RICORDI DELLA SCUOLA
ELEMENTARE
(un "costaltese" di Mare
a Campolongo)
Pubblichiamo con piacere questi "ricordi" del
costaltese Gian Antonio Casanova Fuga, tratti dal Bollettino
Parrocchiale "Voce sul Piave" Campolongo di Cadore
(Anno 57 - Pasqua 2012 - n.1), che ci ha fatto pervenire
Adriano De Zolt, uno degli autori del bollettino. Grazie, Adriano!
Il racconto di Gian Antonio, anche se riferito alla realtà
di Campolongo, ha sicuramente una valenza piena anche per Costalta
e siamo grati a lui di averlo condiviso!
"La borgata di Mare è parte integrante
del territorio del comune di San Pietro e nello stesso tempo confina
ed ha alcuni fabbricati (sulla destra orografica del rio Rin) che appartengono
al censuario del comune di Santo Stefano, frazione di Campolongo. (Ora,
con la nuova bretella realizzata alla metà degli anni Novanta,
la distanza tra i due paesi si è ulteriormente accorciata, tanto
da potersi considerare un unico tessuto urbano). Fatta questa premessa,
desidero raccontare la mia esperienza di scolaro dei primi anni Cinquanta
a Campolongo.
Allora, in compagnia di Aquilino e Rosalia De Pol, Giorgio Cesco Cancian,
Ernesto Riva, facevamo due volte al giorno il tragitto Mare-Piazza San
Giacomo, dove era ubicata la scuola elementare. Sulla facciata della
scuola c'era una lastra di marmo con inciso lo stemma sabaudo dell'ex
casa reale italiana. Ritengo che la scelta di iscriverci a questa scuola
fu fatta dai nostri genitori perché per noi ragazzini era più
comodo recarci a Campolongo invece che salire fino a San Pietro centro,
dove avevano sede le elementari del nostro Comune.
All'epoca la frequenza scolastica si svolgeva con il seguente orario:
lunedì, martedì e mercoledì al mattino dalle ore
9 alle 12 e nel pomeriggio dalla ore 14 alle 16, giovedì era
festivo, mentre il venerdì ed il sabato sempre dalle ore 9 alle
12 e dalle 14 alle 16.
Quindi, quattro volte al giorno (tranne il giovedì) si percorreva
il tragitto di andata e ritorno per la strada nazionale non asfaltata,
passando per il col d Fontanéle e, una volta arrivati di fronte
alla casa dei Bolifùr, si imboccava sulla sinistra una stradina
in discesa, alla fine della quale c'era una bella fontana in pietra
e sulla destra la casa di Bassuti completamente in legno; si proseguiva
quindi per Ravìna (ora via Geremia Grandelis) e, passando tra
la chiesa ed un vecchio fabbricato dove dimorava Basilio, si arrivava
in piazza San Giacomo dove c'era la scuola. Basilio era persona assai
nota per la sua prestanza fisica e caratteriale; esercitava il mestiere
di fabbro e costruttore di ruote in legno per carri, carretti e/o carriole.
Nei primi anni delle elementari questo percorso lo facevamo assieme
alla maestra Comis, Elisabetta Vettori in Comis: pure lei abitava a
Mare ed insegnava in questa scuola.
Allora non c'erano i pullmini e neanche gli zainetti per inserire i
libri; noi avevamo la bòlda, ovvero una cartella in cartone pressato
con un gancetto centrale per la chiusura, all'interno il sussidiario,
un quaderno a righe e uno a quadretti, la carta assorbente, l'astuccio
in legno con le penne e i pennini, qualche matita colorata e un lapis
nero, oltre a una o più gomme per cancellare.
Anche in fatto di abbigliamento le cose erano abbastanza diverse rispetto
ad ora, basti pensare che molti dei miei compagni durante l'inverno
venivano a scuola con i calzoncini corti e per ripararsi dal freddo
alle gambe portavano delle lunghe calze di lana fatte in casa, alcuni
avevano ai piedi i caratteristici zòchi di legno.
L'edificio scolastico era già allora dotato di caloriferi in
ghisa con tanto di riscaldamento centralizzato a carbone o legna. (In
molti altri paesi del Comelico il riscaldamento avveniva con stufe posizionate
all'interno dell'aula scolastica).
Una volta percorsa la breve scalinata d'ingresso, al piano terra c'era
un ampio corridoio con gli appendiabiti e panchine in legno, le aule
della prima, seconda e terza classe, poi si saliva una rampa di scale
e al primo piano si trovavano le classi quarta e quinta; sul retro del
fabbricato c'era un cortile in terra battuta recintato, dove nei mesi
primaverili facevamo la ricreazione.
I pavimenti delle aule e dei corridoi erano in tavolato di legno.
Le aule erano molto spartane, composte dalla cattedra dell'insegnante,
la lavagna in ardesia con i gessi e il cancellino in stoffa, qualche
carta geografica alle pareti; poi c'erano i banchi in legno dove si
sedevano gli alunni: sulla destra in alto avevano il calamaio con l'inchiostro
per intingere le penne dotate di pennini in acciaio; c'era poi un armadio
in legno dove veniva "stoccato" il materiale didattico. Con
le penne di allora le macchie d'inchiostro non mancavano mai sui quaderni,
sul banco o sulle giacche di colore nero dei maschi o sui grembiuli
del medesimo colore delle femmine, tanto è vero che ogni tanto
ognuno doveva pulire con la varechina il proprio banco di scuola.
Ho ancora nel naso il caratteristico odore di ipoclorito di sodio che
si sentiva in classe il giorno che facevamo questa operazione di pulizia
delle macchie d'inchiostro.
Allora, oltre allo studio dell'italiano (per noi tutti una lingua straniera
in quanto eravamo abituati a pensare ed esprimerci in dialetto), dell'aritmetica,
della geometria, della storia e geografia e delle scienze, periodicamente
c'erano anche le esercitazioni pratiche; gli alunni più piccoli
salivano al piano superiore dove assieme ai compagni più grandi
di quarta e quinta (a quel tempo c'eranomolti ripetenti specialmente
in quinta) imparavano a fare dei lavoretti c on il legno.
Ricordo che dai tappi di sughero delle damigiane avevamo intagliato
con la brìtla (temperino) un fac-simile delle case del paese
e fatto così un plastico urbanistico in miniatura di Campolongo.
Ai più bravi era toccato cimentarsi nella realizzazione della
chiesa, che è a pianta ottagonale, e della sommità del
campanile a forma di cipolla; il tutto era riuscito bene e alquanto
simpatico da vedere e mostrare.
Altro lavoretto che abbiamo realizzato era la costruzione di una piccola
asta portabandiera con la punta lavorata e finita in base alla fantasia
dei vari alunni; io gli avevo dato la forma di un triangolo con gli
angoli della base arrotondati.
Molti miei coetanei ricorderanno che in quegli anni delle scuole elementari
ad una certa ora della mattinata l'insegnante aveva il compito di somministrarci
un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, che in effetti, essendo
ricco di vitamine A e D, era sicuramente utile per la nostra crescita.
Però, se l'utilità di tali vitamine era fuori discussione,
a noi bambini il gusto dell'alimento non era proprio dei più
graditi, quindi ognuno si arrangiava come poteva per togliersi il cattivo
sapore dalla bocca: chi masticava una caramella, chi un surrogato di
cioccolatino, chi preparava a casa una miscela di chicchi di caffè
macinato mescolato con un po' di zucchero.
I libri (ovvero il sussidiario e un libro di lettura) ci venivano dati
in comodato d'uso; per attenuarne l'usura e conservare i testi in buono
stato, i libri venivano da noi rilegati con la carta velina (così
si usava allora), poi venivano restituiti alla fine dell'anno scolastico.
Ogni anno prima delle vacanze di Natale a scuola ci veniva distribuito
un regalino, tipo dei mandarini, delle noci (cùce) e dei bagìgi.
Anche per l'annuale festa degli alberi ci veniva dato il classico panino
con la mortadella e una bottiglietta di aranciata "San Pellegrino".
Ebbene, i libri e questi piccoli regali, di cui penso fosse la Regola
a farsi carico delle spese, sono sempre stati dati anche a noi di Mare
senza nessuna distinzione, anche se eravamo foréste, ovvero non
appartenevamo ad una famiglia regoliera di Campolongo.
Negli ultimi due anni (quarta e quinta) ho avuto come maestro Gino Pulié
di Santo Stefano: è stato un bravo insegnante; ha saputo darci
una preparazione di base, che ci è servita sia per proseguire
la scuola che per affrontare le vicende future della vita.
Ricordo che per farci ragionare e constatare con esempi pratici cosa
serviva la geometria, con la bella stagione ci portava nei prati e campi
vicini alla scuola e, una volta individuato un terreno irregolare, dovevamo
applicarci sul come fare per calcolare l'esatta area dell'appezzamento.
Altra cosa che faceva abitualmente il maestro Gino era quella di spronarci
alla risoluzione (in tempo reale si direbbe ora) di operazioni di aritmetica
o di matematica con segni diversi; quando mancavano alcuni minuti al
termine delle lezioni, chi riusciva mentalmente a seguire e calcolare
quanto diceva l'insegnante, dichiarando il corretto risultato, poteva
uscire qualche minuto prima del suono della campanella.
A Cianplòngo, nonostante siano passati sessanta anni dai fatti
di questo racconto, ho conservato diversi amici e compagni di scuola;
ne citerò due per tutti: Bruno Pomarè ed Elvira De Zolt,
che ritrovo periodicamente alle cene dei coscritti".
(Gian Antonio Casanova Fuga)
Lo scolaro Gian Antonio Casanova Fuga
La Scuola Elementare di Campolongo
(immagine tratta dal Bollettino "Voce sul Piave")
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