Onghene Tambar

Fiaba in ladino
(Edizioni Gruppo Musicale di Costalta)

N ota a Costauta vivee n redo che s ciamaa Luca.
Era n redo tanto bon, furbo com na olpe e tanto curios.
Vivee z na ceda granda vizin al bosco.
Na dì so pare i à domandó s al volee dì aped lì a föi lögne in Ciamorzöi. Luca avee daciaro parcheche n l era mai sto ze cal posto.
E rivede in ció dal pöis, à ciapó su l tröi e à pasó l'aga. Intanto ch'i caminee, Luca, spiee piön d marvöia intrà li erbe e intrà l muscio a vöde s al cetaa calc formia o calche fongo.
N ota i à parù da vöde intrà l piante algo ch' buliee e iná tacó a ciamà so pare: "Papà, papà na olpe!"
E cói so bagare à fato scampà un merlo ch' dormii in medo ai rame.
Cuön ch' i é rivede zal bosco, so pare à tiró fora dal rodsoc li arte e s é ptù a lorà. Co la manera à tacó a dramà l piante e intanto Luca ingruee i rame; pì tarde avaraa fat tasa arente la strada.
Verso mad-dì à mangiò algo epò so pare s é sentó du sote na pianta con cöla da dormì ntin inante tornà a tacà a lorà. Ma inante perdse vì à pensó bögn da dì a Luca: "M arcmando da borbiné cialò dintorno".
Ntin e sto ilò, ma cuón ch'l à visto ch' so pare s era indormanzo, Luca à tacó a viadà pal bosco: sotaa intrà l piante, se sbalanzaa coi rame, dee a lisa du pi róis. A n zörto momöinto à visto na schireta ch' ciapaa su pla scorza d un pzö; lì à tacó a sotai doi e öla a tirè saute da na pianta in l autra fin ch' n ota la pöra bestia e riveda a scondse inpoi na brusa. Luca a spostò i rame par vöde s al rivee a ciapala e iná visto na sfösa zla croda. Iné du dinze. Su sote era pión d talaragne, i parees era biandade e un odor da mufa farmaa l fio.
De colpo s é sintù a ciapà ple spale: dói mögn fife co li onge longe lo strandee e lì ne n à pi pudù scampa. Zun atmo a penso eh' söia un orso ma à sintù na os zigagnola ch didee: "Sta gheto, ne sta sgarbdà, bel bocnuto!".
Al redo, strangosó, ne n é sto bon da mövse e iné sto tiro fin in cìó dal landro gno eh' era na candöla ch' fadee pöna ntin d lus.
E csì à podù vöde chi ch' l avee ciapó.
Era na onghena! Vecia, col beco scuerto de brusches e duta fifa. Avee i vöi celeste, fröide e triste; i ciavöi duce ingardizede e ciariede d pudöi. Avee un visti longo fato d fòi e piön d tacogn. Zotee e cuön ch' la caminee se vdee ch' l avee un pè da ciaura. L onghena à do un cezon al redo e l à sarà zna cabia.
Dopo calch' dì, Luca à podù capì che cla vecia n vivee da sola ma aped nasché sös pi done, ma brute com öla.
Ogni tanto ölie lasaa ch'al vögna fora dla cabia par föi calche laoro o par giavà i pudöi.
Avaraa volù mangelo alolo ma l redo era masa magro e csi à penso da spité ch'al se ingrase ntin. Ogni tanto l'onghena pì vecia domandaa: "Redo, mostra ntin al to döido ch' vòi sintì s t es davantó pi graso."
Luca, furbo, inveze da mostra l döido, slongee un bacöto d lögn e öla, ntin ch' era scuro e ntin ch' la vdee pöco, n se nacordee e brontlaa intosieda: "Es ncamò masa söco! Ne n é ncamò ora da mangete"
Dop' na bota, na dmönia, li onghene pi done à dito ch'le dee a mösa a Costauta. A ciapó su l tröi, e dude su pi praas e iné rivede zal pöis. El cede, una vizin clautra, era inluminede dal saroio ch' era auto sora el Tröi Terze. La gedia biöncia se slanzaa vers al ziel e se destacaa sora el cede d lögn. Intant che li onghene era a mösa, al redo ch' era resto solo aped la pi vecia, a penso da taiè la corda e i à dito: "Nona, vösto ch' te giave chi pudöi ch' te fa tanta piza?" "Oh magare! - à respondù la vecia - Ste bestie n me lasa nanch' un minuto in paas."
L'onghena e duda arente la cabia e l à lasó gni fora.
Luca l à fata santa du su la carega, à tacó a petnala e a tirè du i pudöi e intanto ciantaa baso, fin ch' n ota l'onghena s é indormanzada. Alora al redo é scampo.
A' pasó fora l bosco, é sotó du pi prades, fin ch l é rivó vizin al Rin
In cöla rivee li onghene ch' tornaa da Costauta. Ölie n cardee ai so vöi e à dito:
"Cioo, com ast fato a pasà l gió?"
"Öi ptu naschè fraise sora i crope, - à respondù al redo - epo söi pasò d là. S volöd ciapame, bisogna ch'fadöda csì anch voietre."
Luca avee pasò l Rin pì insù, gno ch' l aga era pi basa, ma à zarco da dà d intende ch' ilò s podee pasà fazilmöinte.
Li onghene, par n lasase scampà l redo, à rincuró nasché fraise e li a ptude sora i cröpe e, cuön ch' e li à poiò sora i pes, i rame à zedù e ölie e stade portad' vi da l'aga, ch' ilò fadee gorghes giazade, e iné sparide.
Luca, svelto com un cavariol , a ciapó su pi prades d Ciabalato e co l é rivó zal pöis iné sotó corögn a ceda soa. Era un pezo ch' n al vdee so pare e so mare. I à imbrazade e busede e da in cal dì à sempro vivù legro e contento.

Versione italiana della fiaba

 Le onghene di Tambar

Tanto tempo fa, a Costalta, viveva un bambino di nome Luca. Era un bambino molto buono, furbo come una volpe e tanto curioso. Abitava in una grande casa ai margini dei bosco.
Un giorno il padre gli propose di andare insieme a lui a tagliare la legna a Ciamorzöi. Luca era molto emozionato perché non era mai stato in quel posto. Percorsero un ripido sentiero sassoso che li condusse nel fitto del bosco. Mentre camminava, il bambino guardava incantato fra le erbe alla ricerca di formiche frettolose o di funghi colorati. Ad un tratto gli parve di scorgere fra i maestosi abeti la sagoma di un animale.
"Papà, papà un volpacchiotto!" ma le sue urla di gioia e meraviglia, non fecero che sollevare in volo uno scuro merlo che sonnecchiava fra i rami.
Il padre si mise al lavoro e, in breve tempo, con la sua accetta affilata riuscì a tagliare molti tronchi che accatastò lungo la strada, aiutato da Luca.
Alla fine, stanchi, si sedettero ai piedi di un larice. Prima di appisolarsi il padre gli disse: "Mi raccomando, gioca qui intorno e non allontanarti troppo."
Ma quando il papà si addormentò, il bambino iniziò a vagare nelle vicinanze: gironzolò fra gli alberi, si dondolò con le frasche, scivolò sugli aghi secchi. Ad un certo punto vide uno scoiattolo che si arrampicava lungo la ruvida corteccia di un abete. Cominciò a seguirlo e lo scoiattolo impaurito a saltellare da un albero all'altro. Poi l'agile bestìola scomparve dietro ad alcuni cespugli. Luca spostò i rami e intravide una scura apertura nella roccia. Entrò. Grigie ragnatele pendevano dalla volta, l'umidità colava dalle pareti e un odore penetrante e acre toglieva quasi il respiro. Improvvisamente qualcosa lo afferrò: due mani ruvide dalle lunghe unghie si strinsero intorno al suo corpo. Lui pensò che fosse un orso, ma poi sentì una voce stridula che gli diceva: "Non agitarti, bel bocconcino!"
Il bambino terrorizzato, si sentì trascinare lungo la buia grotta, fino in fondo, dove la caverna era rischiarata dalla luce fioca di una candela.
Allora Luca riuscì a vedere chi lo teneva stretto.
Era una vecchia onghena con il viso coperto da brufoli e solcato da profonde rughe. Gli occhi grigi erano freddi e maligni e sulle spalle le ricadevano disordinati i capelli arruffati e colmi di pidocchi. Aveva lunghi seni pendenti nascosti da un vecchio abito di foglie, lacero e rattoppato. Si muoveva zoppicando e dalle vesti le spuntava uno strano piede di capra.
L'onghena lo rinchiuse in una gabbia.
Passarono molti giorni e Luca scoprì che la vecchia non viveva da sola in quella grotta ma insieme ad altre sorelle, orribili quanto lei. Ogni tanto gli permettevano di uscire dalla gabbia per fare qualche lavoro o per levar loro i pidocchi.
In verità le onghene avrebbero voluto mangiarselo subito, ma il ragazzo era tanto magro e così avevano deciso di ingrassarlo un po'.
"Bambino, mostrami il tuo ditino, voglio sentire se sei abbastanza cicciotello" chiedeva ogni tanto l'ongheno più vecchia.
Luca che era molto astuto, invece di mostrarle il dito le porgeva un bastoncino di legno e lei, nell'oscurità non se ne accorgeva.
"Accidenti! Sei sempre troppo secco!" esclamava furiosa.
Così passò del tempo, finché una domenica mattina le onghene più giovani decisero di andare a messa a Costalta. Si inerpicarono lungo una stradina sterrata e, poco dopo, apparve loro il piccolo paese. Le case addossate le une alle altre erano illuminate dalla chiara luce del sole che faceva capolino fra i monti. La bianca chiesa si ergeva verso il cielo e dominava il paese.
Mentre le giovani onghene assistevano alla messa, il bambino che era stato lasciato solo con l'onghena più vecchia, cercò di sfruttare l'occasione per scappare.
"Cara nonnina, vuoi che ti tolga quegli orribili pidocchi che ti danno tanto fastidio?"
"Oh magari! Queste bestiacce non mi lasciano in pace" rispose la vecchia e, avvicinandosi alla gabbia, lo liberò.
Luca la fece sedere sulla sedia a dondolo e incominciò a toglierle i pidocchi, ad accarezzarla e a canticchiare piano piano finché lei si addormentò. Allora il bambino, approfittando del sonno della vecchia, scappò via.
Attraversò il bosco, corse veloce lungo i prati, discese i pendii erbosi fino al Rio Rin. Fu lì che incontrò le onghene che tornavano dalla messa. Incredule chiesero:
"Come hai fatto a passare il torrente?"
"Ho messo delle frasche appoggiate a questi sassi, così vedete? E poi... Oplà! Sono riuscito ad arrivare su questa sponda. Se volete riprendermi fate anche voi così- disse Luca.
In realtà aveva oltrepassato il Rin molto più su dove le acque erano meno profonde e scroscianti.
Così, per non farsi sfuggire quel delizioso pranzetto, le onghene appoggiarono in fretta delle frasche sull'acqua ma, quando ci misero i piedi sopra, i rami cedettero e loro finirono fra i flutti gelidi dei Rio Rin che le trascinò via.
Luca, veloce come un capriolo, risalì i pendii di Ciabalato e, arrivato in paese, si precipitò nella sua casa. Era tanto tempo che non vedeva mamma e papà; li abbracciò e baciò e da quel giorno visse sempre allegro e contento.

 CLICCA sull'icona seguente,
se vuoi scaricare
la pagina in formato PDF


(72 K)

(Sul computer deve essere installato il programma Acrobat Reader,
che puoi, gratuitamente, scaricare dal sito
www.adobe.com/acrobat)


Pagina "ONGHENE"

HOME PAGE DEL SITO