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Fiorirà l'aspidistra
(George Orwell)

L'aspidistra è una bella pianta da interni, con foglie allungate e robuste, assolutamente verde. Non fiorisce, l'aspidistra: vegeta in vaso tutto l'anno saggia e tranquilla, in vasti cespi che infoltiscono in fretta e si riproducono facilmente dalla base. Sono piante un po' fuori moda, e se ne trovano per lo più ai piedi degli altari nelle chiese o nella penombra dei salotti di case vecchiotte, dove dimorano molti anni anche prive di cure particolari o di buona luce. Un'aspidistra, per esperienza, è una buona pianta da compagnia, fedele e per nulla esigente. Fa la sua figura.
Ma, si sa, non fiorisce. E' già bella e completa così.
Non altrettanto bella e completa è la vita di Gordon Comstock, il protagonista di questo noto e insolito romanzo dell'autore del molto più sconvolgente 1984. Il nostro eroe, che ambisce a farsi conoscere come poeta, consuma le sue grame giornate nel cruccio dell'insuccesso e nella bramosia del denaro. Che c'entra l'aspidistra? C'entra. E' un po' il simbolo di quell'agiatezza borghese che il bel tipo tanto invidia, spiando febbrilmente le soglie e i balconi delle case benestanti mentre un livore puerile gli sale dentro giorno per giorno verso chi vive una vita più confortevole e realizzata della sua. E purtuttavia, come non arriva a riconoscere i meriti di costoro, così non si rassegna a cogliere i propri demeriti, ma anzi insiste (piuttosto stolidamente) a considerarsi incompreso e perseguitato.
Povero Gordon! I suoi versi sono, sì, va detto, assolutamente atroci, e del resto come potrebbe nascere poesia da un animo meschino come il suo? Perfino i sentimenti di una ragazza riesce a vendere, in questa sua ossessione di elevarsi; già, nemmeno in amore si mostra dotato di una sensibilità meritoria. Il denaro e la stima dei suoi simili, questi sono i suoi traguardi primari, ma nella sua desolante sprovvedutezza non fa che cacciarsi in un guaio dopo l'altro mentre si sforza di raggiungerli. Ed è sempre, ahimè, colpa del destino, che lo ha di certo in antipatia. Eppure questo stesso destino, alla fine, inchiodandolo alle responsabilità di una imprevista paternità, gli offre la migliore occasione per scrollarsi di dosso ribellione, orgoglio e paranoie e accettare - non senza sollievo - una piccola vita mediocre e pacificata.
Il ritratto di un giovane illuso e di una società miope, questo romanzo minore (ma non troppo). Lo stile, con le sue puntigliose ripetizioni, è efficace a riprodurre un'atmosfera bigia e greve. Il significato (la morale) è alla portata di tutti, ma giova dire che Orwell, allora ancora uno scrittore agli inizi, sa presentarlo con un retrogusto di appena accennato humour, che in fin dei conti stempera qualche sensazione di molestia e allenta la tentazione di cedere all'esasperazione di fronte a tanta insistente insipienza.


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