Allora lo Stato è utile e necessario? Anche il 
medico lo è. Ma lo chiameremmo se ogni volta che viene per curarci un mal di pancia o un ronzio alle orecchie si arrogasse il diritto di far razzia dell'argento di famiglia, di usare i nostri spazzolini da denti, e di esercitare le droit de seigneur sulla domestica?

H.L. Mencken

 



 
 
Il ritorno delle città Stato
Il micro- secessionismo di comunità autogestite sul piano fiscale e della sicurezza ha preso piede negli USA e pare essere la soluzione adatta per questi problemi

   Il federalismo radicale, se non addirittura il micro-secessionismo, sembra essere diventato, stando alle più recenti tendenze urbanistiche in atto nei paesi dell'Occidente avanzato, la soluzione più promettente agli assillanti problemi di insicurezza e degrado del territorio. Questo fenomeno ha preso piede soprattutto negli Stati Uniti, ma non mancano in Europa esperimenti analoghi, limitati per ora alle fasce più ricche della popolazione.
   Già da diversi anni infatti, un numero crescente di cittadini americani, stanchi della pessima qualità dei servizi forniti dalle amministrazioni municipali, hanno iniziato a fare da soli, organizzando la propria vita collettiva in maniera del tutto indipendente: riunendosi in associazioni, mettendo in piedi scuole private e creando aree cittadine inaccessibili agli estranei indesiderati. Per fare un esempio, qualche anno fa gli abitanti del distretto di New York collocato tra la 38a e la 48a Strada e tra la 2a e la 3a Avenue hanno raccolto una somma di 4 milioni e 700mila dollari, sia per provvedere autonomamente alla pulizia delle strade e alla raccolta della spazzatura, sia per organizzare un corpo di polizia privato affidato ad agenti in divisa e in borghese.
   La manifestazione più accentuata del federalismo radicale è però costituita dai quartieri residenziali che stanno nascendo ai confini delle grandi città, dove gli abitanti stabiliscono liberamente le proprie regole di convivenza, provvedono a tutte le loro necessità (compresi il rifornimento idrico e la sicurezza), e arrivano a spingere la loro richiesta di autonomia fino a pretendere di essere esentati dal pagamento delle imposte comunali. Per comprendere il modo in cui questi quartieri privati sono organizzati, basti pensare a un condominio allargato fino a comprendere non solo gli interni degli edifici, ma anche tutte le strade circostanti, le zone pedonali, i giardini, i parchi, i parcheggi, e così via.
   Queste comunità condominiali sembrano aver risolto perfettamente tutti i problemi che assillano gli "inferni" urbani delle città statalizzate, e non a caso sono il tipo di agglomerato residenziale che, in tutti gli Stati Uniti, sta registrando la crescita più alta. Secondo i dati del Community Associations Institute della Virginia, sono 4 milioni gli americani che vivono in comunità recintate, mentre circa 28 milioni risiedono nelle circa 130mila zone governate da una comunità privata (nel 1960 erano meno di 5mila). Cifre, secondo alcuni, destinate a raddoppiare nei prossimi dieci anni: Evan McKenzie, uno studioso che ha scritto un libro intitolato Privatopia, sostiene che tali quartieri ospiteranno nel prossimo secolo il 30 % della popolazione americana. Gli ordinamenti interni di queste città private sono fondamentalmente di due tipi, a seconda che il proprietario sia un soggetto singolo (individuo o società), oppure un'associazione di condomini. Mentre il primo tipo di comunità richiama alla memoria la pratica dei signori feudali di organizzare libere comunità, attirando gli abitanti con la promessa di fornire protezione e altri servizi in cambio di una rendita, il secondo tipo di comunità può essere facilmente apparentato ai Comuni medioevaIi che nascevano sulla base di un patto esplicito tra cittadini. L'esempio più importante del primo tipo è probabilmente quello di Disneyworld, vicino a Orlando in Florida, una città-divertimento interamente di proprietà della Walt Disney, fondata nel 1971, la cui estensione e circa pari a quella di San Francisco, ed è visitata più o meno da 150mila persone al giomo (30 milioni in tutto l'anno). Le leggi della Florida le garantiscono un'autonomia pressoché totale sia dal punto di vista fiscale che da quello urbanistico, ma a differenza delle città rette da amministrazioni pubbliche, Disneyworld è un'impresa che vive nella competizione del mercato, e quindi le è precluso l'uso della forza per finanziare le proprie strutture e iniziative. Non potendo costringere i propri abitanti a sostenerla, li deve attirare come un fiore richiama le api. I visitatori (molti dei quali soggiomano per parecchi giomi) hanno infatti l'impressione di entrare in un luogo utopico assolutamente perfetto, dove tutto è pulito, tranquillo, amichevole, fantastico. Tutti i servizi, dalla nettezza urbana all'antincendio alla sicurezza sono offerti privatamente, l'inquinamento è inesistente, la tecnologia delle comunicazioni, dei trasporti, e delle animazioni è la più avanzata del mondo (basti pensare che qui esiste il primo sistema telefonico elettronico interamente basato sulle fibre ottiche), l'esenzione dai codici urbanistici ha permesso lo sviluppo dei più innovativi metodi architettonici. In definitiva, a Disneyworld il degrado del territorio è inesistente proprio perché il propietario privato non può rifiutarsi, a differenza dell'amministratore statale, di valorizzare sotto forma di servizi per i residenti il proprio capitale, pena il suo deprezzamento.
   Mentre Disneyworld è una comunità governata dall'unico proprietario dell'area, il villaggio di Arden, nel Delaware, è una tipica forma di "micro-democrazia" contrattuale. Le zone residenziali di Arden sono di proprietà di un'associazione senza scopo di lucro, alla quale i circa 500 abitanti pagano un affitto. Con tali entrate l'associazione, i cui amministratori vengono eletti dall'assemblea composta dagli stessi residenti, fornisce i beni collettivi di cui il villaggio necessita, decidendo a maggioranze variamente qualificate. Arden è una comunità contrattuale fondata nel 1900 dai seguaci dell'economista Henry George, i quali volevano sperimentare sul campo le sue teorie di finanza pubblica relative alla possibilità di finanziare i beni pubblici non con le imposte ma con gli affitti (anche se pochi degli attuali abitanti conoscono le motivazioni ideologiche che furono all'origine della fondazione della comunità). Il senso di appartenenza all'interno di Arden è molto intenso, dato che numerosi servizi pubblici, soprattutto culturali e ricreativi, sono prodotti da volontari senza impiegare il budget dell'associazione.
   Tutto ciò fa sì che il valore del terreno ad Arden abbia un valore di mercato notevolmente superiore a quello di zone similari circostanti. 
   A differenza di Arden, i cui abitanti sono affittuari di un'associazione senza fine di lucro che possiede tutta la terra del posto, il Fort Ellsworth Condominium di Alexandria, in Virginia, è un "condominio allargato", perché ciascuna delle 169 famiglie è titolare del proprio appartamento e di una quota della proprietà comune. La motivazione della sua creazione è quindi esclusivamente commerciale, non ideologica. Inoltre, a differenza del villaggio di Arden, che è del tutto autosufficiente, i beni civici offerti da questa comunità condominiale, che è inserita in una città, sono necessariamente più limitati. Il condominio di Fort Ellsworth fornisce comunque tutta una serie di servizi, tradizionalmente di competenza del settore pubblico, quali la sicurezza, la spalatura della neve, la nettezza urbana, le manifestazioni ricreative, una piscina, campi da tennis, un' area picnic, un parco, aree per cani, magazzini, una sala d'incontro, e parcheggi. Un condominio allargato simile a questo lo è anche la Sunshine Mountain Ridge Homeowner's Association, il rione privato di Tucson, in Arizona, abitato da circa 250 famiglie, ciascuna delle quali ha acquistato la casa dalla società immobiliare che ha costruito il centro residenziale, aderendo contestualmente a una associazione privata che ha il compito di affrontare diverse questioni d'interesse comune, e che possiede le strade e le aree verdi. Tutti i servizi pubblici sono anche qui contrattati dall'associazione con imprese private esterne che provvedono alla sicurezza, allo spegnimento degli incendi, alla manutenzione delle strade, alla cura degli aspetti paesaggistici. Le regole di vita sono molto rigide, e in caso di vendita dell'abitazione anche il nuovo proprietario ne rimane vincolato. Ciò che conta è però che queste regole non sono imposte da nessuno, ma sono oggetto di un contratto liberamente accettato nel momento in cui uno decide di stabilirsi nella comunità condominiale. Le discussioni che sorgono in ordine alle decisioni che l'associazione deve prendere a maggioranza non sono mai particolarmente gravi perché questi mega-condomini sono ideati in modo da attirare popolazioni molto omogenee dal punto di vista economico e sociale. Esistono infatti nei dintorni altre comunità condominiali più, o meno costose, con più anziani, o con un maggior numero di bambini, e così via: la similarità tra le persone che vivono all'interno della medesima associazione tende a far sì che essa sia maggiormente in accordo con le preferenze dei suoi membri. Qualcuno potrebbe sostenere che i casi finora affrontati dimostrano la realizzabilità di comunità condominiali private delle dimensioni di piccoli villaggi o di quartieri, ma non di intere città. L'esempio della cittadina di Reston, nella contea di Fairfax nel Nord Virginia, confuta questa obiezione. Reston è una comunità di 56mila abitanti, tutti facenti parte dell'associazione dei residenti che possiede le parti comuni della città. E' una comunità interamente creata da imprenditori privati nel 1966 su iniziativa di Robert E. Simon, il quale si era proposto l'obiettivo di creare un ambiente urbano a misura d'uomo. La città è ricca di chiese, scuole, biblioteche, centri commerciali, tutti finanziati privatamente e senza alcun contributo governativo; essa è a sua volta decentrata al suo interno in villaggi, condomini e agglomerati, ciascuno dei quali ha la propria specifica identità. Tutti gli abitanti sono tenuti a conoscere il Reston Deed, la Costituzione della città incorporata nei contratti di acquisto della residenza. Nel 1980 i cittadini hanno bocciato con un referendum la proposta di cambiare le istituzioni della città da condominiali a municipali, per paura che un governo coercitivo si dimostrasse meno efficiente nella produzione dei servizi pubblici ed eccessivamente esoso dal punto di vista fiscale.
   Vi sono altri due interessanti casi di gestione privata dell'urbanistica che meritano di essere menzionati. Il primo è quello della città di St. Louis nel Missouri, che possiede fin dalla metà dell' 800 un esteso sistema di strade private perfettamente collegate con le altre strade della città, ma che possono essere chiuse con barriere. Questo controllo all'entrata ha fatto sì che la percentuale di criminalità sia più bassa, il traffico sia ridotto, vi sia maggior pulizia, e il valore delle case sia superiore a quello delle corrispondenti abitazioni affacciate su strade pubbliche.
   Decisamente sorprendente per le nostre abitudini è anche il caso di Houston. Sembrerà strano, ma questa importante città del Texas non ha mai avuto un piano regolatore, perché la regolamentazione urbanistica è stata affidata direttamente agli imprenditori e agli abitanti del luogo, con risultati superiori alle altre città americane comparabili sia in termini di ambiente, sia in termini di riduzione della corruzione. I cittadini sono così soddisfatti di questo sistema, che per ben tre volte (nel 1948, nel 1962 e nel 1993) i tentativi di introdurre un piano regolatore a Houston sono stati respinti con un referendum.  Quali considerazioni si possono trarre dal successo di questi esperimenti di federalismo radicale? Innanzitutto esso sembra smentire la dominante "teoria dei beni pubblici", secondo cui solo lo Stato sarebbe in grado di fornire i beni d'utilità collettiva. Questi esempi dimostrano invece che non vi sono limiti a quello che la società civile è in grado di creare attraverso l'associazionismo volontario e la libera contrattazione. Vengono così meno gran parte delle motivazioni con cui gli Stati pretendono di giustificare le loro richieste di tassare e regolamentare i comportamenti dei propri cittadini. Le richieste di autonomia che ovunque emergono dal basso rappresentano allora la risposta a problemi d'insicurezza e di degrado del territorio ai quali lo Stato non sembra in grado di porre rimedio, e che hanno origine nell'impossibilità per le popolazioni residenti, prive di diritti di proprietà sulle aree pubbliche, di controllare i propri spazi di vita. Quella che va sempre più diffondendosi è la convinzione che solo la riappropriazione comunitaria delle aree in mano alle burocrazie statali può porre rimedio alle manchevolezze e alle inefficienze caratteristiche della proprietà pubblica.
   Con la crisi dello Stato moderno, sovrano, centralizzato e gerarchizzato, dovuta a tutta una serie di cause ideologiche (il discredito in cui è sprofondato il collettivismo statalista dopo il crollo del Muro di Berlino) ed economiche (la globalizzazione dei mercati, il progresso delle tecnologie, la rivoluzione dell'informatica e delle telecomunicazioni, che rendono ovunque sempre più inutili gli apparati burocratici di grandi dimensioni), s'indeboliscono anche le forme gerarchiche e verticali di obbligazione politica a favore di quelle paritarie e orizzontali (come il patto federale o il contratto privatistico). In questo modo le rivendicazioni di libertà e antogoverno sono diventate non solo legittime, ma anche praticamente realizzabili. Alla fine di questo processo, oggi appena ai suoi inizi, il modello uniformante di Stato che conosciamo potrebbe uscirne completamente modificato, per lasciare il posto a un ordine pluralista in cui i singoli individui potranno scegliere il livello di governo territoriale più idoneo alle proprie esigenze. Le città private e le comunità condominiali descritte in questo articolo possono fornire alcune prime indicazioni su come questo modello di confederalismo integrale potrebbe funzionare.
 


Contro il totalitarismo della democrazia

«"Noi" può essere una brutta parola, specialmente quando viene utilizzata da persone che pensano che noi e il nostro lavoro sia di loro proprietà»: è una constatazione estremamente semplice, quella che ha stimolato la nascita del Free Nation Foundation, think tank statunitense che si propone di studiare e incentivare il fenomeno della nascita delle "città private". E' infatti ormai necessario, alle soglie del 2000, riflettere sugli oggettivi limiti della democrazia. Democrazia che, sebbene appaia ancora come "il peggior sistema di governo, ma dopo tutti gli altri" (la definizione, arcinota, è di Winston Churcill), si rivela drammatica corresponsabile dei peggiori esiti statalisti. Le ferree regole della maggioranza hanno consentito e consentono a questa di fare ciò che preferisce della restante parte della popolazione di uno Stato: un caso emblematico è quello della situazione italiana, dove la maggioranza dei cittadini (formata dalle clientele e dalla burocrazia del Centro-Sud) impedisce alla parte produttiva del Paese, la Padania, di decidere del proprio destino.

Il "noi" italiano è da sempre una grande truffa per i padani, costretti loro malgrado a pagare i conti della massa parassitaria. Come reagire allora a questa situazione? Se l'è chiesto proprio il Free Nation Foundation, ben conscio che sarà difficile avere un qualche miglioramento in queste situazioni di tirannia fiscale finché Stati come l'Italia avranno qualcosa come otto milioni di dipendenti pubblici pronti a esprimersi compatti in difesa dello status quo. Allora, l'Fnf (che ha sede a Hillsborough, nel North Carolina) ha deciso di battere una nuova strada: quella che dalle istituzioni coercitive dello Stato conduca a comunità su base volontaria, fondate sul mutuo consenso, da un lato illustrando tutti i benefìci di questi sistemi, dall'altro favorendone per quanto possibile la formazione. «L'idea di fondo è che sia necessario cambiare radicalmente il nostro modo di pensare», spiega il fondatore, Richard O. Hammer «se la parola "noi" include anche gente come Hillary Clinton o Ralph Nader (in Italia, potremmo dire Romano Prodi o Gianfranco Fini, ndr), è impensabile che si possa arrivare a fare cambiare loro opinione sul Welfare State o sul mercato usando i tradizionali mezzi della democrazia». La reazione non può essere dunque che la creazione di comunità omogenee, di piccole dimensioni, votate alla libera concorrenza in un contesto globale: realtà che, come illustra Hammer in un suo saggio, non necessariamente correrebbero quei pericoli (di invasione piuttosto che di "schiacciamento" da parte dei colossi internazionali) che si potrebbero ipotizzare.

Anzi. Di fatto, la nascita di queste "privatopie" porterebbe inevitabilmente a uno scenario internazionale più pacifico (la storia della guerra è, dopotutto, storia delle prevaricazioni degli Stati...), non è che, per esempio, alla risoluzione dei problemi di convivenza creati dal multiculturalismo di Stato, cui i libertari della Fnf oppongono un sistema di "enclaves" all'insegna del "ciascuno padrone a casa propria" in modo che tutti possano pacificamente collaborare nel contesto del mercato. Uno scenario estremamente interessante, quello disegnato dall 'Fnf idealmente nel segno di quella lotta al totalitarismo della democrazia già inaugurata dal grande economista liberale Friedrich Von Hayek, Premio Nobel 1974. Le privatopie potrebbero dunque diventare sempre più un elemento di grande novità e di forza rivoluzionaria in grado di opporsi diametralmente al tentativo di costruire uno "Stato Mondiale", in base a un altro famoso slogan libertario, "Se cedi e non ci riesci, prova ancora" (Vince Miller 1996).

Non è un caso dunque se uno dei più famosi testi di Hammer si chiude rivolgendosi nuovamente a Hillary Clinton: «Che Dio ti preservi e ti permetta di dare avvio a tutti i programmi governativi che il tuo cuore può desiderare, ma dalla tua parte del confine».

Alberto Mingardi e Guglielmo Piombini