L A  C I T T A'   DI  S A L E M I

 

 

 

 

Veduta di SALEMI da Cappuccini. L'immagine risale alla fine dell '800

 

Cose e storie di Salemi

  Offensiva poesia del '600

   " Salemi il paese dei giudei"

" Supra quattru timpuna di jissu , Chistu è Salemi, passacci arrassu , Sunnu nnimici di lu Crucifissu, ,E parenti di Erodi e Caifassu. O cari amici, nun ci jiti spissu , Ca sunnu chini di vilenu e tassu,  Giuda lassau dittu iddu stissu , Salemi, lu mio offizio ti lassu." I versi sopra riportati, tutt'altro che benevoli nei confronti di Salemi e della sua gente, fanno parte della raccolta dei "Proverbi Siciliani, di Giuseppe Pitrè, Forni editore, Bologna e sono preceduti dal detto " Li judei li salemitani" e presentati come " Proverbio Illustrato dal seguente divulgatissimo canto". Risalirebbero ad un anno prossimo al 1600, mentre il detto li precede di circa un secolo. Dove sono stati composti e chi ne è stato l'autore non si è mai appurato. La maldicenza sarebbe da imputare alla presenza in Salemi di una non numerosa comunità di ebrei acquartierata nella zona detta appunto " la Giudecca" " ... cosi denominata­scriveva don Stanislao Cremona, storico e prete vissuto nel '700‑ perché costì aveva la sua propri . a abitazione tal perfida razza di gente ". Chi scrisse questa poesiola nutriva sicuramente forti rancori nei confronti dei giudei che non smisero mai di praticare l'usura, anche se perfettamente integrati nel seno della comunità salemitana. Per molti secoli come autore del componimento venne sospettato lo scalpellino palermitano Pietro Fullone, detto Fudduni, vissuto tra il 1600 e il 1675 che " ... chi lo ha inteso dice essere una maraviglia... ". Secondo i racconti tramandati, il poeta palermitano nel suo girovagare per l'Isola per tenzoni poetiche, conobbe Manfredo Cremona, poeta salemitano di grande talento, di vasta cultura e di fine eloquenza che accettò senza esitare di misurarsi coi Fullone in componimenti estemporanei, infliggendo al palermitano una bruciante sconfitta. Il Fullone si sarebbe vendicato. Ricordandosi della generosa ospitalità che la città offrì agli ebrei, trasse spunto per scrivere quella velenosa poesia. Soltanto supposizioni che non trovano, però, riscontri storici. Un simile componimento non poteva non far parte della raccolta delle poesie del Fullone e per quanto se ne sa l'unico "scacco" accertato il Fullone lo subì ad opera del " ceco nato" che tutti dicente attestarono essere più valente del Fullone‑ ". La documentazione storica smentisce l'accanimento del poeta spaccapietre contro Salemi e i suoi abitanti e ci informa che il Fullone non soltanto fu amico del Cremona, ma anche il suo più grande estimatore. Scrive Francesco Saverio Baviera nelle sue " Memorie storiche sulla città di Salemi " (Palermo 1846) : " Ecco Manfredo Cremona, grazioso poeta siciliano. Si attirò egli l'ammirazione dei contemporanei svolgendo quella opera... per la qualcosa viene lodato a cielo da Pietro Fullone. In questi cenni di ottave, Pietro Fullone esprime tutta la sua stima per Manfredo Cremona: "Mansueto Manfrè, chi mantu efrenu I Metti alli mostri clementi Cremona... Ti tessi in menzu, tant'arburi e frundi Dunca trionfa e vagheggia Salemi Di tia chi di la musa soprabbundi.. Tanto basata per assolverlo. Di questa poesia se ne è sempre fatto cattivo uso, soprattutto da chi ha voluto offendere Salemi e i suoi abitanti. Vincenzo Consolo, nel libro " Le pietre di Pandalica", Mondatori editore, recita in chiave moderna il proverbio in versi a Camilla Cederna e così lo traduce:"Versi che dicono Salemi luogo disumano e maledetto, abitato da grassatori e assassini, da gente ai margini della civiltà cristiana; parole in cuitutto un pullulare di S fa pensare a nidi di serpi nelle fenditure delle aride abbaglianti alture di gesso" . Da un uomo dì cultura ci saremmo aspettati una diversa e più serena interpretazione storica.

 

 

Cose e storie di Salemi

 Primavera 1875,” i tumulti contro i figli dei diavolo"

 Salemi, primavera 1875. Maldicenti insinuano che il monaco Abbate la notte, invece di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, onora con la perpetua l'altare di Venere, dea dell'amore. Il pettegolezzo anima la conversazione nei circoli, nel salotti, nelle famiglie. La diceria viene riferita al frate il quale, invece di allontanare da sé la prosperosa serva, indossa i panni dell'investigatore nella speranza di identificare chi ha propalato la maldicenza. Il suo primo (ed ultimo) sospetto cade sui componenti della comunità protestante che reagirebbe in modo così vile ai suoi sermoni che argomentano le falsità su cui si fonda la propaganda degli adepti della "setta" Sospetto sostenuto anche dal fatto che i giovani di bottega del sarto Sportelli, noto protestante, intonano al transitare del monaco dalla strada maestra, ove si trova la sartoria, licenziose ed allusive canzoni che divertono gli ascoltatori, ma offendono la sua dignità dì appartenente all'Ordine del Carmelitani. E programma la " giusta punizione". L'occasione gli si presenta con la venuta a Salemi di tal Giuseppe Fasulo, ministro evangelico, chiamato per la missione dagli Sportelli. La notizia viene riferita al monaco mentre si trova nei locali di conversazione del circolo di Piazza San Francesco. Contro il "figlio del diavolo" organizza seduta stante una protesta popolare che diverrà poi, l'indomani, un vero e proprio tumulto. Dopo avere celebrato messa nella chiesa della Concezione, raduna i suoi seguaci nel largo di Santa Chiara ed elude gli accorati pacifici appelli dei sacerdoti Orlando e Baviera, intervenuti per sedare gli animi. Al grido di " morte ai protestanti" vengono commesse parecchie nefandezze. Malmenati e feriti gli Sportelli e i lavoranti, gli esagitati appiccano il fuoco alla sartoria bruciando tavoli,vestiti e suppellettili, arrecando gravissimi danni anche all'edificio. Dopo un fallito tentativo di forzare un blocco formato da volontari armati in via della Giudecca, procedono verso valle dove aggrediscono, procurandogli gravi ferite, il pastaio Paolo Ingoglia a cui saccheggiano il pastificio. " In quel tumulto ‑ scriverà il Catania ‑ non si vide lucerna di Carabiniere". Il pastore Fasulo viene sottratto all'ira del monaco e dei suoi seguaci ( radunatisi nel frattempo in piazza San Francesco) da alcuni uomini armati ( persone " 'ntisi") che lo accompagnano alla vettura in partenza per Trapani. Poi rivolti alla folla di scalmanati intimano di finirla con la "cagnara" Obbediscono!

 

 

Tradizioni

La Fiera di Salemi

  Salemi anticamente sfruttava la privilegiata posizione geografica per organizzare una delle più importanti Fiere della Sicilia. Nel calendario commerciale erano fissate per l'ultima domenica di maggio e per l'otto settembre, festa della Madonna Bambina. L'esposizione e la commercializzazione d’attrezzi per l'agricoltura e di prodotti dell'artigianato, richiamava in questo delizioso centro un gran numero di persone, molte delle quali provenivano dalle province di Palermo, Agrigento e Caltanissetta. Comune con attività prevalentemente agricola e con una fiorente ed apprezzata produzione dell'artigianato, Salemi offriva il suo stupendo   centro urbano per l’esposizione dei prodotti. Alla vigilia della fiera lunghe file di carri, muli, cavalli   e mandrie con centinaia di persone al seguito, risalivano i pendii che portavano in paese. Fondachi e locande registravano il tutto esaurito e gran parte dei forestieri passava la notte all'addiaccio, sotto la coltre stellata, per custodire bestiame e mercanzie. La fiera veniva animata da saltibanchi e imbonitori, da improvvisati artisti con l'immancabile seguito di allegre donnine, da organizzatori di "giochi d'azzardo" che, nella piazza, riuscivano a spillar denaro ai più sprovveduti. Un esercito di traffichini si metteva all'opera per organizzare fantasiosi imbrogli col benevolo consenso degli uomini che in paese contavano,quasi tutti in tenuta da "cavallerizzi" con giacca di velluto, pantaloni sbuffanti, stivali e l'immancabile frustino in mano. La città era viva e i circa ventimila abitanti amavano godersela. Il paese si svegliava al suono dei campanacci, al belato delle pecore, al muggito delle mucche, al brusio per l'insolito affollamento.La piazza principale, sede di un ordinato baraccamento fieristico, era un colpo d'occhio: un quadro multicolore ricco di vivace luminosità. Nell'aria si libravano, fin dal mattino, indefinibili odori, spesso graditi e qualche volta no. Il brusio della gente, la voce dei banditori, il lamento della tromba del venditore di fortuna che agitava il trespolo del pappagallo "che ammaestrato tutto indovina…”, gli strilli dei bambini, la musica diffusa qua e là dai grammofoni, componevano una irripetibile colonna sonora, sottofondo di scene che nessuna fantasia poteva immaginare così.Le baracche a circolo, al centro della piazza, segnavano il confine della fiera "fine" ‑ dove mercanteggiavano fidanzati con parenti al seguito, mamme disperate alle prese coi capricciosi figlioletti che tentavano, senza riuscirci, accostarsi  alla baracca dei dolciumi - e la fiera a monte dove pascolava il bestiame in vendita, sotto il controllo di improvvisati sensali impegnati a descrivere i pregi degli animali all'indeciso acquirente. Più a valle si trattavano botti e otri, cordame e scale, lampade a petrolio e coltelli, falci e zappe, finimenti e attrezzi di lavoro. La fiera del "rottame" (casalinghi) era posta più in alto, ai piedi del castello, lontana dai rumori della piazza. Veniva frequentata per lo più da donne sposate che impiegavano nell'acquisto di ciò di cui necessitavano il ricavato di vendite furtive di uova, farina, qualche bottiglia di vino e di olio, sottratti all'amministrazione familiare perché i mariti, all'oscuro dei bisogni della casa, non preventivavano nel bilancio della famiglia questo genere di spese.

La fiera che vi abbiamo raccontato non esiste più.

 

 

 

 

 

 

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