Discussioni
dal Forum Culturaviva
Indice (in fieri)
- Il complotto del libro
- Risposta a Gian Arturo Ferrari di Mondadori
- Lettera aperta all'informazione italiana sulla guerra
- Il dibattito su guerra e informazione con Paolo Guzzanti
- Le donne dell'Afghanistan
- Lo zombie del giornalismo italiano
- Il problema dell'editoria scientifica
16 gennaio 2001 da Massimo Citi cs@arpnet.it
Il complotto del libro
Gentili corrispondenti
difficile resistere alla tentazione di
intervenire nella discussione innescata dall'intervento,
all'inizio di quest'anno, di Stefano Serafini.
Io sono Massimo Citi - libraio e lillipuziano editore -
partecipante al "complotto per il libro", uno degli
esiti del quale è proprio il "comunicato di
Francoforte" dal quale è partita la vostra discussione.
Comincerò dallo stato dell'arte, per poi avanzare alcune
riflessioni sul merito dell'intervento iniziale di Stefano
Serafini.
Al momento attuale il "complotto per il libro" è una
rete dalle maglie molto larghe e, fondamentalmente, vive ancora
più nelle fantasie di alcuni editori e librai che nella realtà.
L'uscita del libro di André Schiffrin - Editoria senza editori,
Bollati Boringhieri editore - è stato senz'altro un elemento
reale e tangibile di stimolo, qualcosa di più di una sirena
d'allarme, e che ha determinato una serie di iniziative (la
presentazione contemporanea in 11 città italiane del libro di
Schiffrin, l'incontro alla Fiera del Libro del 2001) ma che non
ha alle spalle un gruppo di lavoro collaudato che possa dedicarsi
a tempo pieno al collegamento di iniziative, alla verifica di
ipotesi e al progetto di un coordinamento di editori, librai e
altri soggetti legati al mondo del libro. I contatti sono
numerosi e le intenzioni ottime, ma antiche e contorte diffidenze
e l'oggettiva difficoltà di ricavare tempo disponibile
nell'ambito delle fatali 24 ore rende complicato giungere a
definire un processo che, come tutti immaginano, deve essere
fatto di tappe successive, riflessioni, verifiche e - persino -
di qualche risultato.
Il nostro desiderio - ribadito nel corso di interventi a Popolare
Network e presso la mostra della piccola editoria di Monza, a
ottobre del 2000 - è quello di giungere ad un forum
dell'editoria e del commercio librario indipendente, inteso come
struttura di coordinamento (anche economica e commerciale) che
permetta di sostanziare un'ipotesi peraltro tutta da verificare e
che sintetizzerò in modo eccessivamente schematico con una
domanda:
"L'editoria di cultura [intendendo per " editoria di
cultura" un'attività imprenditoriale che persegua
coerentemente un progetto - di ricerca, di ricreazione o di
innovazione] può dare di che sopravvivere alle librerie di
proposta (e anche agli autori, traduttori, rappresentanti,
redattori, tipografi, traduttori eccetera)?"
Se la risposta è sì il nostro lavoro sarà quello di
individuare un certo numero di librerie in tutta Italia disposte
a correre il rischio di lavorare sulla piccola - media editoria
di cultura, fornendo un polmone che impedirà a quegli editori di
morire di asfissia e nel contempo assicurandosi la possibilità
di fornire un servizio ai lettori che né supermercati né
librerie di catena sono in grado di offrire.
Questa è l'ipotesi. Ma se la risposta è "no" non
resta che rassegnarsi a fare del nostro discorso di
"resistenza" alla globalizzazione culturale (da
leggere, a questo proposito, proprio il libro di André
Schiffrin) una semplice petizione di principio da diffondere in
rete, almeno finché Internet sarà ancora uno spazio
relativamente libero.
Secondo l'intervento di Stefano Serafini questi spazi (nel senso
di lettori) esistono e anche la mia esperienza di libraio
concorda con le sue osservazioni, ma il tempo e il sistema
mediatico dell'entertainment non lavorano certo per noi. Il fatto
che, tuttavia, il sistema sia tarato verso il massimo profitto
possibile, rende debole e quindi potenzialmente interessante,
anche la posizione di editori non piccoli, tra cui la Bollati
Boringhieri e altri firmatari del comunicato di
Francoforte
Per venire alle riflessioni inviate da Stefano Serafini, mentre
sono assolutamente d'accordo sulla possibilità e opportunità di
costituire "una rete di collegamento", attività alla
quale dedico i pochissimi momenti liberi che ho, non nego di
avere qualche ragionata diffidenza verso "l'idealismo"
di taluni piccoli editori, categoria alla quale - peraltro - mi
ascrivo volentieri.
Personalmente ho letto con profitto e divertimento il libro di
Flavio Pagano, lui stesso ex-piccolo editore, perché mi è parso
che, con pungente ironia, indicasse con precisione i difetti
dell'editoria di cultura italiana, primo tra tutti la relativa
(talvolta criminale) incapacità di definire i termini economici
e gestionali della propria attività nel nome di un malinteso
idealismo che, in omaggio al malaugurato crocianesimo tipico
della cultura italiana, considera con disprezzo e sufficienza
economia e scienze.
Il rischio di una deriva estetizzante della discussione è stato
ben chiaro a noi "complottardi" fin dall'inizio del
nostro lavoro e credo sia importante ripeterlo anche in questa
sede. A questo proposito ho particolarmente apprezzato che
Stefano Serafini mettesse in evidenza che, tra gli altri, scopo
dell'editoria - piccola, media o grande - sia quello di produrre
profitto.
Il mio passato può largamente testimoniare che non provo nessuna
particolare attrazione per il profitto in quanto tale, ma, in
quanto operatore, non posso fingere che si possa farne a meno,
né che scopo di un'impresa sia quello di produrre perdite.
A questo punto temo di aver superato almeno due limiti: quello
della pazienza e della buona volontà di chi mi legge e, in
subordine, quello della mia ipotetica lucidità.
Non posso che invitare chi mi legge a continuare a seguire e, se
lo ritiene opportuno, sostenere le nostre attività,
sottoscrivendo il comunicato di Francoforte e collegandosi al
sito della rivista LN - LibriNuovi o procurandosene la versione
cartacea, disponibile in alcune librerie italiane. Ovviamente
continuerò a seguire il dibattito in corso e, ove richiesto, a
fornire spiegazioni e comunicare iniziative.
Ringraziando ancora per l'attenzione, i migliori auguri di buon
lavoro a tutti.
Massimo Citi
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C.S. - Coop. Studi libreria editrice
V. Ormea 69 - 10125 Torino
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27 marzo 2001 da Massimo Citi cs@arpnet.it
Risposta a Gian Arturo Ferrari di Mondadori
I Librivendoli
Torino
Gentili colleghi.
Vi inviamo di seguito lettera ai librai italiani con alcune
osservazioni e una doverosa replica alla «lettera aperta ai
librai italiani» a firma G.A Ferrari.
Restando in attesa di Vs. comunicazioni, i più cordiali saluti.
I sottoscritti firmatari, titolari e dirigenti di librerie, presa
visione della lettera a firma Gian Arturo Ferrari della direzione
della Arnoldo Mondadori editore:
- affermano il loro pieno sostegno alla legge sul libro
recentemente approvata.
- considerano assolutamente irragionevole e insostenibile, viste
le condizioni commerciali attualmente in vigore, la proposta di
un tetto massimo di sconto al pubblico pari al 20%.
- viste le numerose inesattezze e l'uso apertamente distorto dei
dati riportati, giudicano intollerabile e fuorviante l'analisi
della legge e delle sue conseguenze presentate nella lettera.
Reputano gravemente strumentali e demagogiche le osservazioni ivi
contenute sulle temute conseguenze a danno del lettore. Nella
realtà la disciplina degli sconti favorirà, per obiettive
ragioni di concorrenza, una riduzione reale dei prezzi di
copertina, contribuendo al diffondersi della lettura nel nostro
paese.
Ritengono inoltre che il tono e le minacce di ritorsioni ivi
contenute pregiudichino gravemente i rapporti in essere tra le
librerie e la casa editrice Arnoldo Mondadori.
- giudicano che l'approvazione della legge con la conferma del
tetto massimo di sconto al 10% e al 5% per i testi scolastici
costituisca una garanzia per il lettore di pluralità di letture
e di fonti d'informazione.
Ritengono ancora che tale provvedimento avrà benefici effetti,
come è avvenuto in Francia e Germania, sia per la diffusione
della lettura in Italia che per la limitazione di fenomeni di
sovrapproduzione a fini esclusivamente finanziari.
- esprimono il proprio assoluto disaccordo con la politica
commerciale Mondadori che, pur di fronte ai numerosi fallimenti
nell'imporre al mercato librario la propria egemonia, ancora una
volta propone la propria politica aziendale come unica possibile
strada di sviluppo per il comparto editoriale e librario.
Ritengono altresì intollerabile che, secondo un costume ormai
collaudato, siano ancora una volta le librerie a dover rispondere
di carenze di gestione e errori di conduzione della politica
commerciale mondadoriana.
- confermano il loro pieno appoggio ai rappresentanti delle
proprie categorie professionali impegnati nella difesa della
legge.
- invitano i colleghi, a sostegno della legge e come risposta
alle gravi affermazioni della Direzione Commerciale della Arnoldo
Mondadori editore a sottoscrivere il documento e, come prima
concreta forma di protesta a:
RESPINGERE AL MITTENTE IL PRIMO INVIO NOVITA' AME DEL MESE DI
APRILE.
Come aderire:
1 - reinviare a mezzo fax o e-mail avvenuta adesione a:
C.S. Coop. Studi Libreria Editrice, Torino - Tel 011 650 31 58 /
Fax 011 650 35 02
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Libreria La Torre di Abele, Torino - Tel 011 53 7777 / fax 011
512 07 23
torabel@inwind.it
Libreria La Città del Sole, Torino - Tel 011 817 1076 / fax 011
837487
lacdsole@tiscalinet.it
LN - LibriNuovi - Trimestrale di attualità libraria - tel. 011
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2 - inviare a tutti i colleghi dei quali si possiede numero di
fax / indirizzo posta elettronica il testo INTEGRALE del
messaggio, ivi comprese le istruzioni per l'adesione.
3 - È FONDAMENTALE che l'adesione comporti l'impegno attivo a
respingere il primo invio di novità AME del mese di aprile.
Adesioni di principio non sono, in questo momento, di alcuna
utilità.
Attenzione: presso il sito www.arpnet.it/cs verrà attivata una pagina di adesioni delle
librerie che verrà aggiornata quotidianamente a partire dal
giorno 27 marzo 2001.
Adesioni al 26.3.2001: Libreria Cortina Torino; Libreria Dante e
Descartes, Napoli; Libreria La Città del Sole, Torino; Libreria
La Torre di Abele, Torino; Libreria l'Isola del Sole, Milano;
Libreria Bissoni, Sondrio; Libreria La Bancarella, Piombino;
Librinformatica, Livorno; C.S. Coop. Studi, libreria editrice,
Torino; Libreria Il Punto Esclamativo, Cernobbio CO; Libreria
Febo, Avigliana TO; Libreria Il Leggio, Busto Arsizio MI;
Libreria Scaldapensieri, Milano; Libreria Salesiana, Pisa;
Cooperativa Libraria '900, Vigevano
20 settembre 2001 da Stefano Serafini stefasha@libero.it
Lettera aperta all'informazione italiana sulla guerra
Gentili Direttori, Capiredattori,
Giornalisti, Operatori dell'informazione
pubblica e privata,
Gli eventi tragici appena abbattutisi sugli Stati Uniti d'America e sul mondo intero hanno trovato vasta eco nel vostro lavoro di informazione di questi giorni. Tutti i cittadini debbono ringraziarvi per l'importante funzione da voi svolta nelle ore immediatamente successive al dramma.
Tuttavia, attraverso le televisioni e i giornali, la cronaca e la pietà per il Paese vittima dell'immane tragedia si sono rapidamente trasformate in una sorta di propaganda della sua politica e delle sue azioni a venire che si profilano non meno gravi e luttuose.
Negli ultimi giorni abbiamo udito servizi televisivi ad effetto emotivo praticamente inneggianti alla guerra santa occidentale, slogan e commenti che esaltano gli USA come nazione modello di civiltà e democrazia, svergognando così la nostra cultura e la nostra storia, talvolta persino frasi che è difficile decidere se attribuire all'ignoranza o ad un' incontrollata emotività.
Nulla giustificherà mai un atto mostruoso come l'attacco terroristico alle Torri di New York e alla sede del Pentagono, una delle pagine più nere della storia contemporanea. Nulla giustifica i due milioni di uomini, donne e bambini morti per l'embargo imposto dagli USA all'Iraq, né i bombardamenti su Belgrado, né i finanziamenti trascorsi e attuali ai terroristi "amici", né quanto ora avverrà sotto i cannoneggiamenti occidentali di popoli altrettanto innocenti e degni di umana considerazione delle vittime di New York. La vera cultura europea, costata guerre e sofferenze innumerevoli, ci ha insegnato che nessuna ideologia, fede, modello sociale deve poter giustificare la mano dell'uomo contro l'uomo.
Eppure, mentre il clamore per certe vittime ed il silenzio per certe altre sembrano far pesare i morti in modo orrendamente diverso sulla bilancia dell 'informazione mediatica, dobbiamo assistere basiti all'invocazione del sangue innocente per giustificare il versamento di altro sangue innocente.
Non rivolgiamo questa lettera ai politici, perché siamo consapevoli che sarebbe inutile: il potere e la violenza avranno il loro corso indipendentemente dalle proteste, né i nostri governanti avrebbero il potere di impedirlo.
Crediamo però sia importante richiamare almeno le vostre coscienze, su cui pesa la responsabilità di agevolare o infiacchire la riflessione della gente, ad un uso di toni più consoni all'obiettività critica che sempre dovrebbe rappresentare l'ideale del giornalismo. Non possiamo salvare il corso degli eventi, ma certamente non dobbiamo infierire abbassando quella razionalità del pubblico che siamo invece chiamati a promuovere.
E' vero, il vostro ruolo non è semplice, ma è lo stesso rispetto di voi stessi come persone e professionisti che deve imporvi un maggior senso di responsabilità e di attenzione; perché parole e immagini, se strumentalizzate, possono cadere assieme alle bombe trascinando nel fango la nostra umanità, o, in cerca del vero, elevarsi assieme alle preghiere di tutti gli uomini di buona volontà, e sostenerle.
Stefano Serafini, consulente editoriale,
Roma
( http://groups.yahoo.com/group/culturaviva )
Claudio Martinotti, consulente, Ozzano Monferrato (AL); Danilo
Brogli, impiegato comunale, Ferrara; Luigi Pellini, agricoltore,
Oppeano (VR); Renato Bordonali, libraio ed editore, Milano;
Gianrico Gualtieri, ricercatore artistico, Ginevra; Giuseppe
Gorlani, imprenditore agricolo, Assisi (PG); Giuseppe Lucchesini,
studioso, Roma; Alberto Giovanni Biuso, docente di Filosofia,
Milano; Laura Maffeis, fotografa, Bergamo; Domenico Pievani,
insegnante, Bergamo; Enrico Falcioni, custode, Baveno (VB); Mauro
Quagliati, ingegnere ambientale, Imperia
20-22 settembre 2001 da Stefano Serafini stefasha@libero.it
Il dibattito su guerra e informazione con Paolo Guzzanti
-----Messaggio originale-----
Da: Paolo Guzzanti <p.guzzanti@mclink.it>
A: Stefano Serafini <stefasha@libero.it>
Data: giovedì 20 settembre 2001 21.25
Oggetto: Re: Lettera alla stampa italiana, ultimo atto
Purtroppo io sono di quelli che al delitto desiderano veder
seguire il castigo. E quando Hitler invade la Polonia, dichiara
guerra ad Hitler e ignora i pacifisti che vogliono (volevano) la
pace con il nazismo. Sorry, è il momento della difesa degli
inermi.
Nessuna distruzione indiscriminata, ma tutte le necessarie
distruzioni necessarie. La pace non è la soluzione giusta per
combattere la mafia e nemmeno per combattere il terrorismo. Non
sottoscrivo e vi invito a riflettere che anche chi vuole il
castigo è buono e ama l'umanità. E chi non rispetta l'umanità
deve pagarne il prezzo ed esserne messo al bando.
Con rispetto,
Paolo Guzzanti
Caro Guzzanti,
grazie per la risposta. Il problema è trovarlo il nemico. Anche
noi siamo per la reazione, la giustizia e la punizione del
colpevole: ma viste le premesse fatte di aerobombardieri,
incrociatori, truppe, e scenari bellici ipotizzati sinora dagli
esperti tattici, temiamo di dover assistere piuttosto a una
vendetta. Il terrorismo, a differenza della Germania nazista, non
ha un territorio da invadere, un'esercito sul campo da
sbaragliare, e a malapena ha un volto (quello di Bin La Den,
concesso e non ammesso).
Anche i morti di Baghdad, di Belgrado, del Sudan erano inermi, lo
erano quelli di Dresda, di Hiroshima, di Nagasaki; e per non
parlare solo degli USA lo erano i kulaki e i menscevichi
russi - gli uomini sono inermi ovunque, indipendentemente
dal loro credo o dalla parte in cui li situano storia, politica
ed economia, e tutti meritano pari difesa e dignità di notizia.
Se vogliamo parlare di politica è un'altra faccenda,
sortirebbero fuori tante opinioni. Per ora pensiamo ai morti, e a
non usarli per farne altri che, come loro, non c'entrano niente.
La pace non è ebetismo infantile da sottocultura di sinistra, ma
dono divino e compagna della giustizia severa.
Cordialmente,
Stefano Serafini
Caro Guzzanti,
mi fa piacere vedere che continua a rispondermi, e considerando
il daffare che avrà per ben più numerosi lettori, la ringrazio
davvero.
Quel che lei dice è tutto sensato, ma evidentemente non
riusciamo a capirci: pare davvero che lei creda che gli Stati
Uniti abbiano ucciso e combattutounicamente per il bene
dell'umanità; e che d'altra parte gli estremisti islamici siano
stati partoriti dall'inferno con l'unico scopo di rovinare il
paradiso in terra creato dagli allievi di Soros. Insomma, ancora
una volta tutto bianco e tutto nero, col risultato che santi e
peccatori impenitenti (gli uni o gli altri, a seconda dei punti
di vista opposti suo e di certa sinistra, e anche di certa
destra) continuano a spargere sangue.
Per rispondere brevemente alle sue osservazioni: 1) I Curdi sono
stati massacrati a milioni dalla Turchia, stato amico degli USA;
ma in tal caso nessuno li conta; 2) Né cibo né medicinali
potrebbe, anche volendo, acquistare il malvagio Saddam dato
l'embargo voluto dagli USA, embargo prontamente ritirato - è
notizia odierna - a quei Paesi che daranno il loro appoggio
tattico, improvvisamente divenuti "buoni"; 3) Dresda,
Iroshima e Nagasaki, come altre atrocità, avvennero a guerra
quasi finita, quando Germania e Giappone erano ormai praticamente
sconfitti, e il loro orrore venne denunciato dallo stesso
parlamento inglese; 4) Il bombardamento del Sudan fece un numero
di vittime ancora sconosciuto, si richiese un'inchiesta ONU, che
venne impedita dagli USA ; 5) Ai kulaki e ai menscevichi
aggiungerei anche gli altri 3 milioni di civili fatti sparire ed
i i 10 milioni reclusi nell'arcipelago Gulag. E poi c'è Pol Pot,
e la Cina di Mao, e Cuba, e tanta parte d'Africa, e lei queste
cose, con mia gratitudine, le insegna a un'Italia ancora
vergognosamente a due pesi e due misure.
Con ciò, certamente, non si giustifica l'operato di Saddam
Hussein, del Giappone imperiale, dei nazisti o dei pazzi delle
Twin tower. Si dice semplicemente che non si può eguagliarli
nell'atrocità, cioè in quell'elemento che ce li fa qualificare
come abominevoli.
E poi si domanda: chi ha creato, e fino a ieri supportato,
finanziato, armato, rifocillato Saddam Hussein, Bin Laden, la
guerriglia cecena, i contras nicaraguensi, i dittatorucoli
centroamericani, i falchi israeliani, l'UCK, ecc.? Specularmente:
chi ha sostenuto l'Iran khomeinista, la Cuba castrista, le
dittature marxiste africane, la revoluccion sandinista, i
palestinesi oltranzisti, Slobodan Milosevic finché s'è potuto,
ecc.? Vogliamo continuare a confondere etica e politica, e
rimanere alle favolette
dei buoni contro i cattivi per coprire lo scenario della guerra
per il dominio mondiale, un po' come faceva il PCI di Berlinguer
"pacifista" e "anti-missili" dell'ultim'ora?
Sinceramente mi sorge il dubbio se Guzzanti, dato il suo ruolo in
prima linea, possa cadere vittima -come un po' tutti in
Italia in questo momento- delle vecchie categorie
sinistra-antiamericana e destra filo-USA. Capisco e approvo lo
spirito della vis polemica, ma mi sembra che si possa andare
oltre, almeno per se stessi.
Forse il vero problema è che dal 1991 in poi la fine dei
bilanciamenti geopolitici ha creato una situazione altamente
instabile, che sta precipitando alla resa dei conti finali. In
tal caso una cosa è la propaganda, credendo alla quale si
sarebbero investite migliaia di miliardidi dollari nella guerra e
nella successiva ricostruzione dei Balcani unicamente per dei
poveri albanesi di cui fino a ieri non caleva nulla ad alcuno;
un'altra i fatti: l'espansione a Est di un impero che comincia ad
aver paura di certi scricchiolii, ed usa la forza per accelerare
la storia. Non possiamo restare ancorati alle categorie di un
mondo, e di un'Italia, che non esiste più. E forse è questa
anche la prima occasione (occasione fra l'altro, a mio parere,
pagante anche politicamente) per provare a ripristinare un po' di
umanità elementare, e di dialogo. Perché il mio problema
continua a essere quello dei morti inermi da entrambe le parti,
non "chi ha ragione". La guerra va, e miete: il suo
strumento è la falce, chiedo solo non lo si confonda con la
bilancia, degna di altra sostenitrice.
Cordialmente,
Stefano Serafini
-----Messaggio originale-----
Da: Paolo Guzzanti <p.guzzanti@mclink.it>
A: Stefano Serafini <stefasha@libero.it>
Data: sabato 22 settembre 2001 17.48
Oggetto: Re: R: R: Lettera alla stampa italiana, ultimo atto
Non credo affatto che tutto sia o bianco po nero, ma viene il
momento in cui si deve dividere in bianco e nero, vero e falso,
buono o cattivo, oppure non si farà mai la guerra ad Hitler e lo
sbarco in Normandia. L'America non l'ha fatta il magnate
ungherese Soros, grande corruttore dell'Est europeo e della
Russia. Comunque: 1) i curdi non sono stati sterminati a milioni
di turchi, ma sanguinosamente repressi, questo sì. Per questo
motivo la Turchia paga la sua esclusione dall'Europa.
2) l'embargo di cui tanto si fantastica riguarda soltanto i
prodotti americani. Posso farle conoscere tre case farmaceutiche
che riforniscono quotidianamente l'Iraq di medicinali non
americani e che le diranno come l'Iraq preferisca spendere tutte
le sue enormi, straripanti, fantamiliardarie risorse in armi,
fottendosene della popolazione cvile, così come se ne fottono
tutti gli stati arabi seduti per caso su barili di petrolio di
cui incassano passivamente le prebende, lasciando le loro
popolazioni alla morte televisiva, per far sì che lei pensi
davvero che sono gli americani ad uccidere i bambini iracheni e
non Saddam. Lo stesso vale per Cuba, dove l'embargo riguarda
soltanto le merci americane: se lei vuole esportare in Iraq o a
Cuba quel che le pare, purché non sia un brevetto o un prodotto
americano, può farlo a suo piacere.
3) Dresda, Hiroshima e Nagasaki furono fra le cause ultime della
fine della guerra: inglesi e americani, prima delle bombe
atomiche avevano dovuto pianificare un milione e trecento mila
morti alleati (senza contare le perdite del nemico e dei civili)
prima di poter invadere il Giappone costringendolo alla pace. Il
tempo previsto era un anno e mezzo, cioè l'inizio del 1947. La
Germania non si è arresa mai, combattendo fino all'ultimo uomo e
Berlino era ridotto molto peggio di Dresda quando l'armata rossa
riuscì finalmente ad espugnarla. La carneficina della seconda
guerra mondiale fu creata e attuata dalle potenze
dell'aggressione (Germania, Urss, Italia) e subìta da quelle che
poi dovettero combattere fino alla fine per impedire alle forze
del male di vincere. E scrivo forze del male intendendo forze del
male. E le ripeto che i pacifisti nel 1939 attaccarono
ferocemente Francia e Inghilterra per la loro assurda pretesa di
contrastare Hitler con le armi. Cambiarono idea soltanto
nell'estate del 41, quando improvvisamente Hitler pugnalò alle
spalle l'alleato Stalin, ciò che fece cambiare fronte ai
comunisti occidentali e ai pacifisti.
4) E' del tutto falso, e la sfido a
provare le sue affermazioni, che gli Stati Uniti abbiano
impedito qualsiasi inchiesta sul numero delle vittime.
Così come è falsa la cifra delle vittime civili dei
bombardamenti italiani, inglesi, sauditi, francesi e americani.
Il nostro pilota Cocciolone bombardava, come tutti, soltanto
installazioni logistiche e militari e mai sono stati eseguiti
bombardamenti su obiettivi civili, anche se un certo numero di
civili che lo stesso Saddam ha quantificato in alcune centinaia,
ci hanno lasciato la vita.
5) Il numero complessivo dei civili che sono stati assassinati
dal regime sovietico, a giudizio degli storici russi odierni, si
aggira intorno ai 120 milioni di morti, per i quali nessuno ha
mai protestato, manifestato, mosso addebito. Gorbaciov ha causato
migliaia di morti in Estonia e Lettonia e Cecenia, prima di
mollare la partita, e aveva pianificato l'uso di gas e armi
batteriologiche.
Le sono grato di quanto mi dà atto e le do atto a mia volta
della stessa indignazione morale e rettitudine. Ma nessuno
intende gareggiare in pazzia con i "pazzi" (troppo
buono: solo dei poveri pazzerelloni?) delle Twin Towers. Ciò che
si vuole è punire ed estirpare le centrali armate del terrore e
della guerra alle popolazioni civili inermi. Nessun occidentale
è mai andato a colpire paesi arabi allo scopo, al solo e preciso
e calcolato scopo, di assassinare e macellare migliaia di civili
innocenti, donne e bambini compresi. Questo delitto a parere mio
va castigato, come quello di Hitler, di Pol Pot e di ogni altro
satrapo. E non confonderò mai gli errori che uno Stato
democratico può commettere sotto l'assedio della sua opinione
pubblica e della stmpa, e dei parlamenti e della magistratura,
con i crimini dei satrapi, dittatori, rais, capoccia, capimafia,
gangsters internazionali. E la povertà del mondo non c'entra
nulla perché Bin Laden e tutti i suoi emuli si distinguono per
essere loro stessi dei fantamiliardari che hanno usato il loro
denaro per
comprare odio e sangue.
Caro amico, quanto al resto, sì: per me i buoni restano gli
occidentali e laloro dura, sporca guerra contro i cattivi nemici
della democrazia, i nazi-fascio-comunisti, con appendici
islamiche e cinesi. Io non sto con la destra amercana, ma con il
91 per cento degli americani che sono con il loro presidente, a
cominciare da Woody Allen che ha cambiato idea sul suo
presidente. Noti bene: finita la guerra fredda, l'Occidente ha
fatto cadere tutte le dittature sudamericane, ha messo in galera
Noriega, ha castigato Saddam e tutti gli altri briganti che
vivevano di posizione di rendita, compresa buona parte della
classe dirigente italiana.
C'è stata una guerra, la terza, quella fredda, e l'abbiamo
vinta. Il resto è assestamento in un mondo che è infinitamente
migliore di quello di mezzo secolo fa e nel quale proprio le
popolazioni più reiette e derelitte vivono in condizioni
migliori e con speranze migliori, e ciò soltanto grazie alla
culrtura, la scienza, l'altruisimo, la democrazia occidentale,
anche se l'Occidente non è il paradiso, ma è il meno-inferno
che si sia mai dato nella storia del genere umano.
La saluto con amicizia.
Paolo Guzzanti
Caro Guzzanti,
ci mancherebbe, si puo' e si deve dividere il mondo in
schieramenti e scegliere da quale parte stare, avendo il coraggio
delle proprie ragioni e dei mezzi necessari, senza pero'
ammantarle di scintillante vernice moralistica. Mi spiace, io non
riconosco nell'Occidente americano (ben altra cosa dal faro di
cultura e civiltà che è stata e dovrebbe essere l'Europa) il
meno-inferno né, tantomeno, la società dei "buoni".
Non è solo questione di valori diversi, che ognuno ha il diritto
di coltivarsi, ma anche di fatti oggettivi. Non posso che
sdegnarmi davanti alla distruzione dei Buddha di pietra in
Afghanistan, ma molto più grave mi pare la perdita di senso di
milioni di occidentali rimbambiti, omologati e perduti nei ritmi
di una vita dove l'ultimo metro di giudizio è il tintinnante
soldino. Lo stesso tintinnio metallico che mi par di avvertire
dietro le grandi operazioni di guerra pomposamente rivestite di
umanitaria bontà.
Di Soros (e su di lui condivido il suo giudizio) giustamente lei
ci rammenta che è venuto dopo l'America; ma non il popolo
americano è in guerra (quella vera e a lungo termine, lontana
dalle tv ma già scritta nero su bianco da un signore di nome
Brzezinski), bensì una forma di potere colà nato e cresciuto
per ragioni storiche, di cui Soros è eminente rappresentante, la
quale travalica l'apparenza della democrazia televisiva e dei
logorati confini nazionali. Il mondo, ripeto, non è mai stato
più distante dal suo ieri, e non credo affatto sia migliore di
cinquant'anni fa.
Sugli infelicissimi curdi sarebbe forse opportuno chiedere a loro
chi preferiscano come nemico, se Hussein o gli Usa e la Turchia,
e ricordo che di quest'ultimo Paese è nota la pressione
diplomatica Usa perché l'Europa lo accetti nel suo seno
indipendentemente da preconcetti umanitari. O è anche questa una
diceria?
Sull'embargo all'Iraq, una volta ottimo alleato degli Usa nella
persona di Hussein, proprio come quei petrolieri seduti sui
barili che danno energia all'economia internazionale, sarò lieto
di informarmi meglio: ero rimasto a G. Chiesa, N. Chomsky, J.
Wronka e alle testimonianze dirette di alcuni amici sacerdoti
mediorientali. Su quello cubano, poi, avevo come fonte le
condanne (formali e disattese) dell'ONU agli States, ed il
rapporto della American Association for World Health del 1997.
Datato?
Mi chiedo infine se fra le cause, necessarie dunque, della fine
della grande guerra lei ponga anche Nagasaki (la seconda bomba).
Non è una questione di lana caprina: conta 70.000 esseri umani
vaporizzati. Quanto ai pacifisti, la società moderna è ricolma
di casi sempre più raffinati di strumentalizzazione dei migliori
sentimenti umani: sono d'accordo sul ruolo passivo da essi tante
volte subito nella guerra globale. Ciò nulla toglie al valore
della pace, tenuta in massimo conto anche dai nostri bellicosi
padri latini.
E poi, mi scusi, ma ritenere che una guerra esploda perché un
fellone si alza la mattina e decide di fare un macello è quanto
meno poco aderente, nonostante la vulgata dei nostri libri
scolastici. Quanta responsabilità hanno avuto gli altri Paesi
nel trasformare una Germania distrutta, affamata e umiliata in
una belva d'acciaio? E che dire del ruolo europeo nel
foraggiamento dei moti rivoluzionari russi culminati nel 1917? E
l'invasione del Quwait è stata, diciamo così, la mera
"pazziata" improvvisa d'un rais annoiato? Vogliamo oggi
ripetere gli errori commessi in Persia, in Palestina, e
moltiplicarli per tutto il mondo islamico? D'altronde non
crederemo che la soluzione del problema "arabo" e delle
sue rivendicazioni possa essere quella finale.
Sui morti civili iraqeni ("collaterali") le do' atto di
non possedere dati diretti, ma mi permetto di pensare che non li
possiede neanche lei. Chi, infatti, puo' fornirli? La CNN? La
Nato? Ho pero' vivide nella mente le immagini del ponte di
Grdelica (quello su cui correva un treno) della fabbrica di
Panchevo, della sede della tv serba, e i dati del fall-out di
diossina (altro che uranio impoverito) in centro Europa.
Conosco la storia della volpe Gorbaciov, cui pero',
infischiandosene, si è deciso di tributare addirittura il Nobel
per la pace, presentandolo (e questo solo in Occidente, perché
in Russia sanno chi è) in una sorta di santo uomo della
provvidenza. Troverà anche lei che c'era da vomitare quando gli
interpreti correggevano e abbellivano il suo russo sgrammaticato,
obbedendo a una regia che ha reso agli occhi dell'opinione
pubblica ex-oltre cortina il vecchio trattorista quasi un fine e
delicato intellettuale.
Eccetera, eccetera, compresa Karthoum e le stragi indonesiane e
il carnevale balcanico. Ma se almeno si dicesse "à la
guerre comme à la guerre"...
Detto ciò, nessuno ha mai sostenuto che il delitto orrendo delle
torri non vada punito; ma che, parafrasando un suo recente
articolo, per farlo non si mietano vittime
"collaterali" di serie B. Una guerra non farà bene a
nessun popolo; sarà pero' un ottimo business in primis, e quindi
un passo geopolitico verso l'Afghanistan intorno al quale si
giocherà il controllo delle maggiori fonti petrolifere mondiali,
oltre al trascurabile (ma calcolato) particolare delle sorti di
noi tutti messe in ballo. Con buona pace dei miliardari in
doppiopetto e in barracano.
D'altronde chi vivrà vedrà.
La ringrazio per lo scambio di opinioni, che mi ha stimolato e mi
farà approfondire le fonti di certe informazioni e indagare
l'altro versante della propaganda. Vorrei sperare anche da parte
sua, in futuro, qualche riflessione accesa del medesimo fuoco in
nuove direzioni, e lo scrivo con rispetto verso chi crede nelle
proprie idee anche se in gran parte opposte a quelle in cui io
credo.
Auguri, a lei e a noi tutti. Che Dio ci protegga.
Stefano Serafini
29 ottobre 2001 da Giuseppe Gorlani gigorl@libero.it
Le donne dell'Afghanistan
Cari Amici,
ieri sera, consultando "Sfoglia la notizia" con
l'intento di aggiornarmi sulla drammatica situazione
afghana, sono statocolpito dal concentrato di ipocrisia e
falsità trasudante da un articolo di Stella Pende, intitolato
"Com'era bella la mia Kabul". L'articolo in questione
("Uno straordinario reportage") inizia snocciolando
alcune madornali bugie: "Le foto di questo servizio
raccontano di un mondo che pare lontanissimo: era il 1972 e per
le strade di Kabul le ragazze giravano vestite secondo i canoni
occidentali. Il burqa, l'abito tipico che copre il viso e tutto
il corpo, non era obbligatorio dal '59 e veniva indossato solo
dalle donne più tradizionaliste e povere". Le fotografie
sono tre: la prima mostra tre ragazze di carnagione scura che
passeggiano vestite all'occidentale, con la minigonna; la seconda
mostra di spalle una presunta donna poliziotto col volto
scoperto; la terza ritrae tre infermiere in una stanza, anch'esse
coi visi scoperti. Personalmente, ho vissuto in Afghanistan per
alcuni mesi, nel '70 e nel '73.
Durante il mio secondo viaggio, ho trascorso una decina di giorni
a Kabul, ospite di alcuni mussulmani incontrati casualmente.
Posso dunque dire con assoluta certezza di non aver mai visto una
sola donna afghana vestita all'occidentale (figuriamoci con la
minigonna): tutte, ricche o povere, portavano il chadri (la
burqa). Facevano eccezione alcune rare donne appartenenti, credo,
a tribù zingare o a frange ridottissime di popolazione non
islamica, e comunque anche queste poche non vestivano di certo
all'occidentale.
Pertanto, le fotografie di cui sopra o sono false, o ritraggono
donne non islamiche prezzolate all'uopo o le uniche tre donne
"illuminate" su una popolazione di quindici-diciotto
milioni di abitanti.Tali immagini però, se poste nelle mani
dell'astuto plagiatore occidentale, diventano ottimi strumenti
per convincere le nostre masse de-culturate che la stragrande
maggioranza delle donne afghane vive struggendosi nell'attesa che
foruncolosi e puntuti anglo-americani facciano piazza pulita dei
loro barbuti ed odiosi mariti e figli, liberandole dal
servaggio ad una "spregevole" Tradizione. Persino una
persona di alta sensibilità e cultura come Guido Ceronetti cade
nella banalità più plateale quando afferma che non appena gli
uomini afghani si girano le loro donne fanno spuntare da sotto il
chadri la bandierina a stelle e strisce.
L'articolo della Pende prosegue dicendo : "E d'improvviso
l'Afghanistan e Kabul diventano il cuore del mondo. Un paese
solo, perduto tra le montagne viola e le sue nevi d'inverno.
Infiorato dai suoi papaveri peccaminosi nelle stagioni estive. Un
piccolo e poverissimo mondo di pastori e villaggi affamati, di
barbuti dittatori neri e cattivi, i talebani, di kalashnikov, di
donne ombra prigioniere di abiti senza faccia e senza occhi. Un
paese di macerie e di mine che solo trent'anni fa pochi sapevano
trovare sulle carte geografiche. Ma com'era l'Afghanistan prima
dei talebani? Com'era Kabul prima di Osama Bin Laden, che l'ha
condannata a diventare la calamita della guerra?".
In quanto al fatto che l'Afghanistan sia diventato il cuore del
mondo, direi che ciò è assoluatmente vero: lì, ora, a morire
con i barbuti cattivi e con le loro donne ed i loro figli ci
siamo anche noi, c'è il nostro diritto alla diversità, il
nostro disprezzo per stili di vita contrari ad ogni più
elementare forma di saggezza ed armonia. Riguardo al resto,
non sono di sicuro stati Bin Laden o i Talebani a ridurre
l'Afghanistan in rovina, bensì la Russia occidentalizzata e le
lotte fratricide finanziate ed armate dai più ricchi e
"caritatevoli" Paesi civilizzati, abilissimi
nell'applicare la strategia del "Divide et impera".
Cara Stella Pende, vuoi proprio sapere com'era l'Afghanistan
prima che al governo salissero i comunisti, aprendo le porte
all'abominevole invasione russa? Ebbene, era più o meno come
adesso i Talebani desiderano che sia, con l'unica differenza che,
probabilmente, l'atmosfera era allora assai più rilassata e
tollerante, e che la terra si stendeva a perdita d'occhio
incontaminata, non devastata da mine, carri armati e
bombardamenti. Per descriverci l'Afghanistan-paradiso, distrutto
dall'arrivo degli "infernali" Talebani, l'autrice va a
scomodare il famoso scrittore Dominique Lapierre. Questo
personaggio, a dir poco ambiguo (si identifica con i più poveri
dell'India, ma percorre l'Oriente a bordo di lussuose
automobili), che visitò quel Paese alcune volte dal '51 al '73,
dice, sfoggiando un rassicurante stile lirico-romantico, di
ricordarsi la capitale come "una piccola città che
respirava luce d'oro. Un'oasi di fresco, una piccola terra di
cultura e di coraggio intellettuale. [...] una città di donne
belle e di gonne corte".
Riguardo a "donne belle" e "gonne corte",
permettetemi una chiosa immediata: quel tizio era cieco o pazzo,
o non si era allontanato oltre cento metri dalla residenza reale.
Nel '73 lo stesso ripassò per Kabul a bordo di una Rolls Royce
grigia e nera ed ebbe alcuni incontri con il re Zahir Shah a
proposito del quale scrive: "[La reggia era] fuori, un
grande mausoleo d'Oriente, picchi dorati e tetti di curve. Poi,
varcata la soglia, ti ritrovavi a Versailles. All'entrata
specchiere d'oro, nei salotti mobili bar rococò. Dovunque, a
perdita d'occhio, tappeti bukara. Uno sull'altro. I valletti
abbigliati all'occidentale offrivano champagne. Ma quello più
sorprendente era lui, il re. Non c'è nulla di più occidentale
di un orientale che è stato conquistato dall'Europa. E lui lo
era. Aveva studiato a Parigi e la Francia gli era rimasta nel
sangue. Parlava un francese raffinatissimo. [...] Una sera ci
parlò a lungo della situazione drammatica del suo paese, dei
pericoli del colpo di stato. Aveva ragione: appena sei settimane
dopo aver pronunciato quelle parole venne detronizzato e per
l'Afghanistan cominciò la lunga odissea che porta a oggi".
Da come Lapierre ci descrive il re, si può ben comprendere che
la "lunga odissea" dell'Afghanistan, aggredito da forze
dissolutrici della propria identità tradizionale, era già
cominciata col re filo-occidentale e probabilmente ancora prima
con l'infiltarsi di sottili influenze corrosive.
Per concludere, consentitemi di proporvi una voce dell'Oriente
tradizionale femminile, registrata da Mircea Eliade, autore la
cui serietà è fuori discussione: "Ascoltate ora ciò che
mi ha detto un'indiana.Trascrivo i frammenti di quanto ho udito
un po' di tempo fa, una sera di febbraio, su una terrazza di
Bhoswanipur. - Le nostre sorelle d'Europa e d'America sono
abituate a compiangerci. Credono che le donne indiane siano
asservite negli harem, prive di qualsiasi distrazione e libertà,
desiderose di affrancarsi. E' vero che esistono casi del genere,
ma non appartengono alla società indù. In realtà le europee
vedono nella nostra vita un'esistenza priva di romanticismo, di
avventura e di imprevisto. E ne concludono che siamo infelici.
Ora, davvero ci sentiremmo infelici, afflitte, violentate, se
dovessimo condurre la loro vita, nella libertà degli istinti e
nella confusione sociale. In primo luogo, la libertà non ci
interessa. E' un'illusione della quale ognuno si libererà prima
o poi. La nostra vita è determinata dalla sorte, dal karman, e
ogni evasione non fa che stringere ancora di più la catena del
destino. D'altronde il romanticismo non ci sembra indispensabile
alla felicità. Per noi la felicità non è un capriccio, un
momento passeggero e irresponsabile, né una qualunque fatuità
passionale o sentimentale. [...] La beatitudine e la liberazione
finale esistono in quanto rinunciamo agli effimeri capricci
passionali -nulla più che affanni- per cercare di raggiungere la
perfezione delle nostre madri. [...] Ogni donna indiana sogna di
imitare una delle eroine del Mahabharata o del Ramayana. Ognuna
ambisce a divenire una dea. Con tali vertici davanti a noi, cosa
ce ne faremmo della capricciosa libertà delle nostre sorelle
europee? La getteremmo al vento come fiori loto sul fiume, senza
per questo abbandonare l'altare eretto a riva. Perché, vede, non
esiste felicità passeggera, non c'è beatitudine che
nell'eternità. Il resto è cinema e jazz." (da
"India", Boringhieri, '91, pp.155,156,157).
Alla luce di quanto citato, direi che sia quantomeno prudente
cominciare col dissociarsi dagli sprovveduti che, in buona o
cattiva fede, vanno proclamando a destra e a manca la
filo-occidentalità delle donne orientali, ansiose, a loro dire,
di lasciarsi emancipare da coca-cola, televisione, supermercati,
aborti, fecondazioni artificiali, sesso libero e missili. Come
credo di avere già detto in precedenti occasioni, ho avuto
alcune volte l'onore e il privilegio di entrare nelle case degli
Afghani e di vedere i volti delle loro donne. La bellezza, la
dignità, la serenità, l'umiltà e la saggezza che i loro
sguardi e i loro più minimi gesti emanavano mi riportavano ad
una patria sia metafisica che umana. I loro volti mi ricordavano
quelli delle madri, delle spose e delle figlie delle campagne
italiane di cinquanta-sessanta anni fa. Rammento pure il sollievo
che provai, in quanto occidentale moderno provvidenzialmente
"non venuto bene", nell'incontrare finalmente interi
popoli che non volevano occidentalizzarsi, ma che anzi
affermavano con straordinaria fierezza la fedeltà alla propria
Tradizione! Tra l'altro devo dire che nessuno, durante la mia
permanenza in Afghanistan, ha mai tentato o preteso di
convertirmi all'Islam; tutt'al più, la gente per strada, o nei
luoghi dove si fumava e beveva té, mi invitava a volte,
onorandomi straordinariamente, ad unirmi alla loro preghiera, nel
cuore.
Scusatemi per la lunghezza del presente scritto; esso nasce dal
desiderio di offrire la mia umile testimonianza di
viaggiatore in omaggio ad una Visione più profonda od
elevata della Realtà; "Visione" che io mi auguro
saprà presto rioccupare il cuore degli uomini, riorientandoli
verso Satyam-Sivam-Sundaram: la Verità, il Bene e la Bellezza.
Cordiali saluti,
Giuseppe
12 novembre 2001 da Paola Lucchesi paola.lucchesi@mail.inet.it
Lo zombie del giornalismo italiano
Caro Stefano,
usare Internet per fare quel che io vedo come "volontariato
giornalistico", e' una grande soddisfazione dell'ultimo paio
d'anni. Limitarsi a rigirare notizie altrui e' un'ottima cura
anti-ego e al tempo stesso un modo di essere rapidamente utili.
Mi sento in buona compagnia, perche' vedo che siamo in tanti (ci
sono diverse liste italiane che frequento, ed altre
internazionali), e in questo paio di mesi e' stata una
consolazione vedere alcuni testi particolarmente importanti
rimbalzare da una lista all'altra, spesso trovando per strada
qualche traduttore di buona volonta'. Ho letto che ieri a Roma si
marciava con lo slogan "not in my name", ripreso
evidentemente da quella toccante lettera dei genitori di un
ragazzo morto nel crollo delle torri a New York, "not in our
son's name", che ha fatto il giro del mondo. Un bel pezzo di
un noto scrittore afghano naturalizzato US ce l'ha fatta fino
alla prima pagina de La Stampa, non esattamente un giornale
progressista sulla nostra scena...
Sono piccole soddisfazioni per chi, come migliaia di noi in
questo mestiere, ha alle spalle anni di bracci di ferro con
redattori vari per cercar di convincerli a passare cose che
vengono di volta in volta ritenute poco importanti o noiose.
Nella mia esperienza, ho sentito di piu' questo problema che non
una censura sulla "pericolosita'" di certe notizie.
Sara' che ho il vizio di insistere su cose "poco
importanti"....
>Sappiamo che ha poco tempo, ma data >l'esperienza sul
campo vorrei ripeterle l'invito a offrirci qualche
>osservazione generale sul mondo dell'informazione italiana, e
più
>particolarmente sulla formazione ed il controllo dei suoi
professionisti.
Non ti fare ingannare dal fatto che sono una chiacchierona, in
realta' sono un pesce piccolo, per non dire ai margini
della societa'. Pensa che non sono neanche piu' pubblicista, da
diversi anni, per pura e semplice incuria - beh, non e' vero, non
mi andava di pagar tasse all'ordine tanto per fare. Per lavorare,
essere pubblicisti non ha mai contato niente. Essere
professionisti d'altro canto e' un paravento per il problema
vero: essere assunti o meno.
Ieri, chiacchierando con Claudio Martinotti al telefono, mi son
fatta una bella risata per un suo accenno al fatto che scrivo per
il Sole: gli aveva dato un'impressione che a chissa' quali
emolumenti cio' corrisponda. La realta' e' che sono uno dei tanti
schiavi del mercato dei free-lance, che tengono su una buona
parte della stampa italiana e vengono pagati una miseria: non
chiedermi la percentuale, perche' francamente non la so, ma me la
sento di scommettere che siamo ben oltre il 50% di quanto viene
pubblicato.
C'e' gente che scrive per giornali nazionali e puo' prendere
qualche decina di migliaia di lire ad articolo. Quando piazzavo
ogni tanto qualcosa con Repubblica, un'informativa poteva essere
anche centomila lire, ma capitava una volta ogni tanto. Con la
loro agenzia dei giornali locali viaggiavo inizialmente a
ottantamila al pezzo (era il 1990), poi grazia loro aumentarono a
novantamila. In compenso, mi scaricarono da un giorno all'altro,
come potrebbe fare il Sole ad ogni momento. E tieni conto che io
sono uno dei pochi freelance, probabilmente, che e' riuscito a
sopravviverci, con queste collaborazioni.
Accade se per caso si verifica un concorso di circostanze in cui,
per un certo periodo di tempo, hai una merce utile. All'epoca, la
(oggi ex) Jugoslavia stava iniziando a diventare interessante.
L'agenzia dei giornali locali di Repubblica lavorava di pastoni
di agenzia. Capitava bene qualcuno in grado di fare rapidamente e
a basso costo un lavoro di qualita'. Esattamente come un paio
d'anni fa capito' bene per una rubrica di finanza personale
trovare una brava (niente modestia) scrittrice con in piu' la
competenza tecnica (sono promotore finanziario).
Quindi, ho al momento una merce che serve, sono rapida,
affidabile, precisa, consegno regolarmente un prodotto che serve,
vengo pagata - fine della storia.
Un caso a se stante, in un certo modo.
Il mio gusto per scrivere davvero lo uso su Internet, e penso di
aver avuto molti piu' lettori negli ultimi due anni (con
soddisfazione reciproca), di quanti ne avrei se insistessi a
sfiatarmi con redattori tradizionali per passare due righe ogni
tanto.
Il tappo mi salto' nella primavera del '99, sul Kosovo. Ma non
andai neanche a dibattere su fora italiani, mi dava troppo sui
nervi la superficialita' che ci aveva messo l'estrema sinistra.
Stavo su un forum internazionale di organizzazioni femminili, e
mi venne fuori questo mix di reinvio notizie e commenti. Come
sempre, qualcuno aveva anche brontolato perche' mandavo troppa
roba (questo e' un classico: c'e' sempre qualcuno che brontola,
senza meditare che basta un "delete", non sei obbligato
a leggere tutto, mica ti lamenti con l'editore se Repubblica ha
cinquanta pagine).
La cosa piu' bella, pero', e' la possibilita' di dialogare. E di
incontrare, se pure solo a distanza (poi alcune di queste
amicizie hanno la possibilita', prima o poi, di divenire
"reali", ovvero incontri le persone), persone con le
quali hai qualcosa in comune. Questa e' una possibilita' enorme,
una vera rivoluzione.
>Poiché non credo si possa affrontare la faccenda nel senso
dello
>schieramento ideologico (abbiamo condiviso opinioni di
Giulietto Chiesa,
>Massimo Fini, Franco Cardini, Marco Tarchi tanto per fare
esempi di uomini
>decisamente non accomunabili per il colore politico), come
impostare un
>discorso critico sulla stampa e sull'informazione televisiva
italiana?
Anche se puo' suonare provocatorio, io li mollerei in blocco.
Lascia che siano loro a correre dietro a noi (quelli delle
mailing lists): vedi che gia' hanno iniziato a farlo. Mi
riferisco ai testi gia' citati sopra.
Tanto non ci entri. Son circoli chiusi. E a me, personalmente,
non interessano. Troppi intellettuali che si parlano addosso,
troppi politici e giornalisti che si parlano fra loro.... Bah,
sono stufa. A me interessa la gente.
Quella gente che non ha tempo. Vedi, e' un'ossessione per me, ci
torno sempre sopra.
Devo pescar fuori il mio vecchio Farenheit 451, e quel geniale
brano in cui il capitano dei pompieri (pompieri che BRUCIANO i
libri, in quell'allucinata favola futurista che oggi e' tanto
uguale alla nostra realta' contemporanea da farti rizzare i
capelli in testa - scritta nel 1954!), racconta al suo sottoposto
con crisi di coscienza la storia tramite la quale si e' arrivati
alla situazione attuale. E', oltretutto, un pezzo di grande
letteratura. Proponibile immediatamente sul palcoscenico, ha il
ritmo, la dinamica, il colore... (*tanto mi son fatta venir
voglia di rileggerlo che sono andata a vedere sui miei scaffali,
ma fra tanti traslochi chissa' dove l'ho cacciato).
Allora, io non ho pace su questo: non saro' mai soddisfatta dello
stare a confrontarmi solo con gente che non dico la pensa come me
ma ha voglia di ragionare insieme a me. Voglio gli altri, quelli
che non hanno voglia, non hanno tempo, non gliene importa niente,
hanno altro da fare (*altro libro di riferimento per questa mia
particolare patologia, Il gabbiano Jonhatan Livingstone).
>Lo stesso Giulietto Chiesa, meno di un anno fa, ha lanciato
la proposta di un
>dialogo con gli information-maker italiani per rivedere la
direzione presa
>dal mondo dei media nei confronti dell'informazione di massa.
"I giornali sono diventati dei vassoi". Mino Fuccillo
dixit. Mino era il mio capo all'epoca della breve esperienza con
Repubblica, in un periodo in cui Scalfari l'aveva spedito a tener
su l'avamposto di Milano. La battuta di cui sopra pero' e' piu'
recente, risale appunto al '99, periodo nel quale avevo risentito
un po' di colleghi dell'area romana per capire che cavolo
accadeva nei palazzi del potere. Mino, dopo grandi ricerche, lo
recuperai a Italia Radio, e mi racconto' di come era stato
infinocchiato con la storia dell'Unita' (se qualcuno ricorda il
periodo di Fuccillo direttore dell'Unita') - "pensavo di
dover andar li' a salvarla, invece il piano era affossarla"
- e poi si era piu' o meno autoparcheggiato all'emittente
radiofonica, visto che a Repubblica lo lasciavano pure tornare,
ma non l'avrebbero fatto scrivere.
Chiacchierando del piu' e del meno mi fece quella sparata li',
confermandomi qualcosa che gia' sapevo da tempo: l'informazione
(ovvero quella risciacquatura di piatti che riempie gli spazi
vuoti fra un inserto pubblicitario e l'altro) e' solo un pretesto
per fornire un supporto alla pubblicita'.
Di cercar di risuscitare questo zombie io non ho voglia, ne'
punto ne' poco. Oltretutto, son soldi troppo grossi ed io, come
spiegavo, sono una poveretta. L'email e' alla portata delle mie
scarse forze, ed e' uno strumento molto piu' creativo.
>Credo sia un
>punto importante, nonostante tutto lo sconforto provato
davanti a un
>parlamento che litiga sulla lunghezza delle banane ma è
pressoché unanime
>nell'obbedienza militare,
E' piu' facile, piu' rapido. L'investimento di tempo ed energia
per chi fa carriera politica non e' verso il basso ma verso
l'alto: non verso l'elettorato ma nelle PR necessarie a coltivare
una serie di rapporti con chi ti puo' far salire. Purtroppo
questa non e' una gran novita', piu' o meno e' sempre stato
cosi'.
Adesso che i cosiddetti ds (ed appendici
floreal-botanico-ortrofrutticole varie) si sono venduti in blocco
e sotto gli occhi di tutti, la cosa e' ancora piu' chiara: hanno
detto alla maggioranza del loro elettorato, chissenefrega che voi
non volete la guerra, Bush la vuole e noi vogliamo un posto a
tavola.
Io sto tampinando dei colleghi di PeaceLink per gettar le basi di
un'operazione molto ambiziosa di pressing diretto sui nostri
cosiddetti rappresentanti: come dicevo ieri, e' inutile
lamentarsi che questi fanno i cavoli loro se noi glielo lasciamo
fare.
Io so nome cognome e background dei cinque deputati triestini,
cosi' come so che hanno tutti votato a favore della guerra: per
tirar su qualche centinaio (migliaio sarebbe piu' bello) di
elettori disposti a dirgli quel "vergogna!" di cui
parlavo, son disposta a impegnare parte del tempo che non ho. Per
fare generiche manifestazioni di protesta no.
Anche perche', non e' solo la guerra US/Afghanistan il problema:
abituare la gente a pensare ai nostri deputati/senatori come
gente AL NOSTRO SERVIZIO e non viceversa e' un'idea che mi
stimola.
E che non si limita al Parlamento: ci sono ancora fior di
dipendenti comunali con la mentalita' del "cittadino
suddito", ovvero, tutto quel che facciamo per voi e' un gran
favore, zitti e 'bbbuoni. Potrei citarti una certa direttrice di
asilo nido....
Bada che non scherzo. Il sistema andrebbe costruito dalle piccole
cose.
>Abbiamo avuto su questa lista critiche radicali delle
condizioni distorte
>dell'informazione (Giuseppe Gorlani, Massimo Marra, Paola
Lucchesi, Walter
>Catalano e Claudio Martinotti). Ora si vorrebbe proseguire,
proponendo
>qualcosa di costruttivo oltre allo scambio che qui lentamente
sta prendendo
>piede.
Io aspetto di sentire che ne pensano gli amici di PeaceLink di
quel paio di idee che ho buttato giu', poi ne riparlo qui.
Comunque la direzione e' quella di andare direttamente alla
fonte, quindi in un certo senso togliere all'
"Informazione" questa specie di investitura sacerdotale
della mediazione fra il verbo divino (proveniente dritto dritto
dai palazzi del sistema) e il popolo. Tradotto: che in ogni
circoscrizione elettorale almeno una minoranza di cittadini inizi
a rompere i santissimi ai suoi cosiddetti rappresentanti,
chiedendo ragione del modo in cui hanno votato.
Sai, gia' quando ero una pivellina di vent'anni e virgola che
scocciava i politicotti DC del comune sulle pagine di un
settimanale locale, questi erano fermamente convinti che il ruolo
della stampa era riportare le loro dichiarazioni. Ricordo come
fosse ieri le lamentele di un assessore che non voleva parlare
direttamente con me (il caporedattore era un mio boyfriend di
pochi anni piu' vecchio di me, teneva la cornetta alzata per
farmi sentire e sorrideva). Ed erano esattamente in questo senso
qui. "E poi l'ironia, l'ironia...", aggiungeva, in tono
veramente straziato. Era sincero, sai, ci credeva veramente che
il mio lavoro doveva essere quello di riportare le sue
dichiarazioni. Tanto che il mio "capo" lo spiazzo'
chiedendogli di dargliela, questa benedetta dichiarazione, e
davvero' si mise a scrivere, sempre sorridendo. Il poveraccio
dall'altra parte rimase un po' a bocca aperta: "Ahhh...
Siiiii', dunque.....", e poi comincio con fatica a mettere
insieme una serie di frasi sconclusionate (non era persona di
gran cultura, ahime', ne' particolare intelligenza - pero' era
DC, all'epoca bastava ed avanzava).
Beh, comunque siamo sempre li'. E' un gioco di ruolo con
parti assegnate da copione in modo abbastanza rigido: anche
quando sembra che si sbranino a parole fra parti contrapposte, in
realta' tutto fila come su rotelline oliate diligentemente Poi
c'e' qualche Grande Nome che puo' permettersi di andare fuori
dalle righe, ma tanto da lui se lo aspettano, quindi non fa
danni.
Nahhhh, non ci vado a perdere il tempo. Vado a travasare il mio
miele e le mie grappe in tante belle boccette ed a preparare i
panierini per Natale. E a cercare un po' di straccetti bianchi da
piazzare sulla borsa, sullo specchietto dell'auto e cosi' via.
Paola
23 gennaio 2002 da Stefano Serafini stefasha@libero.it
Il problema dell'editoria scientifica
Mi ha telefonato oggi il prof.
Lima-de-Faria dalla Svezia. Dopo avermi dato del
"pitbull", perché non mi arrendo nel cercare di
pubblicare in Italia il suo Form and Function from Autoevolution,
mi ha informato che il suo libro sulla periodicità biologica è
stato finalmente tradotto ed edito in Giappone, un suo importante
articolo che ne aggiorna il capitolo sulla funzione del volo sta
per comparire sulla rivista internazionale Caryologia, edita in
Firenze, ed è conclusa la sua quinta monografia: Cent'anni di
ricerca genetica e quel che resta da scoprire.
Problema: le case editrici sparse nel mondo con cui ha
collaborato in quasi sessant'anni di attività sono state via via
assorbite da società piu' grandi, il cui interesse per libri di
tiratura inferiore alle 30.000 copie - cioè per tutto ciò
che non è manualistica - è nullo. A parte rare eccezioni,
restano dunque in piedi le University Press, e il vecchio leone
si è cosi' rivolto agli ex avversari di Harvard, università di
cui aveva sdegnosamente rifiutato gli inviti all'insegnamento
dieci anni fa a seguito dell'ostruzionismo, ancora antecedente di
due lustri, al suo antidarwinismo.
Ma le editrici universitarie selezionano la sola "scienza
normale", per usare il termine invalso grazie a Thomas Khun
(La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1962), cioè quanto
è coerente a un sistema di premesse che cambia molto lentamente,
e per fasi rivoluzionarie, in dipendenza di fattori sociali,
inerziali, di coesioni trasversali e complesse. Dopo sessant'anni
di lotta, finalmente il grande Lima-de-Faria, sopravvissuto a
tanti colleghi ed amici, vede l'alba del nuovo paradigma
postdarwiniano in biologia, e quindi verosimilmente riuscirà ad
editare il suo libro. Ma cosa accadrà al giovane rivoluzionario
del futuro, o meglio, di oggi? I vecchi lottatori che ho avuto la
fortuna di conoscere (e c'è chi ha vissuto i decenni ritenuti
oscuri in Italia o in Unione Sovietica) sono concordi nel
constatare una situazione di molto peggiorata nellle possibilità
del libero pensiero.
Stefano Serafini