"Il credo libertarian si basa su di un assioma centrale: nessuno può aggredire la persona e la proprietà altrui."

Murray N. Rothbard

 


Sirner, nemico dell'individuo e della sua proprietà

GUGLIELMO PIOMBINI

 

L’Unico e la sua proprietà di Max Stirner, pubblicato in Germania nel 1844, viene generalmente considerata la più importante opera teorica della corrente individualista dell’anarchismo, ma non sono mancati tentativi di includerla nell’alveo del pensiero liberale e libertario. Secondo questa interpretazione l’egoismo esaltato da Stirner troverebbe la sua massima espressione nella concorrenza che caratterizza le economie del laissez-faire. Ad esempio, nel libro Anarchism: left, right, and green, Ulrike Heider scrive che "Stirner deriva la sua indentà solamente dalla proprietà, un concetto arciborghese che fa di lui un antenato del liberalismo laissez-faire".

Anche il filosofo Antimo Negri, in un recentissimo saggio (Stirner e l'individualismo metodologico), afferma che "si può assegnare a Stirner l’idea secondo la quale l’unica società possibile è quella borghese", dato che "l’unione degli egoisti di Stirner è il "sistema commerciale" di Smith": "in questa società egli individua come dominante la legge, unica, della concorrenza. Tolto di mezzo lo Stato, anche lo Stato educatore, Stirner opta per un ultraliberalismo e/o ultraliberismo al centro dottrinario del quale c’è l'assolutizzazione di una società civile che ubbidisce ad una sola legge, quella della concorrenza". Anzi, poiché Stirner rigetta alcune "idee ministerialistiche" e stataliste di Smith, egli finisce col trovare "in certo neoliberalismo e/o neoliberismo del ‘900 seguaci convinti e talvolta anche fanatici": il riferimento qui è al libertarismo americano, e in particolare a Robert Nozick. La conclusione di Antimo Negri è che "Stirner possa essere considerato un neoliberale e/o un neoliberista ante litteram, o che gli odierni neoliberali e neoliberisti possano essere considerati dei veri e propri post-stirneriani. Per lo meno, ciò, perché è comune a Stirner e ai neoliberali e/o neoliberisti non solo la collera contro entità astratte, ma anche e soprattutto la più spregiudicata affermazione che l’unica società possibile è la market society".

Se è vero che il fascino perverso di Stirner finì col contagiare per un certo periodo autori anarco-individualisti come Benjamin Tucker, Emile Armand o John Henry MacKay, e se è vero che Stirner tradusse le opere di Adam Smith e Jean-Baptiste Say, tuttavia la sua collocazione all’interno del free-market anarchism, la sintesi moderna dell’anarchismo individualista e del liberalismo classico, è completamente scorretta. Nelle 400 e più pagine che compongono L’unico e la sua proprietà non si trova una sola riga che possa suffragare la rappresentazione di Stirner come campione del laissez-faire o come precursore dei libertarians americani. Non solo: all’opposto di quanto afferma Negri, si può senz’altro sostenere che l’opera di Stirner costituisca uno degli attacchi più diretti ed espliciti alla dottrina liberale che siano mai stati scritti.

Basta leggere il modo in cui Stirner, da nichilista radicale, sbeffeggia ripetutamente i diritti naturali alla vita, alla libertà, e alla proprietà della tradizione liberale e libertaria: "Quanto spesso la santità degli inalienabili diritti umani vien rinfacciata a chi li avversa, quanto si dimostra che una libertà qualunque è un "sacrosanto diritto umano"! Coloro che così agiscono meritano di essere derisi… L’uomo accampi pure quanti diritti voglia: che importa a me delle sue pretese? Se il suo diritto è sancito soltanto dagli uomini, ma non da me, esso non ha per me alcun valore. La sua vita, per esempio, non ha valore ai miei occhi che quel tanto che vale per me. Io non riconosco né il suo cosiddetto diritto di proprietà, né il suo diritto su cose determinate, e neppure il diritto sul suo santuario interiore, né la pretesa che i suoi beni spirituali, le sue divinità, debbano essere rispettate dagli altri. I suoi beni materiali o spirituali appartengono a me e io ne uso secondo il mio vantaggio e per quanto il mio potere me lo consente… Ciò che io posso ottenere con la forza l’ottengo, e su ciò che non posso ottenere non ho ragioni da far valere, né mai diritti imprescrittibili mi saranno argomento di consolazione o di orgoglio".

Poiché Stirner si dice convinto che la giustizia non esista, che la morale sia un feticcio, che la libertà comprenda il diritto di negare l’altrui libertà, e che il diritto scaturisca dalla nuda forza ("Voi anelate alla libertà? Stolti! Procuratevi la forza e la libertà verrà da sé", "Chi ha la forza, ha il diritto: se non avete quella, non avrete neppure questo"), ne consegue la piena rispettabilità delle attività criminali e delle guerre di conquista: "E’ necessario che si sappia che l’atto dello stender le mani per prendere non è spregevole, bensì è la vera manifestazione del coerente egoista…Si dice che la punizione sia il diritto del delinquente. Ma anche l’impunità è il suo diritto. Se la sua impresa gli riesce, è giusto che egli ne tragga vantaggio"; "Se noi vogliamo togliere al proprietario il suo podere, noi ci uniremo per questo scopo, formeremo un’associazione; se il colpo ci riesce, il nostro intento sarà ottenuto. E come cacciamo dal loro terreno i proprietari, così noi possiamo cacciarli da molte altre proprietà e ridurre queste in proprietà nostra, proprietà dei conquistatori".

Il leit-motiv che Stirner afferma con spavalderia, contro tutta la tradizione liberale, è che la proprietà non rappresenta affatto un diritto inviolabile: "Dinanzi alla tua e alla vostra proprietà io non arretro tremante; potendo, sono pronto anzi a farla mia. Fate voi altrettanto riguardo alla mia proprietà…Tutto ciò che al mio potere non può essere strappato, è mio; la forza decide della proprietà e io aspetterò dalla mia forza ogni cosa!…Io devo dire a me stesso che la mia proprietà si estende fin dove arriva il mio potere e che io considero come mia proprietà tutto ciò che mi sento abbastanza forte da conseguire, ed estendo la mia reale proprietà su tutto ciò che io mi autorizzo a conquistare". E’ difficile immaginare qualcosa di più distante della morale giudaico-cristiana e dai valori borghesi dell’ottocento.

Se questi sono gli articoli di fede di Stirner, ci si può chiedere in base a quale supposizione si possa anche solo lontanamente accostare il suo illegalismo più amorale ad un pensiero, quale quello libertario, tutto incentrato sulla difesa assoluta dei diritti individuali da ogni possibile aggressione esterna, individuale o di gruppo che sia. Sorge il sospetto che gli intellettuali come Negri abbiano compreso benissimo la filosofia stirneriana, ma malissimo la filosofia liberale e libertaria. Chi mette Stirner in compagnia di Smith, Spooner, Leoni, Rand, Nozick, o Rothbard, dimostra e di confondere la concorrenza sul mercato - che si svolge sempre nel pieno rispetto della sfera individuale e dell’autonomia contrattuale delle persone coinvolte - con la guerra civile di tutti contro tutti, dove i principi del divieto di aggressione, dell’inviolabilità della proprietà, del rispetto delle promesse, non trovano applicazione alcuna.

Non è un caso che le critiche di Stirner al mercato concorrenziale e al lavoro salariato siano del tutto simili a quelle dei marxisti: "La concorrenza è difettosa in sé, perché i mezzi per concorrere non sono a disposizione di tutti e non derivano dalla virtù di nessuno, ma dal caso…Nel regime borghese i lavoratori cadono sempre nelle mani degli abbienti; dunque dei capitalisti. L’operaio non può trarre dal suo lavoro un frutto che corrisponda al valore che il prodotto di tal lavoro ha per colui che lo consuma. Il lavoro è malcompensato! Il capitalista ne ritrae il guadagno maggiore". Anche per Stirner l’alienazione è un effetto della divisione del lavoro: "per l’aspirazione dell’uomo a esser veramente uomo, obbligarlo a un lavoro meccanico val quanto renderlo schiavo. Se l’operaio di una fabbrica è obbligato a logorare le sue forze per dodici ore o anche più, le sue aspirazioni di umana dignità sono deluse…E così nel lavoro, quale esso sia, deve essere concesso a ognuno di poter diventare maestro, cioè di creare un’opera che sia un tutto. Quegli che in una fabbrica di spilli non ha altro che compito che d’attaccarvi capocchie, o di stirar il fil di ferro…non potrà mai essere soddisfatto. Il lavoro ch’egli fa, preso in sé, non ha nessuno scopo proprio, non riesce a nulla di compiuto: altro fine non ha che di rendere più facile il lavoro di un altro, dal quale in tal guisa viene sfruttato".

Malgrado l’ampio uso di una retorica anti-Stato che ha sviato molti dei suoi lettori, e che ha creato la leggenda dello Stirner libertario, il suo antistatalismo è del tutto inesistente. Stirner, in realtà, vedeva lo Stato con gli stessi occhi di Marx: "Perciò il nullatenente deve considerare lo Stato quale una potenza protettrice delle classi agiate, la quale a esse conferisce privilegi per dissanguarlo. Lo Stato è uno Stato borghese, è lo "Status" della borghesia". Sarebbe quindi inutile cercare nelle riflessioni di Stirner una qualche teoria della limitazione dello Stato; si trova invece ad ogni pie’ spinto un’esaltazione estatica del potere, in qualsiasi forma si manifesti. Come conseguenza, l’individuo stirneriano non ha la possibilità di opporre alcun diritto di difesa nei confronti del Leviatano, il quale può legittimamente opprimerlo, schiavizzarlo, e financo ucciderlo, se tali atti rafforzano il suo potere. Cosa potrebbe obiettare Stirner ad un’unione di egoisti che si siano accordati tra loro per edificare un potere totalitario dedito al guerra, al saccheggio, e allo sterminio? A ben guardare, nulla di nulla: non vi è una sola azione commessa in questo secolo dai capi bolscevichi o nazisti che non sia giustificabile con le teorie esposte ne L’unico e la sua proprietà; e non vi è una sola vittima dei gulag o dei lager che, a dare ascolto a Stirner, non abbia meritato quella sorte a cagione della propria debolezza.

Alla luce di queste considerazioni, non v’è dubbio che presentare Stirner come un precursore dell’ultraliberismo e del libertarismo moderno costituisca un grossolano abbaglio. La tradizione libertaria non ha nulla da spartire con le idee di Stirner, che non a caso hanno trovato udienza solo all’interno di correnti culturali del tutto avverse alla società di mercato. L’ideologia di Stirner rappresenta piuttosto, in termini paretiani, la derivazione (cioè la razionalizzazione a posteriori) di ben precisi residui antiliberali, sia di estrema destra che di estrema sinistra. Schematicamente, non è difficile individuare le due categorie di persone alle quali le teorie di Stirner possono risultare estremamente comode: da una parte i dittatori, i conquistatori, i guerrafondai; dall’altra i parassiti pseudo-rivoluzionari dediti all’esproprio proletario. A cui bisogna aggiungere certi delinquenti professionali e certi pericolosi psicopatici amorali e anaffettivi: ma qui entriamo più nel campo della psicologia che in quello della politica.