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Espiazione
(Ian McEwan)

Sensazioni contrastanti, quelle che mi ha suscitato la lettura di questo libro, più volte rinviata malgrado le periodiche raccomandazioni di un'amica che giudico attendibile nei gusti e affine a me per sensibilità. E anche quando mi sono decisa a portarlo a casa, l'approccio non è stato facile, guastato dal pregiudizio che spesso mi ispirano i libri troppo osannati, anzi solo dopo un centinaio di pagine almeno ho cominciato a sentirmici a mio agio; ma di lì in poi, la lettura è diventata sempre più appassionante, ho scoperto di avere tra le mani un testo di valore e peso del tutto speciali e l'ho finito con rammarico.
Inizialmente, mi aveva maldisposta il sentirmi quasi violentare da una prosa verbosa e particolareggiata e dall'introduzione di un personaggio - la ragazzina Briony che è la protagonista "ufficiale" - apparso ai miei occhi come sovraccarico di aspetti pedanti, retorici e in definitiva odiosi. Ho provato un'immediata antipatia per lei e un insistente senso di fastidio per l'ambiente viziato e vagamente ipocrita in cui vive, la società benestante, convenzionale e bigotta che gravita attorno alla Londra dell'immediato anteguerra. Questo contesto è descritto a lungo con compiaciuta minuzia, nonché con sorprendente acutezza psicologica soprattutto in riferimento al pensare e all'agire di una piccola mente femminile che comincia a prendere coscienza di sé; ed è lì che si colloca la bambina-prodigio negli anni del passaggio fra infanzia e adolescenza, adulata da genitori sostanzialmente assenti che non colgono i germi morbosi della sua sfrenata fantasia e non sembrano partecipare al suo processo di crescita immettendovi esempi ed insegnamenti equilibrati e realistici. Briony appare ciecamente dominata dalla sua creatività, che la ispira a scrivere a ritmo ossessivo novelle dai contenuti ancora perdonabilmente acerbi, ma ciò che è meno giustificabile e più allarmante è la tendenza patologicamente spiccata a modificare non tanto la realtà osservata allo scopo di romanzarla, quanto la percezione stessa della realtà che la circonda, fino a smontarla come un giocattolo per poi ricostruirla secondo un proprio immaturo disegno. Il suo talento di futura scrittrice - che si manifesterà appieno nell'età adulta - in quegli anni, di formazione sì, ma senza una vera scuola di vita, la induce a ritenersi onnipotente attraverso il mezzo della scrittura, con il quale si va convincendo di poter manipolare i fatti e in pratica reinventarli ammantandoli di verità del tutto immaginarie.
E' troppo bambina e troppo presa da se stessa, Briony, nell'estate in cui pedina la vita sentimentale della sorella maggiore Cecilia, e poco dopo assiste a un odioso atto di violenza ai danni della cugina Lola, considerandosi però di questi fatti privati legittima osservatrice e non morbosa spia. E' troppo immatura per valutare senso ed effetti delle circostanze, alle quali in realtà si è avvicinata con un impulso quasi voyeuristico, e per interpretarli con la prudenza che dovrebbe consigliarle l'inesperienza. La presunzione di possedere il genio della creatività si sostanzia in un delirio di onnipotenza, che la acceca fino a farle rendere, dei fatti osservati, una testimonianza in malafede e dettata in parte - come solo col tempo confesserà a se stessa - dalla gelosia e dalla vendetta verso il giovane Robbie, sentimentalmente legato alla sorella e per il quale provava un acerbo sentimento non corrisposto; versione che difenderà con testardaggine fino alle estreme conseguenze, come per salvaguardare il suo stesso amor proprio che la spinge a considerare vere e plausibili e degne di credito perfino le menzogne che inventa.
E davvero estreme sono le conseguenze, poiché il ragazzo da lei implacabilmente e dissennatamente accusato di violenza carnale sarà incriminato sull'unica base delle sue affermazioni, e da quel momento la sua vita promettente di studio e d'amore verrà irrimediabilmente spezzata, prima col carcere e poi con l'arruolamento nell'esercito in guerra in terra di Francia.
Ma altre esistenze, quelle di tutti, subiranno in varia misura le conseguenze di quel comportamento primitivo di Briony, e con l'aggravante che su di esse confluiranno ben presto gli effetti molto più reali e irrimediabili del conflitto mondiale, una tragedia che non si limita a manipolare le vite come nel gioco di fantasia di una piccola romanziera esaltata, ma le invade e devasta con la brutalità di una realtà feroce, che coinvolge i singoli, le famiglie e un'intera generazione e davanti alla quale l'irresponsabile vanagloria di una ragazzina appare quanto mai viziosa.

L'espiazione del titolo, nella vita di Briony, non avviene compiutamente, anzi a espiare sembrano altri fra i personaggi coinvolti.
E' pur vero che la ragazzina, da quel momento, cresce più in fretta, inizia presto a rendersi conto della portata a larghissimo raggio e lunghissimo termine del suo gesto. Anzi, pochissimi anni dopo, rinunciando temporaneamente agli studi e alle comodità familiari, decide coraggiosamente di impegnarsi come volontaria in un ospedale dove affluiscono i reduci dal disastroso fronte francese con il loro carico di sofferenze, follia e morte, dalle quali finalmente impara a prendere con la realtà un contatto più umile e producente.
Tuttavia, nell'epilogo del romanzo - che avviene dopo un salto temporale di parecchi decenni - la Briony che ritroviamo settantenne scrittrice di successo e ben inserita in un contesto sociale gratificante e più che rispettabile non ha ancora saputo portare a termine efficacemente il suo proposito di riabilitare l'innocente condannato per causa sua e di purificare riscrivendola, lei sola che lo potrebbe, la sua storia corrotta da un delirio di immaginazione. La versione sincera che scagionerebbe la memoria della sua vittima è affidata a un romanzo che difficilmente vedrà la luce, dato che la verità del suo contenuto turberebbe un ambiente sociale troppo in vista e con delle convinzioni troppo politicamente corrette perché un editore si esponga attaccandolo. L'assoluzione pubblica dell'innocente dovrà perciò aspettare che si estingua un'intera generazione di benpensanti che, all'epoca dei fatti, avevano preso posizione e l'avevano presa sbagliata, e forse non avverrà nemmeno mai.
L'unica espiazione di Briony consiste nel non essere mai riuscita a tacitare la sua coscienza, nell'essersi portata dietro per tutta la vita, ben incistato fra le pieghe dei rimpianti ma non abbastanza pungente da impedirle di vivere con pienezza, il rimorso della sua menzogna infantile.

McEwan ha una prosa estremamente efficace sia nelle descrizioni d'ambiente che nella profondità di analisi dei caratteri. La sapienza dei suoi profili psicologici è a dir poco inquietante, e diventa ancora più pregevole quando è di figure femminili che tratta. Intensità particolare e assoluto lirismo sostengono la parte per me più densa e partecipata della vicenda, quella che si svolge durante la ritirata delle truppe sbandate verso Dunkerque, durante la quale Robbie attraversa stati d'animo di commovente autenticità e assume la statura di protagonista "morale" del libro. Attraverso la sua odissea, leggiamo una denuncia della perversità di quella guerra e di ogni guerra. Sono le pagine migliori, vibranti di rabbioso dolore per tutto ciò che è falsificante, iniquo, disumano, e di ancor più rabbioso amore per la vita, i sentimenti, la sincerità, i valori che la guerra calpesta e spazza via in un vortice di malvagità mai sufficientemente motivata o giustificabile.

Il confronto tra un personaggio come quello di Robbie, che la sua vita l'ha vissuta nella pienezza della realtà, con quello di Briony che per presunzione tale realtà manipola a suo piacimento e con leggerezza, difendendosi dietro un futile talento immaginativo e autoreferenziale, è il messaggio inquietante che mi ha lasciato questo libro, dedicato forse più a chi scrive che a chi legge, perché sembra voler ammonire che chi possiede il dono della scrittura ha fra le sue mani la capacità di imprimere alle parole anche poteri estremi, come quello di vita o di morte.
Responsabilità sovrumana.
E' bene che l'arte, in quanto prodotto di creatività originale, non cada pedissequamente sotto le regole della morale corrente o delle convenienze; tuttavia nessuno può negare che esista un codice etico naturale, non scritto, il quale impone alla coscienza di ciascuno una umile riflessione su quei doveri umani e limiti morali dai quali non può prescindere nemmeno un artista in nome della libertà della sua Arte.


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