Le voci istituzionali si uniscono nell'esibire la progressiva conversione del potere sociale in potere dello Stato come qualcosa non solo normale, ma anche salutare e necessaria per il bene pubblico.


Albert J. Nock

 


Globalizzazione e globalismo


Quando Bertinotti è andato a Cernobbio e ha visto alcuni ragazzi inneggiare contro la "globalizzazione" (ovvero anche contro il mio diritto naturale a comprare beni coreani o cileni...) ha subito espresso tutta la sua soddisfazione. Gaffe mostruosa: non aveva capito che quelli erano skinheads. Contro la globalizzazione ormai si trovano (assieme) estrema destra ed estrema sinistra.


Io non sono contro la globalizzazione, ma contro il globalismo giuridico (realtà ben diversa). Mi spiego.


La
globalizzazione è un fenomeno antico come il mondo, come testimoniano i nostri piatti regionali più caratteristici (qualcuno conosce polenta e baccalà? il mais viene dalle Americhe e il baccalà dal Nord Europa... altro che radici venete!). Il Basso Medioevo era un'età di commerci eccezionali e di liberi scambi tra aree lontane. Quando Marco Polo, con le tecniche d'allora, arrivò in Cina fece più di quanto oggi noi si possa fare andando verso le galassie più lontane.


La globalizzazione è vecchia come il mondo perché non è altro che il diritto degli esseri umani di avere relazioni economiche e/o culturali (religiose, ecc.) se lo vogliono. Noto, per inciso (e da cattolico), che l'Europa è diventata cristiana in virtù dell'azione di una multinazionale religiosa di successo: la chiesa dei seguaci di Gesù Cristo. Analoga fortuna hanno avuto, nel passato, la filosofia greca, il diritto romano, l'algebra araba, ecc.


Il
globalismo (o "mondialismo") è tutt'altra cosa; in larga misura è il suo opposto. Se oggi si parla di globalizzazione, infatti, è perché gli Stati nazionali (creature moderne ed illiberali come poche) sono in crisi. Sempre meno persone credono alle ridicole storielle sulla Patria, la democrazia, ecc.


Di fronte a tale crollo di legittimità dei vecchi poteri, che fanno le classi politiche nazionali? Vogliono realizzare un "cartello" per cercare di recuperare il potere perduto (potere che il processo di globalizzazione ha sottratto loro, restituendoci una maggiore signoria sulla nostra vita e i nostri beni). Se l'Italia (l'élite criminale che compone la classe politica locale) non è più in condizione di dominare gli italiani, la stessa élite potrà continuare a farlo se entra in una più vasta élite europea che controlli l'intera società europea.


L'Europa è quindi una tappa verso lo Stato mondiale, verso la fusione in un solo gruppo di tutte le classi politiche nazionali. Verso la "democratizzazione dell'Onu".


Il globalismo giuridico è la dottrina che difende l'esigenza di unire gli uomini sotto un unico governo ed una medesima giurisdizione.


Avversare la globalizzazione significa avversare il libero scambio: è evidente.


Ma se non si vuole il libero scambio tra cittadini europei e americani, lo si deve (secondo logica) avversare anche tra Francia e Germania. Non solo: all'interno della Francia i provenzali dovrebbero proteggere i loro prodotti dalla "globalizzazione" proveniente dall'Ile de France o dalla Normandie. Non solo: Aix-en-Provence dovrebbe tutelarsi da Marseille e le famiglie axoises del centro da quelle della periferia... Insomma: la logica che sottende l'anti-globalizzazione regge solo se zoppica. Se invece la si vuole applicare con coerenza, con rigore intellettuale e se si vogliono prendere sul serio quelle idee, allora si è costretti a rifiutare ogni forma di cooperazione.


Il problema è che la storia viene insegnata malissmo. Quasi nessuno sa che uno degli avvenimenti storicamente più rilevanti per l'umanità - altro che la ruota! o la scoperta dell'America! - è la nascita della divisione del lavoro (e poi, in epoca medievale, la sua ri-nascita).


Ma veniamo all'America. L'America vera non è quella parodia dell'Europa che sono i liberal (i socialisti d'America), ma l'America libertaria e quella conservatrice, il Sud che non riconosce il governo yankee, le milizie in guerra con Washington, gli individui che obiettano di fronte ai funzionari pubblici, e anche talune prese d'atto ufficiali che segnalano come questa America ribelle non sia un ghetto di "marginali" (penso ad esempio a quando la Corte Suprema assolse un ragazzo sotto processo perché aveva bruciato la bandiera; motivazione: "la bandiera simboleggia la libertà degli americani e tra le nostre libertà c'è anche quella di bruciare una bandiera..."). Se uno pensa di capire l'America guardando a Clinton, a Gore, a Bush o a Nader, difficilmente capirà qualcosa. Anche perché troverà, in sostanza, le stesse logiche globaliste e socialiste dell'Europa. Gore è per il Nuovo Ordine Mondiale (come i leader europei, che vogliono unirsi anche per contare di più sullo scacchiere internazionale), è contro il diritto di secessione, è contro il diritto di portare armi, è per una crescita del potere federale contro quello degli stati, è per un controllo politico universale dell'ambiente (vedi conferenze di Rio e Kyoto), eccetera. Ma lì non c'è nulla di americano!


E non si creda che la politica, là o anche da noi, sia tutto e tutto possa. Per fortuna, l'America è ancora il paese in cui ogni giorno sorgono imprese in settori di punta, e queste imprese spesso finiscono per minare le logiche del potere e del suo controllo (pensate solo all'universo di internet che oggi ci permette di comunicare, apprendere e scambiare opinioni... viene forse dall'Europa tutto questo?).


Ho già scritto una volta che l'America è in qualche modo un paradosso. Perché da un lato è una delle aree che meno ha subito la crescita dello statalismo (assieme alla Svizzera e alle micro-comunità politiche europee di origine medievale: Monaco, Andorra, Liechtenstein, ecc.). La pressione fiscale è intorno al 34%, mentre da noi è intorno al 50%.


Questo spiega lo straordinario successo economico (e quindi tecnologico, culturale, ecc.) dell'America, che fin dalla fine dell'Ottocento è l'area più sviluppata del pianeta. Il problema, però, sta nel fatto che questo enorme successo economico è in condizione di dare risorse spaventose allo Stato degli americani: agli Usa.


Ecco il punto è lì: bisogna distinguere tra America (tradizione e società americana) e Usa (lo Stato che occupa gli americani).


Ecco: c'è un imperialismo Usa ed è terribile. Va studiato e combattuto: nel Golfo, in Serbia, ecc. All'Onu, anche. Ma l'America c'entra poco. E questo è tanto vero che per prendere voti i candidati alle presidenziali (soprattutto Bush) parlano di un disimpegno militare dall'Europa. Non solo: durante la seconda guerra mondiale, l'opinione pubblica americana era talmente poco interessata a "salvare" gli europei dal loro statalismo e dai guai che stava loro creando, che Roosevelt si fece attaccare dai giapponesi - ben sapendo che stavano per farlo - perchè era consapevole che solo in questo modo avrebbe avuto l'opinione pubblica dalla propria parte nel suo progetto di entrare in guerra.


L'America, sotto sotto, continua a nutrire forti tradizioni isolazioniste, anti-imperialiste, tanto favorevoli al libero mercato quanto avverse alla centralizzazione del potere. L'America è il maggiore mercato del pianeta e già solo questo fatto è sufficiente a farci comprendere che là vi è un universo forte e dinamico che continua a sfuggire al controllo poliziesco: da quel mondo vengono molte cose buone e altre ancora ne verranno.


Carlo Lottieri da
Forum Euroscettico
ottobre 2000