FELICITA' DELL'INFELICE
Dvane dal Coi: sono passati alcuni anni dalla sua
morte ed ancora il misterioso fascino della sua figura, vissuta nella
solitudine, fuori dalla comunità paesana, è presente in
molti di noi.
Giovanni De Bettin, che in molti quadri ha dipinto Dvane dal Coi, ne
fa un rievocazione poetica, che pubblichiamo.
Emerge dal comune questa figura estremamente squallida e selvaggia.
Chi lo comprende, chi lo conosce se non chi fedelmente segue le sue
orme?
Il viver di quest'uomo sconfina la ragione; pur non essendo un pazzo,
un minorato scanso d'ogni logica mondana, confonde l'esistenza a quel
silenzio alpestre.
Il suo aspetto grave, nel tempo stesso facile ed aperto, non dice che
il suo viver è una croce : non conosce né pena né
dolore ma gode il suo libero cielo.
Vive solo, lassù su quei monti sotto un sole più bello
e più vicino o nell'ombra gentile dei boschi celando il segreto
di esser felice così.
Se un'ombra lui scorge, è solo la sua, scolpita in quei massi
dal sole; poi quando s'incendia il tramonto, quest'ombra si stacca,
sì muove, discende, si fonde nell'ombra silvestre.
Non teme la notte quest'uomo, ma gode in quel cupo silenzio, più
solo che mai, s'adagia così, solo esigendo che il suo giaciglio
sia fatto dì soffice muschio, e riposa.
Forse è lui solo sereno fra i tanti mortali che lo compiangono,
che lo sfuggono timorosi dì condividere quella sua apparente
infelicità.
E continua la vita così; cibandosi di bacche, di erbe o forse
d'un pezzo di pane sfuggito dal sacco dì qualche passante.
Lui non chiede, non stende la mano, non gli importa se di lui più
nessuno si cura; pur ignorando i bisogni del corpo, vive lo stesso contento,
felice.
Lui, del male non fece a nessuno se non a se stesso sfuggendo l'umano
contatto, persistendo così, in quel regime di vita, racchiuso
in quel piccolo mondo fatto di squallida solitudine, di impossibili
privazioni e stenti.
Un mistero vagante sui monti, o nell'ombra di pini ed abeti, dove nessuno
lo vede, lo incontra, nessuno che tenti seguire quell'orma segnata poc'anzi?
Che dir dì quest'uomo?
Su quella fronte solcata dal tempo, su quel volto abbronzato dal sole,
traspare un qualcosa che sa di mistero per chi non conosce chi sia.
Quello sguardo che mira le rocce che sfreccia ogni dove, non ci dice
cos'abbia nel cuore.
Ma ci sembra proietti le scene più varie e complesse che visse
da un tramonto ad un'alba pacata quando il sole ritorna a luì
caro; la visione d'un cielo stellato e lunare, o ci sembra rispecchi
di bagliore d'un lampo che squarcia le nubi in quel cupo notturno silvestre.
Quello sguardo ci sembra rispecchi le fresche sorgenti dei monti o ruscelli
tra l'erbe ingiallite dei colli, alberelli contorti dal vento sui massi
spioventi.
E' questo il suo mondo, il suo regno, solo amico di quanto è
selvaggio.
Nessun animale lo teme: a luì solo s'accosta e ripara il camoscio
che sfugge allo spazio, e con questi divide quel poco, quel nulla che
basta alla vita.
Quest'uomo da anni e parecchi resiste, ramingo, calpestando quell'orme
selvagge, e neli segreto del suo silenzio, forse si crede lui alo il
mortale votato a un destino perverso.
Ma vive felice lo stesso.
Il tempo passato, è un nulla per lui: non erba ricordi d'infanzia,
dì vita vissuta migliore dell'ora presente; non attende un domani
migliore di oggi, non spera; non sogna; che un tiepido sole, un poco
dì cibo ed un quieto riposo.
Ma ecco una nube in quel limpido cielo! Avanza! S'oscura, s'arresta!
Un lampo seguito dal tuono lo scuote, gli spezza l'incanto di un sogno
che dura da anni.
Sì alza sfidando il timore del vero. Un lampo, una fitta nel
cuore lo vince. Ricade sul rude terreno come croce sul suo Calvario.
Reagisce alla forza del male: si rialza.
Tremante, confuso cammina seguendo più grave le orme del suo
passato.
Più non sogna la gioia d'un'alba serena, ma contempla il tramonto
che chiude ì suoi giorni.
E cammina.
Assetato s'accosta alla prima sorgente che trova: si china, sorseggia,
si specchia in quell'acqua. Un grido confuso all'urlo del vento si schianta
nei massi vicini, ritorna con l’eco portando il terrore a chi
teme se stesso.
E' vinto.
Confuso in quel buio, con sforzo supremo si getta carponi seguendo un
pendio ghiaioso, s'arresta in un lembo di prato.
Un nuovo orizzonte si staglia in quel buio: lo guarda, l'osserva, lo
scruta sospetto. Attratto dall'ampia visione procede: la forza lo regge
per poco; il cammino non segna un arrivo, una mèta.
Ma ecco una luce lontana!
Un inconscio sospiro lo coglie: un remoto ricordo si desta improvviso
riportando l'estremo saluto a un'infanzia infelice.
E' l'alba.
Un suon di campana lo scuote, lo chiama, gli dice: “Ritorna, ritorna
nel tuo paese! La vedi la casa corrosa dal tempo che un giorno ti vide
fanciullo? Quell'uscio socchiuso dal vento? Ritorna, ritorna e ripara
nel tetto natio quel lembo di vita che resta”.
In quell'ampio tugurio la fiamma d'un tempo rivide, scoppietta, sfavilla
gioiosa.
La rude figura s'accosta, si china: un breve sorriso affiora il suo
volto smarrito. Riposa.
In quel grato silenzio riappare gentile il mistero del sogno: quell'uomo
finito rivive un passato sereno.
Sembianze confuse nel tempo; vaganti figure evase al ricordo: le guarda,
le segue e vorrebbe che il vero confermi quel sogno.
Ma l'ora felice non dura.
La pena, una fitta nel cuore ridesta la mente assopita: ritorna cosciente
al dolore.
Smarrito, confuso si guarda d'attorno: più nulla lui vede, lui
sente di quanto appariva in quel sogno.
Quel dolce riposo si muta in delirio.
Fuggir da se stesso vorrebbe: ma all'urlo selvaggio s'unisce una voce
che dice: “Coraggio! Se Dio ti offre un tramonto sereno, accetta
benigno quel Suo volere: tralascia quel buio del tuo passato, quei monti,
quei boschi, quel regno selvaggio e ricorda che un Regno più
bello ci attende, ci vuole. Il tuo passato, sfuggiva al richiamo di
Dio, ma quando la forza del tempo segnava il tramonto, la voce, quella
voce seguendo i tuoi passi, ti colse.
Tentasti fuggire al richiamo, e Dio permise il tuo volere.
Un lampo improvviso, la morte, arrestava il tuo passo randagio.
Addio sogni d'orizzonti alpini che vi degnaste cingere il mio regno.
Amati boschi dall'ombra gentile si generosi d'asilo e riposo. A voi
addio o timide bestiole, testimonianza viva dei miei segreti sogni.
O liberi uccelli, voce dell'alba a me sì tanto cara. Addio o
squallide memorie, amiche delle ore più infelici, carezza misteriosa
del silenzio che circondavi tutto il mio passato. Addio. (Giovanni
De Bettin Linc)
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Redazione di "Da Postauta a Giò Auto":
Alfonso, Alba, Carmen, Gianmaria, Gianna, Lucio, Marino, Mariano, Maria
Giovanna, Sandra
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Alcune immagini che riguardano
DVANE DAL COI...
(foto tratta dall'Archivio di Duilio
Casanova De Marco)
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Duilio e Dvane dal Coi
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Giovanni
De Bettin, "Dvane dal Coi nel bosco"
(Olio su tela 80x60, anni '70)
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Avio De Lorenzo, "Nell'armonia
del primitivo",
scultura realizzata nel 2011 a Costalta,
nell'ambito della manifestazione
"Una
Statua di legno in una Casa di legno in un Paese di legno"