« Signor Presidente, il libro non è un formaggino » - Nasce Slow Book

« Signor Presidente, il libro non è un formaggino » ebbe a dire a Giuliano Amato un impotente membro della Commissione Cultura quando l' ex premier cancellò con una sola decisione il lungo lavoro suo e dei colleghi di tutti gli schieramenti, innalzando l'arbitrio di sconto nel settore: in nome di un astratto economicismo liberale si decretava il soffocamento degli editori indipendenti dai grandi gruppi finanziari. Il 21 maggio scorso quel concetto è stato ribadito a Torino, durante la Fiera del libro 2001, armandolo però di una concreta iniziativa. Sotto l'egida di Bollati Boringhieri, infatti, si è riunito il Forum per un'editoria e un commercio librario indipendente che ha tenuto a battesimo Slow Book, libero coordinamento di editori, librai, lettori ed autori per il libro di proposta. Si è trattato di un raro intervento dell'orgoglio intellettuale contro la distruzione della cultura nel nostro Paese.

L'incontro ha visto gli interventi di Alberto Conte, matematico ed editor scientifico della casa editrice, Diego Novelli, nobile anima dell'ormai passata Commissione Cultura della Camera, Alfredo Salsano, altro patron dell'incontro cui dobbiamo la pubblicazione del libro di Schiffrin Editoria senza editori presso Bollati Boringhieri, Rodrigo Dias, presidente dell'ALI, e Massimo Citi, attivo libraio torinese indipendente ironicamente definitosi "librivendolo". Con passione (in particolare Novelli ha sottolineato con calore e amarezza l'urgenza civica di diffondere vera cultura e lettura nel Paese) i relatori hanno avanzato il loro progetto per fronteggiare la decadenza qualitativa e il monopolio liberticida dell'editoria italiana di massa, ormai asservita a una pervadente logica di mercato. Il titolo è volutamente mutuato da analoga esperienza a tutti nota, quella dello Slow Food in difesa dei sapori locali e in via di estinzione - dunque Slow Book . Questa sorta di marchio di qualità e degli editori e dei librai consociati indica la peculiarità del prodotto offerto e promosso: il libro "lento", cioè durevole nel tempo, anche perchè lunghe sono state la cura e la preparazione che lo hanno generato, vocato a restare in vendita più anni, poiché lentamente - e senza tema - troverà i suoi acquirenti. In opposizione al "fast book", dato in pasto o in adescamento alla massa dei cosiddetti "lettori deboli", preparato e cancellato da storia e scaffali in un breve giro di settimane, il Libro Lento è unbene d'élite, o di scelta qualitativa. Esattamente come l'editoria (quella vera e senza divisioni) di un secolo fa. Costa di più, è inevitabile, ma risponde all'esigenza reale di una fascia di lettori interessati che esiste e aspetta solo che le si offra l'opportunità di soddisfarla. Slow Book vuole dunque ridare all'artigianato dell'intelligenza ancora vivo in Italia quell'efficienza senza la quale sarebbe destinato a soccombere. Per ottenere tale obiettivo, come ricorda R. Dias, occorre sì riunirsi ma anche diffondere passioni, capacità tecniche ed efficienza gestionale, tutta la sapienza del mestiere di fare e vendere buoni libri.

Lungi dal ricercare sovvenzioni assistenziali, Slow Book inizierà come autopromozione dell'editoria di proposta secondo un modello di informazione globale al lettore ma di diffusione locale. Librai ed Editori (ora, all'inizio, rispettivamente 100 e 30) saranno presenti su un portale internet dal quale sarà possibile avere notizia su tutti i libri di qualità in catalogo, e ricevere l'indicazione della libreria più vicina che può procurare rapidamente il volume richiesto. Accordi impegneranno naturalmente gli associati a rispettare standard ben definiti. Il vantaggio di questa sorta di anti-Amazon, in sostanza una vetrina globale che anziché cancellarli rimanda ai produttori e ai punti vendita sul territorio, consiste nella capacità di focalizzare attraverso l'ottica della qualità tutti quei buoni lavori altrimenti invisibili nel mare dell'informazione di massa. Usando (per ora, almeno) internet, Slow Book riporta a nuova luce il libro vero, i lettori, il mondo dell'editoria, disseppellendoli dall'improprietà commerciale dei grandi numeri accelerati che rischiava di farli scomparire per sempre. Sorge ovvio il problema del criterio col quale giudicare la qualità. Con mentalità pratica M. Citi ha spiegato che per lui Libraio, qualità vuol dire varietà, cioè garanzia (oggi del tutto contro tendenza) di poter offrire voci ed esperimenti i più vivacemente disparati al lettore. Da parte sua Dias ha obiettato che invece la responsabilità di decidere quale libro sia buono e quale cattivo vada assunta in pieno.

A parere di chi scrive è su questo punto che si deciderà il profilo più o meno libero e criticamente indipendente di Slow Book, e sul quale occorrerebbero attente valutazioni. Al momento però, qualsiasi piega vorrà assumere questa iniziativa, non possiamo che constatarne la grande validità e invitare caldamente ad aderirvi, intravedendovi una straordinaria potenzialià di motore socioculturale. Da troppo tempo il settore non offriva eventi tanto bene intenzionati e allo stesso tempo così intelligentemente concreti. Onore dunque, e grazie di cuore, ai promotori, e lunga e variegata vita a Slow Book. (Per informazioni: www.arpnet.it/cs - cs@arpnet.it - tel. 011 650.31.58; info@bollatiboringhieri.it - tel. 011 559 17 11).

 

Sono finite le Idee o la libertà di esprimerle?

Da almeno vent'anni è in corso in Italia una progressiva erosione degli spazi liberi di pensiero e di iniziativa economica a misura individuale nel contesto della produzione culturale. Le case editrici indipendenti (cioè scollegate dai grandi gruppi finanziari) resistono unicamente per la testardaggine, la professionalità, la forza ideale di chi le ha lanciate: tagliate fuori dalla grande distribuzione è tanto se riescono a proporsi a cento librerie nell'intero Stivale; debbono subire sconti esosi; a malapena raggiungono il pareggio economico, e ogni nuovo libro è una coraggiosa scommessa che può mettere a repentaglio l'azienda. Ciononostante esistono, sono molte, e sovente rappresentano alternativa di gran pregio a una sempre più deteriorata e monopolizzante produzione editoriale di massa. Ormai si può dire che sono esse l'Editoria pura, l'unica possibilità di diffusione di idee libere e fuori dal ben concertato coro delle grandi mitofabbriche, in campo politico, come in quello scientifico ed artistico. Non è raro che editori importanti rifiutino opere di valore obbedendo a criteri di marketing di breve respiro, talvolta a malincuore (« Il suo libro è troppo bello, non posso pubblicarlo » stato risposto recentemente a un saggista, recuperato poi da un piccolo editore).

Di pari passo, quei preziosi punti di diffusione e selezione della cultura che sono le piccole librerie, hanno subito un medesimo strangolamento ad opera della grande distribuzione. Quest'ultima può contare su sconti improponibili alle piccole rivendite, si piega flessibile all'alta rotazione dei titoli voluta per rinnovare gli scaffali ogni venti, trenta giorni e "vendere di più (ipotesi, questa, tra l'altro dimostratasi illudente), e ha sradicato il rapporto antico fra libraio e lettore, sostituendolo con quello fra un ignorante commesso generico ed un acquirente anonimo e acritico risucchiati da un carosello di opere inconsistenti e caduche, tutte uguali, che alla cultura e all'intelligenza usurpa il nome. Il lettore è stato degradato a consumatore, il libro a formaggino, il libraio a "librivendolo". Testo e autore a variabili commerciali, e fra le più relative. La qualità, e persino la possibilità di darle voce, sono colate a picco. Il mercato, nonostante i manageriali ottimismi, non ne ha comunque guadagnato.

L'idea perversa sottostante a tale processo consiste nel ritenere l'editoria nient'altro che un settore commerciale come tutti gli altri. Che non è. Non si fanno i libri per venderli, nonostante li si venda e sia giusto che se ne tragga un profitto, né li si acquista per "consumarli" come una coca-cola. Il libro è strumento di riflessione, evoluzione, intelligenza. Il suo premio va oltre l'orizzonte merceologico, la sua ricchezza non è immediatamente economica, proprio come la sua realtà sorpassa infinitamente quel poco di carta stampata che la veicola. Il valore di un libro ricade come idee e luce sull'individuo e sull'intera società, è un dono fruttifero negli anni e nelle generazioni di un Paese e del Mondo, una possibilità immensa; libertà e investimento a lungo termine nel futuro, è opera di vita irriducibile alla dimensione della vendita oggettuale, perché è falso che l'economia sia l'ultima struttura ontologica. E d'altronde è vero che competitività economica e alfabetizzazione, come ha ricordato D. Novelli confrontando alla nostra quella della Germania, vanno di pari passo, e molti guai sociali la nazione di lettori si risparmia rispetto a quella di non lettori.

 

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