiano impedito  qualsiasi inchiesta sul numero delle vittime. Così come è falsa la cifra delle vittime civili dei bombardamenti italiani, inglesi, sauditi, francesi e americani. Il nostro pilota Cocciolone bombardava, come tutti, soltanto installazioni logistiche e militari e mai sono stati eseguiti bombardamenti su obiettivi civili, anche se un certo numero di civili che lo stesso Saddam ha quantificato in alcune centinaia, ci hanno lasciato la vita.

5) Il numero complessivo dei civili che sono stati assassinati dal regime sovietico, a giudizio degli storici russi odierni, si aggira intorno ai 120 milioni di morti, per i quali nessuno ha mai protestato, manifestato, mosso addebito. Gorbaciov ha causato migliaia di morti in Estonia e Lettonia e Cecenia, prima di mollare la partita, e aveva pianificato l'uso di gas e armi batteriologiche.

Le sono grato di quanto mi dà atto e le do atto a mia volta della stessa indignazione morale e rettitudine. Ma nessuno intende gareggiare in pazzia con i "pazzi" (troppo buono: solo dei poveri pazzerelloni?) delle Twin Towers. Ciò che si vuole è punire ed estirpare le centrali armate del terrore e della guerra alle popolazioni civili inermi. Nessun occidentale è mai andato a colpire paesi arabi allo scopo, al solo e preciso e calcolato scopo, di assassinare e macellare migliaia di civili innocenti, donne e bambini compresi. Questo delitto a parere mio va castigato, come quello di Hitler, di Pol Pot e di ogni altro satrapo. E non confonderò mai gli errori che uno Stato democratico può commettere sotto l'assedio della sua opinione pubblica e della stmpa, e dei parlamenti e della magistratura, con i crimini dei satrapi, dittatori, rais, capoccia, capimafia, gangsters internazionali. E la povertà del mondo non c'entra nulla perché Bin Laden e tutti i suoi emuli si distinguono per essere loro stessi dei fantamiliardari che hanno usato il loro denaro per
comprare odio e sangue.

Caro amico, quanto al resto, sì: per me i buoni restano gli occidentali e laloro dura, sporca guerra contro i cattivi nemici della democrazia, i nazi-fascio-comunisti, con appendici islamiche e cinesi. Io non sto con la destra amercana, ma con il 91 per cento degli americani che sono con il loro presidente, a cominciare da Woody Allen che ha cambiato idea sul suo presidente. Noti bene: finita la guerra fredda, l'Occidente ha fatto cadere tutte le dittature sudamericane, ha messo in galera Noriega, ha castigato Saddam e tutti gli altri briganti che vivevano di posizione di rendita, compresa buona parte della classe dirigente italiana.

C'è stata una guerra, la terza, quella fredda, e l'abbiamo vinta. Il resto è assestamento in un mondo che è infinitamente migliore di quello di mezzo secolo fa e nel quale proprio le popolazioni più reiette e derelitte vivono in condizioni migliori e con speranze migliori, e ciò soltanto grazie alla culrtura, la scienza, l'altruisimo, la democrazia occidentale, anche se l'Occidente non è il paradiso, ma è il meno-inferno che si sia mai dato nella storia del genere umano.

La saluto con amicizia.
Paolo Guzzanti

Caro Guzzanti,

ci mancherebbe, si puo' e si deve dividere il mondo in schieramenti e scegliere da quale parte stare, avendo il coraggio delle proprie ragioni e dei mezzi necessari, senza pero' ammantarle di scintillante vernice moralistica. Mi spiace, io non riconosco nell'Occidente americano (ben altra cosa dal faro di cultura e civiltà che è stata e dovrebbe essere l'Europa) il meno-inferno né, tantomeno, la società dei "buoni". Non è solo questione di valori diversi, che ognuno ha il diritto di coltivarsi, ma anche di fatti oggettivi. Non posso che sdegnarmi davanti alla distruzione dei Buddha di pietra in Afghanistan, ma molto più grave mi pare la perdita di senso di milioni di occidentali rimbambiti, omologati e perduti nei ritmi di una vita dove l'ultimo metro di giudizio è il tintinnante soldino. Lo stesso tintinnio metallico che mi par di avvertire dietro le grandi operazioni di guerra pomposamente rivestite di umanitaria bontà.
Di Soros (e su di lui condivido il suo giudizio) giustamente lei ci rammenta che è venuto dopo l'America; ma non il popolo americano è in guerra (quella vera e a lungo termine, lontana dalle tv ma già scritta nero su bianco da un signore di nome Brzezinski), bensì una forma di potere colà nato e cresciuto per ragioni storiche, di cui Soros è eminente rappresentante, la quale travalica l'apparenza della democrazia televisiva e dei logorati confini nazionali. Il mondo, ripeto, non è mai stato più distante dal suo ieri, e non credo affatto sia migliore di cinquant'anni fa.

Sugli infelicissimi curdi sarebbe forse opportuno chiedere a loro chi preferiscano come nemico, se Hussein o gli Usa e la Turchia, e ricordo che di quest'ultimo Paese è nota la pressione diplomatica Usa perché l'Europa lo accetti nel suo seno indipendentemente da preconcetti umanitari. O è anche questa una diceria?

Sull'embargo all'Iraq, una volta ottimo alleato degli Usa nella persona di Hussein, proprio come quei petrolieri seduti sui barili che danno energia all'economia internazionale, sarò lieto di informarmi meglio: ero rimasto a G. Chiesa, N. Chomsky, J. Wronka e alle testimonianze dirette di alcuni amici sacerdoti mediorientali. Su quello cubano, poi, avevo come fonte le condanne (formali e disattese) dell'ONU agli States, ed il rapporto della American Association for World Health del 1997. Datato?

Mi chiedo infine se fra le cause, necessarie dunque, della fine della grande guerra lei ponga anche Nagasaki (la seconda bomba). Non è una questione di lana caprina: conta 70.000 esseri umani vaporizzati. Quanto ai pacifisti, la società moderna è ricolma di casi sempre più raffinati di strumentalizzazione dei migliori sentimenti umani: sono d'accordo sul ruolo passivo da essi tante volte subito nella guerra globale. Ciò nulla toglie al valore della pace, tenuta in massimo conto anche dai nostri bellicosi padri latini.

E poi, mi scusi, ma ritenere che una guerra esploda perché un fellone si alza la mattina e decide di fare un macello è quanto meno poco aderente, nonostante la vulgata dei nostri libri scolastici. Quanta responsabilità hanno avuto gli altri Paesi nel trasformare una Germania distrutta, affamata e umiliata in una belva d'acciaio? E che dire del ruolo europeo nel foraggiamento dei moti rivoluzionari russi culminati nel 1917? E l'invasione del Quwait è stata, diciamo così, la mera "pazziata" improvvisa d'un rais annoiato? Vogliamo oggi ripetere gli errori commessi in Persia, in Palestina, e moltiplicarli per tutto il mondo islamico? D'altronde non crederemo che la soluzione del problema "arabo" e delle sue rivendicazioni possa essere quella finale.

Sui morti civili iraqeni ("collaterali") le do' atto di non possedere dati diretti, ma mi permetto di pensare che non li possiede neanche lei. Chi, infatti, puo' fornirli? La CNN? La Nato? Ho pero' vivide nella mente le immagini del ponte di Grdelica (quello su cui correva un treno) della fabbrica di Panchevo, della sede della tv serba, e i dati del fall-out di diossina (altro che uranio impoverito) in centro Europa.

Conosco la storia della volpe Gorbaciov, cui pero', infischiandosene, si è deciso di tributare addirittura il Nobel per la pace, presentandolo (e questo solo in Occidente, perché in Russia sanno chi è) in una sorta di santo uomo della provvidenza. Troverà anche lei che c'era da vomitare quando gli interpreti correggevano e abbellivano il suo russo sgrammaticato, obbedendo a una regia che ha reso agli occhi dell'opinione pubblica ex-oltre cortina il vecchio trattorista quasi un fine e delicato intellettuale.

Eccetera, eccetera, compresa Karthoum e le stragi indonesiane e il carnevale balcanico. Ma se almeno si dicesse "à la guerre comme à la guerre"...

Detto ciò, nessuno ha mai sostenuto che il delitto orrendo delle torri non vada punito; ma che, parafrasando un suo recente articolo, per farlo non si mietano vittime "collaterali" di serie B. Una guerra non farà bene a nessun popolo; sarà pero' un ottimo business in primis, e quindi un passo geopolitico verso l'Afghanistan intorno al quale si giocherà il controllo delle maggiori fonti petrolifere mondiali, oltre al trascurabile (ma calcolato) particolare delle sorti di noi tutti messe in ballo. Con buona pace dei miliardari in doppiopetto e in barracano.

D'altronde chi vivrà vedrà.

La ringrazio per lo scambio di opinioni, che mi ha stimolato e mi farà approfondire le fonti di certe informazioni e indagare l'altro versante della propaganda. Vorrei sperare anche da parte sua, in futuro, qualche riflessione accesa del medesimo fuoco in nuove direzioni, e lo scrivo con rispetto verso chi crede nelle proprie idee anche se in gran parte opposte a quelle in cui io credo.

Auguri, a lei e a noi tutti. Che Dio ci protegga.

Stefano Serafini

29 ottobre 2001 da Giuseppe Gorlani gigorl@libero.it

Le donne dell'Afghanistan

Cari Amici,
ieri sera, consultando "Sfoglia la notizia" con l'intento di aggiornarmi sulla drammatica situazione afghana, sono statocolpito dal concentrato di ipocrisia e falsità trasudante da un articolo di Stella Pende, intitolato "Com'era bella la mia Kabul". L'articolo in questione ("Uno straordinario reportage") inizia snocciolando alcune madornali bugie: "Le foto di questo servizio raccontano di un mondo che pare lontanissimo: era il 1972 e per le strade di Kabul le ragazze giravano vestite secondo i canoni occidentali. Il burqa, l'abito tipico che copre il viso e tutto il corpo, non era obbligatorio dal '59 e veniva indossato solo dalle donne più tradizionaliste e povere". Le fotografie sono tre: la prima mostra tre ragazze di carnagione scura che passeggiano vestite all'occidentale, con la minigonna; la seconda mostra di spalle una presunta donna poliziotto col volto scoperto; la terza ritrae tre infermiere in una stanza, anch'esse coi visi scoperti. Personalmente, ho vissuto in Afghanistan per alcuni mesi, nel '70 e nel '73.
Durante il mio secondo viaggio, ho trascorso una decina di giorni a Kabul, ospite di alcuni mussulmani incontrati casualmente. Posso dunque dire con assoluta certezza di non aver mai visto una sola donna afghana vestita all'occidentale (figuriamoci con la minigonna): tutte, ricche o povere, portavano il chadri (la burqa). Facevano eccezione alcune rare donne appartenenti, credo, a tribù zingare o a frange ridottissime di popolazione non islamica, e comunque anche queste poche non vestivano di certo all'occidentale.
Pertanto, le fotografie di cui sopra o sono false, o ritraggono donne non islamiche prezzolate all'uopo o le uniche tre donne "illuminate" su una popolazione di quindici-diciotto milioni di abitanti.Tali immagini però, se poste nelle mani dell'astuto plagiatore occidentale, diventano ottimi strumenti per convincere le nostre masse de-culturate che la stragrande maggioranza delle donne afghane vive struggendosi nell'attesa che foruncolosi e puntuti anglo-americani facciano piazza pulita dei loro barbuti  ed odiosi mariti e figli, liberandole dal servaggio ad una "spregevole" Tradizione. Persino una persona di alta sensibilità e cultura come Guido Ceronetti cade nella banalità più plateale quando afferma che non appena gli uomini afghani si girano le loro donne fanno spuntare da sotto il chadri la bandierina a stelle e strisce.
L'articolo della Pende prosegue dicendo : "E d'improvviso l'Afghanistan e Kabul diventano il cuore del mondo. Un paese solo, perduto tra le montagne viola e le sue nevi d'inverno. Infiorato dai suoi papaveri peccaminosi nelle stagioni estive. Un piccolo e poverissimo mondo di pastori e villaggi affamati, di barbuti dittatori neri e cattivi, i talebani, di kalashnikov, di donne ombra prigioniere di abiti senza faccia e senza occhi. Un paese di macerie e di mine che solo trent'anni fa pochi sapevano trovare sulle carte geografiche. Ma com'era l'Afghanistan prima dei talebani? Com'era Kabul prima di Osama Bin Laden, che l'ha condannata a diventare la calamita della guerra?".
In quanto al fatto che l'Afghanistan sia diventato il cuore del mondo, direi che ciò è assoluatmente vero: lì, ora, a morire con i barbuti cattivi e con le loro donne ed i loro figli ci siamo anche noi, c'è il nostro diritto alla diversità, il nostro disprezzo per stili di vita contrari ad ogni più elementare forma di saggezza ed armonia. Riguardo al resto,  non sono di sicuro stati Bin Laden o i Talebani a ridurre l'Afghanistan in rovina, bensì la Russia occidentalizzata e le lotte fratricide finanziate ed armate dai più ricchi e "caritatevoli" Paesi civilizzati, abilissimi nell'applicare la strategia del "Divide et impera".
Cara Stella Pende, vuoi proprio sapere com'era l'Afghanistan prima che al governo salissero i comunisti, aprendo le porte all'abominevole invasione russa? Ebbene, era più o meno come adesso i Talebani desiderano che sia, con l'unica differenza che, probabilmente, l'atmosfera era allora assai più rilassata e tollerante, e che la terra si stendeva a perdita d'occhio incontaminata, non devastata da mine, carri armati e bombardamenti. Per descriverci l'Afghanistan-paradiso, distrutto dall'arrivo degli "infernali" Talebani, l'autrice va a scomodare il famoso scrittore Dominique Lapierre. Questo personaggio, a dir poco ambiguo (si identifica con i più poveri dell'India, ma percorre l'Oriente a bordo di lussuose automobili), che visitò quel Paese alcune volte dal '51 al '73, dice, sfoggiando un rassicurante stile lirico-romantico, di ricordarsi la capitale come "una piccola città che respirava luce d'oro. Un'oasi di fresco, una piccola terra di cultura e di coraggio intellettuale. [...] una città di donne belle e di gonne corte".
Riguardo a "donne belle" e "gonne corte", permettetemi una chiosa immediata: quel tizio era cieco o pazzo, o non si era allontanato oltre cento metri dalla residenza reale. Nel '73 lo stesso ripassò per Kabul a bordo di una Rolls Royce grigia e nera ed ebbe alcuni incontri con il re Zahir Shah a proposito del quale scrive: "[La reggia era] fuori, un grande mausoleo d'Oriente, picchi dorati e tetti di curve. Poi, varcata la soglia, ti ritrovavi a Versailles. All'entrata specchiere d'oro, nei salotti mobili bar rococò. Dovunque, a perdita d'occhio, tappeti bukara. Uno sull'altro. I valletti abbigliati all'occidentale offrivano champagne. Ma quello più sorprendente era lui, il re. Non c'è nulla di più occidentale di un orientale che è stato conquistato dall'Europa. E lui lo era. Aveva studiato a Parigi e la Francia gli era rimasta nel sangue. Parlava un francese raffinatissimo. [...] Una sera ci parlò a lungo della situazione drammatica del suo paese, dei pericoli del colpo di stato. Aveva ragione: appena sei settimane dopo aver pronunciato quelle parole venne detronizzato e per l'Afghanistan cominciò la lunga odissea che porta a oggi". Da come Lapierre ci descrive il re, si può ben comprendere che la "lunga odissea" dell'Afghanistan, aggredito da forze dissolutrici della propria identità tradizionale, era già cominciata col re filo-occidentale e probabilmente ancora prima con l'infiltarsi di sottili influenze corrosive.
Per concludere, consentitemi di proporvi una voce dell'Oriente tradizionale femminile, registrata da Mircea Eliade, autore la cui serietà è fuori discussione: "Ascoltate ora ciò che mi ha detto un'indiana.Trascrivo i frammenti di quanto ho udito un po' di tempo fa, una sera di febbraio, su una terrazza di Bhoswanipur. - Le nostre sorelle d'Europa e d'America sono abituate a compiangerci. Credono che le donne indiane siano asservite negli harem, prive di qualsiasi distrazione e libertà, desiderose di affrancarsi. E' vero che esistono casi del genere, ma non appartengono alla società indù. In realtà le europee vedono nella nostra vita un'esistenza priva di romanticismo, di avventura e di imprevisto. E ne concludono che siamo infelici. Ora, davvero ci sentiremmo infelici, afflitte, violentate, se dovessimo condurre la loro vita, nella libertà degli istinti e nella confusione sociale. In primo luogo, la libertà non ci interessa. E' un'illusione della quale ognuno si libererà prima o poi. La nostra vita è determinata dalla sorte, dal karman, e ogni evasione non fa che stringere ancora di più la catena del destino. D'altronde il romanticismo non ci sembra indispensabile alla felicità. Per noi la felicità non è un capriccio, un momento passeggero e irresponsabile, né una qualunque fatuità passionale o sentimentale. [...] La beatitudine e la liberazione finale esistono in quanto rinunciamo agli effimeri capricci passionali -nulla più che affanni- per cercare di raggiungere la perfezione delle nostre madri. [...] Ogni donna indiana sogna di imitare una delle eroine del Mahabharata o del Ramayana. Ognuna ambisce a divenire una dea. Con tali vertici davanti a noi, cosa ce ne faremmo della capricciosa libertà delle nostre sorelle europee? La getteremmo al vento come fiori loto sul fiume, senza per questo abbandonare l'altare eretto a riva. Perché, vede, non esiste felicità passeggera, non c'è beatitudine che nell'eternità. Il resto è cinema e jazz." (da "India", Boringhieri, '91, pp.155,156,157).
Alla luce di quanto citato, direi che sia quantomeno prudente cominciare col dissociarsi dagli sprovveduti che, in buona o cattiva fede, vanno proclamando a destra e a manca la filo-occidentalità delle donne orientali, ansiose, a loro dire, di lasciarsi emancipare da coca-cola, televisione, supermercati, aborti, fecondazioni artificiali, sesso libero e missili. Come credo di avere già detto in precedenti occasioni, ho avuto alcune volte l'onore e il privilegio di entrare nelle case degli Afghani e di vedere i volti delle loro donne. La bellezza, la dignità, la serenità, l'umiltà e la saggezza che i loro sguardi e i loro più minimi gesti emanavano mi riportavano ad una patria sia metafisica che umana. I loro volti mi ricordavano quelli delle madri, delle spose e delle figlie delle campagne italiane di cinquanta-sessanta anni fa. Rammento pure il sollievo che provai, in quanto occidentale moderno provvidenzialmente "non venuto bene", nell'incontrare finalmente interi popoli che non volevano occidentalizzarsi, ma che anzi affermavano con straordinaria fierezza la fedeltà alla propria Tradizione! Tra l'altro devo dire che nessuno, durante la mia permanenza in Afghanistan, ha mai tentato o preteso di convertirmi all'Islam; tutt'al più, la gente per strada, o nei luoghi dove si fumava e beveva té, mi invitava a volte, onorandomi straordinariamente, ad unirmi alla loro preghiera, nel cuore.
Scusatemi per la lunghezza del presente scritto; esso nasce dal desiderio di offrire la mia umile testimonianza di viaggiatore  in omaggio ad una Visione più profonda od elevata della Realtà; "Visione" che io mi auguro saprà presto rioccupare il cuore degli uomini, riorientandoli verso Satyam-Sivam-Sundaram: la Verità, il Bene e la Bellezza.

Cordiali saluti,

Giuseppe

 

12 novembre 2001 da Paola Lucchesi paola.lucchesi@mail.inet.it

Lo zombie del giornalismo italiano

Caro Stefano,

usare Internet per fare quel che io vedo come "volontariato giornalistico", e' una grande soddisfazione dell'ultimo paio d'anni. Limitarsi a rigirare notizie altrui e' un'ottima cura anti-ego e al tempo stesso un modo di essere rapidamente utili. Mi sento in buona compagnia, perche' vedo che siamo in tanti (ci sono diverse liste italiane che frequento, ed altre internazionali), e in questo paio di mesi e' stata una consolazione vedere alcuni testi particolarmente importanti rimbalzare da una lista all'altra, spesso trovando per strada qualche traduttore di buona volonta'. Ho letto che ieri a Roma si marciava con lo slogan "not in my name", ripreso evidentemente da quella toccante lettera dei genitori di un ragazzo morto nel crollo delle torri a New York, "not in our son's name", che ha fatto il giro del mondo. Un bel pezzo di un noto scrittore afghano naturalizzato US ce l'ha fatta fino alla prima pagina de La Stampa, non esattamente un giornale progressista sulla nostra scena...

Sono piccole soddisfazioni per chi, come migliaia di noi in questo mestiere, ha alle spalle anni di bracci di ferro con redattori vari per cercar di convincerli a passare cose che vengono di volta in volta ritenute poco importanti o noiose. Nella mia esperienza, ho sentito di piu' questo problema che non una censura sulla "pericolosita'" di certe notizie. Sara' che ho il vizio di insistere su cose "poco importanti"....

>Sappiamo che ha poco tempo, ma data >l'esperienza sul campo vorrei ripeterle l'invito a offrirci qualche
>osservazione generale sul mondo dell'informazione italiana, e più
>particolarmente sulla formazione ed il controllo dei suoi professionisti.

Non ti fare ingannare dal fatto che sono una chiacchierona, in realta' sono un pesce piccolo, per  non dire ai margini della societa'. Pensa che non sono neanche piu' pubblicista, da diversi anni, per pura e semplice incuria - beh, non e' vero, non mi andava di pagar tasse all'ordine tanto per fare. Per lavorare, essere pubblicisti non ha mai contato niente. Essere professionisti d'altro canto e' un paravento per il problema vero: essere assunti o meno.

Ieri, chiacchierando con Claudio Martinotti al telefono, mi son fatta una bella risata per un suo accenno al fatto che scrivo per il Sole: gli aveva dato un'impressione che a chissa' quali emolumenti cio' corrisponda. La realta' e' che sono uno dei tanti schiavi del mercato dei free-lance, che tengono su una buona parte della stampa italiana e vengono pagati una miseria: non chiedermi la percentuale, perche' francamente non la so, ma me la sento di scommettere che siamo ben oltre il 50% di quanto viene pubblicato.

C'e' gente che scrive per giornali nazionali e puo' prendere qualche decina di migliaia di lire ad articolo. Quando piazzavo ogni tanto qualcosa con Repubblica, un'informativa poteva essere anche centomila lire, ma capitava una volta ogni tanto. Con la loro agenzia dei giornali locali viaggiavo inizialmente a ottantamila al pezzo (era il 1990), poi grazia loro aumentarono a novantamila. In compenso, mi scaricarono da un giorno all'altro, come potrebbe fare il Sole ad ogni momento. E tieni conto che io sono uno dei pochi freelance, probabilmente, che e' riuscito a sopravviverci, con queste collaborazioni.

Accade se per caso si verifica un concorso di circostanze in cui, per un certo periodo di tempo, hai una merce utile. All'epoca, la (oggi ex) Jugoslavia stava iniziando a diventare interessante. L'agenzia dei giornali locali di Repubblica lavorava di pastoni di agenzia. Capitava bene qualcuno in grado di fare rapidamente e a basso costo un lavoro di qualita'. Esattamente come un paio d'anni fa capito' bene per una rubrica di finanza personale trovare una brava (niente modestia) scrittrice con in piu' la competenza tecnica (sono promotore finanziario).

Quindi, ho al momento una merce che serve, sono rapida, affidabile, precisa, consegno regolarmente un prodotto che serve, vengo pagata - fine della storia.

Un caso a se stante, in un certo modo.

Il mio gusto per scrivere davvero lo uso su Internet, e penso di aver avuto molti piu' lettori negli ultimi due anni (con soddisfazione reciproca), di quanti ne avrei se insistessi a sfiatarmi con redattori tradizionali per passare due righe ogni tanto.

Il tappo mi salto' nella primavera del '99, sul Kosovo. Ma non andai neanche a dibattere su fora italiani, mi dava troppo sui nervi la superficialita' che ci aveva messo l'estrema sinistra. Stavo su un forum internazionale di organizzazioni femminili, e mi venne fuori questo mix di reinvio notizie e commenti. Come sempre, qualcuno aveva anche brontolato perche' mandavo troppa roba (questo e' un classico: c'e' sempre qualcuno che brontola, senza meditare che basta un "delete", non sei obbligato a leggere tutto, mica ti lamenti con l'editore se Repubblica ha cinquanta pagine).

La cosa piu' bella, pero', e' la possibilita' di dialogare. E di incontrare, se pure solo a distanza (poi alcune di queste amicizie hanno la possibilita', prima o poi, di divenire "reali", ovvero incontri le persone), persone con le quali hai qualcosa in comune. Questa e' una possibilita' enorme, una vera rivoluzione.


>Poiché non credo si possa affrontare la faccenda nel senso dello
>schieramento ideologico (abbiamo condiviso opinioni di Giulietto Chiesa,
>Massimo Fini, Franco Cardini, Marco Tarchi tanto per fare esempi di uomini
>decisamente non accomunabili per il colore politico), come impostare un
>discorso critico sulla stampa e sull'informazione televisiva italiana?

Anche se puo' suonare provocatorio, io li mollerei in blocco. Lascia che siano loro a correre dietro a noi (quelli delle mailing lists): vedi che gia' hanno iniziato a farlo. Mi riferisco ai testi gia' citati sopra.

Tanto non ci entri. Son circoli chiusi. E a me, personalmente, non interessano. Troppi intellettuali che si parlano addosso, troppi politici e giornalisti che si parlano fra loro.... Bah, sono stufa. A me interessa la gente.

Quella gente che non ha tempo. Vedi, e' un'ossessione per me, ci torno sempre sopra.

Devo pescar fuori il mio vecchio Farenheit 451, e quel geniale brano in cui il capitano dei pompieri (pompieri che BRUCIANO i libri, in quell'allucinata favola futurista che oggi e' tanto uguale alla nostra realta' contemporanea da farti rizzare i capelli in testa - scritta nel 1954!), racconta al suo sottoposto con crisi di coscienza la storia tramite la quale si e' arrivati alla situazione attuale. E', oltretutto, un pezzo di grande letteratura. Proponibile immediatamente sul palcoscenico, ha il ritmo, la dinamica, il colore...  (*tanto mi son fatta venir voglia di rileggerlo che sono andata a vedere sui miei scaffali, ma fra tanti traslochi chissa' dove l'ho cacciato).

Allora, io non ho pace su questo: non saro' mai soddisfatta dello stare a confrontarmi solo con gente che non dico la pensa come me ma ha voglia di ragionare insieme a me. Voglio gli altri, quelli che non hanno voglia, non hanno tempo, non gliene importa niente, hanno altro da fare (*altro libro di riferimento per questa mia particolare patologia, Il gabbiano Jonhatan Livingstone).

>Lo stesso Giulietto Chiesa, meno di un anno fa, ha lanciato la proposta di un
>dialogo con gli information-maker italiani per rivedere la direzione presa
>dal mondo dei media nei confronti dell'informazione di massa.

"I giornali sono diventati dei vassoi". Mino Fuccillo dixit. Mino era il mio capo all'epoca della breve esperienza con Repubblica, in un periodo in cui Scalfari l'aveva spedito a tener su l'avamposto di Milano. La battuta di cui sopra pero' e' piu' recente, risale appunto al '99, periodo nel quale avevo risentito un po' di colleghi dell'area romana per capire che cavolo accadeva nei palazzi del potere. Mino, dopo grandi ricerche, lo recuperai a Italia Radio, e mi racconto' di come era stato infinocchiato con la storia dell'Unita' (se qualcuno ricorda il periodo di Fuccillo direttore dell'Unita') - "pensavo di dover andar li' a salvarla, invece il piano era affossarla" - e poi si era piu' o meno autoparcheggiato all'emittente radiofonica, visto che a Repubblica lo lasciavano pure tornare, ma non l'avrebbero fatto scrivere.

Chiacchierando del piu' e del meno mi fece quella sparata li', confermandomi qualcosa che gia' sapevo da tempo: l'informazione (ovvero quella risciacquatura di piatti che riempie gli spazi vuoti fra un inserto pubblicitario e l'altro) e' solo un pretesto per fornire un supporto alla pubblicita'.

Di cercar di risuscitare questo zombie io non ho voglia, ne' punto ne' poco. Oltretutto, son soldi troppo grossi ed io, come spiegavo, sono una poveretta. L'email e' alla portata delle mie scarse forze, ed e' uno strumento molto piu' creativo.


>Credo sia un
>punto importante, nonostante tutto lo sconforto provato davanti a un
>parlamento che litiga sulla lunghezza delle banane ma è pressoché unanime
>nell'obbedienza militare,

E' piu' facile, piu' rapido. L'investimento di tempo ed energia per chi fa carriera politica non e' verso il basso ma verso l'alto: non verso l'elettorato ma nelle PR necessarie a coltivare una serie di rapporti con chi ti puo' far salire. Purtroppo questa non e' una gran novita', piu' o meno e' sempre stato cosi'.

Adesso che i cosiddetti ds (ed appendici floreal-botanico-ortrofrutticole varie) si sono venduti in blocco e sotto gli occhi di tutti, la cosa e' ancora piu' chiara: hanno detto alla maggioranza del loro elettorato, chissenefrega che voi non volete la guerra, Bush la vuole e noi vogliamo un posto a tavola.

Io sto tampinando dei colleghi di PeaceLink per gettar le basi di un'operazione molto ambiziosa di pressing diretto sui nostri cosiddetti rappresentanti: come dicevo ieri, e' inutile lamentarsi che questi fanno i cavoli loro se noi glielo lasciamo fare.

Io so nome cognome e background dei cinque deputati triestini, cosi' come so che hanno tutti votato a favore della guerra: per tirar su qualche centinaio (migliaio sarebbe piu' bello) di elettori disposti a dirgli quel "vergogna!" di cui parlavo, son disposta a impegnare parte del tempo che non ho. Per fare generiche manifestazioni di protesta no.

Anche perche', non e' solo la guerra US/Afghanistan il problema: abituare la gente a pensare ai nostri deputati/senatori come gente AL NOSTRO SERVIZIO e non viceversa e' un'idea che mi stimola.

E che non si limita al Parlamento: ci sono ancora fior di dipendenti comunali con la mentalita' del "cittadino suddito", ovvero, tutto quel che facciamo per voi e' un gran favore, zitti e 'bbbuoni. Potrei citarti una certa direttrice di asilo nido....

Bada che non scherzo. Il sistema andrebbe costruito dalle piccole cose.


>Abbiamo avuto su questa lista critiche radicali delle condizioni distorte
>dell'informazione (Giuseppe Gorlani, Massimo Marra, Paola Lucchesi, Walter
>Catalano e Claudio Martinotti). Ora si vorrebbe proseguire, proponendo
>qualcosa di costruttivo oltre allo scambio che qui lentamente sta prendendo
>piede.


Io aspetto di sentire che ne pensano gli amici di PeaceLink di quel paio di idee che ho buttato giu', poi ne riparlo qui. Comunque la direzione e' quella di andare direttamente alla fonte, quindi in un certo senso togliere all' "Informazione" questa specie di investitura sacerdotale della mediazione fra il verbo divino (proveniente dritto dritto dai palazzi del sistema) e il popolo. Tradotto: che in ogni circoscrizione elettorale almeno una minoranza di cittadini inizi a rompere i santissimi ai suoi cosiddetti rappresentanti, chiedendo ragione del modo in cui hanno votato.

Sai, gia' quando ero una pivellina di vent'anni e virgola che scocciava i politicotti DC del comune sulle pagine di un settimanale locale, questi erano fermamente convinti che il ruolo della stampa era riportare le loro dichiarazioni. Ricordo come fosse ieri le lamentele di un assessore che non voleva parlare direttamente con me (il caporedattore era un mio boyfriend di pochi anni piu' vecchio di me, teneva la cornetta alzata per farmi sentire e sorrideva). Ed erano esattamente in questo senso qui. "E poi l'ironia, l'ironia...", aggiungeva, in tono veramente straziato. Era sincero, sai, ci credeva veramente che il mio lavoro doveva essere quello di riportare le sue dichiarazioni. Tanto che il mio "capo" lo spiazzo' chiedendogli di dargliela, questa benedetta dichiarazione, e davvero' si mise a scrivere, sempre sorridendo. Il poveraccio dall'altra parte rimase un po' a bocca aperta: "Ahhh... Siiiii', dunque.....", e poi comincio con fatica a mettere insieme una serie di frasi sconclusionate (non era persona di gran cultura, ahime', ne' particolare intelligenza - pero' era DC, all'epoca bastava ed avanzava).

Beh,  comunque siamo sempre li'. E' un gioco di ruolo con parti assegnate da copione in modo abbastanza rigido: anche quando sembra che si sbranino a parole fra parti contrapposte, in realta' tutto fila come su rotelline oliate diligentemente Poi c'e' qualche Grande Nome che puo' permettersi di andare fuori dalle righe, ma tanto da lui se lo aspettano, quindi non fa danni.

Nahhhh, non ci vado a perdere il tempo. Vado a travasare il mio miele e le mie grappe in tante belle boccette ed a preparare i panierini per Natale. E a cercare un po' di straccetti bianchi da piazzare sulla borsa, sullo specchietto dell'auto e cosi' via.

Paola

 

23 gennaio 2002 da Stefano Serafini stefasha@libero.it

Il problema dell'editoria scientifica

Mi ha telefonato oggi il prof. Lima-de-Faria dalla Svezia. Dopo avermi dato del "pitbull", perché non mi arrendo nel cercare di pubblicare in Italia il suo Form and Function from Autoevolution, mi ha informato che il suo libro sulla periodicità biologica è stato finalmente tradotto ed edito in Giappone, un suo importante articolo che ne aggiorna il capitolo sulla funzione del volo sta per comparire sulla rivista internazionale Caryologia, edita in Firenze, ed è conclusa la sua quinta monografia: Cent'anni di ricerca genetica e quel che resta da scoprire.

Problema: le case editrici sparse nel mondo con cui ha collaborato in quasi sessant'anni di attività sono state via via assorbite da società piu' grandi, il cui interesse per libri di tiratura inferiore alle 30.000 copie  - cioè per tutto ciò che non è manualistica -  è nullo. A parte rare eccezioni, restano dunque in piedi le University Press, e il vecchio leone si è cosi' rivolto agli ex avversari di Harvard, università di cui aveva sdegnosamente rifiutato gli inviti all'insegnamento dieci anni fa a seguito dell'ostruzionismo, ancora antecedente di due lustri, al suo antidarwinismo.

Ma le editrici universitarie selezionano la sola "scienza normale", per usare il termine invalso grazie a Thomas Khun (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1962), cioè quanto è coerente a un sistema di premesse che cambia molto lentamente, e per fasi rivoluzionarie, in dipendenza di fattori sociali, inerziali, di coesioni trasversali e complesse. Dopo sessant'anni di lotta, finalmente il grande Lima-de-Faria, sopravvissuto a tanti colleghi ed amici, vede l'alba del nuovo paradigma postdarwiniano in biologia, e quindi verosimilmente riuscirà ad editare il suo libro. Ma cosa accadrà al giovane rivoluzionario del futuro, o meglio, di oggi? I vecchi lottatori che ho avuto la fortuna di conoscere (e c'è chi ha vissuto i decenni ritenuti oscuri in Italia o in Unione Sovietica) sono concordi nel constatare una situazione di molto peggiorata nellle possibilità del libero pensiero.

Stefano Serafini

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