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Il Presidente |
Notizie pubblicate dai mass media informano che il Governo in carica, sull'aggiornamento sui Decreti attuativi del Jobs Act cioè dei nuovi contratti di lavoro, intende apportare delle norme di adeguamento atte a garantire una più forte attenzione alla disabilità ed in modo particolare a quelle di natura intellettiva e psichica.
Sulla disabilità fisica è bene che siano stabilite delle modifiche con un buon impianto complessivo che possano favorire l’inserimento lavorativo di questa categoria, fatto salvo a rilevare se queste norme, se sono vere, non potrebbero essere adatte per una prioritaria attenzione di tutela delle persone con gravi disabilità di natura intellettiva e psichica.
E’ quasi superfluo, ma ugualmente necessario rilevare che l’handicappato psichico abbisogna, come ogni paziente malato, di cure mediche, di attrezzature ad alta tecnologia atte alla prevenzione, alla cura ed all'eventuale inserimento sociale ed affettivo per ogni suo periodo di sofferenza, come prescrive la legge 180/1978 e seguenti non di propositi lavorativi, come pare sono i Decreti attuativi del Jobs Act.
Quella evidente inferiorità psichica non consente all'individuo di avere quella consapevolezza e responsabilità necessarie per assolvere qualsivoglia impegno, che può portare a gravi conseguenze alla famiglia nonché alla società se non si danno misure sanitarie, etico, sociali specifiche per ridurre i rischi dell’esclusione sociale, come anche giustamente considera anche la “Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità” dell’ONU (Sixty-first Sedssion Distr. General 6 dicembre 2006 A/61/611).
Nei successivi articoli della “Convenzione”, gli Stati aderenti, come l’Italia, dovranno, anche, farsi carico del recupero fisico, cognitivo e rispetto dell’integrità, sempreché l’ONU sappia imporre l’applicazione di quelle ottime normative le quali, però, ancora oggi per quanto riferito al comparto psichico, poco compaiono nella stesura della “Convenzione”.
Lo stesso Preambolo della “Convenzione” richiama i principi proclamati dall’ONU e la piena partecipazione dei disabili senza discriminazione “che soffrono di deficit di lunga durata” comprensivi di quanto ha affermato la “Dichiarazione dei Diritti dell’handicappato mentale” del 20 dicembre 1971 dell’ONU, dove si sostiene che “ l’handicappato mentale deve godere in tutta la misura possibile degli stessi diritti degli altri esseri umani”.
Ora a n/s sommesso avviso quei Decreti attuativi del Jobs Act nei confronti della disabilità pur considerando specificatamente, pare, una prioritaria attenzione di tutela delle persone con gravi disabilità anche di natura intellettiva e psichica, non considerano che l’handicappato mentale è un malato come persona con disabilità che non è quello promosso anche dalla “Convenzione” stessa che segna invece un distacco molto chiaro da un approccio medico assistenziale per un approccio di diritti umani.
E con le parole del Santo Giovanni Paolo II: “Andiamo avanti con fiducia”!
Previte
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