Dialogo tra il tenente Jahier e l’alpino del Popera

Teatro-canzone del GRUPPO MUSICALE DI COSTALTA
Regia di Claudio Michelazzi

 IL TESTO DELLO SPETTACOLO...

(In scena Pietro Jahier)
Jahier:
Altri morirà per la Storia d'Italia volentieri
e forse qualcuno per risolvere in qualche modo la vita.
Ma io per far compagnia a questo popolo digiuno
che non sa perché va a morire
popolo che muore in guerra perché "mi vuole bene"
"per me" nei suoi sessanta uomini comandati
siccome è il giorno che tocca morire.
Altri morirà per le medaglie e per le ovazioni
ma io per questo popolo illetterato
che non prepara guerre perché di miseria ha campato
la miseria che non fa guerre, ma semmai rivoluzioni.
Altri morirà per la sua vita
ma io per questo popolo che fa i suoi figlioli
perché sotto coperte non si conosce miseria
popolo che accende il suo fuoco solo la mattina
popolo che di osteria fa scuola
popolo non guidato, sublime materia.
Altri morirà solo, ma io sempre accompagnato:
eccomi, come davo alla ruota la mia spalla facchina.
Sotto, ragazzi, se non si muore si riposerà allo spedale.
Ma se si dovesse morire
basterà un giorno di sole
e tutta l'Italia ricomincia a cantare.

Il coro canta la prima strofa della "Leggenda del Piave"

Alpino: (in scena con vestiti normali)
...un presagio amaro e preoccupante... Li ho visti passare nei giorni scorsi gli uomini in divisa, lo zaino in spalla, il fucile a tracolla. In silenzio, il ritmo disordinato dei passi e negli sguardi sorpresa e paura.
Mi hanno detto che l'Italia ha dichiarato guerra all'Impero di Austria e Ungheria ed alla Germania e che sarà una guerra di postazione, per difendere i confini. Le nostre montagne invase da sud e da nord da migliaia di soldati! ...e verrà anche la mia ora...sono in età di leva.
A combattere? Per chi? Contro chi? Contro i valligiani di Tilga e Kartich? Quelli che incontriamo ogni estate sui pascoli di Dignas? Quelli che hanno appena concluso un affare con barba Tano per trasportare in segheria un lotto boschivo oltre la cima, scalandolo in Val Visdende e stuandolo fino in Cordol? Il Piave mormorava... come me, probabilmente, chiedendosi chi abbia ideato questa follia: fare la guerra quassù da noi, sulle nostre montagne? In una terra che non ha mai avuto invasioni, lotte, battaglie, perché siamo sperduti e ai margini, chiusi da lunghi inverni.
Gli austriaci nostri nemici?! Parlano un'altra lingua, ma nel bisogno ci si capisce. E noi abbiamo bisogno di loro, dei "paure" della Pusteria, che sfamano i più poveri che vanno per i masi a "carì"...E il Tirolo, la Carintia, la Stiria, regioni dove molti dei nostri vanno a fare gli "aisinponar" e "i clonpar"?
Noi siamo gente pacifica, abituata a lavorare, fare famiglia, invecchiare insegnando ai giovani la saggezza, l'amore per questa terra, considerandola una madre, anche se spesso sembra dura e poco fertile.
Così ha fatto mio nonno con me, così vorrei fare io...
Hanno cominciato a scavare trincee sulla monte di Palonbin. Lassù dal costone si vede Tilga d Sora... dicono che faranno arrivare un cannone, un obice per lanciare bombe e distruggere quelle case... la monte d Palonbin, il santuario d'amore di mio nonno, trasformato in un cantiere di devastazione!
Ci veniva ogni agosto a falciare l'erba di monte, lui, la nonna, i bambini... e la loro coa era il cadon d Palonbin...

Canzone "Al dizon d Palonbin"

(In scena Jahier)
Jahier:
Ci sono delle consolazioni di questa vita, le consolazioni del militare. Bisogna conoscerle e saperle godere. E la prima consolazione è proprio questa privazione che ci fa apprezzare il minimo bene. Chi più ha e più vorrebbe avere, è non quieto un minuto; un ricco neanche più tutto il mondo basta a poterlo consolare. Ma noi soldati che non abbiamo più nulla, un nulla ci consola. L'acqua pura è diventata liquore alla nostra sete, e lo zaino è un armadio fornito; e la carezza della nostra donna, quando si va in permesso, torna a essere quella della morosa.
La seconda consolazione è la salute. Gli altri mestieri lavorano a consumar la salute, ma il mestiere di soldato ce la conserva e migliora. Vedete: il soldato ha sempre appetito; il soldato fa i muscoli duri e invecchia più tardi; il soldato impara a scattare, e le donne lo guardano più volentieri perché è corpo più sano e più perfetto, il campione del corpo umano:
La terza consolazione è l'uguaglianza. Nella vita borghese ci si può distinguere coi denari dell'eredità ingiusta, col pane rubato al povero, col vestito.
Ma in questa vita la ricchezza non conta più nulla e la miseria non avvilisce; non ci sono più comodi da comprare, e sta meglio chi è più amato.
Il soldato è l'uomo più vero: ricco o povero, potente o meschino, la sua uniforme uguale proibisce di sapere queste cose. Il soldato è un uomo che può distinguersi soltanto dal cuore.
La quarta consolazione è l'ubbidienza. Da borghesi bisogna dirigersi da soli, ed è difficile conoscere il dovere e se si sbaglia si passa pena. Invece, soldato ubbidiente, sei sempre sicuro del dovere. Riposi nella coscienza del tuo superiore. E' lui colpevole se va male. E non hai da pensare al domani. Il tuo destino non dipende da te, ti viene da fuori. Tu sei un uomo che nasce alla sveglia e muore alla ritirata. E' il riposo dell'obbedienza. Bisogna saperlo godere.
La quinta consolazione è la disciplina. Anche il borghese ha la sua disciplina e gli serve a soddisfare i bisogni. Ma quando la disciplina del borghese non ne può proprio più, allora comincia appena la disciplina del militare. Noi siamo quelli che partono anche se piove; e digeriscono anche se non hanno mangiato; e fan paura alla più brutta paura; e quando son morti, rispondono ancora all'appello e vanno all'assalto 7 volte almeno.
La sesta consolazione è l'amore. Ora vi cercate tra paesani, ma tra poco vi cercherete tra compagni che han fatto quella notte, quella solitudine, quella passione. Da borghese si possono fare amici falsi, ma davanti alla morte non ci son più che amici veri.

Il coro canta "Sul cappello che noi portiamo"

(in scena l'alpino e la morosa)
Carolina:
Checo, Checo… ne stà lassame! Iö n me rassögno ch tu parta pla guera. Tu às da stà a ceda a föi famöia aped me.
Checo:
Tu sas, Carolina, cuanto ch iö tögno a ti e cuanto ch iö voraa böte in pratga el to parole…
Carolina:
Cösto iné al momöinto da vinze la paura, da föisse coragio un par l autra, da cröde al promösse ch se son fate tant ote caminön inbrazade sot al ziel piön de stöle.
Checo:
Tu saras senpro la lus di mi dis, la forza ch me farà vinze dute el dificoltes, la spranza da podöi vive la vita intiöra aped te.
Carolina:
Caminon, Checo, caminon, lasson sto Stato ch inveze da iuté la pöra dente a gni fora da la miseria, core dòi a la grandiöra dal re e di so cmandantes, ch vö föi la guera e mandà a morì la möio dovantù.
Checo:
… e dì gno-mo, Carolina?
Carolina:
El nostre famöi inà calche franco da na banda; podasson dì in Svizra, gno ch ni vö savöi de guere, opur in Brasile, gno ch iné emigrede nascuance di nosse. Son dogns, e n mancia voia da lorà…
Checo:
…ma iö saraa considró un disertor. No par me, che n m interessa nente, anze saraa un onor dì ch inöi rifiutò la divisa e la violenza dl esercito, ma ple nostre famöi, ch podaraa esse maltratade e rovinede. E iö n vòi avöi sto peso su la cossenzia, Carolina.
Carolina:
Iö odio i cmandante di States ch à dichiaró la guera! Odio i generai e duce cöi co le stelöte su l divise: ch i se fronte intrà d löre e pi ch i se maza, pi naietre stadasson polito!
Checo:
Cuanta bila ch inöi a vödte csi intossieda, tu ch par me ines l incarnazion dl amor.
Carolina: (se vizina e lo inbraza)
Ströidme saró…sauda el mi ciarne che trema, passa pi mi nerve e fermte zl ingröspio dla mi anma agiteda.
Checo:
Tu es dinze d me com al sango che score zle vöne, es al fió dal mi cöre. Te porto aped me com lus dal saroio, par vinze la nöte e deslegà dute el paure…

Canzone: Ai preât la biele stele

(in scena Jahier)
Jahier:
Reclute, che sono andato a vestire al deposito degli alpini. Non erano reclute comuni. Niente fiori sul cappello, niente allegrezze, niente canzoni. Avevo visto i giovani colare a picco in fiume le vecchie mutande e camice tra scherzi e grida di evviva.
Ma questi son padri tristi e quieti che non si aspettavano la chiamata. 32 anni: saltare non è più un piacere; cambiare non è più distrazione.
Tutti contadini in giacchetta; più usati di me come corpo, quantunque della mia leva; parecchi bevuti, come sempre il montanaro nelle emozioni. Si provavano le uniformi, si mettevano i fregi con imbarazzo, come roba non da loro, con un senso di ridicolo penoso.
Si son lasciati incolonnare senza chiedere nemmeno dove andavamo. Solo un nanerello mattacchione, venuto dall'America, è riuscito a far ridere la compagnia, quando ha alzato la coda a una vacca e la ha baciato la fessa chiamandola: me nona.
Pioveva lugubremente. Li ho accompagnati ai padiglioni. Nessuna osservazione: Camminavo in mezzo ai corpi abbandonati sul grigio. Tutto uniforme, tutto uguale; eppure ciascuno i suoi ricordi e i suoi affetti; ciascuno una sua storia di uomo. Ho sentito il bisogno di dar loro un segno di cura. Ho detto: buona notte, figlioli. E tutti han risposto: buona notte. Nessuno era addormentato.
Il coro canta "Monte Canino"
Alpino: (in scena con la divisa)
Mi hanno vestito con questa divisa… le divise… non ho mai sopportato le divise, a cominciare da quella da chierichetto, che ci facevano indossare per servir messa o per le funzioni.
A me piaceva lo spazio della chiesa, l'atmosfera della liturgia, tra candele e incenso, canti gregoriani e suono dell'organo. Il parroco aveva messo gli occhi su di me perché entrassi in seminario e diventassi prete. Tentava di convincermi con la sontuosità dei paramenti, i camici con pizzi ricamati, le pianete e le casule di diversi colori, trapuntate e orlate con filo d'oro, i piviali, decorati con pietre preziose… ma a me non diceva nulla la teatralità dei gesti e dei paludamenti sacri. Piuttosto mi prendeva il mistero di un dio-uomo appeso ad una croce, ammazzato con cattiveria ed ingiustizia.
Benché non capissi niente delle letture in latino e poco anche delle prediche che avrebbero dovuto spiegarle, avevo cominciato a sfogliare la Bibbia con curiosità, perché mi dicevano che era proibito leggerla, specialmente in certi episodi dell'Antico Testamento.
Ma è leggendo il vangelo che sono rimasto affascinato dalla figura di Gesù, un profeta non violento, difensore dei deboli e degli sfortunati, che denunciava le ingiustizie e le ipocrisie del potere religioso, che insegnava ad amare ed essere tutti uguali.
Ma come è stato possibile che la religione fondata da questo profeta, la civiltà che si dice cristiana, abbia attraversato i secoli della storia accettando e sostenendo la violenza, organizzando le guerre in nome di Cristo?
Se lo chiedeva anche Erasmo, uno degli autori che leggo con più attenzione… (toglie un foglio di tasca) : S'impone una domanda: come ha potuto questa peste della guerra infiltrarsi nel popolo di Cristo? Anche questo male, come molti altri, si è imposto per gradi, non si è stati in guardia abbastanza…Un principe cristiano (sempreché sia cristiano davvero) dovrebbe in tutti modi evitare, scongiurare, tener lontana questa faccenda infernale, tanto aliena dall'insegnamento di Cristo…Un solo precetto Cristo enunciò come proprio: quello della carità. E che cosa ripugna alla carità più della guerra? Nelle sue preghiere ispirate Gesù chiede al Padre soprattutto che i suoi adepti, i cristiani, siano una cosa sola con lui, così come lui è una cosa sola col Padre.
Ed io mi chiedo: come può un ministro di Gesù essere a servizio della guerra? Ieri sono rimasto di stucco: è venuto il vescovo castrense a celebrare una messa da campo per il battaglione. Ha benedetto le armi, ha predicato che Dio è con noi, per sostenerci a combattere i nemici.
Ha letto una preghiera che diceva "rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra millenaria civiltà cristiana.". Non so chi l'abbia scritta, quella preghiera, ma sicuramente una persona diabolica, perché recitandola la si pronuncia proprio una bestemmia: "… e tu Maria, madre di Dio can-dida come la neve… (ripete più volte)"
(cadendo in ginocchio) Signore della pace, salvami dalla guerra!

Canzone "Guai a voietre"

Jahier:
Criticano perché sto tanto coi soldati. Anche dopo l'orario. Ma questi son soldati che migliorano i superiori. E' per migliorarmi che sto con loro. Cerco di farmi questa virile rassegnazione.
Questa è assistenza d'amore. Dunque vado a sentire cosa pensano in camerata. Scherzo sul loro piccolo bucato. Mi interesso alla scarpa slabbrata, strizzo il foruncolo nero. Presenzio anche l'iniezione, perché offrano il petto fieri, e, reggendo lo sguardo nel mio, nessuno tremi quando penetrerà l'ago; perché salutino calmi al primo sangue versato.
Criticano perché assaggio ogni marmitta di rancio. E non una sola volta. Ma nessun rancio è uguale, se pure è uguale la spesa. Disuguale di sale, disuguale di cottura; e lo sa valutare il soldato che mangia rancio solo, che ha appetito di tutto il corpo e non appetito di stomaco, come il borghese viziato.
Criticano perché divido troppo col soldato. Anzi vorrei dividere il rancio, vorrei dividere il padiglione. Sarebbe giusto ed opportuno. Alla guerra chi ha meno bisogni è superiore. In questo l'ufficiale di guerra non è superiore. In questo l'ufficiale è inferiore. Ma l'autorità…ma il prestigio… Un uomo che mangia con un altro, non gli resta che il prestigio dell'anima per distinzione. Sentiresti il bisogno di questo prestigio, mangiando insieme. Questa è superiorità vera. Guadagnarsi di essere il loro capo.
Criticano di nuovo e uno si volta al mio saluto, pronto a scattar sull'attenti. "Mi avevi messo paura. Ma è un soldato. Tu saluti un soldato meglio di un generale. No, ma saluto il suo dovere di ubbidire, uguale al mio dovere di comandare. Sono doveri uguali, per questo è uguale il saluto. Eppoi è un soldato che conosco bene. Non conosco bene il signor generale.
Criticano sempre perché mi accompagno con gli inferiori. Ma non mi accompagno con gli inferiori: mi accompagno coi miei uguali.
Alpino: (interloquisce con Jahier)
Anch'io ti critico, tenente Jahier, e non voglio mettere in dubbio la tua buona fede, quando affermi di considerarti uguale ai tuoi soldati, anche se sei superiore gerarchico.
Io ti critico perché giustifichi questa guerra e lo fai nella maniera più subdola, volendo far credere che essa è una lotta per la libertà e la giustizia, contro l'arroganza e l'aggressività del popolo tedesco: "Noi ci battiamo per una causa di giustizia tra gli uomini. Se la nostra forza severa non lo castiga, l'oppressore diventerà ancora più ingiusto e cattivo. Questa è una guerra che continua la nostra vita di popolo povero e buono. E' un lavoro che continua quello della vanga: il lavoro del fucile".
Io ti critico perché ami l'esercito e lo dici senza pudore: "Perché amo tanto l'esercito? Perché la forza è un bene quanto l'istruzione. E dovrebbe essere obbligatoria come l'istruzione. L'esercito è l'organismo della forza obbligatoria. E della salute". Ma perché non racconti la verità, tenente Jahier? L'esercito è lo strumento della violenza legalizzata, è la pianificazione dell'assassinio giustificato, per non parlare delle torture, degli stupri, delle devastazioni. La storia è racconto di eserciti, vittoriosi o sconfitti, ma la vera sconfitta è quella dell'umanità, che viene affondata nel baratro dell'odio.
E ciò che non sopporto è che i capi di questa organizzazione di morte, i generali, i colonnelli, i graduati vari, anziché essere considerati la vergogna della società, come i boia o i capi dei sicari, siano onorati come dignitari e sul loro petto senz'anima vengano appuntate le medaglie al valore.
Io ti critico, tenente Jahier, perché parli di patria, come fosse il più grande valore della vita: "Noi soldati non abbiamo più nessuno, solo la patria. Quella ti rimane sempre. Una grande parola, la patria, la patria italiana". Ma io non credo nel patriottismo. Ho letto gli scritti di Lev Tolstoj, grande scrittore russo: (estrae il foglio e legge): "Ciò che fa nascere la guerra è il desiderio del bene esclusivo della nazione propria, il patriottismo. Quindi per abolire la guerra bisogna abolire il patriottismo. Il patriottismo è un sentimento negativo, non naturale. Mari di sangue sono stati sparsi per questo sentimento e lo saranno ancora se gli uomini non si libereranno da simile avanzo dei tempi barbari".
Ti critico, tenente Jahier, perché non nomini mai i responsabili di questa maledetta guerra, cioè il re, il governo, i generali. Dov'è il re? Dove sono i comandanti di questo Stato? Nelle ville e nei castelli serviti e riveriti, mentre noi povera gente dobbiamo andare a marcire in trincea. Ma io non voglio combattere per i potenti che sfruttano il popolo per i loro interessi. Io voglio vivere in una società senza oppressi e senza oppressori, dove ci sia fraternità e giustizia.
(se ne va scandendo: "Viva l'anarchia, abbasso il re….)

Canto "Gno elo al re"

Jahier:
Mio forte compagno, è perché non hai voluto arrenderti; è perché anche per me hai voluto morire; come mio padre. La casa era serena e fedele come l'amavi; e Gioietta ansiosa a interrogar tutto il giorno colla vocina: ma dov'è, ma chi ha scritto che è prigioniero e ferito?
Dicevi; sta fermo e non temere
ora io sto fermo; ma tu sei caduto…
nella gloria sei passato
o compagno che mi avevi creduto, o amato.
E hai detto quando mi hai lasciato:
tu non dovevi venire
ma non temere, Piero, perché torniamo.
Perché hai detto torniamo
se avevi il viso che non può tornare?
Ora io che sono restato,
mi sento chiamare.
Inginocchiato
vicino alla chiesa…
solo della voce eri armato
con la voce ti sei battuto
o compagno, o amato!
Ma perché hai detto: torniamo
se avevi il viso che non può tornare!
Ora, io che sono restato,
mi sento tanto chiamare.

Il coro canta "Maledetta la guerra e i ministri"
Alpino:
Sarà stata codardia, sarà stato senso di responsabilità, o forse destino… ci sono andato infine alla guerra, lassù sotto le crode del Popera.
Un paese di uomini giovani trasferito sui sassi del ghiaione a scavare buche, a costruire muri, a scalpellare scalini, a preparare attacchi che mi auguravo non arrivassero mai.
Li ho conosciuti gli esaltati, i fanatici della guerra; squilibrati che passano le giornate e anche le notti a studiare strategie di aggiramento del fronte nemico, scalando pareti, scavando gallerie, facendo saltare pezzi di montagna. Per loro è un obiettivo glorioso fare strage di tedeschi, conquistare la vetta per poter piazzare mitragliatrici e sterminare più esseri umani possibile…
Noi siamo schiavi esecutori, meno considerati dei muli che dobbiamo accudire…

…una notte, Carolina, ti ho sognato che salivi con altre donne portatrici per il sentiero di Selvapiana…la commozione mi saliva dal cuore e volevo raccontarti ancora del nostro futuro, dei figli che avremo, della casa che costruiremo nel nostro paese finalmente in pace, finalmente liberato dagli invasori in divisa…
…ti correvo incontro, in quella notte d'aprile, per dirti che ti voglio bene…
…te vòi bögn, te vòi bögn, te vòi bögn…

Canzone "Alpin dal Popera"
Jahier:
Ma questa guerra non dire che è una lezione. La distruzione non è una lezione. Muoiono i migliori, muoiono i soli che potessero approfittare.

Scena finale con Carolina vecchia, seduta, mentre i nipoti le giocano intorno.
Canzone "Luna rossa




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