Adorazione Eucaristica

  


Ogni venerdì, dopo la messa delle 15.30 e fino alle 17 si tiene in chiesa una proposta di adorazione a Gesù Eucaristia. 

PREGHIERA DI ADORAZIONE EUCARISTICA


Chi conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato.
Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. ( 1 Corinti , dai capp. 2 e 3)


(l’altare è preparato per ricevere l’Eucaristia; l’evangeliario aperto; candele dell’avvento e candele del dell’evangeliario accese; ci si raduna davanti all’altare con i banchi disposti a semicerchio aperto; dopo il segno di croce si sta qualche minuto in silenzio)

TEMPO DI SILENZIO E ATTESA (un tempo di silenzio perché ciascuno possa chiedersi: )

Che cosa mi porto dentro in questo momento?
Come sono qui, adesso, alla presenza del Signore?
Quali sono le mie gioie, le mie inquietudini, le mie attese?
Chi porto con me nella mia preghiera?


CUSTODISCIMI


Ho detto a Dio senza di te
alcun bene non ho, custodiscimi.
Magnifica è la mia eredità, benedetto sei tu, sempre sei con me.

Custodiscimi, mia forza sei tu
custodiscimi, mia gioia Gesù (2 v)

Ti pongo sempre innanzi a me,
al sicuro sarò, mai vacillerò.
Via, verità e vita sei,
mio Dio credo che tu mi guarirai.



(poi un solista legge la parte in corsivo della preghiera seguente; la parte in grassetto sarà proclamata assieme da tutti:)

Donaci, Signore Gesù, di metterci davanti a te!
Donaci, almeno per questa volta, di non essere frettolosi,
di non avere occhi superficiali o distratti.
Perché, se saremo capaci di sostare di fronte a te,
noi potremo cogliere il fiume di tenerezza,
di compassione e di amore che tu riversi sul mondo.
A nome della nostra parrocchia
donaci di partecipare all’immenso tuo amore che spacca i nostri egoismi,
le nostre chiusure, le nostre freddezze.
Donaci di partecipare all’amore tuo che lenisce le nostre ansie e le nostre angosce,
che lava la nostra piccola vanagloria, che purifica la nostra cupidigia,
che trasforma le nostre paure in speranze, le nostre tenebre in luce.
Donaci di contemplare la tua presenza di amore
che ci fa esclamare con le labbra, con il cuore e con la vita:
Gesù, tu sei davvero il Figlio di Dio, sei davvero la rivelazione dell’amore.

ACCOGLIENZA DELL'EUCARISTIA

Lodate Dio cieli immensi ed infiniti.
Lodate Dio cori eterni d'angeli.
Lodate Dio santi del suo regno.
Lodatelo uomini, Dio vi ama.
Lodatelo uomini, Dio è con voi

(pausa di silenzio)

ASCOLTO DELLA PAROLA


ALLELUIA: QUESTA TUA PAROLA


Alleluia, alleluia, alleluia, alleluia,
alleluia, alleluia, alleluia, alleluia (2 v)

Questa tua parola non avrà mai fine
ha varcato i cieli e porterà il suo frutto (2 v)


(dopo la proclamazione della Parola si sta in silenzio e ciascuno può esprimere liberamente una preghiera, una lode, una intercessione…)


Dal libro dell’Esodo (dal cap. 3)

Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele. Ora va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!».
Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?». Rispose: «Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi». Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

Salmo 63 (62) (di Davide, quando dimorava nel deserto di Giuda)


O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco,
di te ha sete l'anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz'acqua.
Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all'ombra delle tue ali.
A te si stringe l'anima mia
e la forza della tua destra mi sostiene.


Dal vangelo di Giovanni (dal cap. 13)

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi».
Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».


INTERCESSIONI LIBERE…

Come fratelli, raccolti dall'amore del Padre manifestato in Gesù di Nazareth che per noi si è fatto pane spezzato e vino versato, diciamo insieme: Padre nostro...

Signore Gesù Cristo che ci inviti ad incontrarti nell’Eucaristia e a servirti nei fratelli, ascolta la nostra preghiera. Lavando i piedi ai tuoi apostoli nella cena dell'Eucaristia ci hai insegnato a dare concretezza alla fede e a collegare l'adorazione con l'impegno quotidiano.
Abbiamo bisogno, o Signore, di ritrovare la dolcezza e la pace dell'intimità con te, ospite discreto dei nostri tabernacoli. Ma vogliamo anche abbattere le barriere che spesso separano ancora la pietà dall'esperienza vissuta nella vita familiare e nella società.
Aiutaci a credere di più e ad amare di più.
Rendi eucaristica la nostra esistenza nel contesto di questi anni drammatici e meravigliosi mentre iniziamo un nuovo millennio. E fa' che le nostra comunità viva la gioia di seguire te come Maestro e Guida nel cammino verso il Padre. Amen.

BENEDIZIONE EUCARISTICA


(possibili canti)



COME È GRANDE

1. Come è grande la tua bontà
che conservi per chi ti teme.
E fai grandi cose per chi ha rifugio in te,
e fai grandi cose per chi ama solo te.

2. Come un vento silenzioso,
ci hai raccolto dai monti e dal mare;
come un'alba nuova tu sei venuto a me,
la forza del tuo braccio, mi ha voluto qui con te.

3. Com'è chiara l'acqua alla tua fonte
per chi ha sete ed è stanco di cercare:
sicuro ha ritrovato i segni del tuo amore
che si erano perduti nell'ora del dolore.

4. Come un fiore nato tra le pietre,
va a cercare il cielo su di lui,
così la tua grazia, il tuo Spirito per noi,
nasce per vedere il mondo che tu vuoi.








Laudate omnes gentes,
laudate Dominum (2 v)

Magnificat, magnificat,
magnificat anima mea Dominum.
Magnificat, magnificat,
magnificat anima mea

Veni, sancte Spiritus,
tui amoris ignem accende.
Veni, sancte Spiritus,
veni, sancte Spiritus

Nulla ti turbi, nulla ti spaventi:
chi ha Dio nulla gli manca!
Nulla ti turbi, nulla ti spaventi:
solo Dio basta!

Voglio cantare al mio Signore,
finché esisto, finché ho vita,
e il mio canto sia gradito a Lui,
che è la mia gioia

Solo in Dio riposa l'anima mia,
da Lui la mia speranza

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo nome;
non dimenticherò tutti i suoi benefici,
benedici il Signore; anima mia.


In precedenza ci siamo avvalsi per la preghiera di una riflessione-commento al Padre Nostro curata dall'ex cardinale di Milano, Carlo Maria Martini.
Proponiamo alla lettura e riflessione personale di ciascuno i testi.

O Dio nostro Padre, 
così abbiamo imparato a chiamarti; 
così ci ha insegnato il tuo Figlio Gesù!
Aiutaci a comprendere 
la grandezza di questa rivelazione 
e a rivolgerci con fiducia a te 
nei momenti della gioia 
e in quelli del dolore, 
quando siamo ricchi di speranza 
e quando vince la tristezza, 
perché tu solo sai sostenere 
i passi del nostro cammino. 
Per Cristo nostro Signore. 
Amen 
 


      Desideriamo contemplare il mistero del Padre meditando sulla preghiera del Padre nostro. 
A modo di introduzione ascoltiamo due testi evangelici. 


      "Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome" (Mt 6,7-9). 
"Giunsero intanto a un podere chiamato Getsemani, ed egli disse ai suoi discepoli: 'Sedetevi qui, mentre io prego'. Prese con se Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: ' La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate'. Poi, andato un po' innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell'ora. E diceva: 'Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu'" (Mc 14,32-36). 

       Confesso di provare un certo sgomento di fronte alla preghiera insegnataci da Gesù, perché ci supera da ogni parte e, per capirla, dovremmo penetrare nelle ricchezze dei sentimenti di Gesù, nel suo cuore. Inoltre ritengo sia oggettivamente difficile parlare del Padre nostro in maniera astratta; trattandosi di una preghiera, la si comprende pregando. Quanto cercherò di esprimere vorrebbe essere semplicemente in funzione della vostra orazione personale. 

      Prima di considerare le invocazioni del Padre nostro, faccio tre constatazioni. 

      Anzitutto è una preghiera molto scarna brevissima. Ne conosciamo di più lunghe anche nel Nuovo Testamento. Ve ne sono altre che sembrano più ricche di affetto come per esempio quella di Charles de Foucauld che inizia così: "Padre mio, mi abbandono a te, fa' di me ciò che ti è gradito. Qualsiasi cosa tu faccia di me io ti ringrazio...". Il Padre nostro, invece, ricorda i pilastri di una grande cattedrale, pilastri rigidi ma che sostengono un edificio immenso. 

      È poi una preghiera apparentemente un po' generica; è stato detto -credo con ragione- che potrebbe essere recitata dai seguaci di ogni religione. Tutti coloro che si rivolgono a Dio potrebbero ripetere le parole del Padre nostro

      D'altro canto è una preghiera sintetica, che riassume tutto il Vangelo e le singole invocazioni si capiscono appieno soltanto leggendole alla luce dell'Evangelo. Dunque, paradossalmente, il Padre nostro può essere recitato da ogni uomo o donna di buona volontà, a qualunque religione appartenga, e tuttavia svela il suo segreto nella misura in cui è colto alla luce dell'Evangelo. È una sintesi di tutta la vita di Gesù e insieme una chiave di lettura della sua vita. 

"Padre nostro che sei nei cieli" 

      Non è ovvio che una preghiera biblica cominci con l'esclamazione Padre
      I Salmi, per esempio, che sono 150 bellissime preghiere, non iniziano mai con tale esclamazione. 
E quindi una caratteristica del modo di pregare di Gesù, un modo che vuole comunicarci. 
     Vorrei allora spiegare che cosa significa Padre nell'esperienza di Gesù, nell'esperienza dei suoi discepoli, nell'esperienza del cristiano. 

     1. Dai vangeli sappiamo che Gesù quando menziona Dio lo chiama quasi sempre col nome di Padre. Anzi, per l'evangelista Luca le prime parole pronunciate da Gesù riguardano il Padre; è il famoso episodio di Gesù dodicenne che, ritrovato dai genitori nel tempio di Gerusalemme, dice: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2, 49). Così farà fino al termine della sua vita, anche nella prova suprema, come ci riferisce il testo di Marco che ho richiamato nell'introduzione: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te". E, ancora, sulla croce, mentre sta per morire: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno... Padre, nelle tue mani affido il mio spirito" (Lc 23,34.46). 
      Il nome Padre è perciò anzitutto usato da Gesù, usato in quella forma che, nella lingua aramaica del tempo, indicava l'allocuzione familiare con cui i bambini chiamavano il papà: Abbà. È un nome tenerissimo, che risveglia un mondo di affetti, di fiducia, di abbandono. È un appellativo che qualifica l'esperienza fondamentale di Gesù. Egli vive il suo essere figlio e ci insegna a chiamare Dio con la stessa parola con cui lo chiama. Non è parola che potremmo inventare e non a caso nel- la liturgia premettiamo, alla recita o al canto del Padre nostro, il verbo "osiamo dire". Non avremmo mai osato pronunciare il nome Padre se Gesù non ce lo avesse donato. 
      E proprio perché questa invocazione non è solo posta sulle nostre labbra, ma introduce in noi il modo di pregare di Gesù, è una parola un po' inspiegabile. La percezione che il cristiano ha del mistero del Padre non è esprimibile a parole, ma affonda nella percezione che ne ha Gesù Cristo Figlio, ed è affidata alla grazia dello Spirito santo. Questo mistero del Padre va dunque al di là di ogni pensiero e concetto, non è contenibile in parole, è sempre 'oltre'. Quanto ci è dato di coglierne parte però sempre dalla parola di Gesù: Abbà!, dall'intensità con cui la pronunciava. 

Nel testo di Matteo, all'esclamazione "Padre nostro" segue un'aggiunta: "che sei nei cieli". Sarebbe bello soffermarci a lungo su tale espressione perché è particolarmente importante. Non ha soltanto lo scopo di distinguere la paternità divina e universale da ogni paternità umana, ma sta a indicare il cielo come il luogo delle realtà definitive, dove la paternità di Dio si rivela in pienezza. È il luogo da cui viene a noi il regno che, nel vangelo di Matteo, è appunto chiamato "regno dei cieli"; il regno che è presso il Padre e di là viene sulla terra. 
L'espressione che sei nei cieli -oltre a suggerirci il gesto simbolico di guardare in alto come Gesù, che quando pregava alzava gli occhi al cielo- giunge a noi dalla mèta del nostro cammino, dal luogo dei beni definitivi e ci comunica l'esperienza inesauribile di Gesù stesso, esperienza che contempleremo per tutta l'eternità. 

      2. Cerchiamo ora di capire che cosa significava la parola Padre nostro che sei nei cieli nell'esperienza dei primi discepoli. Essi avevano lasciato tutto per seguire Gesù; non erano più sicuri né del pane, né della casa, né dell'accoglienza perché potevano essere perseguitati, rifiutati. 
L'invocazione orante al Padre significa dunque per loro un atto di intensa fiducia: questo Padre sa tutto di noi, conosce la nostra condizione precaria, fragile e certamente provvederà a noi. Occorre qui il brano di Matteo che abbiamo ascoltato all'inizio: "Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate". Mi viene in mente un altro detto di Gesù: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno" (Lc 12, 32). Voi siete piccoli, pochi, ma il Padre vi dà il regno. 
Quando noi ripetiamo l'esclamazione Padre nostro che sei nei cieli, entriamo sia nei sentimenti e nei pensieri di Gesù sia nell'esperienza dei primi discepoli che sentivano crescere in loro l'affidamento al Padre. 

      3. Consideriamo, infine, l'espressione Padre nostro che sei nei cieli nella nostra esperienza, nell'esperienza di ogni cristiano. 
Anzitutto non è esperienza umana, ma ci è data dallo Spirito santo. L'apostolo Paolo ce lo ricorda con forza: " Voi avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: 'Abbà, Padre!', Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio" (Rm 8, 15-16) ; "Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!" (Gal 4, 6). 
      Dunque le parole del Padre nostro sono correlate con la nostra esperienza di figli di Dio. Ogni volta che pronuncio il nome 'Padre' sento pronunciare l'appellativo 'figlio, figlio mio, figli miei'. La mia invocazione è risposta alla parola di figliolanza che Dio proclama su di me, su ciascuno di noi. 
Possiamo allora intuire quali sensazioni suscita il nome 'Padre' quando lo diciamo con intensità. 
          - la sensazione di essere capiti a fondo; lui sa ciò di cui ho bisogno. 
          - la sensazione di essere importanti davanti a Dio, come si è ritenuto importante il figliol prodigo della parabola nel momento in cui, tornato a casa, è stato abbracciato dal padre. Se Dio ci permette di chiamarlo Padre, significa che abbiamo grande valore per lui. 
          - da qui anche la sensazione di non essere abbandonati nei giorni della prova, ma di essere capiti, sostenuti, accompagnati. 
          - e poi la sensazione di poter rivolgerci a Dio con audacia; se è Padre, siamo liberi di parlargli con franchezza. 

      È talmente importante l'appellativo 'Padre' che idealmente va premesso a ogni invocazione della preghiera: "Padre, venga il tuo regno; Padre, sia fatta la tua volontà; Padre, dacci il nostro pane; Padre, perdonaci i nostri debiti". 

Ci domandiamo: a quali sentimenti si oppone questo appellativo? 

      Si oppone alla preghiera pretenziosa, che presume di essere esaudita a forza di parole. 
      Si oppone alla preghiera recitata senza convinzione, sfiduciata, che si trascina in maniera monotona e arida. 
Il Padre nostro genera abbandono, scaccia ogni pretesa, nutre l'affidamento. 


" ..Sia santificato il tuo nome" 

      Proseguendo nella spiegazione, mi fermo molto brevemente sull' espressione sia santificato il tuo nome. È piuttosto strana e non fa parte della nostra lingua corrente. 

Per cercare di capirla ricorriamo a una pagina del profeta Ezechiele: 

      "Annunzia alla casa d'Israele: Così dice il Signore Dio; Io agisco non per riguardo a voi, gente d'Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete disonorato fra le genti presso le quali siete andati. 
      Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le genti sapranno che io sono il Signore -parola del Signore Dio- quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi. 
      Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne"
(36, 22-26) . 

Questo testo contiene la chiave dell'invocazione sia santificato il tuo nome perché introduce pure l'espressione contraria. Il Signore dice infatti al suo popolo: "Voi avete disonorato il mio nome" in quanto la vostra deportazione, causata dai vostri peccati, è apparsa come una mia sconfitta, ha fatto pensare ai nemici che il mio nome non vale niente. Ma io, invece, "santificherò il mio nome grande", mostrerò quanto valgo e vi libererò. 
Alla luce della profezia di Ezechiele, possiamo parafrasare l'invocazione del Padre nostro così: Santifica il tuo nome, o Padre, manifesta che sei buono. Che sei forte. Che ci ami! 
È quindi un modo di provocare Dio a rivelare il suo amore per noi e la sua potenza, in linea con quella audacia di cui ho parlato sopra.

      Domande per la riflessione personale 

Nel desiderio di illuminare un poco le primissime parole della preghiera insegnataci da Gesù, ho aperto uno spiraglio verso un mondo di pensieri, di idee, di dottrina, che dovremo gradualmente penetrare. 

A questo punto però propongo tre domande per la vostra riflessione.

      1. Quale immagine ho di Dio Padre? È il Dio di Gesù? Mi affido perdutamente a lui, rimettendo nelle sue mani le mie angosce e paure? 

      2. La seconda domanda ci tocca soprattutto come catechisti o educatori: quale volto di Dio è veicolato nella nostra catechesi e nella predicazione? È il Dio Padre di Gesù? 

      3. La prova se senti o no Dio come Padre, Padre tuo e di tutti, può essere data da alcune verifiche. Per esempio: ti senti di ringraziare Dio per tutto quanto ti accade? Senti di poter dominare l'angoscia o l'affanno per le cose che incombono senza con ciò stesso perdere il contatto con le situazioni reali? Sei capace di sopportare un'ingiustizia senza recriminare continuamente in cuor tuo, giustificandoti e difendendoti? Sei capace di dire "mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e per sempre" (Sa152, 10)? 

Queste domande ci permetteranno di capire se davvero le parole del Padre nostro sono penetrate in noi e hanno prodotto come frutto quell'atteggiamento di pace, di fiducia, di abbandono che Gesù ha vissuto parlando del Padre e affidandosi a lui. 

O Dio che conosci 
le nostre fragilità e le nostre debolezze, 
sostienici nelle prove che la vita ci presenta. 
Noi sappiamo che, 
sostenuti dal tuo aiuto, 
possiamo sconfiggere il maligno. 
Facci percepire sempre 
la tua vicinanza e il tuo sostegno, 
così da non sentirci soli o sconfitti, 
ma pronti a camminare nella speranza. 
Per Cristo nostro Signore. 
Amen.
 


      Oggi vogliamo approfondire insieme l'invocazione insegnataci da Gesù: "Padre, liberaci dal male"
      Sono due i testi del Nuovo Testamento che ci guidano nella riflessione. 
      "Scrivo a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno. H o scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre. H o scritto a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno" (1Gv 2, 13-14). 
      "Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore si diffonda e sia glorificata come lo è anche tra voi e veniamo liberati dagli uomini perversi e malvagi. Non di tutti infatti è la fede. Ma il Signore è fedele; egli vi confermerà e vi custodirà dal maligno" (2Ts 3, 1-3). 

      A modo di premessa vorrei anzitutto citare alcune parole di commento al Padre nostro di Simone Weil, una grande pensatrice religiosa di matrice ebraica, morta giovanissima nel 1943. Ella dice: "Questa preghiera contiene tutte le ricchezze possibili. È impossibile pronunciarla una sola volta concentrando su ogni parola tutta la propria attenzione senza che un mutamento reale, sia pure infinitesimale, si produca nell'anima" (S. Weil, Attesa di Dio, Milano 1972, p. 194). 
      Noi intendiamo appunto concentrarci su una parola di questa bellissima preghiera nel desiderio che avvenga un mutamento nella nostra anima, una crescita nella speranza e nella fiducia. Potremmo stupirci che il Padre nostro, che inizia con un appellativo affettuoso, si concluda con il termine male. E Simone Weil lo spiega così: "Con la parola 'Padre' ha inizio la preghiera, con la parola 'male' si conclude. Bisogna passare dalla fiducia al timore: solo la fiducia dà la forza sufficiente affinché il timore non causi una caduta" (ivi, p. 192). 

L'ordine sapienziale delle invocazioni 

      Nel nostro primo incontro abbiamo cercato di penetrare il senso dell'invocazione: "Padre nostro che sei nei cieli / sia santificato il tuo nome". Il motivo per cui preferisco non seguire l'ordine che ci porterebbe a soffermarci sull'invocazione sia fatta la tua volontà, è molto semplice. Liberaci dal male è il primo grido del cuore di chi si sente assalito da ogni forma di male, il grido più elementare, più semplice. È la preghiera propria degli ammalati che vorrebbero essere liberati presto dalla sofferenza, ma è una preghiera universale. 

C'è dunque un ordine, nelle domande del Padre nostro, che possiamo chiamare sapienziale, dei valori: si parte dalle realtà più importanti, che riguardano Dio, la santificazione del suo nome, la venuta del regno, il compimento della volontà divina, e si scende verso le realtà che ci toccano più da vicino -il pane, i debiti, la tentazione, il male. 

Oltre a questo ordine dei valori, ce n'è uno più pedagogico, didattico, che ho scelto appunto di seguire: iniziare da ciò di cui abbiamo maggiore esperienza, come il male, la tentazione, i peccati, la fame. Sono domande che possiamo trovare sulle labbra di credenti e non credenti, dei seguaci di ogni religione, perché non c' è esperienza più universale di quella del male. 

E, nel Padre nostro, l'invocazione 'liberaci' o 'strappaci dal male' è in parallelo con l'invocazione immediatamente precedente: 'non permettere che siamo vinti dalla tentazione', indicando come la potenza del male sottostà a ogni tentazione e pervade il mondo.

"Liberaci dal male" 

      Che cosa intende Gesù espressamente quando parla di 'male'? Da che cosa vogliamo essere liberati con la domanda: liberaci dal male

      Certamente la malattia è un male, come sono un male gli incidenti, le disgrazie, la fame, la povertà, la mancanza di casa e di lavoro. Tuttavia la liberazione da questi mali -come vedremo- viene invocata in positivo con l'espressione: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano"
      Nell'ultima richiesta del Padre nostro, invece, è evocato il male nella sua forma più profonda e distruttiva: Gesù parla del male morale che è la radice ultima di tutti gli altri mali. Infatti, il vocabolo greco usato da Matteo e tradotto con 'male' è meglio reso con 'cattiveria, malvagità', oppure con 'cattivo, malvagio'. 
      I Padri della Chiesa latina hanno optato per il neutro liberaci dalla malvagità, dal male, e per questo nella Messa, subito dopo la recita del Padre nostro, si prosegue con la preghiera: "Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento". 
      I Padri della Chiesa greca hanno, però, optato per il sostantivo maschile liberaci dal cattivo, dal maligno, da satana, dall'avversario. In tal senso sono i due testi nel Nuovo Testamento che ho richiamato all'inizio, dalla prima Lettera di Giovanni e dalla seconda Lettera di Paolo ai Tessalonicesi: "avete vinto il maligno"; "veniamo liberati dagli uomini perversi e malvagi"; "il Signore vi custodirà dal maligno"

      Dunque il termine 'male' si può tradurre in due modi, i cui significati, del resto, non si oppongono: l'uno implica l'altro. 


1. Il 'male' 
      Quando si parla del male e della cattiveria in astratto, vengono subito in mente le devianze singole, i peccati -frodi, menzogne, omicidi, furti, gelosie, vendette. 
      In realtà c'è un male più terribile e distruttivo, costituito dalle devianze collettive che coinvolgono un gruppo, un popolo, una società -come il razzismo, le guerre etniche, le sopraffazioni della schiavitù, le ingiustizie sociali, le torture. È più difficile difendersi da questi mali, perché si annidano in una cultura, sono nel DNA di un gruppo sociale. 
      Tuttavia c'è un male, una malvagità ancora peggiore, che si verifica allorché le cattiverie non solo fanno parte del costume sociale, ma vengono legittimate da teorie, da ideologie o da filosofie. In questo caso il male è addirittura chiamato 'bene', la tenebra è chiamata 'luce'. Da tale situazione di devianza, di strutture di peccato, è quasi impossibile risalire la china verso il bene. Pensiamo, a esempio, al male tremendo perpetrato nei campi di concentramento, ad Auschwitz.

      Perciò Gesù ci insegna a gridare al Padre con accoratezza: "Liberaci dal male, dalla cattiveria che invade ciascuno di noi; liberaci dalle aberrazioni collettive; liberaci, Padre, dalle ideologie che giustificano e legittimano la malvagità". 

2. Il 'maligno' 

      Se leggiamo il termine greco al maschile -ma1igno, malvagio, cattivo -, allora ci troviamo di fronte a un altro quadro: coloro, che ci vogliono male, ci odiano -al di fuori di noi; all'interno di noi tutti quei sentimenti e atteggiamenti distruttivi, che ci rodono e ci portano verso il male: penso alla depressione (chiamata anche 'il male oscuro'), allo sconforto, al pessimismo amaro, al disfattismo che vorrebbe farci abbandonare la via della coerenza e dell' onestà. 

      Qui ci accorgiamo della continuità tra l'invocazione 'liberaci dal male' e la precedente 'non permettere che cediamo nella prova'. 

      Le tentazioni, infatti, inducono al male e, quando cadiamo, il male ci lacera la coscienza, ci toglie la pace, ci rende spregevoli ai nostri stessi occhi. Dall'inquietudine, dalla voglia di dimenticare, dal disordine nella vita, nel mangiare e nel bere, si può arrivare alla fuga negli stupefacenti e, infine, alla disperazione. Ed è questo il grande male da cui chiediamo di essere liberati, il male che vorrebbe mettere una fine a tutto. 
      Il 'maligno' non ha risparmiato Gesù che, prima di iniziare la sua vita pubblica, viene appunto avvicinato dal diavolo. Il diavolo lo tenta suggerendogli di essere sì il Messia, il Figlio di Dio, ma mediante gesti di potenza e di dominio ( "di' che questi sassi diventino pane... gettati dal pinnacolo del tempio" ), non mediante la via dell'umiltà, della mitezza, della croce. 
      Persino Pietro, a un certo punto, diventa per Gesù come un malvagio, un tentatore che cerca di convincerlo a rifiutare la via della croce; e Gesù gli risponde: "Lungi da me, satana!" (Mc 8,33). 
      Di nuovo, quando ormai è stato messo sulla croce, Gesù è tentato di discendere compiendo un gesto prodigioso: "Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!" (Mt 27,46). 

      Il fatto che la tentazione, il maligno siano accanto a Gesù, durante la sua vita e anche nell'ora della morte, mostra quanto è grande e terribile il male che ci è vicino. Gesù sapeva bene che i suoi discepoli non sarebbero stati risparmiati dalle insidie del malvagio e per questo, nell'ultima cena, prega il Padre dicendo: "Custodiscili dal maligno!" (Gv 17,15). Nella stessa occasione si rivolge a Pietro così: "Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede" (Lc 22, 31-32a). Certo, la preghiera di Gesù non impedirà a Pietro di vacillare, di rinnegare il suo Maestro; gli ha dato tuttavia la forza di rimettersi in piedi dopo la colpa.


Come il Padre ci libera dal male? 

      Ci domandiamo: come il Padre ci libera dal male, inteso come malignità, cattiveria e come il maligno, il tentatore? 
      Leggiamo nei vangeli che Gesù ha liberato gli uomini e le donne del suo tempo da molti mali fisici, in particolare dalle malattie: "Da lui usciva una forza che sanava tutti" (Lc 6, 19). È la forza che invochiamo spesso quando siamo malati, per guarire. 

      La strategia di Gesù è però diversa di fronte al male più profondo, alla cattiveria del male morale. È una strategia molto dolorosa e coinvolgente perché egli stesso carica su di sé questi mali, si lascia affliggere, schiacciare dalle cattiverie umane e le vince perdonando, offrendosi per noi sulla croce. 
     Quel 'liberaci dal male' ha davvero delle conseguenze terribili per Gesù che sommerge le nostre malvagità nel mare del suo amore senza limiti. 

      L'invocazione liberaci dal male, nel suo significato più profondo, fa dunque appello alla morte e risurrezione di Gesù. Il Signore non ci toglie dall'urto dei mali del mondo, ma ci aiuta a passare dentro di essi con la fede e la speranza di chi è certo della vittoria. 

      Il male più grave è di soccombere nella prova, di perdere la fede e la speranza, di disperarci: da questo soprattutto chiediamo di essere salvati. Allora il Padre ci salva come ha protetto, salvato e liberato Gesù, impedendo la vittoria definitiva del nemico; il Padre ci salva dandoci la forza di attraversare i mali di questa vita da vincitori nella speranza. Si tratta di una liberazione profonda, non clamorosa o spettacolare, che ci fa sperimentare misteriosamente la vicinanza amorosa del Padre. Con tale speranza gli chiediamo: liberaci dal male


Domande conclusive 

      Da quali mali dobbiamo pregare di essere liberati in questo nostro tempo? Quali sono i mali collettivi che gravano maggiormente su di noi e da cui vorremmo risorgere? Ne richiamo due. 

      1. Anzitutto la perdita della speranza, la paura del futuro; è un cancro che rode la società occidentale. 
La paura del futuro spiega anche la conflittualità crescente, l'accanita difesa di ciò che ciascuno ha; spiega la paura di donarsi, di dare vita, la denatalità, la critica sistematica che spegne ogni creatività. La mancanza di entusiasmo è una sorta di male collettivo, che viene talora giustificato e che spinge a cercare a ogni costo diversivi, distrazioni, rumori assordanti, a prolungare indefinitamente l'età giovanile pur di non guardare in faccia alle sfide della vita. 
"Liberaci, Padre, dalla paura, dal male dell'angoscia, dal male della poca speranza!". 

      2. Un secondo male da cui chiedere di essere liberati oggi come società è il prevalere dell'interesse individuale o di gruppo sull'interesse e il bene comune. Questo prevalere è connesso alla mancanza di speranza. Non si hanno più occhi per vedere il bene comune sia della famiglia che della città, sia della nazione che dell'Europa e del mondo; ciascuno lotta per conservare e accrescere il poco o molto che ha, senza preoccuparsi degli altri. Di conseguenza, la solidarietà è irrisa, i gesti di condivisione vengono sospettati quasi fossero sollecitati da oscure motivazioni egoistiche, non si vuole più rischiare per un bene più alto. 

      È giusto quindi pregare: "Padre, liberaci da questo male, dal prevalere dell'interesse individuale; fa' che trionfino la solidarietà e quella cura del prossimo che è la radice di ogni atto buono, di ogni istituzione che si impegna per il bene della gente", 

      Concludendo, suggerisco una domanda personale, alla quale potrete rispondere nella meditazione silenziosa: Se dovessi dare io un contenuto alla preghiera 'liberaci dal male', che cosa direi? da quali mali, in particolare, vorrei essere liberato? 


Il Signore doni a noi e a tutti la speranza di vincere il male ovunque si presenti.

Dio, Padre nostro, 
che ti fai carico del cammino dei tuoi figli 
donando loro il necessario per vivere 
e per aprirli all'incontro con te, 
e quando sbagliano sei pronto a perdonare, 
ti ringraziamo per il tuo amore paziente e misericordioso. 
Fa' che poniamo in te la nostra fiducia 
e impariamo a essere misericordiosi, 
perdonandoci a vicenda gli uni gli altri. 
Per Cristo nostro Signore. 
Amen. 


Affrontiamo due domande importanti del Padre nostro, la quarta e la quinta. "Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti". Il pane e il perdono sono due necessità fondamentali per l'esistenza umana. Il pane, con tutto ciò che significa -il cibo, la salute, la casa, il lavoro, la libertà; il perdono, con tutto ciò che comporta - relazioni buone, riconciliate nella famiglia, nella città, nella società, come pure la pace del cuore tra le persone e le istituzioni. 

      Richiamo tre testi evangelici che possono aiutare nella riflessione 

      " ' I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo'. Rispose Gesù: 'In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo'. Allora gli dissero: 'Signore, dacci sempre questo pane'. Gesù rispose: 'Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete'" (Gv 6,31-35). 
      "Se voi perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se
voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe"
(Mt 6,14-15). 
"Allora Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: 'Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?', Gesù gli rispose: 'Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette'" (Mt 18,21-22). 

Ci soffermiamo sulle due domande del Padre nostro e pensiamo in questo momento agli istituti di pena della nostra Diocesi. Sono luoghi dove si incrociano tante sofferenze emblematiche della società; luoghi di costrizione e di dolore, di tristezza, non di rado di disperazione che spinge a gesti fatali, tragici. In questi istituti di pena non manca il pane materiale di cui parla la preghiera del Padre nostro, pur se magari è un po' raffermo; manca però la libertà, mancano gli affetti familiari. 
Il carcere è dunque un luogo dove si ripercuotono i conflitti di una società, che mettono le persone l'una contro l'altra. Ma insieme è luogo in cui dovrebbe essere propiziata la riconciliazione, la riabilitazione, in cui si compiono cammini di conversione e di grazia. Perciò il carcere è uno degli ambiti simbolici più coinvolgenti della nostra società. 

"Dacci oggi il nostro pane quotidiano" 

L'invocazione "dacci oggi il nostro pane quoti- diano" occupa nella preghiera insegnataci da Gesù un posto centrale, perché è la quarta di sette domande, tre prima e tre dopo. 
Le tre prima riguardano direttamente il Padre che è nei cieli: sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. Le tre successive alla richiesta del pane, riguardano noi e par- tono dai bisogni umani: bisogno di perdono, di soccorso nella prova, di liberazione dal male. 

1. Che cosa si chiede con la quarta domanda? 
Certamente tutto ciò che concerne la vita fisica, biologica, che fa parte delle nostre necessità di ogni giorno, quotidiane: il cibo, la salute, la casa, il lavoro. 
Tuttavia si chiede anche di più: quello che ci consente di sopravvivere come persone, con la dignità di uomini e di donne, con la nostra caratteristica di affamati di valori autentici, di ricercatori di gioia e di verità, ricercatori di senso della vita. 
La parola pane ha entrambi i significati. Nel testo del capitolo 6 di Giovanni, richiamato all'inizio, il pane indica sia il cibo che ha sfamato gli ebrei nel deserto -"diede loro da mangiare un pane dal cielo"- sia il cibo dell'anima -"il pane dal cielo, quello vero, che dà vita al mondo"
Che cos'è il pane spirituale che domandiamo in particolare? Con un linguaggio laico, lo si potrebbe chiamare il senso della vita, ciò che dà significato al nostro esserci nel mondo, che ci consente di sopravvivere nonostante le prove e i momenti difficili, neri; ciò che ci fa sperare, amare, lottare per la nostra dignità. 
      Con linguaggio religioso, il pane spirituale è il pane della fede e della speranza: con l'invocazione dacci oggi il nostro pane quotidiano imploriamo dal Padre la grazia dello Spirito santo, Gesù stesso come dono e custode del senso vero della vita; chiediamo che Gesù ci sia vicino come amico, colui che non ci lascia mai soli, Gesù nella Messa, nella comunione eucaristica, nel tabernacolo. 

2. Chi è capace di rivolgere al Padre questa domanda? 

Anzitutto chi ha fame. Penso specialmente a tutti i popoli e a tutte le categorie di persone, anche in mezzo a noi, che mancano dei beni più indispensabili per vivere, come il cibo; popoli oppressi dalla miseria e dalla fame, che si appellano all'opulenza dell'occidente per essere aiutati e salvati. 
Ma la fame fisica non è sufficiente per rendere universale questa preghiera. Chi oggi non manca di pane, può fare sua, e in senso più profondo, la domanda al Padre a tre condizioni. 
      La prima: che avverta il bisogno di qualche cosa e non abbia la superbia di voler bastare totalmente a se stesso. Ci sono persone che si gloriano di non aver bisogno di nulla e di nessuno, di non dover dipendere: il vangelo chiama queste persone 'i ricchi', coloro che amano il potere, il successo e la ricchezza sopra ogni cosa, e pretendono di sottomettere gli altri. 
Per domandare il pane, pur se c'è il pane in tavola, occorre sentirsi in qualche modo poveri, pieni di desideri, di attese. 
      La prima condizione non basta. A essa se ne aggiunge una seconda: chi ha dei desideri deve sapere che c' è un Padre che si prende cura di lui e lo guarda con amore. Così questa preghiera diventa la preghiera dei figli di Dio, che si affidano al Padre che è nei cieli, non per dispensarsi dal lavorare, ma per farlo in maniera giusta, onesta e serena, con la certezza che un Padre pensa a noi, non ci dimentica. È dunque un'invocazione che allarga il cuore; posso parlare di me a Qualcuno che mi ascolta e pensa a me. 
      La terza condizione per domandare il pane è più esigente: bisogna avere come primo interesse il regno di Dio, la sua volontà, bisogna mettere al primo posto dei valori la verità, l'amore, la giustizia del regno, nella certezza che quando uno desidera il regno, tutto il resto gli sarà dato in aggiunta (cfr. Mt 6, 33). In altre parole, questa preghiera, la recita profondamente colui che gioca la vita per il regno di Dio e quindi sa che può chiedere tutto e aspettarsi tutto da Dio. 
      Noi ci riconosciamo forse facilmente nella prima condizione (siamo bisognosi e chiediamo l'aiuto di un altro); ci riconosciamo un po' anche nella seconda (sappiamo che un Padre pensa a noi); facciamo invece fatica a entrare nella terza condizione, nell'avere cioè come primo desiderio il regno di Dio, la giustizia, la verità. Però intravediamo, intuiamo che proprio questa terza condizione ci introduce in una pace e in una serenità che niente può offuscare. 
    La quarta domanda del Padre nostro è quindi un invito a verificare sul regno di Dio le nostre priorità. Che cosa ci sta veramente a cuore? Se è solo il pane, possiamo sì recitare questa preghiera, ma un po' dimezzata. Se ciò che ci sta a cuore è la verità, l'onestà, la giustizia, la bontà, l'amicizia, allora il nostro ordine dei valori è corretto e la nostra preghiera è autentica. 

"Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" 

Consideriamo adesso l'altra domanda, la quinta, che chiede il perdono: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori". 

1. Che cosa si chiede? 
      La riconciliazione con Dio, ma una riconciliazione che passi attraverso la riconciliazione tra noi. 
      Si tratta di una domanda cruciale per la vita sociale e civile, per la città e l'umanità, dal momento che senza riconciliazioni non si avrà mai pace sulla terra. 
      È interessante notare che si invoca non solo il perdono del Padre, quasi che tutto avvenisse tra Dio e noi, bensì la capacità di riparare il male compiuto, la capacità di saper perdonare e la capacità - forse ancora più difficile - di lasciarsi perdonare. Come abbiamo recitato nella preghiera d'inizio di questo incontro, si invoca la pace del cuore, la riconciliazione sociale. 
      Siamo dunque di fronte alla richiesta di un bene primario sia per la coscienza sia per la rete delle relazioni quotidiane; di un bene senza il quale il pane può essere amaro e indigesto. Potremmo infatti avere tutte le ricchezze del mondo, ma se mancano la pace, l' armonia in famiglia, la fiducia tra gli amici, se ci sono offesi e offensori che si guardano con diffidenza e con odio, allora la ricchezza non produce altro che aridità e solitudine. 
      E proprio questo luogo, il carcere, sta a dire che non basta la pena, non basta la punizione se non cresce la riconciliazione, la capacità di ritrovarsi fratelli e sorelle alla stessa mensa. 

2. Chi è capace di rivolgere al Padre la quinta domanda? 
      Ovviamente colui che è pronto a perdonare e a ricevere il perdono altrui, colui che avverte come è bello perdonare ed essere perdonati. 
      Il brano del vangelo secondo Matteo è molto chiaro in proposito: "Se perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe". 
      E l'altro testo, sempre di Matteo, afferma addirittura che occorre perdonare non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Se calcoliamo i minuti che compongono una giornata, ci accorgiamo che settanta volte sette significa perdonare ogni tre minuti. Il perdono reciproco è dunque la sostanza della vita quotidiana. 
      Dobbiamo perdonarci molte cose, molte persone che ci deludono, quelle che non rispondono alle nostre attese o che ci lasciano soli nel bisogno; dobbiamo continuamente esprimere la riconciliazione per pacificare il nostro cuore. Il perdono è un bene essenziale, intrinseco al cristianesimo; anzi è un bene senza il quale la vita umana non è pensabile. 
      Per questo viene elevata una richiesta -a livello internazionale- di condono o almeno di riduzione drastica del debito estero dei Paesi poveri. Per questo voi carcerati elevate una richiesta di perdono e di riconciliazione mediante l'attuazione di alcuni provvedimenti di clemenza. Tutto nasce dalla quinta domanda del Padre nostro
Sappiamo tutti che perdonare è estremamente difficile e assai più difficile farsi perdonare. Non a caso il Padre nostro, nella semplice domanda "rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo" contiene -mi pare- un implicito riferimento alla richiesta di Gesù sulla croce: "Padre, perdona loro..." (cfr. Lc 23,34). Mentre viene torturato e crocifisso, Gesù trova parole di perdono. 

Domande conclusive 

      Dopo aver tentato di spiegare un poco la quarta e la quinta domanda, porgo tre interrogazioni che aiuteranno ciascuno di noi a esaminarsi. 

      1. Nelle necessità quotidiane, guardo con fiducia al Padre che è nei cieli, oppure mi rinchiudo nella solitudine e nel pessimismo, mi avvito su me stesso chiudendo occhi e orecchi al pensiero del Padre? 

      2. Sono convinto che la trama della vita è intessuta di gesti di perdono, perdono dato e ricevuto? Sono convinto che senza il perdono la vita diventa un inferno? 

      3. La terza interrogazione riguarda soprattutto coloro che sono in ascolto. Che cosa posso fare perché la realtà del carcere sia più sentita nella società e anche nella Chiesa, e perché si studino efficacemente provvedimenti alternativi al carcere e capaci di suscitare perdono e riconciliazione? 

      E per introdurci al momento di meditazione silenziosa, invito i presenti a ripetere con me la versione abbreviata di uno dei Salmi più belli di tutto il salterio: 

Pietà di me, o Dio, 
secondo la tua misericordia; 
nel tuo grande amore cancella il mio peccato. 
Contro di te, contro te solo ho peccato, 
quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto; 
perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio. 
Ecco, nella colpa sono stato generato, 
nel peccato mi ha concepito mia madre. 
Ma tu vuoi la sincerità del cuore 
e nell'intimo mi insegni la sapienza. 
Distogli lo sguardo dai miei peccati, 
cancella tutte le mie colpe. 
Crea in me, o Dio, un cuore puro, 
rinnova in me uno spirito saldo. 
Non respingermi dalla tua presenza 
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia di essere salvato, 
sostieni in me un animo generoso. 
Nel tuo amore fa' grazia a Sion, 
rialza le mura di Gerusalemme. 

(Sal 50, 3.6-8.11-14.20) 

Tratto da "Padre nostro", di C.M. Martini