Il notiziario dei giovani costaltesi (inserito nel bollettino parrocchiale del Febbraio 1975)
riporta un'interessante rubrica dal titolo "LA NOSTRA DENTE ".

La pagina è dedicata a uno dei personaggi più "misteriosi" del recente passato di Costalta:
Dvane dal Coi
visto da Giovanni De Bettin Linc.


Dvane dal Coi è vissuto a Costalta nella prima meta' del '900 ed è morto negli anni '60.
L'aneddotica che lo riguarda è molto ricca. Abitava col fratello Titta, un po' appartato,
in una casa di legno (fienile) sopra il paese; era contario alla "modernità" e alle comodita'
e viveva all'antica, un po' "selvaggio", ma buono d'animo.
Si racconta che abbia anche "rinuciato" alla pensione, perche' si era rifiutati di apporre una firma!

FELICITA' DELL'INFELICE

Dvane dal Coi: sono passati alcuni anni dalla sua morte ed ancora il misterioso fascino della sua figura, vissuta nella solitudine, fuori dalla comunità paesana, è presente in molti di noi.
Giovanni De Bettin, che in molti quadri ha dipinto Dvane dal Coi, ne fa un rievocazione poetica, che pubblichiamo.

Emerge dal comune questa figura estremamente squallida e selvaggia.
Chi lo comprende, chi lo conosce se non chi fedelmente segue le sue orme?
Il viver di quest'uomo sconfina la ragione; pur non essendo un pazzo, un minorato scanso d'ogni logica mondana, confonde l'esistenza a quel silenzio alpestre.
Il suo aspetto grave, nel tempo stesso facile ed aperto, non dice che il suo viver è una croce : non conosce né pena né dolore ma gode il suo libero cielo.
Vive solo, lassù su quei monti sotto un sole più bello e più vicino o nell'ombra gentile dei boschi celando il segreto di esser felice così.
Se un'ombra lui scorge, è solo la sua, scolpita in quei massi dal sole; poi quando s'incendia il tramonto, quest'ombra si stacca, sì muove, discende, si fonde nell'ombra silvestre.
Non teme la notte quest'uomo, ma gode in quel cupo silenzio, più solo che mai, s'adagia così, solo esigendo che il suo giaciglio sia fatto dì soffice muschio, e riposa.
Forse è lui solo sereno fra i tanti mortali che lo compiangono, che lo sfuggono timorosi dì condividere quella sua apparente infelicità.
E continua la vita così; cibandosi di bacche, di erbe o forse d'un pezzo di pane sfuggito dal sacco dì qualche passante.
Lui non chiede, non stende la mano, non gli importa se di lui più nessuno si cura; pur ignorando i bisogni del corpo, vive lo stesso contento, felice.
Lui, del male non fece a nessuno se non a se stesso sfuggendo l'umano contatto, persistendo così, in quel regime di vita, racchiuso in quel piccolo mondo fatto di squallida solitudine, di impossibili privazioni e stenti.
Un mistero vagante sui monti, o nell'ombra di pini ed abeti, dove nessuno lo vede, lo incontra, nessuno che tenti seguire quell'orma segnata poc'anzi?
Che dir dì quest'uomo?
Su quella fronte solcata dal tempo, su quel volto abbronzato dal sole, traspare un qualcosa che sa di mistero per chi non conosce chi sia.
Quello sguardo che mira le rocce che sfreccia ogni dove, non ci dice cos'abbia nel cuore.
Ma ci sembra proietti le scene più varie e complesse che visse da un tramonto ad un'alba pacata quando il sole ritorna a luì caro; la visione d'un cielo stellato e lunare, o ci sembra rispecchi di bagliore d'un lampo che squarcia le nubi in quel cupo notturno silvestre.
Quello sguardo ci sembra rispecchi le fresche sorgenti dei monti o ruscelli tra l'erbe ingiallite dei colli, alberelli contorti dal vento sui massi spioventi.
E' questo il suo mondo, il suo regno, solo amico di quanto è selvaggio.
Nessun animale lo teme: a luì solo s'accosta e ripara il camoscio che sfugge allo spazio, e con questi divide quel poco, quel nulla che basta alla vita.
Quest'uomo da anni e parecchi resiste, ramingo, calpestando quell'orme selvagge, e neli segreto del suo silenzio, forse si crede lui alo il mortale votato a un destino perverso.
Ma vive felice lo stesso.
Il tempo passato, è un nulla per lui: non erba ricordi d'infanzia, dì vita vissuta migliore dell'ora presente; non attende un domani migliore di oggi, non spera; non sogna; che un tiepido sole, un poco dì cibo ed un quieto riposo.
Ma ecco una nube in quel limpido cielo! Avanza! S'oscura, s'arresta!
Un lampo seguito dal tuono lo scuote, gli spezza l'incanto di un sogno che dura da anni.
Sì alza sfidando il timore del vero. Un lampo, una fitta nel cuore lo vince. Ricade sul rude terreno come croce sul suo Calvario. Reagisce alla forza del male: si rialza.
Tremante, confuso cammina seguendo più grave le orme del suo passato.
Più non sogna la gioia d'un'alba serena, ma contempla il tramonto che chiude ì suoi giorni.
E cammina.
Assetato s'accosta alla prima sorgente che trova: si china, sorseggia, si specchia in quell'acqua. Un grido confuso all'urlo del vento si schianta nei massi vicini, ritorna con l’eco portando il terrore a chi teme se stesso.
E' vinto.
Confuso in quel buio, con sforzo supremo si getta carponi seguendo un pendio ghiaioso, s'arresta in un lembo di prato.
Un nuovo orizzonte si staglia in quel buio: lo guarda, l'osserva, lo scruta sospetto. Attratto dall'ampia visione procede: la forza lo regge per poco; il cammino non segna un arrivo, una mèta.
Ma ecco una luce lontana!
Un inconscio sospiro lo coglie: un remoto ricordo si desta improvviso riportando l'estremo saluto a un'infanzia infelice.
E' l'alba.
Un suon di campana lo scuote, lo chiama, gli dice: “Ritorna, ritorna nel tuo paese! La vedi la casa corrosa dal tempo che un giorno ti vide fanciullo? Quell'uscio socchiuso dal vento? Ritorna, ritorna e ripara nel tetto natio quel lembo di vita che resta”.
In quell'ampio tugurio la fiamma d'un tempo rivide, scoppietta, sfavilla gioiosa.
La rude figura s'accosta, si china: un breve sorriso affiora il suo volto smarrito. Riposa.
In quel grato silenzio riappare gentile il mistero del sogno: quell'uomo finito rivive un passato sereno.
Sembianze confuse nel tempo; vaganti figure evase al ricordo: le guarda, le segue e vorrebbe che il vero confermi quel sogno.
Ma l'ora felice non dura.
La pena, una fitta nel cuore ridesta la mente assopita: ritorna cosciente al dolore.
Smarrito, confuso si guarda d'attorno: più nulla lui vede, lui sente di quanto appariva in quel sogno.
Quel dolce riposo si muta in delirio.
Fuggir da se stesso vorrebbe: ma all'urlo selvaggio s'unisce una voce che dice: “Coraggio! Se Dio ti offre un tramonto sereno, accetta benigno quel Suo volere: tralascia quel buio del tuo passato, quei monti, quei boschi, quel regno selvaggio e ricorda che un Regno più bello ci attende, ci vuole. Il tuo passato, sfuggiva al richiamo di Dio, ma quando la forza del tempo segnava il tramonto, la voce, quella voce seguendo i tuoi passi, ti colse.
Tentasti fuggire al richiamo, e Dio permise il tuo volere.
Un lampo improvviso, la morte, arrestava il tuo passo randagio.

Addio sogni d'orizzonti alpini che vi degnaste cingere il mio regno. Amati boschi dall'ombra gentile si generosi d'asilo e riposo. A voi addio o timide bestiole, testimonianza viva dei miei segreti sogni. O liberi uccelli, voce dell'alba a me sì tanto cara. Addio o squallide memorie, amiche delle ore più infelici, carezza misteriosa del silenzio che circondavi tutto il mio passato. Addio. (Giovanni De Bettin Linc)


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Redazione di "Da Postauta a Giò Auto":
Alfonso, Alba, Carmen, Gianmaria, Gianna, Lucio, Marino, Mariano, Maria Giovanna, Sandra
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Alcune immagini che riguardano DVANE DAL COI...



(foto tratta dall'Archivio di Duilio Casanova De Marco)

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Duilio e Dvane dal Coi
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Giovanni De Bettin, "Dvane dal Coi nel bosco"
(Olio su tela 80x60, anni '70)

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Avio De Lorenzo, "Nell'armonia del primitivo",
scultura realizzata nel 2011 a Costalta,
nell'ambito della manifestazione
"Una Statua di legno in una Casa di legno in un Paese di legno"


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