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Di rosso smunto
(Antonella Pizzo)

Al primo romanzo pubblicato da Antonella Pizzo, che peraltro si è già affacciata all'ambiente letterario come valida autrice di poesie (leggi il suo profilo), avrei voluto dedicare un commento più 'emotivo', come sono solita fare su questo sito, ma ci riesco solo in parte, perché è onesto ammettere che non è emotivamente che ne sono rimasta colpita. Forse il fondo sentimentale del romanzo (un amore impossibile ed estremo) non tocca abbastanza le mie corde, che sono scarsamente sensibili alle 'storie d'amore'. Va però detto che Di rosso smunto (splendido titolo) non è solo una storia d'amore, non è la storia di un amore ma piuttosto di molti amori, e degli affetti che attraversano le famiglie, le generazioni e la Storia stessa di un paese, del nostro paese.
Il tema fondamentale consiste nel cocente rapporto conflittuale tra una figlia e sua madre, che ha origine dall'implacabile contrasto opposto da quest'ultima al legame della protagonista con un uomo sbandato, inquieto, inaffidabile: il prototipo dell'artista maledetto. Un legame che sopravvive a molte avversità e che si riaccende più volte nel tempo, comportando una catena di scelte trasgressive e arrischiate e di sbagli irrimediabili. Un conflitto che si risolve solo sul finale e in virtù di un processo di immedesimazione mediato da quell'efficace conciliatore che è il Tempo.
Tuttavia, il peso prevalente della vicenda di Vittorina e del suo 'cane randagio' si avverte, e sembra anzi costituire la prima ispirazione, il motivo d'essere dell'intero romanzo, il nodo intorno al quale l'Autrice ha inventato (o rievocato) tutto un mondo, tutto un cast di personaggi, tutta una successione e un intrecciarsi di altri eventi lungo due piani temporali distanti alcuni decenni. Una vicenda con risvolti avventurosi e tragici che riportano ai modelli dei grandi romanzi d'amore, ai loro tumulti e contrasti, ai loro eccessi eroici: ingredienti che, in generale, io personalmente percepisco come ingombranti. Forse, ecco, il rimedio sarebbe stato diluirli in un tono più visionario, come l'Autrice ha ben dimostrato di saper fare in altre occasioni, invece di caratterizzarli con un realismo che appunto sottolinea la loro inverosimiglianza.
Al contrario, trovo che risultino meglio delineati e più autentici (più raggiungibili, seppure sul piano onirico) i caratteri e gli eventi situati nel tempo passato, avvolti in un'atmosfera a tratti fiabesca che giova all'evocatività. Apprezzo sempre le intersezioni temporali, e mi pare che qui l'Autrice le abbia destreggiate con efficacia: direi senz'altro che sono la trovata più riuscita del romanzo, e contengono un evidente significato simbolico. Di più: contengono e nobilitano il senso dell'intera opera.
Anche qua, però, un appunto: l'affollarsi di personaggi e di scenari provoca - almeno in me - l'aspettativa golosa di qualche approfondimento, mentre invece la narrazione corre via scarna e veloce, senza soffermarsi con sufficiente tenerezza, e lascia un po' a bocca asciutta. Confesso che la lettura mi ha riportato alla mente il piacere prolungato di certe pagine di Tomasi di Lampedusa, che sapeva accompagnare il lettore attraverso i profumi, i languori e i misteri popolari della sua (e di Antonella) Sicilia.
Ho colto peraltro diverse immagini potenti e poetiche, descrizioni autentiche piene di commozione, di partecipazione, ma la sensazione è che anche queste avrebbero meritato un tempo più lungo di meditazione, di sviluppo, di cura. E' come se ci fosse stata una fretta controproducente sia di finire il libro che di pubblicarlo, una fretta che ha impedito quelle riletture attente e impietose che avrebbero potuto migliorarlo in molti punti e renderlo più incisivo.
Frettolosa e insufficiente ho rilevato, a dire il vero, anche la correzione delle bozze, e questo, che non è mai un particolare trascurabile, è motivo di ulteriore rammarico. Scrivere di getto è privilegio dell'Artista; correggere di getto le inevitabili sviste è francamente una colpa.
Buon proseguimento ad Antonella.


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