INDEX
MARCO
G. CORSINI
Roma
L’Impero
di Atlantide dal 2000 al 750 a.
C.
26 Maggio 2013 - Tutti i diritti riservati
Oggetto di questo mio lavoro è una scoperta eccezionale (che
ha le sue premesse più recenti in Atlantide su questo sito) tale da far rizzare
i capelli in testa perfino ai calvi.
Nello stesso tempo si tratta di un caso di riscoperta totale al di fuori
di qualsiasi tradizione (per ricomporre il quadro ho ricucito insieme
innumerevoli dettagli qui e là, nessuno dei quali faceva esplicito riferimento
a questa realtà così importante, arrivando poi alla comprensione totale della
tradizione di Atlantide e delle Amazzoni libiche), per cui c’è da
domandarsi come sia stato possibile che
una grande città capitale di un impero mondiale, Roma, abbia perso
completamente il ricordo di essere già stata, per un millennio prima, capitale
di un ancor più vasto e splendido impero
mondiale. Il fatto è che la Storia,
qualsiasi storia, dipende dalla
trasmissione scritta di ricordi in una
determinata lingua che sia comprensibile da chi la legge oltre che da chi la
scrive. La lingua del Primo Impero
Mondiale di Roma era il greco eolico, la
lingua della Roma seconda era il latino. Nel mezzo dell’età buia, quando,
con la distruzione dei regni del Mondo
Antico causata da Roma stessa, si spensero momentaneamente i riflettori sulla
storia e i documenti diventarono più rari e incapaci, per la loro pochezza di
pervenire fino a noi, avvenne il gioco di prestigio che trasformò il greco
eolico in latino, soprattutto a causa della forte immigrazione di Sabini dagli
Appennini, e rese impossibile ai Romani del popolo, ormai lontani le mille
miglia dal loro impero, anche col pensiero,
di conoscere le mirabili gesta dei loro antenati. I primi Romani di cui
sentiamo parlare quando la storia ricomincia a fornire dati, sono Sabini (Tito
Tazio, Numa Pompilio, ecc.). Devo
immaginare che sia stata la politica lungimirante della classe dirigente (che
ancora comprendeva il greco, come dimostra la commissione a Omero, nostro
connazionale, dell’Odissea e dell’Iliade da parte dei re Numa
Pompilio e Tullo Ostilio, e che non perse mai la memoria del primo impero,
tanto che col senno di poi la riconquista dell’impero non appare più come
un miracolo delle probabilità ma come una strada aperta, un dejà vu), che non
amava vivere sui ricordi ma avendo
sempre di mira il futuro, che preferì costruire per Roma seconda una storia
alla “Tito Livio”, su misura, (ri)partendo dal piccolo mondo della
Roma quadrata dei due pastorelli con poche idee in testa ma capaci di metterle
in pratica menando le mani. Dopo quanto
ho scoperto (ma ne avevo già sospettato in altri lavori), l’impero di
Roma Capitolina nel secondo millennio a. C., stride infatti, come il gesso
nuovo sulla lavagna, con la “nascita da zero”, la fondazione
della Roma Romulea sul Palatino nel 753 a.
C. I
Romani, ridotti ad un “impero” minuscolo e a ricominciare a
costruirne un altro, non avevano tempo per leggere, e in ogni caso, quelli che
ne erano capaci, leggevano il latino. Guardare all’impero passato avrebbe
sempre messo sotto gli occhi del soldato romano la pochezza del presente,
fiaccandolo ancor prima di tentare qualsiasi impresa. La tradizione romana, nel
frattempo rimasta comprensibile in Oriente, era “diventata” greca,
perché i Greci (in genere, ma vi sono fortunate eccezioni) si guardarono bene
dal distinguere la loro tradizione di Traco-Illirico-Armeni, nanetti ultimi
arrivati, da quella di Roma, e se ne
appropriarono. E avvenne quel che accade quando un bambino si pone in testa il
cappello da ufficiale di un suo amico o parente. I Greci si rivestirono con le
panoplie dei nostri antenati Titani e Giganti, con effetti tragicomici, perché bastava vedere un elmo piumato che
camminava da solo per comprendere. Ma i più ignoranti fra noi, oltretutto
idolatri della Grecia, sono proprio
coloro che insegnano nelle cattedre di storia, archeologia, ecc., ciechi che
guidano altri ciechi.
Il greco, come il latino, l’ebraico e l’aramaico
dei testi biblici, non sono state mai lingue e scritture morte, in quanto i
dotti antichi fecero copie di manoscritti per le proprie biblioteche e, di
copia in copia, questi lavori sono giunti sino a Gutemberg e alla stampa, che
ne ha moltiplicato le copie. Non si è
mai interrotta la conoscenza di queste lingue né, tantomeno, di queste
scritture. La mia scoperta avrebbe
potuto e dovuto essere realizzata (diversi secoli fa) da chi viene pagato, e
lautamente, per questo, ma non ne è
capace perché nell’Università vige la mediocrazia e vengono cooptati solo
i mediocri che non facciano ombra alle teste vuote dei baroni. Il primo governo
italiano che riuscirà ad avere la piena governabilità di questo disgraziato
paese avrà la immensa responsabilità morale di cacciare queste merdacce dalle
cattedre e di affidare le medesime a chi come me ha infinitamente più
conoscenza della materia, oltretutto interdisciplinare, studiando e conoscendo,
dalle scuole medie, tutte le civiltà antiche. E’ da molto, per la verità,
che ho abbandonato l’accento sulle civiltà (un modo troppo comodo e
abbastanza cretino di studiare le antichità) mettendolo sulla storia che tratto
necessariamente sempre in modo interdisciplinare.
Abbiamo troppo studiato le civiltà. E’ giunto il momento di fare storia.
Questa scoperta è stata preparata da una vita dedicata alla
storia, da tante piccole o grandi scoperte che sono tanti schiaffi
all’incompetenza dei baroni dell’Università. Con vista retrospettiva credo che il primato
di Roma si sia affacciato alla mia ricerca con la scoperta che Omero nacque nel
Lazio (supposi da madre etrusco-romana e padre greco di Albalonga) e fu poeta di corte di Numa Pompilio e Tullo
Ostilio, poi dalla scoperta che la
tradizione romana ci era stata scippata da Greci ed Ebrei (ed Egizi), e ancora
dalla decifrazione e traduzione
dell’Apoteosi di Nebmaetra Amenofi III/Radamanto, e dall’identificazione dell’Egitto
come grande potenza (nel XVI-XIV sec.) sull’Egeo, Creta e la Grecia
(al posto dei, supposti dai baroni, Minosse e Radamanto cretesi). Intanto si affacciava alla mia mente che
dietro a tutto ciò c’era effettivamente Roma di lingua greca, e dunque
Omero era romano (a questo punto poco contava quali fossero le sue origini più
lontane), e i faraoni della fine XVII e XVIII dinastia provenivano da Roma, e
il greco s’era affermato in Grecia e aree limitrofe in quanto importato
dai Romani nella Grecia priva di
autentica cultura, quando era sotto il
dominio degli Hyksos (che gli Israeliti consideravano loro antenati).
A proposito di Hyksos/Israeliti questo lavoro era già pronto
quando decisi di approfondire i risultati
raggiunti col lavoro “La Bibbia
smascherata” (su questo stesso sito: con la scoperta che Abramo altri non era che lo stesso Minosse, visir di
Amenofi III/Radamanto, ho definitivamente compreso che tutta la tradizione
greco-giudaica prendeva le mosse dalla dominazione del visir Minosse nell’impero
sottoposto all’Egitto che a sua volta dipendeva da Roma. Dunque, ad
esempio, la vantata capacità degli Ebrei di possedere, unico o primo fra tutti
i popoli dell’antichità, una prospettiva storica, altro non era che la
loro capacità di copiare (e male) in ebraico le nostre cronache lasciate in
greco, che i Greci non erano stati capaci di conservare ma avevano utilizzato
come spunto per opere varie di carattere poetico, tragico e così via,
pervenendo poi a noi dei riassunti trattati come miti e leggende spiaggiate
dalla fonte originaria) e di analizzare in modo più preciso le due tradizioni
musita (degli israeliti discendenti di
Mosè) e aronnita (degli impostori sedicenti discendenti di Aronne), venendone
fuori il Manuale di studi veterotestamentari che pubblico su questo sito. Ora,
con le idee chiare, posso rivedere tutto alla luce della reale storia che
emerge dall’Antico Testamento.
Brevemente, di autentica storia nell’Antico Testamento
c’è la cacciata degli Hyksos dei musiti/leviti, prima stratificazione
cananea israelita/elohista. La storia dell’atonismo e del suo esito negativo (peste e xenofobia) fu
utilizzata dagli aronniti nei suoi
personaggi spaggiati in altro contesto storico non loro e nella peste che
soprattutto porta a ciò che li interessa, la xenofobia per creare un popolo
ebreo isolato da tutti gli altri, unico. Infine l’esondazione del Mar
Nero (al tempo di Noè) e l’esodo degli illirico-traco-armeni nel XIV-XIII
secolo che solo io sostengo e come seconda stratificazione ebraica dei barbari
che ricevono oracoli da una quercia (che ha poco senso stabilire sedi Jahveh o
di El/Elohim in quanto entrambi i nomi, semitico e indoario riconducono al
“Cielo”), si ubriacano e praticano sacrifici umani sulle alture
andando dietro all’arca o piuttosto al sarcofago di un loro demone della
pestilenza, della morte e della guerra (simile ad Apollo delle origini e a
Reshef), danno tutto a ferro e fuoco (olocausti), salvando le belle giovani
coscia lunga che diventano concubine o prostitute sacre (l’estasi
sessuale oltre a quella alcoolica). In età ellenistica, suppongo, si aggiungono i prostituti sacri.
Se è vero poi che tutta la storia viene incorniciata in un
quadro di civiltà araba, io al momento preferisco tenerne fuori Abramo, e anche
Ismaele, come antenati di Giacobbe/Hyksos (con cui iniziava il codice E), in
quanto i Romani/Filistei giungono in
Palestina quando espellono gli Hyksos (Abramo patriarca degli arabi andrebbe
individuato fra i nomadi che entrano in
Egitto per le carestie della fine del III millennio, ma si tratta verisimilmente
di una sua ricollocazione a posteriori da parte degli aronniti).
Con Giuda/Minosse (Abramo degli aronniti, anteposto a Giacobbe
con cui non aveva alcuna relazione),
1400 ca., visir di Tuthmosis IV e Amenofis III, Ey/Giuseppe, 1330 ca.,
visir e faraone in seguito al matrimoniu con Ankhesenaaten/Asenat la vedova di
Tutankamon, davanti ai miei occhi s’è squarciato il velo di Maia della
menzogna degli Antichi orientali secondo cui l’Oriente ha civilizzato il
mondo: Ex oriente lux. Se Roma aveva dominato intorno al 1400 di Minosse su un
impero che andava dall’estremo Occidente alla Grecia e alla Palestina, e
solo in determinate aree emergeva più facilmente questa dominazione (Grecia e
Palestina), mentre in altre una più elevata civiltà (come quella egizia) aveva
fatto sì che i Romani ne conservassero immutata la lingua esercitando il loro
dominio da dietro le quinte, ciò voleva dire che si poteva e doveva cercare
ancora più indietro per trovare sicuramente ulteriori tracce di una più antica
dominazione romana nel e intorno al Mediterraneo. Inoltre non basta qualche primato come l’inizio
dell’agricoltura e dell’allevamento o della ceramica e della
scrittura per vantare la civilizzazione se questa si riduce dalle origini a oggi a beduini succubi della
religione col turbante in testa (nella concezione mesopotamica gli uomini sono stati creati per lavorare
servire e nutrire gli dèi… cioè il clero; la religione allora come
praticamente fino ad oggi serve a sostenere sacerdoti che hanno così il tempo
di dedicarsi alla politica e agli studi riuscendo così a meglio manipolare i
loro stupidi schiavi; finirà, ma quando? Intanto l’Oriente fomenta odio e
disordini religiosi islamici), trattati dal dio della Tempesta come la sabbia
del deserto modellata in dune dai disegni sempre diversi. Come è possibile
riscontrare nel prosieguo della storia, è solo con Roma che si raggiunge un
impero il quale ha dato all’Occidente il suo primato che ancora possiede
e che certo non vorrà mai perdere per il bene di tutti. E questo quadro
combacia appunto col mio riportare alla luce il primo impero di Roma le cui
tracce a quanto è possibile vedere al momento risalgono indietro almeno al 2000 a.
C., mentre per quanto riguarda Roma Capitolina al momento non posso
risalire oltre il 1600 a.
C. Questo fu il primo impero mondiale
della storia e anche quello decisivo per la civilizzazione umana non solo
intorno al “Mare Nostrum” e
fino alle Americhe ad Occidente, ma
probabilmente fino al Golfo Persico ad Oriente. Tanto si estendeva l’impero
ancora al tempo del governatore romano su Gerusalemme, Salomone, 970 a.
C. ca., che ogni tre anni riceveva dalla flotta atlantica di Roma prodotti che
questa andava a caricare in Mesoamerica. Ora ritengo che Salomone sia stato
costruito intorno al faraone libico Sheshonk ma ciò non scalza il fatto che le
storie relative a Salomone riguardano le navi di Tarshish che devono riferirsi
a Tartesso in Spagna parte dell’impero di Atlantide.
La
tradizione narrata nella Biblioteca
storica di pseudo Apollodoro (autore tardo della Roma imperiale o forse ancora
più tardo) è in origine romana, perfino
nella lingua greca, perché, come ci
conferma il grande storico Dionisio d’Alicarnasso, non solo ci fu una
Roma prima di Roma (e addirittura una Roma ancor prima… ), ma i Romani
sono Tirreni (“popolo delle torri”, cf. gli oltre 7000 nuraghi
rimasti della Sardegna e le torri di legno di cui parla la tradizione laziale,
i toponimi Pyrgi, Pyrgo, ecc.) e parlano
greco eolico (I, 90). Da qui traiamo la
conseguenza che nel bacino orientale del Mediterraneo i Tirreni (gli Italiani)
dovrebbero essere chiamati sempre, sostanzialmente, allo stesso modo, Tirreni,
Tyrrhenoi, Tyrsenoi, ecc. Invece, per depistare, i Greci li chiamano Pelasgi,
addirittura snaturandoli (in quanto sono definiti di lingua non greca e per
estensione non indeuropea), e gli Ebrei li chiamano Filistei (anche
Beniaminiti), qui rimanendo comunque riconoscibili come Romani, perché, a
giudicare dai loro vocaboli che emergono dal testo biblico, parlano una lingua
greca o comunque indeuropea, hanno legioni di 3000 uomini guidate da
vessilliferi con copricapo a testa di lupo (lo ricavo dal fatto che Beniamino è
definito un lupo da Giacobbe/Israele), il loro matrimonio assume
l’aspetto cerimoniale del ratto delle spose, ecc. I Romani furono i primi a parlare la
lingua “greca” che introdussero nelle aree culturalmente depresse
(dove avevano regnato gli Hyksos del re, documentato storicamente, Jahqub, 1650
ca.) che rimase parlata e scritta in
Grecia e altre regioni limitrofe e perciò fu detta poi greca. Dionisio
d’Alicarnasso, tenendo presente l’opinione di antichi linguisti, ci
informa che la lingua di Roma era greco eolico (in particolare è stata notata
la presenza del digamma che si riscontra anche nell'Apoteosi di Radamanto, che
io ora attribuisco ai Romani dominatori di Creta dalla capitale iniziale Festo,
in evidente collegamento via mare con l’Egitto da cui più direttamente
dipendeva). In Oriente Roma aveva due capisaldi importanti: Tebe d’Egitto
e Troia. Dalla preminenza dell’Egitto su Creta e la Grecia
possiamo dedurre che Troia non riuscì a svolgere un ruolo analogo nel dominio
del settore nord-orientale del Mediterraneo,
a causa, evidentemente, dell’ingombrante impero ittita. Vi sono però tracce che indicano che l’interesse romano nel Mediterraneo
orientale si rivolse prima di tutto a Troia (dove indizi della tradizione,
Palladio, e archeologici, farebbero addirittura risalire la dominazione romana
al 2500 a.
C., se non addirittura alla fine del IV millennio) e probabilmente da qui, come
a testa di ponte da Roma, partì l’assalto all’impero degli Hyksos
per cacciarli prima di tutto dall’Egitto.
I
Romani furono i primi a parlare greco e ad esportarlo nel loro impero da
Occidente a Oriente, dall’Atlantide originaria verso la Troade,
l’Egitto, Creta, la Grecia,
l’Alta-Siria, dove attecchì nelle aree poi dette greche.
Ritengo impossibile sostenere (come fa
un reputato studioso) che l’ittito sia nato in Anatolia, dal momento che è una lingua
kentum, come il tocario, e come il greco! Le lingue indoeuropee hanno subito
una differenziazione fra occidentali (kentum per dire 100) e orientali (satem
per dire 100). Abbiamo qui la riprova che la civiltà occidentale,
dell’impero di Atlantide (dove la civiltà nasce, conforme alle tracce
archeologiche spagnole di Tartesso e sarde, intorno al 2000 a.
C.), arriva in Oriente dalla metà del II millennio, dopo la sconfitta degli
Hyksos, portandovi le sue varianti linguistiche. I popoli che appartengono al
gruppo linguistico germanico, Tedeschi in testa, sottolineano le affinità
dell’ittito col loro gruppo linguistico (e vedono in quella ittita una civiltà che in gran parte risente
del loro genio, specie degli originari dell’Assia) ma l’ittito ha più significativi legami
col latino e col greco (potendo essere riferito con maggiore credibilità alla
civiltà del primo impero di Roma, Atlantide, piuttosto che a dei popoli
sicuramente ancora barbari): kartis
– lat. cordis, gr. kardía; kwis – lat. quis; akuvanna – lat.
aqua; ammug, amu ug – lat. ego sum (ingl. I am; da accogliere in quanto
costoro vivevano nel versante Atlantico raggiungibile e raggiunto via mare dai
Romani). L’ittito, caratterizzato da un maggiore arcaismo tipico delle
aree marginali, fa parte dell’indeuropeo comune (Enciclopedia Universale Fabbri) elaborato
soprattutto da Roma e dal suo primo impero.
Divenendo per me sempre più remota
l’ipotesi dell’origine dell’indeuropeo dalle steppe della Russia meridionale, credo
comunque che la sua direzione primaria fu lungo il Danubio verso
Italia/Atlantide e da qui si diffuse (oltre che in Europa occidentale) dietro
alle legioni romane della prima Roma e alle loro conquiste nel Mediterraneo fino all’élite dei Mitanni in Alta
Siria. La civiltà vedica della Valle
dell’Indo trae origine dagli Arii (Romani o vassalli dei Romani) di
Mitanni.
Faccio notare che da un estremo e all’altro
dell’impero linguistico indeuropeo troviamo rex e rajah, Urano e Varuna,
i flamini romani e i bhramini indiani, i Dioscuri e gli Ashvin, Zeus,
Diòs e Dyaus, ignis “fuoco” e Agni dio del fuoco
indiano, Aurora/Eos e Usas. Mitanni (che del resto sta in piedi per poco tempo,
sostituita dagli Ittiti) è caduta come un castello di carte false perché
Mutemuia/Europa non è mitannica, bensì
italiana, come Minosse/Abramo suo parente (mentre Cadmo è un impostore
traco-illirico che in preda al vino
sacrifica a Giahvè/Dioniso esseri umani, come l’Abramo degli Hyksos/Cananei
israeliti, vedi il manuale).. Così in ballo rimangono solo i Romani di
Atlantide, che hanno dei governatori dovunque, anche a Mitanni. L’orizzonte della diffusione della
civiltà atlantidea sia verso le Americhe (e da qui oltre l’America
Centrale: passando più facilmente all’altezza dello stretto di Panama,
nel Pacifico fino all’Indonesia), che verso l’India, per quello che
appare in questo lavoro, è l’età di Amenofi III (1390-1352 a.
C.). Almeno da questo momento tutto il mondo riceve direttamente o indirettamente la civiltà del
Vecchio Continente tramite Roma. Ad
esempio è noto che le civiltà americane
si sviluppano dalle popolazioni asiatiche che hanno superato lo stretto di
Bering e sono discese dall’estremo nord fino all’estremo sud della Terra
del Fuoco. Ma poi ci sono state delle alterazioni di questo schema dovute ad
immigrazioni via mare. Io comincio a
ritenere che i Romani, almeno dalla prima metà del XIV secolo, furono
responsabili della diffusione dovunque (verso Occidente e verso Oriente) della
civiltà del Vecchio Continente (ad es. le piramidi a gradini) sia direttamente che indirettamente
(dall’America centrale all’Indonesia). Da Roma all’India
l’influsso è diretto da Occidente a Oriente, via Mitanni. La civiltà di
Harappa nel Punjab e Moenjo-Daro nel Sind, dal 2400 al 1500 circa, rimangono
mute ma in relazione con la civiltà sumero-babilonese. L’indeuropeo si
svolge in India dal 1400 ca., da
Mitanni, e dunque da parte dell’iniziativa romana,. sovrapponendosi alla
civiltà della valle dell’Indo. E’ interessante notare che i gemelli
Ashvin, del periodo vedico, cioè ario, sono ritenuti il simbolo del pianeta
Venere come stella mattutina e vespertina (devono scortare la barca, poi il carro, del Sole), esattamente come
nell’America precolombiana Xolotl,
dio cane di Quetzalcoatl,
e cioè Amenofi III/Eracle divinizzato
dopo morto come dio Sole. I miti del Perù presentano Venere nei suoi due
aspetti di stella della sera e stella del mattino sotto forma di gemelli (vol.
21 della Storia Universale Feltrinelli,
p. 243 e 208-209). Lo stesso si riscontra presso gli Olmechi del Messico dove
abbiamo la grotta, la donna-giaguaro, i gemelli, l’ascia come offerta
preminente (p. 209), ciò che rimanda anche al culto delle caverne
cretesi dove è presente la doppia ascia. Avevo già in altri lavori associato i
Dioscuri alla barca solare di Ra. Ora aggiungo che a Roma stessa Romolo e Remo
sono associati alla grotta e alla lupa nutrice. Insomma all’origine
c’è la visione astronomica-funeraria, il destino di divinizzazione e
identificazione dei re con gli dèi, prima quelli d’Italia, poi quelli
dell’impero di Atlantide, da una parte e dall’altra. Il lupo
diventa lo sciacallo egizio e dei Beniaminiti (che sono sempre Romani, ma gli Ebrei conoscono lo sciacallo non il lupo
che comunque gli è imparentato, mentre il cane è un lupo addomesticato). Nel
Disco di Festo Minosse è stato allevato a Roma o comunque in Italia, e secondo
la nostra tradizione deve essere stato allevato dalla Lupa (anche la Capra Amalthea,
al posto del lupo, rinvia a Roma, come
vedremo), come tutti i grandi. Minosse sarà andato in Grecia e Creta, mi
immagino, assai rare volte (soprattutto attraverso suoi rappresentanti), ma,
come Amenofi III, che era noto
localmente come Radamanto (e la madre di costui Mutemuia, era nota come Europa), anche il suo visir era visto localmente come un cretese a
Creta, un greco in Grecia, un Cananeo in
Palestina e così via, e perciò allattato
dalla capra Amalthea (in Siria abbiamo l’attestazione dell’allattamento
del re, e la dea madre è Anat, Athirat, Atargatis, Qadesh, Astarte, raffigurata
come dea dei gigli o dei serpenti, Paolo
Matthiae, La Storia,
vol. 1, dalla preistoria all’antico Egitto, Mondadori, pp. 449, 453-454; la Grande
dea Siria di Apoteosi mostra
un’influenza siriana su Festo e Creta che immagino risalga al
tempo della dominazione degli Hyksos, se non prima). L’associazione di
Minosse defunto con l’astro Venere che guida la barca solare su cui
viaggia Radamanto Amenofi III ci consente di affermare appunto che il visir da
vivo è stato la guida fedele del faraone e continua ad esserlo da morto e
divinizzato. Amenofi III ha voluto Giuda (Jaehud > Jhud)/Minosse, alias
Abramo degli aronniti, sepolto vicino a sé nella Valle delle Scimmie.
Il
libro I della Biblioteca storica (che
tratta delle antiche genealogie italiane nel mondo, sottratteci dai Greci) di
pseudo-Apollodoro, prima di trattare della genealogia italica di Eolo, inizia
con le genealogie degli dèi, che oggettivamente nascono in Italia/Atlantide dal
2000 a.C.
Dunque la religione occidentale fu portata con la lingua “greca” in
Grecia (e in Oriente in generale) da Roma e dall’Italia, da Atlantide!
I
Tirreni, secondo Dionisio d’Alicarnasso, furono i migliori marinai
dell’antichità: « I Pelasgi erano divenuti migliori di molti popoli nel
fare la guerra perché, vivendo tra genti bellicose, erano abituati ad imprese
rischiose ed ancor più essi erano esperti nella navigazione per aver vissuto
coi Tirreni. » (I, 25, 1, 1) A Troia VI, colonia di Roma, si parlava greco
eolico. Distinguiamo fin d’ora
nettamente i “popoli del mare” Pelasgi (che riguardano i Greci
imbroglioni, che, dicono loro, scendono
dalla Tessaglia fino a Dodona e poi da qui verso l’Adriatico e lo Ionio),
dai Tirreni del Mar Tirreno, signori dei mari, i Romani.
Alcìnoo,
re di Roma, trovandosi a Pyrgi porto di
Cere, dice a Odisseo: « questi [i marinai Italiani] il placido mare colpiranno
coi remi, finché alla patria tu arrivi, alla casa, dovunque ti è caro, anche se è molto più in là dell’isola
Eubèa, che lontanissima dice chi l’ha veduta dei nostri; là il biondo
Radàmanto a veder Tizio condussero, il figlio di Gaia. Là essi arrivarono e
senza fatica compirono il viaggio nel medesimo giorno e tornarono indietro.
E anche tu in cuore saprai quanto eccellono le navi mie e i miei uomini a
rovesciar col remo la schiuma. » (Od. VII, 319ss) La visita di Radamanto al gigante Tizio
dell’Eubea avvenne, poniamo,
intorno al 1380 a.
C. Amenofi III regnava su Tebe egizia ma
dipendeva da Roma e dai suoi celebri
marinai Tirreni, Sardi e Siculi che avevano in Italia la loro base
originaria, e dopo la vittoria sugli
Hyksos erano stanziati in basi navali
sparse ovunque nella parte orientale dell’impero. Le loro imbarcazioni
degli ultimi tempi hanno certo ispirato le navi vichinghe (l’impero aveva
anche un versante Atlantico). Gli elmi cornuti dei Sardi sono stati
adottati dai Celti. Queste
osservazioni sono importanti per
confermare l’estensione del primo impero romano.
Radamanto
è notoriamente il signore dei Beati (Campi Elisi/Italia) perché soprattutto da
qui viene e origina la sua razza. C’era un interessante passo di Odissea
difficile da comprendere fino in fondo ma che ora è chiaro come il Sole: «
Infine per te, Menelao alunno di Zeus,
non è fato morire e trovare la fine in Argo che nutre cavalli, ma nella
pianura Elisia, ai confini del mondo, ti condurranno gli eterni, dov’è il
biondo Radàmanto, e là bellissima per i mortali è la vita… sempre soffi
di Zefiro che spira sonoro manda l’Oceano a rinfrescare quegli uomini: e
questo perché hai Elena, e per i numi sei genero a Zeus. » (IV, 561ss) Vedremo
più in dettaglio che Elena (come i Dioscuri e Clitemnestra) è Romana ed è tramite lei che Menelao ha un
governatorato su Sparta. Il diritto di Menelao di risiedere da morto nei Campi
Elisi/Italia sta tutto nell’essere il marito di Elena, la vera titolare
del potere (probabilmente Creonte “Potente”, sanscrito Kreyan, fu
un equivoco; non corrispondeva ad un individuo reale, ma era il titolo della
casta dominante romana, detta anche dei Titani o Giganti, per cui i Creontidi
erano i “Potenti” o i Patrizi/Potrizi (Pater/Poter); e ancora:
*kreianes “potenti” >
koiranes “signori” >
*seranes, filisteo seranim; Creonte vive troppo a lungo per essere un
individuo reale; egli, la “casta dominante dei Potenti, dei Titani
d’Italia”, fa il tappabuchi e,
tutte le volte che a Tebe, d’Egitto, c’è un vuoto di potere,
governa, o meglio invia suoi rappresentanti per governare, soprattutto le donne
italiane che portano con sé il titolo regale).
I
Romani conquistarono l’Oriente a partire dalla sconfitta degli Hyksos
intorno al 1520 a.
C. e alla salita sul trono d’Egitto del faraone romano Ahmose (che nella
tradizione israelita può anche essere stato chiamato Mosè, trasformato da
cacciatore in guida dei cacciati) fondatore della XVIII dinastia. Ma già verso
la fine della XVII dinastia tebana abbiamo Tetisheri (Teti “la
piccola”; ho pubblicato in altri lavori foto di una sua statua creduta,
secondo me a torto, un falso) la
fondatrice intorno al 1600 a.
C. (al momento i dati archeologici non consentono Roma capitolina capitale prima del 1600 a.
C., probabilmente anche a causa dell’incompetenza di chi la sta scavando,
che si ricava dalle stupidaggini scritte sulla Roma preromulea da uno scavatore
recente o attuale; ma non c’è
dubbio che ci attendono sorprese da questo versante, in quanto Atlantide della
tradizione è nettamente legata a Roma
fin dalla nascita di questa civiltà: 2000 a.
C. almeno; mi domando se la natura di
alcuni o tutti i sette colli di Roma sia
per caso artificiale, e ancora, si dovrebbero individuare con la
fotografia aerea gli antichi bacini di carenaggio delle navi assai entroterra;
insomma se Atlantide è esistita, ed è esistita, le tracce della sua capitale
devono spuntar fuori) della potenza navale di Roma capitale di Haunebu/Ausonia,
che metteva in campo diecimila carri e
milleduecento navi (Platone, Crizia). Teti era una delle Titanidi. I Titani erano visti e perciò si vedevano come
dèi o superuomini. Per dare un’idea, i Nordamericani di oggi, Con tutti i
loro difetti restano di gran lunga i
migliori, dei Titani, senza i quali il mondo sarebbe molto peggiore. I Titani e
Atlantidi, i primi Romani, erano animati
da uno spirito avventuroso e cavalleresco che rappresentò il migliore Medioevo
ante litteram. I signori vivono in castelli turriti, i nuraghi conservati dalla
Sardegna (e perciò son detti Tirreni, in
quanto costruttori di torri), e curano il galateo e modi di vita
raffinati, si dilettano di corse di
quadrighe, tornei di cavalieri, cantori di corte e tutta una serie di
intrattenimenti costituiti da suonatrici, danzatrici, giocolieri, acrobati,
ecc., per soddisfare il corpo e lo spirito. Secondo il loro ultimo poeta,
Omero:
« Corriamo veloci e siamo a navigare eccellenti. E
sempre il festino c’è caro, la cetra, la danza, vesti mutate, e bagni
caldi, e l’amore. » (Od. VIII, 247ss) « eccelliamo su tutti
nell’arte navale e alla corsa,
nella danza e nel canto. » (Od. VIII,
252ss) Fu questa certo la famosa età dell’oro che gli antichi
ricordano con nostalgia, quando i faraoni romani sedevano sul trono di Tebe
egizia dalle cento porte e su quello di Troia fondata da Posidone.
Teti
aveva culto oracolare a Cere (dove era stanziata una guarnigione di marinai e
soldati Sardi), città sottomessa a Roma fino al tempo del re Tarquinio il
Superbo e da cui dipendeva il porto di Pyrgi (che spesso i predoni greci
attaccavano per razziarne i tesori ma soprattutto , io credo, per distruggerne
gli archivi, in quanto era una delle
memorie storiche del primo impero di Roma). Dunque coi Titani la civiltà
di Atlantide ebbe la sua celebre età dell’oro connessa con Saturno/Crono,
per cui l’Italia veniva anche detta Saturnia tellus. Tutta la civiltà di
cui i Greci si appropriarono era la nostra in Italia ed esportata dalle nostre
legioni in Oriente, Grecia compresa. Dopo la prima guerra mondiale contro gli
Hyksos dominammo sui principali centri orientali, Tebe d’Egitto, Troia, Festo, Cnosso, Micene, Biblo, avendo contatti
politico-commerciali coi paesi del Golfo Persico. Poi, coll’inizio della
XIX dinastia (adoratrice di Seth e dunque connessa col cosiddetto ritorno degli
Eraclidi/Hyksos) Egizi e Ittiti si coalizzarono e ci impedirono il passaggio
dal Mediterraneo ai nostri partners nel Golfo Persico. In questa fase finale si
distinsero i figli degli dèi, dei Titani, gli eroi dell’età del ferro, i
Giganti come Achille o Golia (vengono rappresentati come giganteschi per
rafforzare il significato del nome, che li classifica come
appartenenti alle classi alte; analogamente i Titani, sono raffigurati
giganteschi di statura; all’opposto di com’erano
rappresentati, Romani Sardi e Siculi erano dei bassotti). I Romani, con la seconda
guerra mondiale, perseguirono la distruzione dell’Egitto e di Hatti
(riuscendovi, perché da allora, sotto Ramses III, gli Egizi non si
ripresero più e gli Ittiti sparirono
addirittura dalla storia) a costo della
stessa propria distruzione,
tramandata sotto forma di guerra e falò di Troia o anche affondamento dell’impero di Atlantide,
un affondamento metaforico, dovuto soprattutto al furto della nostra tradizione
da parte dei Greci (e in misura minore degli Ebrei ed Egizi). Ma in realtà Roma
guidò il mondo tanto nell’età dell’oro (in realtà del bronzo) che
in quella del ferro (1 Samuele 13, 19-219).
Nell’età del bronzo e del ferro sul primo impero di Roma
non tramontava mai il Sole. Ancora al tempo di Salomone (970 a.
C.; prendiamo la tradizione come in qualche modo valida ma per descrivere
Atlantide), governatore romano su Gerusalemme, l’impero atlantideo andava
dalle Americhe fino al probabilmente di nuovo raggiunto Golfo Persico (dopo la
riconquista del passaggio via terra in seguito alla vittoria di Roma ad Afèq, 1150 a.
C., sui popoli della Siria-Palestina, dopo la messa a tacere di Egitto e
Hatti).
Roma
fu sempre leader, tanto nell’età dell’oro (del bronzo) che in
quella del ferro, che comportò il passaggio dalla civiltà antica,
piramidale, con il sacerdote sumerico (vice del dio) in cima alla ziqqurat,
latifondista, schiavista, vivente a carico della massa lavoratrice, con
scritture per pochi eletti, con migliaia di segni, a quella moderna,
mercantile, assembleare, che introduce dapprima la scrittura sillabica con
circa un centinaio di segni (Disco di Festo, Lineare B) e poi l’alfabeto.
Il Romano Omero (acme VII sec.) fu
l’ultimo nostro cantore, nella nostra lingua “greca”, di
questa rivoluzione, di questa età assiale della storia mondiale.
Sostengo che fu la grande e immensa Roma a traghettare l’umanità nel
mondo moderno, occidentale, della libertà e della democrazia (e fu il
cristianesimo di matrice giudaico-persiana a ripiombarla in una rinnovata età
piramidale schiavista in cui il sacerdote vive alle spalle del popolo ignorante
e succube della religione: il buio della ragione genera mostri).
Romolo
non inventò nulla, bensì continuò, da tiranno, la civiltà della prima Roma che aveva inventato già tutto o quasi. Ad
esempio, Amenofi III/Radamanto (1390-1352), vien detto nell’Apoteosi:
“esperto del diritto pubblico e privato”. Le legioni Romane di 3000
guerrieri (lo si ricava dalle milizie del generale romano Saul, che milita
originariamente fra i “Filistei”) e in proporzione di 300 carri con
le ruote cerchiate di ferro, guidate da vessilliferi con in capo una testa di
lupo (lo si ricava dall’emblema dei Beniaminiti, i guerrieri per
antonomasia di Saul), hanno calpestato quasi ogni centimetro del mondo antico,
ma appunto per questo amano la pace (si vis pax para bellum) e, appunto per
questo, perché sono veri uomini, tengono la donna sul palmo della mano
destra, ciò che li oppone profondamente all’Oriente (Egitto
escluso, finché fece parte integrante di Roma dalla fine della XVII e tutta la XVIII
dinastia), dove la donna è trattata come un oggetto, comprata dal marito in
cambio di qualche capo di bestiame e chiusa nel gineceo. Fu a
Roma Capitolina che nacque la poesia curtense (da corte signorile,
castello) che celebrava la donna,
oggetto dell’amore dei nobili cavalieri. Non era però la donna fragile, perfino
anoressica, spirituale (alla Beatrice di
Dante), quella cui era rivolto l’interesse primario dei primi Romani. Essi preferirono la donna che per il suo fisico
atletico ed il suo carattere forte riusciva a tenergli testa, la donna capace
di dividere con loro la guerra e il
comando, oltre che il letto, come le Amazzoni “libiche”, e cioè le
regine italiche sul trono di Tebe,
Tetisheri, Ahhotep, Mutemuia/Europa, fino ad
Atalanta (che uccise il Cinghiale di Calidone/Roma e partecipò alla
spedizione degli Argonauti partita da Pyrgi/Roma), a Deianira (che amava
guidare il carro e si esercitava nelle attività guerresche, Apollodoro I, 8)
figlia di Eneo di Calidone/Roma e di Altea figlia di Testio (in loco era
l’Acheloo/Tevere dal cui corno deriva la cornucopia connessa con il corno
della capra Amalthea, che dunque nutriva i re di Roma, Apollodoro II, 7), Arete
e la stessa Nausicaa. Negli stessi affreschi tombali di Tarquinia
degli Etruschi eredi bastardi dei Tirreni, la donna ci appare ancora libera
e alla pari dell’uomo. Omero così
ci presenta Arete, capace di trattare a tu per tu con suo marito (e zio
paterno) Alcìnoo di Pyrgi, che « l’onorò, come nessuna sulla terra è
onorata, fra quante donne reggono ora una casa, sottomesse al marito, tanto di
cuore è stata onorata ed è ancora dai figli suoi, da Alcìnoo medesimo, e dal
suo popolo, che, come un nume guardandola, con saluti l’accoglie
quando passa in città. Né certo manca di nobile senno, e a quelli che ama,
anche ai principi, appiana contese. Se lei, dunque, è ben disposta
nell’animo, allora spera di rivedere gli amici e tornare all’alta
casa e alla terra dei padri. » (Od. VII, 67ss)
Mentre combattevamo per
ricreare l’impero (secondo impero romano, da Romolo in poi), e non
avevamo tempo per leggere e oltretutto avevamo una nuova lingua (il latino)
dovuta certo all’immigrazione massiccia dei Sabini dagli Appennini, i Greci, che ci avevano portato via parte del
primo impero (con la colonizzazione greca),
se ne erano appropriati anche la
tradizione relativa. Sono stato capace
di ricostruire come stavano le cose, ma un ulteriore criterio per capire
che siamo stati derubati è il seguente, semplice semplice. Il suolo conserva la
tradizione. Historia non facit saltus, la storia è un flusso di vita continuo
nel tempo, senza soluzione di continuità. Dall’età dei primi nuraghi,
delle prime torri, dei primi castellacci “medievali”, in Italia
costruiamo edifici, fontane, statue,
qualsiasi cosa, e gli diamo nomi tradizionali. La vita continua, impercettibilmente cambiano gli usi e
costumi, ma evolvendosi il nuovo dal vecchio, per cui dal 2000 a.
C. a oggi è tutto un flusso continuo di vita cristallizzata in parole e manufatti
che parlano e ci raccontano chi siamo e da dove veniamo. E’ un controllo da farsi semplice
semplice, e lo potrebbe fare anche un bambino, anche un analfabeta. Se tutte le
cose di cui parliamo stanno in Italia e specialmente a Roma, o invece, come
dicono i Greci, in Etolia o in qualsiasi altra regione della Grecia. Io
sostengo l’ignoranza abissale degli pseudo esperti di opere d’arte
antica, archeologi, etruscologi, romanisti, grecisti, ecc.,
laureati alla… “bocconi!” Non si sono evidentemente mai chiesti come mai di Ino Leucothea
(gettatasi nelle acque di Pyrgi/Santa Marinella, insieme al figlio
Melicerte/Palemone, divenendo Leucothea protettrice dei naviganti e
Palemone protettore dei porti); Argonauti; Dioscuri (apparizione
alla battaglia del lago Regillo, Roma; Tinasclenar su kylix attica da Tarquinia
del 500 a.
C. e i Dioscuri su lamina di
bronzo coeva dai tredici altari di Lavinio/Pratica di Mare); Tideo (frontone
fittile del tempio A, 480-470 a.
C., di Pyrgi); Bellerofonte/Pegaso > Cavalli alati (Ara della
Regina, Tarquinia); Bellerofonte > Chimera (Arezzo); Sisifo (iscr.
etrusca da Tarquinia); Acheloo
(raffigurazione del Tevere/Vertumno il
“Mutevole” al Museo Nazionale di Tarquinia) … si trova tutto
e solo in Italia, in area tirrenica ereditata dagli Etruschi, preferibilmente a
Roma (fontane dei Tritoni/Tevere, cf. la
palude del lago Tritonide, cioè il Tirreno dopo lo sfondamento oceanico delle
Colonne d’Eracle, che verisimilmente si chiamavano prima Colonne di
Atlante). E poi, quanto ai prodotti
della presunta arte ceramografica greca (ed altro) che si suppone importata
dalla Grecia dai (solamente) “ricchi” Etruschi in Italia, siamo
proprio sicuri che i Romani, che avevano
un Omero, non fossero essi stessi (e perfino gli Etruschi) autori di questa
arte in buona parte attribuita semplicisticamente ai Greci? L’arte greca contemporanea alla nostra più antica è
geometrica e le figure umane e animali rimangono
rigide e impalate anche in seguito, come quelle della produzione attica. L’arte greca non ha anima, a differenza della nostra, che
ha addirittura il fuoco sacro di Efesto dentro.
La
Chimera d’Arezzo
Noi Italiani siamo da sempre noti come popolo di
navigatori, esploratori, poeti, musicisti, grandi amatori, e non ricordo
quant’altro. Questi tratti caratteristici tradizionali possiamo definirli
eterni, costituendo il genio della nazione. Il fatto che l’Italia sia
stata invasa e popolata anche da numerose genti straniere ha potuto modificare
marginalmente il sangue, mentre ciò che conta è la lingua veicolo della
cultura, rimasta sostanzialmente la
stessa (con una logica evoluzione nel tempo), e così gli usi e costumi, le
tradizioni, di cui appunto è custode il suolo. E’ la cultura locale
trasmessa dalla lingua locale che fa una nazione (che trasforma ad esempio in
Italiani gli immigrati africani,
asiatici, ecc., che ne apprendano la lingua e attraverso questa gli usi e
costumi; mentre al contrario larghi strati di italiani analfabeti o quasi si
emarginano dalla nostra civiltà storpiando la lingua e parlando volgari
dialetti), tanto più che la lingua si impone sul suolo e ne trasmette la
tradizione.
Dunque,
al contrario di ciò che ci hanno propalato gli antichi, E? a?at???? t?
f??, con la passiva complicità degli
imbecilli che siedono sulle cattedre universitarie a leggere il giornale dello
sport e a fare i cruciverba, io comincio ad affermare:
E Roma lux
La
Lupa Capitolina
Sono il migliore, ed è per questo che, in
un’Italia marcia e putrida, ancora non ho l’istituto di ricerca o
la cattedra cui da tempo ho diritto nel vuoto abissale che mi circonda. I
baroni dell’Università sono il frutto dell’Italia incompetente e
parassita da rottamare. Speriamo sia giunta l’ora del rendimento di
giustizia. Tutti affermano che
l’Università è piena di mediocri che selezionano solo mediocri.
Dunque mandateli a casa! Per intanto, in
ogni caso, scrivo tutto io perché la loro incompetenza abissale mi lascia
libero il campo, da sempre.
Quando alla metà del III millennio a. C. venivano
costruite le piramidi di Kufu, Kafra, Menkaura, e la Sfinge
di Giza, monumenti alla grandezza dell’Oriente e alla sua civiltà che
come Ra illumina il mondo da Oriente a Occidente, gli Orientali non
immaginavano affatto che
all’estremo opposto del Mediterraneo era già sorta o stava per
nascere una civiltà che li avrebbe sopraffatti e dominati dalla metà del II
millennio per più di cinque secoli. Per adesso si tratta solo di ciò che mi
suggerisce il mio naso, ma credo che le tombe anatoliche datate al 2500 a.
C. con cani sepolti a guardia del padrone defunto, scettri sormontati dal
globo, prove della lavorazione del ferro, e con spada raffigurante 17 navi
assai più capaci di navigare l’Oceano della nave solare di Cheope, appartengano a signori del mare Romani di Atlantide nella fase espansiva che
mira a consolidare il potere del presidio di Troia, il primo in Oriente. Queste
navi oceaniche rimandano subito a Tartesso da cui i Romani raggiungevano dunque
già o erano prossimi a raggiungere la Mesoamerica. L’ambra
rinvia al Baltico da cui solo proviene, il fregio in oro col nome del faraone
Sahura, 2500 a.
C. e l’avorio all’Egitto e all’Africa. Ad Atlantide vivevano
degli elefanti, cosa che si spiega facilmente con la contiguità
dell’Italia all’Africa nella teoria della deriva dei continenti ma
anche con l’importazione dall’Africa di un animale esotico
oltretutto capace di trasportare tronchi d’albero. In queste tombe sono
menzionati una gran varietà di metalli, e particolari come l’elettro, che
mi pare di sentir parlare dell’impero di Atlantide nella sua già avvenuta
espansione anche in Oriente. Notare bene
che questi stranieri palesemente immigrati non possono avere nulla a che fare
con gli Ittiti, che appaiono alla storia solo a partire dal 1700 ca., quasi
mille anni dopo, ed erano terragni. Se
un giorno si potranno riferire a Roma questi immigrati, allora si potrà avere
realmente l’idea di cosa fosse l’impero di Atlantide e sostenere a piena ragione: e Roma lux. Sarà meglio provata la tradizione secondo
cui Roma fondò Troia (vedi Palladio, di cui parlerò a tempo debito).
Disgraziatamente al momento non riscontro significative tracce archeologiche di
Atlantide (a Tartesso, in Sardegna o a Roma) databili al 2500 a.
C.
I
prodromi della civiltà della prima Roma
sono prima di tutto il disgelo seguito all’ultima glaciazione
intorno al 10000 a.
C. Recenti datazioni al radiocarbonio
rilevate nel Mar Nero ci dicono che intorno al 5600 a.
C. il Mediterraneo si riversò nel Mar Nero (teoria di Ryan e Pitman;
avvalorata da Diodoro Siculo, Biblioteca
storica, libro V), che prima era un lago d’acqua dolce, uccidendone di colpo
tutte le specie marine viventi e rendendolo un mare morto (il Mar Morto nacque
verisimilmente nella stessa occasione). Fu dunque probabilmente intorno a
questa data che anche le acque dell’Oceano, innalzatesi in seguito allo
scioglimento dei ghiacciai polari, fecero pressione nel bacino occidentale del
Mediterraneo, sfondando l’intercapedine di terra che sarebbe quindi diventata lo stretto di
Gibilterra (colonne di Atlante): « Si dice anche che la palude Tritonide
scomparve, perché vi erano stati dei terremoti,
quando si ruppero le sue sponde sull’Oceano. » Ovviamente prima dello sfondamento dell’Oceano, il
bacino occidentale del Mediterraneo era chiamato secondo Diodoro Siculo « palude Tritonide » (III, 53). Da qui
sicuramente anche l’affine testo platonico relativo
all’”affondamento” di Atlantide: « perciò anche adesso quella
parte di mare è impraticabile e
inesplorata poiché lo impedisce l’enorme deposito di fango… » La
verità è che per tacere che stavano
parlando dell’Italia e di Roma questi Greci hanno accumulato sciocchezze
su sciocchezze, dato che i Fenici e i Greci al tempo di Solone e di Platone
navigavano anche oltre le Colonne senza trovare acque impraticabili. Non avendo
aggiornato, per lo più dolosamente, l’informazione di età egizia antica
con la realtà è ovvio che hanno propalato assurdità. Lo sfondamento
dell’intercapedine, Colonne d’Eracle, ha certamente sconvolto il
bacino occidentale del Mediterraneo creando la palude Tritonide (ma questo
avveniva 5600 anni a. C.!), qualcosa di analogo alla palude Meotide (Mar
d’Azov) di Erodoto, ma è certo che le acque tornarono navigabili molto
prima del tempo di Solone e Platone e delle navigazioni greche nel
Tirreno. Al centro dell’ex palude
Tritonide c’era adesso una Penisola (in greco Chersoneso, che la
tradizione greca! confonde assurdamente col nome della città capitale, che è
Roma, ma non ce lo vuole dire), che veniva chiamata Esperia (la terra al calare
del Sole, altro nome dell’Italia). Ovvio che la palude Tritonide venisse
così chiamata dal fiume che vi si riversava, il Tevere. Il Tevere era chiamato
localmente anche Vertumno (Volturno è
stato nome antico del Tevere conservato nell’odierno Volturno campano),
cioè “il Mutevole”, Acheloo, Proteo, Posidone Uranio, che gli
antichi descrivono anche come un Tritone. Tritone è una figura frequente nelle
fontane di Roma. Voglio sottolineare qui ancora che il suolo prevale su qualsiasi nuovo
occupante, nel senso che in genere si parla la lingua del suolo, si perpetua la
tradizione del suolo. Se in Italia, se a Roma, si riscontra il massimo della
tradizione di cui qui discutiamo c’è la riprova che tutto proviene da
qui. E' evidente che il Tevere è stato presto risalito fino al guado
all’altezza dell'isola Tiberina, posizione strategica per un mercato.
Questo mercato era il capolinea della via pelasgica che attraversava
l'Appennino e seguiva fino alla foce il corso del Tevere. Roma era anche il capolinea della via Argonautica fino a Troia e al Mar Nero ad
Est e di quella Eraclea ad Ovest fino a Tartesso e alle Colonne. Tutte le
strade portavano a Roma anche nel II millennio a. C.
In nero la
terra sprofondata per il disgelo dal 10000 a
oggi in base a Shackleton e van Andeln. Non c’è spazio per nessuna
Atlantide. Erano due le vie di passaggio attraverso il Mediterraneo, lo stretto
di Messina (Scilla e Cariddi) e il Canale di Sicilia (Plancte/Rupi erranti), e
quest’ultimo solo gli Argonauti/Tirreni erano stati capaci di superarlo
indenni secondo Circe di Colchide in Od. XII, 70ss; secondo Dionisio
d’Alicarnasso « I Pelasgi erano divenuti migliori di molti popoli nel
fare la guerra perché, vivendo tra genti bellicose, erano abituati ad imprese rischiose
ed ancor più essi erano esperti nella navigazione per aver vissuto coi Tirreni.
» (I, 25, 1, 1) I Tirreni erano i più grandi navigatori del mondo.
I
Greci avevano da tempo deciso di rubarci anche la nostra storia, dopo che gli
avevamo dato la lingua e la civiltà, e così, di depistaggio in depistaggio, la
nostra terra, che aveva dato la civiltà a tutti, finì con l’essere
attribuita… alle Amazzoni
libiche, « completamente scomparse molte generazioni prima della guerra di
Troia » (Diodoro III, 52). Queste… Amazzoni… « fondarono una città
grande [Roma ovviamente], all’interno della palude Tritonide…
Movendosi da questa, RIUSCIRONO A (INVECE DI: tentarono di) realizzare grandi
piani, còlte dalla bramosia di invadere molte parti del mondo abitato. » (III,
53-54) La città grande è senza dubbio Roma Capitolina come possiamo verificare confrontando con la
tradizione di Atlantide in Platone. La capitale di Atlantide (Crizia) era
costruita su un COLLE (il Campidoglio; Crizia
parla di « monte (sic!), di modeste dimensioni da ogni lato (sic!) »)
… « vicino al mare ma nella parte centrale dell’intera
[pen]isola… [al centro di] una pianura che si dice fosse di tutte la più
bella e garanzia di prosperità (la pianura laziale) ». Immaginatevi la
forma geometrica di un’isola la cui capitale sia al centro
dell’sola e nello stesso tempo vicino al mare. O l’isola è
minuscola, oppure (se si tratta di Atlantide, e Platone sta descrivendo
Atlantide!), deve avere una forma oblunga come l’Italia, che a proposito
delle “isole sacre dei Tirreni” di Esiodo ebbi già ad osservare che
doveva essere considerata dagli antichi, sia pure impropriamente,
un’isola. Dall’Enciclopedia Universale Fabbri: Roma è «
situata quasi al centro fisico della penisola, a poco più di 20 km
dalla costa tirrenica e nel mezzo di un’ampia pianura ondulata, la Campagna
romana. » Crizia dice a
circa 50 stadi dal mare, ma da allora ad oggi com’è evidente il mare
s’è allontanato dalla città a causa del Tevere che ha trasportato sabbia
sul mare. Il nome Roma o Ruma significa “Colle”, come si evince dai
testi biblici che parlano di Rama (anche Ruma), la Roma
costruita dai Romani a circa 10 km
a N di Gerusalemme. Sono il primo fra antichi e moderni ad aver compreso il nesso fra la penisola di
Esperia delle Amazzoni e Atlantide con l’Italia e con Roma.
Immaginiamoci
adesso l’impressione che questo cataclisma fece nelle coscienze dei
nostri primitivi antenati di 7600 anni fa e che fu rispecchiata nella loro
tradizione più o meno religiosa. A dire il vero credo che sia difficile trovare
un popolo meno religioso dei primi Romani, come rispecchia l’ateo Omero,
poeta dell’ateo Tullo Ostilio. In quei giorni memorabili era avvenuto uno
scontro fra Titani, così che c’era stato un momento in cui terra cielo e
mare s’erano precipitati
l’uno contro l’altro e rimescolati brutalmente come in una nuova
creazione del mondo. La Terra,
Gea, si sarebbe detto poi, era stata
violentata dal mare, dall’Oceano, (e dal cielo, da Urano; probabilmente
questo fu sostituito all’Oceano dai Traci invasori della Grecia da cui
abbiamo la tradizione depistata), il tutto accompagnato da un rombo assordante,
come se tutte le potenze infernali fossero ad un tratto uscite fuori dal
Tartaro. Ovvio che l’antica tradizione romana in lingua greca, perché i
primi Romani parlavano greco eolico, come ci dice Dionisio d’Alicarnasso,
aveva personificato le forze scatenate
della natura nei tre Centimani con appunto cento braccia e cinquanta teste
ciascuno o nei tre Ciclopi con un solo occhio in mezzo alla fronte (collocati
in Sicilia). Nel III millennio a.
C. l’Italia era probabilmente come
un enorme drago adagiato nel mare, scosso da terremoti e maremoti, ed eruttante fiamme dai Castelli Romani (dove
sono nato) alla Sicilia, e proprio qui sarebbe nato un giorno il mirabile
artefice Efesto, precursore dei
Benvenuto Cellini e, in quanto inventore, dei Leonardo da Vinci.
Abbiamo
detto che il Mediterraneo assunse la sua forma attuale dopo il 5600 a.
C. E’ una data assai verosimile in
quanto nel V millennio due civiltà sorgono presso l’Italia dalle quali questa deve aver ricevuto
importante linfa, le civiltà del Tassili (“Amazzoni libiche”)
e di Malta.
Malta è a due passi dalla “Libia” e dalla Sicilia.
I circa trenta templi dell’arcipelago maltese (le facciate sono
decorate con corna di toro) derivano
dalle sepolture collettive ipogee attestate dalla fine del V millennio.
Appartengono evidentemente ad una civiltà evoluta, la più evoluta del
Mediterraneo (prima delle piramidi d’Egitto, che risalgono al 2500 a.
C. ca.). Gli edifici templari erano circondati da un possente muro a forma di D
e potevano raggiungere i 9 metri
d’altezza. Gli interni erano intonacati e dipinti anche con rilievi
geometrici e figure animali. Sono state rinvenute statue votive, come la dea
obesa dormiente con gonna scampanata sul letto dell’ipogeo di Hal
Saflieni, probabile prefigurazione del “risveglio” dopo il sonno
della morte. Si nota il motivo decorativo a spirale che richiama la spirale del
Disco di Festo e conferma il suo carattere funerario connesso alla resurrezione
garantita dalla Grande Madre. Si ritiene che i costruttori provengano dalla
Sicilia (altra isola di Atlantide). Se
fosse vero potrebbe trattarsi di un argomento a favore della maggiore antichità
della civiltà di Atlantide. Sempre al V millennio risalgono le pitture rupestri del Tassili, Sahara
algerino.
I primi dèi (della civiltà occidentale) furono Romani. Abbiamo
le prime tracce della nostra civiltà del primo impero in Biblioteca I, 1 di
pseudo Apollodoro. Facendo il parallelo con Genesi, dove gli antenati
degli uomini attuali (dopo il diluvio di Noè del XIII secolo a. C. respinto
indietro nel tempo immemorabile secondo una tecnica menzognera di cui Greci ed
Ebrei “Aronniti” sono esperti) sono Sem (Asia) Cam (Egitto) e
Giafet, è evidente che il titano Giapeto, ad una prima approssimazione,
rappresenta l’Europa. (L’indeuropeo proviene proprio da Occidente)
Un altro titano è Oceano (Atlantico), di cui abbiamo detto. Un altro ancora è Crono,
l’ultimo nato, che diventa il re di tutti. Gea la terra, sua madre, gli
regala una falce d’acciaio (per evirare Urano) e cioè il ferro di cui i
Romani avevano il monopolio. Il primo sposo di Asenat/Ankhesenaaten,
Tutankhamon, faraone di discendenza romana, aveva un pugnale con lama in ferro,
e in ferro era la lama di una delle spade di Dorak presso Troia, città fondata
da Roma secondo la tradizione del Palladio (Troia risale a circa il 3100 a.
C. ed è dunque tanto antica quanto Memfi, anche la cui fondazione sarebbe
attribuita a noi dalla tradizione “greca”), e che molto
probabilmente servì da base navale (cf. l’altra spada di Dorak con 17
navi disegnate sulla lama) per la conquista dell’impero degli Hyksos alla
metà del II millennio. Crono era Saturno e Saturnia fu uno degli antichi nomi
dell’Italia, Saturnia tellus. Il regno di Saturno (dalle Americhe a
Troia al Caspio, al Golfo Persico)
rimase noto come età dell’oro. Hera nell’Iliade dice di voler
andare a trovare i suoi genitori (Crono e Rhea) agli estremi confini del mondo,
dove è Giapeto (antenato degli ariani), ovviamente ad Occidente. Hera è la
protettrice del viaggio degli Argonauti che parte da Pyrgi, porto di Cere,
città soggetta a Roma, ed è anche la protettrice di Troia dagli assalti pirateschi
di Eracle, e non a caso viene perciò punita da Zeus giahveista che la tiene
sospesa nel vuoto sulla cima dell’Olimpo. Anche Efesto, il mirabile
fabbro, sta dalla stessa parte di Hera, dalla parte di Roma. E’ lui,
nell’Iliade, costruttore di automi, una specie di Leonardo da Vinci ante
litteram, l’artefice delle
meraviglie che si trovano nel palazzo di Alcìnoo re di Roma che accoglie Odisseo nella sua residenza di Pyrgi,
Santa Marinella.
I Titani sono nell’ordine: Oceano, Ceo, Iperione, Crio,
Giapeto e Saturno. Le loro sorelle Titanidi: Teti, Rhea, Themis, Mnemosyne,
Febe, Dione, Thia. Sospetto che alcuni nomi siano stati inseriti in età
djahveista e dunque non li considererò, almeno per il momento. Iperione e Thia
ebbero Eos (Aurora), Elios (Sole) e Selene (Luna). Ceo e Febe generano Asteria e Leto. Asteria per sfuggire
a Zeus (dio djahveista, cioè barbaro dell’Illiria-Tracia e Armenia) si
trasforma nell’isola di Ortigia. Leto partorisce Artemide, la quale
(facendo da levatrice, da Artemide Ilizia) l’aiuta a partorire anche
Apollo. Ma Artemide sarebbe nata a Ortigia (Inno omerico ad Apollo), che va
distinta da Delo. Ortigia si trovava
vicino alla Sicilia, come dice l’oracolo di Delfi: « Da qualche parte,
nel campo nebbioso del mare, là dov’è Ortigia, vicino a
Trinacria/Sicilia, la bocca schiumosa di Alfeo si mescola con la fonte
zampillante di Aretusa. » Tutti questi elementi legano l’origine di
Artemide all’Italia (la Sicilia
fa parte delle isole sacre) prima ancora che a Delo, che dunque è una successiva
fondazione romana in Oriente. Il tutto è fondamentale perché
nell’Apoteosi di Radamanto Artemide Delia (di Ortigia) è centrale.
E’ nutrice di Minosse che, come sappiamo, è connesso con la Sicilia,
dove morì a Camico. Se teniamo conto che secondo alcuni proprio dalla Sicilia
provengono i fondatori della civiltà maltese (V millennio) la cosa si fa
interessante. Gli Iperborei devono essere ancora gli Italiani quando sono ormai tanto depistati che i Greci
non riescono più a raccapezzarcisi con le loro menzogne, loro che adorano il
dio della menzogna Djahvè/Zeus.
L’Eridano è il Po, dove Fetonte cadde per essersi
avvicinato troppo al Sole, che è Apollo. E Apollo si divideva appunto fra
Delphi e gli Iperborei/Italiani. Arge e
Opi avevano accompagnato Leto al tempo
del parto, ovviamente dal paese degli Iperborei fino a Delo. Sono i Deli a
narrare le notizie più sostanziose sul conto degli Iperborei, dice Erodoto.
Perché, mi chiedo, le offerte degli Iperborei devono arrivare nelle mani degli
Sciti e poi dagli Sciti di gente in gente
passano fino a giungere nel lontanissimo Occidente, fino
all’Adriatico, per poi arrivare a Dodona, all’Eubea, a Caristo, a
Teno, a Delo (circumnavigando la Grecia
da Occidente a Oriente in senso antiorario)? Credendo a questa narrazione, dato
che gli Iperborei si troverebbero a
nord del Mar Nero, sarebbe sciocco fare tutto questo passaggio e non viceversa
quello più breve che passa da Oriente e scende fino alle Cicladi e a Delo. Io
credo invece che ci troviamo di fronte alla solita falsa pista degli invidiosi
Greci, che sposta all’Adriatico (dei barbari Traco/Illiri) il nostro
Tirreno. La riprova è che: « Degli Iperborei non discorrono né gli Sciti négli
abitanti di questo continente, se non gli Issedoni. Ma io credo che anch’essi non dicano
niente, altrimenti ne parlerebbero pure gli Sciti, come parlano degli uomini
con un occhio solo. » (Erodoto,
4,32) E’ da Roma, dal Tirreno, che partono le offerte per Delo, e che
logicamente passano da Dodona in poi. E’ a Roma che Apollo passa sei mesi
dell’anno. Dobbiamo escludere
tutta la tradizione dalla nascita di Zeus a Creta in poi, perché qui la materia
è evidentemente più manipolata dai Greci (Creta fu invasa e occupata dai
Romani, ellenofoni, ricordiamolo, alla metà del II millennio, mentre
Zeus/Giahvè arriva a Creta dal XIII secolo, qui collocato perché non dia troppo
nell’occhio la sua usurpazione del pantheon romano, essendo Creta il
luogo più periferico della regione ellenofona). Poi riprendiamo da Biblioteca
I, 2, dove si parla della discendenza dei Titani. Da Oceano e Teti (in cui vedo Teti la
piccola, egizio Tetisheri, fondatrice della XVII dinastia tebana, 1600 a.
C.) nascono le Oceanine (così si dovrebbero chiamare perché prossime
all’Oceano, invece di Nereidi; Nereidi è tardo e deriva dalla dominazione
romana, più tarda, della Naharina/Mitanni, da un depistaggio, dunque, ma che è
connesso coi barbari d’intorno al Mar Nero, veneratori di Jahveh e
praticanti i sacrifici umani), fra cui Asia (che ovviamente aveva altro nome). Da
Giapeto e “Asia” nascono Atlante (da cui Atlantide/Italia) e
Prometeo. Prometeo ha Deucalione che viene spostato a Ftia in Tessaglia. Da qui
vengono i giahveisti (Giahvè/Zeus, Dioniso) traco-illirici barbari e
distruttori della civiltà dei Tirreni. Oltretutto Prometeo viene spostato nel
Caucaso/Eden per depistare Atlantide/Italia che così viene collocata a Mitanni.
Il Diluvio di questo Deucalione/Noè, che
i Greci/Traci hanno in comune con gli Ebrei/Traci, è in realtà l’ultimo
della serie, quello di Dardano, Mar Nero (XIII sec.), preceduto da quello di Ogigia/Sardegna (XVI sec.; prima eruzione
del Thera sotto Ahmose), e di Deucalione figlio di Minosse (XIV sec.; seconda
eruzione del Thera alla fine del regno di Ekhnaton). Era generò Efesto senza alcuna unione
sessuale. Zeus lo scagliò giù dal cielo quando cercò di aiutare Era incatenata
da Zeus perché aveva osato scatenare una tempesta contro Eracle (l’eroe
dei Dori giahveisti) che navigava alla volta di Troia dei Tirreni. Efesto
precipitò sull’isola di Lemno e rimase sciancato ma Teti lo salvò. Dunque
Era e Teti sono divinità dalla parte dei Romani. Lo possiamo riscontrare anche
dall’aiuto che diedero, Nereidi comprese, al viaggio della nave Argo
(Biblioteca I, 9). Atena nacque sul fiume Tevere (il Tritone della leggenda
delle “Amazzoni libiche”). Alle Amazzoni libiche si riconnetteva
Atena libica, figlia di Posidone e della palude Tritonide (Erodoto IV, 180).
Posidone di Atlantide è dunque più antico di Atena, supposta fondatrice della
potenza di Atene (1000 anni più antica di Sais secondo Platone). Ma anche Atena
libica è dea di Roma e la ritroviamo
anche a Pyrgi, chiamata Ino Leucothea ma identificata con Juno. Juno
Curitis, armata di lancia e cinta alla vita da una pelle di capra, è Anath di
Gaza e Afrodite Urania di Ascalona, città romane. Una statua di Atena libica
(che ho pubblicato su Atlantide in questo sito) viene da Lavinio.
E’ di tutta evidenza, soprattutto in
confronto con la superstiziosa follia dei Traci distruttori (a dire il vero in
confronto con tutte le civiltà barbare dell’Eurasia indeuropee e non), la razionalità e la
posatezza che contraddistingue l’ordine romano sul mondo che civilizza
(quasi quasi gli attribuirei la bilancia di Maat). Voglio sottolineare che la Grecia NON
fu la culla della civiltà occidentale. Essa fu erede della lingua e della
civiltà della prima Roma, storpiandola con la sua tracità, peccato originale.
La
tradizione romana in origine si
esprimeva in greco (greca è stata chiamata la lingua perché rimasta in uso presso
i Greci e perché s’era perso il ricordo che prima era stata in uso a
Roma). La Grecia
fu devastata dagli invasori Traci (i
Dori ma non solo) le cui menti erano offuscate dal vino (Noè scoprì il vino
guarda caso al tempo del diluvio del Mar Nero nel XIII secolo a. C.) e dalla cieca violenza istillatagli dagli
sciamani di Zeus/Dio(niso)/Djahvè predicanti il cannibalismo rituale, i
sacrifici umani, lo stupro delle donne (è curioso come gli dèi stupratori siano
Zeus e Dioniso), la mattanza, l’olocausto, la purezza del sangue (più i popoli si
sentono, perché sono, inferiori, più
sono razzisti), la separazione delle razze e delle caste (gli efori di Sparta
possono senza giustificazione mandare a morte chi vogliono nella massa degli
Iloti; i giovani spartani si addestrano sgozzando di notte gli iloti che gli
capitano a tiro), lo schiavismo. Si fanno a pezzi anche fra di loro nei fumi
del vino e per un nonnulla come i loro
parenti Celti, Germani e Slavi. In fondo i Traco/Illiri sono la punta avanzata
di quelle che saranno fra non molto le invasioni celtiche (in età
etrusco-romana) e poi germaniche e slave al tempo dell’impero romano. Ciò
che colpisce maggiormente nella lettura della Biblioteca di Apollodoro è
questa violenza cieca che pervade tutto ed è legata in primo luogo al culto di questo dio della violenza e della
morte, del cieco furore orgiastico. Dunque ad un certo momento nasce la
tradizione greca con Zeus che prende possesso del mondo e vi gozzoviglia essendoselo
spartito coi suoi fratelli Posidone (mare) e Ade (inferi). Questa ondata di
furore dei Greci continua nella colonizzazione greca come una specie di Guerra
Santa islamica che quasi riusciva a sommergere l’Europa se Roma non avesse fatto da baluardo. Ma mentre Roma
si leccava le ferite e ripartiva da zero battaglia dopo battaglia, guerra dopo
guerra (ricostituendo poco a poco il suo secondo Impero), i Greci travolgevano
la tradizione romana anche per quel poco che avevano assimilato e nella loro
tracotanza barbarica la facevano propria dove si poteva, depistando,
cancellando, manipolando in ogni
caso.
Fra
i Titani ci sono anche dei personaggi storici assurti dopo morti alla
divinità. La sequenza di nomi qualche
volta teoforici della Luna, Tetisheri 1600 a.
C. (madre di Inaco), Iò (madre di Epafo
che avrebbe fondato Memfi; analizzando i
prodromi della storia egizia si direbbe che questo Epafo/Apis corrisponda ad
Aha, identificabile con Menes, fondatore dell’Egitto unito), Libia (madre
di Belo e Agenore), Telefassa, Europa (madre di Radamanto 1400 a.
C.), Pasifae (moglie di Minosse e madre
di), Arianna e Fedra, ci informa sulla
direzione delle regine grandi spose reali che da Ausonia (egizio Haunebu), il
vero nome più antico dell’Italia (come afferma il grande storico Dionisio
d’Alicarnasso, I, 11,4, e come conferma
la mia decifrazione dell’Apoteosi di Radamanto, 1350 a.
C.), dalla capitale Roma, via Pyrgi
partivano per regnare a Tebe d’Egitto (città fondata dalla XI dinastia,
ma che al momento ci interessa solo a partire
dalla fase finale della XVII din.).
Avevo messo in evidenza
che Nefertiti (Megara) entrata come sposa nell’harem di Amenofi III e
alla morte di questo passata al figlio Ekhnaton come sposa reale, era una
figura importante in quanto andata a Festo
allora capitale di Creta (in
prima persona, oscurando il marito Amenofi IV, figlio di Amenofi III e Tiye
figlia di Minosse) per celebrare
all’antro dell’Ida sia il defunto suocero Amenofi III (figlio di
Mutemuia e Tuthmosis IV) che lo zio di secondo grado (?) Minosse (fratello? di Europa stessa e dunque
italiano anche lui). Dunque la bellissima Nefertiti veniva da Roma, da Ausonia,
dove regnava suo padre, della stirpe dei
Titani, Potenti (Creontidi) di
Atlantide, che facevano e disfacevano i
faraoni egizi, re e principi dell’impero. Erano le donne italiane a
regnare su Tebe e a generare figli italiani che regnavano come faraoni
d’Egitto dalla fine della XVII a tutta la XVIII
dinastia, senza dubbio la migliore dinastia di faraoni egizi. Analogamente e da assai più tempo i re di
Troia erano tutti provenienti da Atlantide, erano tutti italiani.
Deianira sorella di
Meleagro e figlia di Eneo (il “Potente”, Creonte) di Calidone/Roma,
andò sposa ad “Eracle” cioè ad Amenofi III. Occorre notare che
secondo Apollodoro (II, 7) “Eracle” per avere Deianira dové
combattere contro Acheloo (uno dei nomi del Tevere/Vertumno “il
Mutevole”) che s’era tramutato in toro e cui aveva staccato un
corno. Dopo avere sposato Deianira glielo restituì ed ebbe in cambio quello di
Amaltea! Come facevano i Romani a disporre del corno di Amaltea di
Creta? Solo dominando su Creta! Meglio
ancora, Amaltea risiedeva a Roma! Infatti Minosse/Abramo era stato allevato dalla
capra Amaltea in Italia (eventualmente anche in Sicilia dove fu sepolto ad Agrigento
perché forse da lì proveniva). Alcmena
fu una duplicazione di Europa/Mutemuia.
Essa fu madre di “Eracle” da Tuthmosis IV, ma dopo morta sposò
Radamanto che sarebbe in realtà suo figlio Amenofi III. Ci fu evidentemente un
equivoco. Essendo coerente la prima parte della storia, dopo morta Alcmena
raggiunse ovviamente suo marito Anfitrione/Tuthmosis IV, nei Campi Elisi
(Italia). Poiché il potere risiedeva a Roma i faraoni della XVII-XVIII
din. furano di norma italiani figli
delle italiane inviate in Egitto come “grandi spose reali”. Si
trattava più che altro di governatori privilegiati ma sempre governatori, per
via normalmente matrilineare, in nome di
Roma.
Apoteosi di
Radamanto/Nebmaetra (A:) Grandissima signora del palazzo, grandissima Ausonia
(Italia), signora dei beati (gli Italiani/Titani/Atlantidei, dèi e
semidei figli di dèi) e benevola Protettrice del palazzo di Phaistòs.
Io, la Patrizia Megara
(Creonte significa Potente che in ind. e.,
Po/ater, è connesso ugualmente con Pater, dunque Patrizio, cf. i Patrizi, componenti del
Governo, noti da Romolo in poi), ho innalzato davanti a Te, io, la Patrizia,
nel sacello del palazzo, io, la Patrizia Megara,
ho innalzato davanti a Te il Disco (quello iscritto di cui discutiamo, anche in
quanto rappresentazione del disco solare
e cioè di Amenofi III deificato, che anche in vita s’era identificato col
dio Sole) Amenophis III, esperto del
diritto pubblico e privato, che è stato affidato in allattamento ad
Europa, perciò essendo stato associato alla forte Ida, a Ida Nutrice, il
celebrato Radamanto (Nebmaetra).
(B:) Nutrice (Diana
Artemide, dea tipicamente Amazzone) forza della gioventù, potente capra
(Amalthea; si pensi alla cornucopia connessa col corno di Acheloo/Tevere) del
sommo visir Minosse, celeste nutrice, mammella nutrice (sotto la prima
mammella si intravvede in foto la testa di capra, ovviamente Amalthea, il che
conferma la traduzione nutrice, Dheilia/Filia, colei che nutre con la mammella;
conclusione, i Greci spostarono a Delo, per sinonimia — e all’Ida,
vedi più avanti — la sede di questa dea romana; operazione legittima in
quanto il culto locale va rispettato e i funzionari romani armonizzano il
faraone e il visir romani con
l’ambiente di cui — fra gli altri — sono sovrani; la cosa non
è più legittima quando, assai più tardi i Greci, approfittano di questa pratica, vigente fino
ai tempi nostri, per appropriarsi di questa storia rubandola ai Romani),
santa nutrice del vigore giovanile di Minosse, che Ida Nutrice ha aiutato a far
nascere. Essendo stata aspersa ai due grandi (Radamanto e Minosse) la quercia
della Grande Siria, sorretta dalle doppie corna, il sacerdote dell'Ida Ti
sacrifica davanti all’antro un
Minotauro e intona l'inno: "la nave del mattino, sposa di Ra (Sole)”, cioè la signora delle doppie corna Selene
(Luna). Infine Benapros dipinge di rosso (colore dell’Aurora; ad una
certa data dell’anno il Sole appariva sorgere dall’antro
dell’Ida) la pietra d’ingresso coi segni della tua propria
divinità. MGCorsini, Tutti i diritti riservati. All rights riserved (May 26
2013).
In generale in Centroamerica sono venerati prevalentemente il Sole e la Luna
(p. 119ss.) analogamente
all’Apoteosi di Radamanto del 1350 a.
C., in cui appunto il dio Sole (con cui si identifica il faraone defunto e
divinizzato) e la Luna
(sua sposa e madre nutrice, la Capra Amalthea,
che nel caso specifico si identifica con Mutemuia/Europa, madre di Amenofi
III) nave solare che lo accompagna ogni
giorno nel viaggio intorno alla Terra in cielo da Oriente a Occidente (Signore
dell’Alba o dell’Aurora) e poi negli inferi da Occidente a
Oriente, sono, almeno stando a questo
documento, le due più importanti
divinità degli Atlantidi. Quetzalcoatl è
l’uccello del Sole (l’aquila) con caratteristiche di serpente. Il grifone, ho già scritto in questo
lavoro, è l’antenato
dell’aquila romana, mentre il serpente (Apopis, Necustan) appartiene agli
israeliti discendenti dagli Hyksos, perciò a quel buon diavolo di Geremia.
Quetzalcoatl è colui che ha portato la civiltà in Messico e Yucatán e poi
sparisce promettendo di ritornare. Si
noti che il mito si situa sulle coste del golfo e cioè sull’Oceano
Atlantico sulle cui rive erige il rogo o si imbarca sul dorso del rettile (p.
299). Egli si unisce a sua sorella (come facevano Atlantidei ed Egizi) e poi
sale sul rogo accendendolo da solo, salendo al cielo, divenendo signore dell’Alba,
divenendo dio. C’è sicuramente uno
scambio di idee fra Centroamericani e Atlantidei. Quetzalcoatl si mette per
quattro giorni dentro una cassa di
pietra (quelle al cui interno gli Egizi pongono il sarcofago).
I sacerdoti poi (ieri esattamente come oggi) attraverso
l’assunzione di droghe allucinogene (penso al peyotl) entrano in contatto
con gli dèi, ricevendo risposte a domande, guarigioni (p. 122ss.).
Probabilmente il papavero o una bevanda di orzo fermentato, a Creta svolge la
stessa funzione, ma conosciamo bevande allucinogene come il soma, presso i
Celti e gli Arii Vedici. I giahveisti usano il vino.
L’Apoteosi di Radamanto/Amenofi III si apre con
una dedica ad Ausonia/Italia, la Signora
dell’Occidente. Nonostante la civiltà cretese abbia lontane origini almeno da un certo
momento (dominazione Hyksos, che
arrivano a Creta dall’Egitto e da Canaan) debitrici della Siria
(cf. la quercia della Grande Madre Siria del Disco), successivamente i secondi palazzi cretesi sono
orientati verso Occidente. Si guarda alla terra d’origine dei dominatori,
alla capitale dell’impero da cui si dipende, Roma!
Si tenga
presente che in origine, dai tempi più antichi, dal 2000 a.
C. almeno, proprio in Italia era
localizzata l’origine della
civiltà umana (almeno per quanto riguarda la civiltà occidentale), il paradiso
terrestre dell’età dell’oro. Qui erano le isole sacre (Ausonia e
Haunebu significano “isole sacre”;
Ausonia/Italia è una divinità, la manifestazione della Dea madre
protettrice del palazzo di Festo, incipit dell’Apoteosi di Radamanto
Amenofi III, 1350 a.
C.) dei Tirreni di Esiodo (Teogonia, 1009-1016); qui le quattro fonti che si dipartivano dal giardino
di Calipso figlia di Atlante in Ogigia/Sardegna di Odissea (V, 70ss); qui
l’albero delle mele d’oro delle Esperidi. Crizia parla di
ben due isole di Atlantide, e cioè la Penisola
(o senz’altro Atlantide; in realtà io credo che Atlantide sia più in
generale l’impero di quella che più propriamente deve essere definita
Ausonia o Tirrenia), detta “l’isola sacra”, e un’isola
minore (che non è escluso possa anche
essere detta sacra) che è senza alcun dubbio la Sardegna
(ma si menzionano altre isole fra cui
certo includeremo la Sicilia).
La civiltà atlantidea veniva dal più profondo buio, dal regno
della Notte (i Celti misurano il tempo partendo dalla notte e portano elmi
cornuti come i Sardi).
La Colchide/Eden non può essere il
paradiso/terra d’origine dei Romani. Minosse, in quanto Romano e visir di
Radamanto Amenofi III, aveva il suo paradiso a Occidente, nei Campi Elisi
(Sekhet Jaru, Campi di Giunchi), in Hau-nebu, nelle isole sacre dei Tirreni,
nel giardino delle Esperidi, dove l’albero dei pomi era guardato da
un grifone. Pseudo-Apollodoro, con una
tradizione isolata, pone il giardino sul monte di Atlante, che è il
ricordo dell’Atlantide, ma all’estremo opposto orientale, presso
gli Iperborei, che induce a credere siano
i Colchi, gli Armeni dell’Ararat, dell’Eden, mentre
l’originaria Atlantide si trovava in zona Italia e isola
Ogigia/Sardegna ove è Calipso figlia di Atlante, secondo il nostro, nel senso
di Romano, Omero. Il giardino delle Esperidi (che stanno al Tramonto, lo dice
il nome stesso, come Esperia, altro nome dell’Italia), non può stare in
Oriente sul monte di Atlante/Ararat, dalle parti del Caucaso, come sostiene
Apollodoro (Biblioteca II, 5), bensì all’estremo Occidente del
mondo conosciuto. Le Esperidi sono
figlie di Atlante. Il paesaggio dell’isola di Calipso Ogigia/Sardegna,
l’ho scritto da tempo, ha quattro fonti in parti opposte volgentisi (Od. V, 70-71). Ora diventa evidente che gli Ebrei hanno
copiato da qui (notare che per Omero
questo è comunque il Purgatorio, perché il paradiso è a Scheria/Pyrgi, Roma)
ma… poverini… si sono dovuti
inventare due fiumi (Pison e Gichon, che ovviamente NON esistono, non hanno la loro sorgente presso quella del
Tigri e dell’Eufrate, ai piedi dell’Ararat). L’albero delle mele d’oro ci
rimanda a Eva che mangia la mela (perché la mela, se l’albero della
conoscenza del bene greco-ebraico è la quercia oracolare dei barbari
traco-illiri? Cioè Abramo ed Eva osarono appropriarsi della sapienza,
appannaggio esclusivo del clero aronnita imbroglione di ogni epoca e
latitudine), perché questa è la tradizione originale, Tirrenica! L’oro
può essere collegato al vello d’oro segno del comando Romano (che i
greco-ebrei si sono portati via inutilmente in Colchide) che è sempre stato a
Occidente. Minosse/Abramo
aronnita, lo “Yuya” degli “egittologi” è originario della Tirrenia, forse della
Sicilia, dove in realtà fu sepolto, presso Agrigento. Tutto ciò si spostò
con l’arrivo dei Greci traco-armeni, figli del diluvio, sul lato opposto
del mondo, a Oriente (Colchide/Eden/Mitanni), affinché la loro menzogna potesse
ingannare i tronfi accademici dalle teste vuote. Non è vero che la
tradizione greca si sposta da Oriente a Occidente seguendo la colonizzazione
dell’Occidente. Il primo e più
significativo spostamento della tradizione è stato quello da Occidente a Oriente secondo la direzione
del furto greco! (ma questi si credevano tanto furbi come Caco, che rubava i buoi facendoli camminare all’indietro
tirandoli per la coda… !)
Come
ho detto in apertura, gli Orientali
progredivano a grandi passi (creando una civiltà di schiavi della
religione) illudendosi che la civiltà originasse da Oriente come Ra che sorge
ogni giorno a Oriente e ogni giorno tramonta a Occidente. Intanto, quatti quatti, « lontani dagli
uomini industri » (Od. VI, 8), che si trovano ad Oriente, i Romani, intrepidi
marinai, crescevano e creavano la loro
invincibile armata: « Non esiste uomo vivente, né mai potrà esistere, che
arrivi al paese delle genti feacie portando guerra: perché noi siam molto cari agli dèi. Viviamo in disparte, nel mare flutti
infiniti, lontani, e nessuno viene fra noi degli altri mortali. » (Od. VI,
201ss)
In Atlantide, pubblicato quattro anni fa su questo sito, ho
proposto la fondazione di Roma Capitolina da parte di Amenofi III/Eracle intorno al 1400 a.
C., che erige l'Ara Massima (di cui resta, ovviamente come tardo rifacimento,
il nucleo di tufo databile al II secolo a. C. nella parte posteriore della
chiesa di S. Maria in Cosmedin entro il quale è ricavata la cripta) al Foro
Boario per il suo culto come dio del commercio ai piedi delle pendici
meridionali del Palatino, nei pressi dell'ingresso del Circo Massimo.
Ovviamente Amenofi III è sempre e solo Nebmaetra/Radamanto, in quanto Eracle è
un usurpatore Greco (costruito però su Amenofi III e suo figlio Amenofi IV). I
Traci/Armeni si sono appropriati della tradizione mettendo Zeus
sull’Olimpo e i loro eroi come Eracle al posto degli eroi legittimi.
Amenofi III/IV diventa Eracle greco (pazzoide assassino dei suoi figli e arso
sul rogo per divenire dio) come parallelamente il suo visir Minosse diventa
Abramo ebraico (assassino di suo figlio se Giahvè aronnita non ne avesse
fermata la mano; ma ci sono indizi che nella
realtà dei fatti questo dio “degli eccessi”, falso e
bugiardo, degli armeni-traci, non ne fermò la mano; perché farlo, se reclamava i sacrifici umani, per
l’appunto dei primogeniti? Di cui gli Ebrei accusarono spudoratamente i
Fenici!).
Oggi,
grazie alle mie riflessioni e a nuovi dati,
sostengo una fondazione di Roma
Capitolina intorno al 1600 a.
C. sotto l’egida della regina Teti la piccola (egizio Tetisheri)
fondatrice anche della XVII dinastia
tebana. Questa data deriva dal fatto che «
le più antiche tracce dell’occupazione umana possono ora essere datate
all’età del Bronzo Medio (ca. 1600-1300 a.
C.) e sono costituite da frammenti di ceramica rinvenuti sul Campidoglio e, in
giacitura secondaria, nel Foro Boario (Sant’Omobono). » (Roma antica, a
cura di A. Giardina, Laterza 2000, p. 3). Questa data ci viene confermata anche dalla
grande impresa compiuta dai Romani e cioè aver sconfitto la potenza degli
Hyksos alla metà del II millennio combattendola sia da Tebe (Senakhtenra Tao I
marito di Tetisheri e Seqenenra Tao II marito di Ahhotep della XVII din. e poi Kamose suo figlio e infine
l’altro figlio Ahmose I il fondatore della XVIII dinastia, vincitore
degli Hyksos) sia verisimilmente da Troia, altro caposaldo della potenza
romana, oltre che da Roma. Per realizzare tutto ciò ci vuole alle spalle del
tempo. Sulla base dei resti archeologici mi pare indiscutibile che il primo
impero Romano occidentale risalga (quanto meno) alla fine del III-inizio II
millennio non solo per la Sardegna
ma anche per Tartesso. Scavi futuri dimostreranno probabilmente che anche Roma
fu fondata intorno al 2000 a.
C. La tradizione del Palladio ci dice che Troia fu fondata, alla fine del IV
millennio, da Roma (e non viceversa). Anche Memfi, nello stesso periodo, sarebbe fondazione nostra. Sarebbe bello
poter dimostrare che Atlantide/Roma esisteva dal IV millennio a. C. come logica
filiazione dalle civiltà di Malta e del Tassili. Se ciò fosse dimostrato
andrebbe completamente a quel paese la teoria dell’Ex oriente lux,
insieme agli imbecilli che l’hanno forgiata sulla base della loro mal
fondata idolatria della Grecia e della Bibbia.
La
tradizione delle Amazzoni corrisponde perfettamente alle regine guerriere e
portatrici della regalità della XVII-XVIII dinastia provenienti da Ausonia e
dette libiche sia per la vicinanza-confusione fra Italia e Libia (Italia che
spregiativamente non si voleva menzionare), sia in quanto le nostre italiane
erano regine d’Egitto, spesso e volentieri confuso con la Libia
(i Greci sono dei grandi pasticcioni e imbroglioni).
Dall’ultimo
periodo della XVII dinastia egizia-inizio della XVIII assistiamo ad un netto cambiamento rispetto
alle età precedenti eccetto il periodo Protodinastico durante il quale
brillarono quattro regine di cui purtroppo sappiamo molto poco. Meryt-Neith
potrebbe aver regnato in prima persona. In questo periodo proto dinastico fu
fondata Memfi (3100 a.
C.). La mappatura del DNA potrebbe darci
delle sorprese. Per quanto le mummie si conservino male, come del resto i
papiri, e dunque ne abbiamo soprattutto di abbastanza recenti, abbiamo anche mummie molto antiche, come
quella di Sekkeram-Saef, uno dei figli di Pepi I, 2400 a.
C. ca. (VI dinastia). Sono convinto che se si prendesse il DNA di costui lo si
troverebbe identico a quello dei Sardi (mi pare logico trovare più facilmente il DNA tirrenico in
un’isola). Oltre alle mummie possiamo confrontare dai tratti somatici
delle statue l’origine italica (piuttosto che africana o asiatica). Sono
questi i faraoni (e donne) probabilmente
o possibilmente Romani/Italiani di cui ci dovremo occupare. Altro elemento da
tenere presente è che tutte le volte che
le donne (o gli uomini o soprattutto gli dèi) sono raffigurate in
affreschi e statue dipinte, come bianche,
esse sono probabilmente di razza bianca (penso alle coppie statuarie
dell’Antico Regno del nano Seneb
e sua moglie e figli da Giza e di Rahotep e Nefret da Meidum).
Il caso della XVII-XVIII dinastia ha fatto ipotizzare
addirittura, scrive Tyldesley, che la
nuova famiglia fosse organizzata secondo un modello matriarcale anziché
patriarcale. Tyldesley non condivide questa opinione che tuttavia io mi faccio
leggendo il suo libro: « Furono le
regine, e non i re, ad assicurare
all’Egitto un’ininterrotta sequenza di sovrani, una sequenza durata
più di un secolo, che dalla regina Tetisheri, probabilmente la vera fondatrice
della XVII/XVIII dinastia, arriva fino ad Hatshepsut e oltre. » (J. Tyldesley,
Hatshepsut, Piemme, 2000, p. 62). Se ciò fosse vero il matriarcato lo si
potrebbe spiegare ovviamente prima di tutto con l’origine non egizia
(italiana) di queste dinastie. Ho scritto e sono sempre più convinto del fatto
che il suolo prevale su tutto ciò che vi arriva sopra. Gli usi e costumi, cioè,
tendono ad essere conservativi. Non so se esista un popolo più mammone degli
Italiani e dove la donna riesca a comandare in casa anche da dietro le quinte,
spesso portando, come si dice, i pantaloni.
Certo oggi non potrei definire l’Italia come il paese delle
Amazzoni guerriere, ma tutto l’Occidente è cambiato dall’Antichità
ad oggi. Ahhotep avrebbe comandato
personalmente le truppe (J. Tyldesley, op. cit., p. 66). Sarebbe stata dunque
una vera e propria Amazzone romano-italica.
L’imperialismo
romano si fece strada costruendo un Egitto prima potenza del Levante da
Tuthmosis I a Tuthmosis III e ancora fino ad Amenofi III. La regina Hatshepsut
si vede male nella stessa tradizione millenaria egizia, a meno di fare un
pensierino sulle origini italiche (che ammettevano il sorpasso femminile).
I
faraoni egizi (Tebani) della XVII e XVIII dinastia venerati come signori
dell’Occidente sono davvero originari dell’Occidente, di Ausonia.
Scrive A. Gardiner che l'intera famiglia dinastica, a partire dai due Tao,
chiamati "Signori dell'Occidente", fu oggetto di adorazione nel
villaggio di Deir al-Medina che alcuni secoli dopo ospitava gli operai delle
tombe reali. A queste divinità molto amate dal popolo, si rivolgevano preghiere
nei momenti difficili, o si chiedevano responsi ai loro oracoli in caso di
controversie legali (La civiltà egizia, Einaudi, p. 160). E’ vero che
l’Occidente era il lato desertico del Nilo dove venivano sepolti i
faraoni, ma ciò si accavalla al fatto che essi venivano anche da Occidente.
Tetisheri
“Teti la piccola” è la probabile fondatrice della XVII/XVIII
dinastia (J. Tyldesley, Hatshepsut, Piemme, 2000, p. 62). Un oracolo di
Teti è attestato a Cere, città dominata da Roma fino al tempo di
Tarquinio il Superbo (E. Fiesel, s. v. Tethys, in RE VIa, Stuttgart 1936, coll.
204-204; G. Capdeville, Volcanus, in "BEFAR"
288, Roma 1995, pp. 65-66 n. 7; T. P. Wiseman, Remus, pp. 57-62). Il toponimo Teti è
attestato anche in Sardegna. Il culto di Teti lo ritroviamo legato ai
fondatori di Roma (Promathion, autore di una Storia d'Italia in Plutarco, Vita
di Romolo, 2, 4-8), a Cures sabina (Dionisio, II, 48), a Servio Tullio
(Dionisio, IV, 2), ed aveva come centro il focolare del tempio annesso alla
reggia. Ovviamente Teti era una divinità dei Tirreni e in Iliade vive nelle
profondità marine tra Imbro, Lemno e Samotracia (Il. XXIV, 78), dove è stata
introdotta dai Romani (i Tiberini) sulla via orientale dei metalli fino a
Lemno, l’ultimo caposaldo romano prima della fine di Atlantide. Anche
Peleo figlio di Eaco, che da Teti ebbe Achille, è personaggio della tradizione
tirrenica, di Pyrgi e Roma. Ha partecipato alla caccia del cinghiale Calidonio,
cioè di Roma, ai giochi in onore di Pelia (fratello di Neleo di Pilo, anch'esso
legato a Roma), alla spedizione degli Argonauti (Romani e partiti da Pyrgi) e,
con Giasone e i Dioscuri (Romani), al saccheggio di Iolco! (pseudo Apollodoro,
III, 13). Anche Telamone suo fratello sposa una troiana, Esione. Il fuoco di cui parliamo ha carattere fallico
ed è rappresentato da Efesto/Vulcano. Teti è legata alla purificazione nel
fuoco dei suoi figli che muoiono tutti appena nati salvo l’ultimo, Achille. Suppongo che
nella religione atlantidea Teti ed Efesto facessero coppia (i Castelli Romani
sorgono in un’area di origine vulcanica).
Platone data a 10000 anni a. C. ca. la fondazione di Atene e a
9000 ca. quella di Sais in Egitto, da parte di
Atena. E’
un’invenzione che fa il paio col 4004 a.
C., data della creazione biblica.
Atlandide discende invece da Posidone. Qualsiasi tradizione pigliamo,
Atena è posteriore a Posidone che oltretutto in genere è suo padre. Secondo
pseudo Apollodoro Atena è nata dalla testa di Zeus (furto dei Greci perché Zeus
è il nuovo arrivato trace). Posidone è il quinto figlio di Crono e Rhea (tra
l’altro si consideri Rhea Silvia madre dei Gemelli a riprova che i nomi
vengono da Roma). Poi costei fugge a Creta
incinta di Zeus che nasce appunto in quest’isola (Apollodoro,
Biblioteca, I, 1). Ergo, i Romani di Atlantide sono più antichi del 10000 a.
C. A ben vedere Platone non
afferma affatto, e logicamente, che la guerra di Atlantide contro Atene e il
suo affondamento sia avvento 9/10000 anni a. C., cioè all’epoca
stessa della nascita di queste civiltà. Qualsiasi datazione per il
conflitto è lasciata aperta, e così arriviamo alla grande potenza di Atlantide,
che costruisce le torri (7000 nuraghi sopravvissuti della Sardegna) a partire
dalla fine III-inizio II millennio e
scatena la guerra contro gli Hyksos del delta egiziano (1550 a.
C.), cacciandoli da tutto il loro impero e insediando sul trono di Tebe
d’Egitto il faraone Romano Ahmose I, le cui armi sono decorate col
grifone tirrenico, che ritroviamo in tutti i centri occupati dai Romani: Pilo,
Cnosso, Awaris, Thera, ecc., e
conservato nelle tombe etrusche di Tarquinia. Ahhotep (“la Luna
è contenta”), la regina originaria di Hau-nebu, sostenne in prima persona
la conduzione della guerra vedendo morire prima il suo consorte, Tao II, poi il
primo figlio Kamose e assaporando finalmente la vittoria sotto il secondo
figlio Ahmose (“la Luna
è sorta”). Dall’Apoteosi sappiamo che la dea cui viene affidato il
defunto faraone per risorgere come Sole è la Luna/Aurora/Diana.
Da questo momento i Romani occupano l’impero Hyksos e la storia in
Oriente la scrivono loro, col geroglifico di Festo e la Lineare B,
ma anche materialmente, sulle schiene
dei locali, dalla metà del II millennio a. C.!
Ascia da guerra di Ahmose I, col grifone romano,
terrore dei popoli stranieri
Secondo Timeo così parla il sacerdote egizio di Sais: « In
quest’isola [Penisola italiana] di Atlantide vi era una grande e
meravigliosa dinastia regale [considerata divina come sono considerati
divini i re dei Feaci; tutte e due le dinastie discendono da Posidone] che
dominava tutta l’isola [Penisola italiana] e molte altre isole e
parti del continente: inoltre governavano le regioni della Libia che sono al di
qua dello stretto fino all’Egitto, e l’Europa fino alla Tirrenia.
Tutta questa potenza, radunatasi insieme, RIUSCI’ ALLORA A [invece di: “ tentò allora di
“, che è sicuramente imputabile a Platone] colonizzare con un
solo assalto la vostra regione [Peloponneso/Attica; dove erano signorotti
Hyksos, asiatici, affini agli Hyksos di Creta e del delta egizio], la
nostra [i sacerdoti di Sais qui si identificano con gli Hyksos dominatori
del delta del Nilo dalla città di Awaris; A Sais era venerata la dea Neith fin
dalla nascita della civiltà egizia; gli asiatici Hyksos la chiamarono Anath, e
gli Ateniesi, di cultura asiatica,
pelasgica, anche loro, leggendo al contrario, Atena; ma da quanto
abbiamo detto è ancor più probabile la manipolazione di Platone, in quanto
dobbiamo partire dall’ipotesi che
i sacerdoti di Sais riferissero a Solone la vera storia di Roma, che venerava
anche Atena, non a caso attestata come divinità “filistea” a Gaza e
Ascalona], e ogni luogo che si trovasse al di qua
dell’imboccatura. » Questo è l’unico nocciolo di vero
nella tradizione. Nessun affondamento di Atlantide, anche se un alluvione ci fu
al tempo di Ahmose I. Ve n’è traccia nella Stele della
Tempesta di Ahmose I (e nel verso del Papiro matematico Rhind) nella quale si
accenna a fuochi nel cielo e all’alluvione che colpisce l’Egitto.
Può trattarsi della prima eruzione del Thera e anche dell’alluvione di
Ogigia/Sardegna (non di Ogige), ma in ogni caso senza alcun inabissamento. In quest’epoca Atlantide non scompare
affatto, bensì inizia il suo impero
esaltante in Oriente durato più di cinque secoli. Dobbiamo a Roma l’età
dell’oro dell’umanità. Dobbiamo a Roma la vera civilizzazione della
Terra. Ora però ho scoperto che la fine di questo impero nasce dalla guerra
annientatrice scatenata da Roma stessa contro Egitto e Hatti coalizzati insieme
a partire dalla XIX dinastia. In quest’epoca avvenne l’alluvione del Mar Nero che
comunque nulla poté avere a che fare con l’affondamento di Atlantide, in
quanto l’affondamento di Atlantide fu solo metaforico, essendosi Roma logorata
nell’annientamento prima degli Egizi
traditori e poi degli Ittiti, e il colpo finale avendolo dato i Greci che
cancellarono o depistarono ogni traccia di questa storia gloriosa di Roma nella
tradizione in greco della medesima. I
Romani non si resero conto dello scippo probabilmente in quanto nel
frattempo avevano una nuova lingua (il latino) determinata dalla discesa dei
Sabini dagli Appennini lungo il Tevere, e non erano più in grado di leggere la
loro lingua originaria, per tacere del fatto che erano impegnati a creare un
nuovo impero e dunque non avevano tempo di darsi alle letture.
Atlantide/Tirrenia non “tentò” ma riuscì a conquistare
la Grecia
e Creta e tutto il Mediterraneo orientale fino alle coste turche, siriane, la Palestina
e l’Egitto che allora era nelle mani degli Hyksos, cioè in qualche modo
degli antenati dei Greci/Ebrei. Evidentemente Platone (come del resto la fonte
di Diodoro Siculo relativamente al fatto di un semplice tentativo e non di una
vera e propria conquista) si permise di travisare i fatti. Platone ha
trasformato Atlantide in un’isola nell’Oceano Atlantico, facendola
affondare per cancellare le prove della sua menzogna. Platone, come tutti
coloro che si credono furbi (e Greci ed Ebrei si credono furbissimi), si
propose di raggiungere il suo scopo
(gasare le future generazioni di Ateniesi, con antenati più antichi e valorosi
dei Romani e degli Egizi), a spese della stessa storia della prima Roma. Egli
non proponeva il suo lavoro come opera storica
e così non rischiava di traghettare la storia della Roma prima di Roma
nel I millennio. Il suo lavoro aveva fini
politici. Egli si riproponeva di inventare (sulla base di una
storia vera riportata da Solone, o già
falsificata da Solone), la grandezza da superuomini e semidei degli Ateniesi
(generati da Atena! Che era la dea di Roma, come lo era Posidone suo padre)
affinché in futuro, consapevoli della grandezza dei loro antenati di ben 10.000
anni prima (1.000 prima dell’Egitto!), creassero uno stato invincibile in
futuro, per sempre. Analogamente gli Ebrei aronniti crearono (coi codici J e
P entrambi postesilici!) un manifesto della priorità della razza
ebraica che analogamente fa credere che Adamo ed Eva erano Ebrei, generati da
Djahvè all’origine dei tempi, che qualcuno si è preso la briga di
calcolare nel 4004 a.
C. (e difatti tuttora gli Ebrei
calcolano gli anni a partire da una data
più antica di quella delle piramidi, meglio, più antica di Memfi!). Anche l’autore
della Biblioteca, pseudo Apollodoro, assai tardo anche se è
impossibile precisare quanto, mette insieme tutta la tradizione facendo bene
attenzione a non nominare mai Roma
che pure conosceva come la conoscevano altri greci anteriori a lui come
Dionisio d’Alicarnasso, e a non soffermarsi mai sull’Italia per non
far capire il furto. Sua intenzione finale doveva essere probabilmente quella
di raccogliere tutta la tradizione ponendola al servizio di Atene e degli eloquenti Ateniesi, sulla scia
della guerra di Atene contro Atlantide di Platone e sulla scia del popolo
eletto di Djahvè della Bibbia degli esaltati
Neemia e Ezra. Dunque questi tentativi
di creare dei miti di superpotenza provengono da nanerottoli che sperimentarono
sulla loro schiena l’unica vera
grandezza di Roma (e dell’Italia),
immensa e autentica, che io ho riportato alla luce come un tesoro di
maggior valore di tutti i tesori contenuti nella splendida tomba di Tutankhamon.
Dunque non è vero che Atene resistette all’invasione e addirittura liberò
gli altri popoli, Egizi compresi, vincendo gli Atlantidei con una vittoria da
Pirro prima dell’inabissamento di Atlantide. Atene
fu conquistata… dalle Amazzoni del Termodonte ? che nulla hanno a
che vedere con le Amazzoni romane ? al tempo di Teseo. Contrariamente ai proclami pubblicitari,
Atene e Sparta ebbero la stessa sorte: essere conquistate dai barbari
traco-illiri-armeni dopo un periodo in cui erano state dominate da Roma
L’importanza
della tradizione di Diodoro Siculo sulle Amazzoni libiche consiste nel porre il
sigillo della perfezione su tutto il mio lavoro. Non tanto per
l’identificazione di Atlantide con l’impero di Roma, che avevo già
raggiunto riesaminando il testo platonico alla luce della mia raggiunta
consapevolezza, quanto per la mia
intuizione dell’importanza della donna “virile” (Amazzoni
libiche) nella Roma prima di Roma, cosa che mi ha aperto la porta di uno
scrigno pieno di notizie.
L’impresa più grande dei
Tirreni (ricordata male, ma ricordata, da Diodoro e Platone) fu la cacciata
degli Hyksos intorno al 1520 a.
C. e l’insediamento sul trono di Tebe della XVIII dinastia romana (o
tirrenica/atlantidea che dir si voglia), fondata da Ahmose I, il faraone che
aveva le armi decorate col grifone (antenato dell’aquila) romano di Hau
Nebu/Ausonia. Fu la prima guerra mondiale dell’antichità, e fu vinta da
Roma. Contro
gli studiosi incapaci io ho da tempo ipotizzato che gli Hyksos, giunti dall’Asia, abbiano occupato posizioni lungo il Mediterraneo
orientale, delta egiziano e Siria-palestina, e nel Mediterraneo, come Creta e la Grecia,
le Cicladi ecc. Sono la base dei Cananei
(ed è per questo che gli Ateniesi si dicono discendenti dei Pelasgi e gli
Spartani sostengono di avere origine comune con gli Ebrei, per la precisione,
in questo caso, con gli elohisti) cui si aggiungeranno più tardi gli
affini Shardana traci e Danai, entrambi anatolici: Sansone è un
Danao. Se ho ragione a vedere gli
Hyksos in tutta l’area che poi sarà greca (Grecia, Creta, ecc.) mi
convinco che prima degli Hyksos in quest’area non si parlava greco, e
ovviamente nemmeno durante il predominio degli Hyksos. Dunque quello del greco
che arriva in Grecia da Nord e da Oriente fin dal 2000 a.
C. deve essere un parto delle teste vuote degli “accademici”.
I Romani in battaglia navale contro gli Egizi. Notare che
l’egiziano sulla nave a sinistra (immagine in bianco e nero) ha
tirato il rampino per agganciare la nave
romana e abbordarla (nella loro seconda vita i Romani inventeranno il
“corvo”, una tavola coi ganci, da calare sul ponte delle navi
cartaginesi per salirci più comodamente a bordo), ma il Romano, prontamente, ha
afferrato il rampino (vedi il particolare nell’immagine a colori) e un
momento dopo evidentemente troncherà la fune con la sua daga.
La Biblioteca di
pseudo-Apollodoro (difficile da datare ma comunque assai tardo) ignora
volutamente Roma, pur essendo questa già esistente da secoli, per il semplice
fatto che tutta la tradizione raccolta in essa è tolta ai Romani e dislocata in
opportune aree della Grecia. Ovvio che qualsiasi riferimento all’Italia e
a Roma sarebbe servito solo a permettere prima o poi quel collegamento che
avrebbe fatto scoprire la verità che nessuno infatti è riuscito a
scoprire prima del sottoscritto. Il motivo è politico e ideologico. L’invidia e la
gelosia degli altri popoli riguardo al popolo eletto dal destino, il popolo
Romano. Il trucco consiste nel parlare biascicando i nomi. Così, ad
esempio, chiamandola Etolia (invece di Italia), la regione più squallida
della Grecia, i Greci si sono fregati metà della tradizione di Atlantide,
cancellandola dalla Storia. Ma il testo di pseudo-Apollodoro è chiarissimo. Di
tutto si parla nella Biblioteca fuorché dei Greci! Per essere più precisi se ne
parla, confusamente, ma non sotto l’etichetta (che altrimenti a che
serve?), di discendenti di Doro, di Ione
e di Acheo. L’unico discendente, non certo di
Elleno, di cui si dia una discendenza dettagliata, è Eolo italico: Atlante e
Pleione figlia di Oceano generano Merope
che sposò Sisifo italico e Sterope che andò sposa ad Enomao di Pisa, pure italico, padre di
Ippodamia (III, 10). Da Alcione e Posidone discendono, attraverso Irieo, Nitteo
e Antiope. Eolo ebbe sette figli e
cinque figli. La figlia Canace si unì a Posidone, ed ebbe Epopeo (Apollodoro,
1, 7) che per buona grazia dei Greci sposa Antiope (messa in cinta da Zeus e
perciò scacciata dal padre Nitteo e
andata da Epopeo). Curiosamente Lico sarebbe stato incaricato da Nitteo
di uccidere sia Antiope che Epopeo. Lico uccise Epopeo e portò via Antiope che
durante il viaggio partorì due gemelli avuti evidentemente da Epopeo (a meno
che non si creda alla fecondazione da parte di un puro spirito… del resto ricordiamo che Zeus copre un
faraone, o un re di Roma, tutte le volte che siamo in Egitto), esposti e trovati da un pastore che gli diede
il nome di Anfione e Zeto. Quando
Anfione e Zeto seppero delle cattiverie che aveva patito la loro madre Antiope
da Lico e sua moglie Dirce uccisero Lico e gettarono Dirce legata ad un toro
nel crepaccio di una sorgente. Preso il potere fondarono Tebe egizia, divenuta
Tebe beota dopo la manomissione greca (Apollodoro III, 5). Niobe sposò Anfione, ed era giustamente
orgogliosa della sua discendenza pari agli dèi. Fra i figli di Anfione e Niobe
c’è Tantalo padre di Pelope (III, 5), che dunque è Romano, ciò che spiega
come mai il vello d’Oro rimanga in mano della sua famiglia, passando da
Erope (moglie di Atreo) figlia di Catreo figlio di Minosse, a Tieste (fratello
di Atreo), III, 2. Pelope sposa Ippodamia figlia di Enomao di Pisa. Pelope è
padre di Tieste e Atreo. Alla fine il vello torna in mano ad Atreo i cui figli
Agamennone e Menelao sono governatori romani su Micene e Sparta. La guerra di
Troia fu dunque condotta da discendenti dei Romani, da Romani da una parte e
dall’altra. Anche Diomede è figlio del romano Tideo di cui abbiamo detto.
Peleo (III, 13) è romano per il semplice
fatto che partecipa alla caccia del cinghiale Calidonio/di Roma. Partecipò ai
funerali di Pelia fratello di Neleo padre di Nestore di Pilo, città romana.
Combatté contro Atalanta romana, figlia di Scheneo. Peleo da Teti(sheri), dea
proteiforme che ha un culto oracolare presso Cere! Teti è connessa al fuoco del palazzo reale
che manifesta la presenza del re predestinato dagli dèi. Chirone connesso a
Peleo era nato da Crono/Saturno. Peleo partecipò al saccheggio di Iolco con Giasone e i Dioscuri. In III, 12 si narra dei rapporti fra
Atlantide città madre e la Dardania
di Troia. Roma e Troia erano della stessa civiltà e lingua.
« Endimione [figlio di Calice figlia di Eolo] ebbe il figlio
Etolo, che uccise Apis, figlio di Foroneo, e per questo andò in esilio nella
terra dei Cureti [trasformati dai Greci nei chiassosi custodi del piccolo
(“kouros”) Zeus nell’antro dell’Ida, mentre si tratta
degli abitanti di Cures sabina; la terra dei Cureti è dunque l’Italia, la Tirrenia
dei Sabini cioè dei Romani, che erano Romani di Roma, “Colle”, il
Campidoglio, almeno dal 1600 a.
C., e anche Sabini come stirpe, perché sempre con questo nome viene definito il
popolo qui stanziato fin dove si spinge il ricordo di età tarda e i re sono in
gran parte Sabini], cioè la Tirrenia. Qui
Etolo uccise la gente che lo ospitava… e dal suo nome chiamò Etolia
[Italia] tutta quella regione. Etolo… generò Pleurone e
Calidone… Agenore [figlio di Pleurone] … generò
Portaone e Demonice, che a sua volta ebbe da Ares… Testio [sabino di
Cures]… [che] ebbe … Altea, Leda (madre dei Dioscuri (cioè Castore e Polluce), di Clitemnestra e di Elena)
… Ificlo…
Da Acheloo [che ho identificato col Tevere] e Perimede figlia
di Eolo nasce Ippodamante. Da
Ippodamante nasce Eurite che sposò Portaone (figlio di Epicaste figlia di Calidone)
ed ebbe Eneo… » (Biblioteca I, 7) « Eneo, divenuto re di Calidone [Roma] … Si sposò con Altea,
figlia di Testio, e generò Tosseo, che poi uccise… perché il ragazzo
aveva osato saltare il fossato che cingeva la città… [mi pare evidente
che Enea ricorda assai male Eneo, legato
ad una delle (ri)fondazioni di Roma nella parte di Romolo che ammazza Remo] Gli
nacque(ro) poi… la figlia Gorge… e Deianira … Questa
fanciulla amava guidare lei stessa il carro, e si esercitava nelle attività
guerresche: per averla in sposa, Eracle lottò con il fiume Acheloo. (Per avere Deianira Eracle dovette combattere
contro Acheloo, che aveva assunto la forma di toro, egli staccò uno dei due
corni. Dopo aver sposato Deianira, Eracle restituì a Acheloo il suo corno, ed
ebbe in cambio quello di Amalthea… Apollodoro II, 7; siamo a Roma!!! e la
capra Amalthea assomiglia tanto a quella che forse dalle origini era la Lupa
nutrice dei Gemelli, il simbolo di Roma noto ai “Beniaminiti”
biblici di Saul) Da Eneo, Altea ebbe poi
Meleagro… Dopo la morte di Altea, Eneo da sua figlia Gorge ebbe Tideo …
Tideo… giunse ad Argo,
alla corte di Adrasto, di cui sposò la figlia Deipile: dal loro matrimonio
nacque Diomede. »
(Biblioteca I, 8) « Ippocoonte scacciò Icario e Tindareo da Lacedemone.
Essi si rifugiarono presso Testio, e lo aiutarono nella guerra contro i suoi
vicini di confine. E Tindareo sposò Leda, figlia di Testio… Icario e la
ninfa Naiade Peribea ebbero… Penelope…
» (Biblioteca III, 10) Si tenga presente che Odisseo era in realtà figlio di
Sisifo eolide. « Tideo, figlio di Eneo, esule da Calidone… sposò
Deipile… [i sette contro Tebe] inviarono Tideo come ambasciatore da
Eteocle (i documenti menzionano un Tawaglawa/Eteocle fratello di Atpa di
Millawanda/Mileto re di Ahhijawa), per invitarlo a lasciare il regno a
Polinice, secondo i loro accordi. Ma Eteocle rifiutò, e Tideo sfidò a duello
tutti i capi tebani, e li vinse tutti. Allora mandarono cinquanta uomini in
armi per tendergli un’imboscata mentre ritornava al campo; ma Tideo li
uccise tutti, tranne Meone, e raggiunse il suo esercito. » (Biblioteca III, 6)
Tideo è evidentemente un pezzo grosso, un signore della guerra governatore
sull’Argolide. Diomede, lo sappiamo bene, è uno dei massimi guerrieri sia
fra gli Epigoni che alla guerra di Troia, dove fa spesso coppia con Odisseo,
marito di Penelope. La tradizione greca trova difficoltà ad inserire Tideo fra
i Sette contro Tebe, ed a ragione, in quanto Tideo fu dalla parte di Tebe
d’Egitto e dei Romani, e così suo figlio. Poi si sono fregati la
tradizione di Pyrgi (Santa Marinella) dislocando Atamante in Beozia, e così
via. Prendiamo il filone della storia del vello d’oro. Frisso e Elle
erano figli di Atamante di Pyrgi (dov’è il tempio recentemente
scoperto di Ino Leucothea, sua seconda moglie, mentre il figlio di questa
Melicerte è venerato come Palemone e raffigurato in groppa a un delfino; i
delfini, che troviamo ad esempio raffigurati nel palazzo di Cnosso, nella
storia di Atlantide, nel tesoro di Dorak, nelle tombe etrusche di Tarquinia,
sono un altro emblema dei Tirreni) e di Nefele. Perseguitati dalla
matrigna Ino, Nefele decise di mettere in salvo i figli su un ariete fatato che
volò fino in Colchide il paradiso terrestre dei Greci mistificatori (ma la cosa
non ci danneggia al fine di riannodare il filo della storia reale). Qui
arrivato, Frisso, abbastanza irriconoscente, scuoiò il povero ariete e ne donò
il vello al re locale che lo inchiodò alla quercia oracolare nel bosco sacro
del dio Giahvè zebahot “degli eserciti” (Ares). Il vello era in pratica un segno del
potere. Ci possiamo scommettere che questa tradizione, manipolazione della
nostra, è di matrice greco-ebraica (l’Eden era nelle vicinanze della
Colchide, alle sorgenti del Tigri e dell’Eufrate, l’Armenia
dell’Ararat). Ma appunto gli Argonauti, i valenti Tirreni, i più abili
marinai del mondo, Giasone, i Dioscuri, Meleagro, Atalanta, la donna che uccise
il Cinghiale di Roma, ed altri, imbarcatisi a Pyrgi… se lo andarono a
riprendere riportandolo a Roma. Per la verità il segno del comando Atlantideo è
sempre rimasto dov’era, in
Esperia/Italia dove era il giardino delle Esperidi che custodivano
l’albero dei pomi d’oro. Infine il segno del potere arriva nelle mani
di Tieste padre di Egisto e di Tantalo sposo di Clitemnestra figlia di
Leda figlia di Testio di Cures sabina. Atreo sottrae il vello a suo fratello
Tieste e così Agamennone figlio di Atreo uccide Tantalo e il figlioletto e
sposa Clitemnestra (il che spiega perché al suo ritorno da Troia questa lo
uccide con la complicità di Egisto; non sempre quelli che appaiono come buoni
sono buoni e non sempre quelli che appaiono come cattivi sono cattivi), mentre
Menelao sposa Elena sorella di Clitemnestra, e diventano governatori romani
rispettivamente di Micene e Sparta (Apollodoro, Biblioteca, Epitome, 2). A Pilo
c’è Nestore che ricorda di aver gareggiato in gioventù con gli
“Etoli” di “Italia” (Iliade 23, 633), ed attraverso Fenice nel libro IX dell'Iliade lo
ricollego alla guerra dei Cureti contro
Calidone/Roma Capitolina, assediata al
tempo di Meleagro, ciò che corrisponde
forse alla tradizione dell'attacco dei Quiriti lancieri shardana di Romolo che assaltano il Campidoglio, del
re di Roma Tito Tazio. Da Micene e Pilo arrivano la maggior parte delle
tavolette in Lineare B scritte ovviamente da scribi Romani epoi da locali
alfabetizzati. Esiste una
corrispondenza perfetta tra sedi dei Tirreni nella mitologia, riassunta da
pseudo-Apollodoro, scippateci dai Greci, e sedi di tavolette in Lineare B
o comunque con tracce della civiltà detta “Micenea”: Cnosso, Festo,
Micene, Tirinto, Pilo, Tebe, Orcomeno, Iolco. Sulle tavolette in Lineare B si
legge ad esempio il vocabolo (forse storpiato forse no) procuratores. Non mi
sembra un vocabolo riconducibile al greco.
Dunque, vinti gli Hyksos, le flotte
tirreniche scaricano dovunque (anche sull’acropoli di Micene, dove è
stato trovato un cratere con mercenari Shardana al servizio di Roma) i
governatori e le legioni romane di 3000 uomini coi vessilliferi vestiti da
lupo, suonatori di corno ricurvo,
reparti con carri. I Romani si insediano così su tutte le roccheforti degli
Hyksos, dalla Grecia, alle Cicladi, all’Asia Minore, alla
Siria-Palestina, e ovviamente prima di tutto su Tebe, con Ahmose I. Stessa cosa
hanno già fatto e fanno verso Occidente, e oltre le colonne d’Eracle. E
dovunque costoro tengono archivi in Lineare B (e scrivono su dischi a spirale
come il Disco di Festo) e sono noti come Pelasgi e Filistei, i Filistei che
nelle figurazioni egizie, a ben vedere sono proprio i Romani ante litteram, coi
gonnellini e i copricapo a criniera di cavallo. Ma è proprio vero che i
Filistei indossavano copricapi alla “Sioux”? come di piume tutto intorno al cranio? Io credo che ciò
dipenda solo dall’incapacità degli Egizi di raffigurare le cose in
prospettiva. Anche uno Shardana di profilo viene raffigurato con le corna come
se fossero una davanti e una dietro al copricapo. In conclusione, dalla metà del II millennio
a. C. la storia è scritta dai Romani.
La sequenza delle regine della XVII e XVIII
dinastia concorda con la tradizione di una sequenza di donne con nomi
incorporanti quello della Luna: Io, Libia, Telefassa, Europa, Argiope, Pasifae,
Arianna, Fedra. Queste regine italiche comunque spose di faraoni italici
sono in prima persona responsabili della cacciata degli Hyksos dal delta
egiziano e del governo dell’Egitto e del suo esteso impero.
Su questo trono, detto di Minosse,
fra due grifoni antenati dell’aquila romana, messaggeri del Sole,
tenevano udienza i procuratores inviati dai Creonti/Patrizi di Roma per reggere
Creta, la Grecia e l’Egeo
Europa e sua nonna Libia vengono ovviamente da Occidente
(l’Europa e la Libia
sono a Occidente), da Roma. Ho identificato da tanto tempo, ed
esattamente, Mutemuia, madre di Amenofi III/Radamanto, con Europa. Adesso
però posso affermare che Mutemuia (vedi Nicolas Grimal, Storia
dell’antico Egitto, Laterza, Biblioteca Storica, 1998, p. 281) NON fu
figlia di Artatama I/Agenore o Fenice, e dunque non fu mitannica/fenicia di
Tiro. Non fu nemmeno
sorella di Cadmo, vilissimo trace (antenato del vilissimo Dioniso, dio del vino
e dell’ubriacatura, della follia estatica, parente stretto di
Zeus/Djahvè) che i greci hanno cercato di accreditare innestandolo nella nostra
tradizione, ma che non a caso finisce i
suoi giorni fra gli Illiri traci (dov'è il santuario oracolare giahveista di
Dodona). Cadmo fu associato a Tebe beota e non poté mai avere a che fare con Tebe egizia.
L’Egitto e gran parte dell’Oriente subirono per
oltre un secolo (dal 1650 al 1525 ca.) il duro stivale degli Ebrei (gli Hyksos
sono presentati nella Bibbia come Ebrei tenuti schiavi dagli Egizi mentre fu
l’esatto opposto!) come
l’Europa sotto il Nazismo. Noi Romani indossammo la divisa di
liberatori assumendo su di noi il
controllo del Mediterraneo e del mondo di allora come fanno oggi gli Stati
Uniti, la superpotenza controllore del mondo. Da allora fu interesse dei Romani
far decollare l’Egitto come superpotenza orientale in modo da non dover
più subire l’invasione di chicchessia. Finora L’Egitto s’era
sempre fatto i fatti suoi. Adesso diventa imperialista, entra nella storia e fa
storia. E si troverà contro i Mitanni e gli Ittiti. Coi primi troverà
un’intesa (ma i Mitanni saranno presto schiacciati dagli Ittiti, motivo
per un odio maggiore dei Romani contro gli Ittiti) coi secondi si scontrerà
senza scrupoli per il controllo della Siria, via strategica fra Mediterraneo e
Golfo Persico. Roma aveva già Troia in Anatolia e considerò gli Ittiti
come nemici scomodi, quando possibile
ignorandoli. Dunque Roma puntò molto sull’Egitto. Fino al tempo di Amenofi
III tutto il Mediterraneo e
l’Oriente è pacificato sotto Roma e sotto l’Egitto,
dall’Assiria alla Babilonia a Mitanni ad Hattusa a Cipro a Creta alla Grecia alle isole
dell’Egeo. Dalla mia teoria, che
parte dalla sconfitta degli Hyksos da parte del Romano Ahmose I, deriva che nessun significato speciale
possiamo dare alla sostituzione dei “Micenei” ai
“Minoici” di Creta nel loro
impero, per il fatto che Roma acquisisce l’impero degli Hyksos e dunque
dei Minoici, e da quel momento non ha senso distinguere fra Romani che dominano
da Creta (“Minoici”) e
Romani che dominano dalla Grecia (“Micenei”). In ambo i casi i
Romani già parlano e scrivono e hanno archivi in greco. Non sono i “Minoici” ad avere il
predominio dei mari ma i Romani, tanto è vero che i “Micenei” li
“sostituiranno” (probabilmente i palazzi crollati non furono
ricostruiti perché ai Romani non interessavano) avendo sempre il predominio dei
mari. Ma la civiltà “Minoica” continua ininterrottamente con Zakro
e Arkhanes, segno che non c’è stato uno scontro fra potenze, entrambe
essendo Roma stessa. Minosse, che dà
nome alla civiltà Minoica, vive in realtà nel periodo
“Miceneo”. E’
probabile che i Romani trovassero difficoltà nel conquistare il continente
greco e dunque preferissero concentrare qui i loro sforzi con centro in Micene.
Da qui il passaggio della sede del governatore cretese da Festo a Cnosso (dove
sono gli archivi del procurator), più a nord e in diretto contatto con
Micene. Si trovano tracce dei
“Micenei” (cioè dei Romani) dalla Spagna al Levante perché questo è
l’orizzonte consolidato dell’impero di Roma.
I Romani amano organizzare tutto, prima di tutto la guerra. Il
distretto di Roma capitolina era logicamente
il preminente fra i dieci distretti di Atlantide e doveva fornire
diecimila carri e milleduecento navi (questo secondo me doveva essere il totale
di tutti e dieci i distretti messi insieme). Ho i miei dubbi che Atlantide
coincidesse con la penisola italica nel suo complesso e infatti rileggendo il testo capiamo che l’Italia
(sia pure detta Atlantide in quanto la sua parte eccellente) dominava molte
altre isole e l’Europa fino alle Colonne
e l’Africa settentrionale fino all’Egitto (all’inizio
escluso il nord perché vi dominavano gli
Hyksos). Tutta questa potenza nel suo
insieme era l’Atlantide, ma
dobbiamo considerare tutto l’impero, Oriente incluso. Posso immaginarmi
il 1) distretto di Roma; 2)
Sardegna; 3) Sicilia. Niente di più al
momento. Pertanto ritengo più che
probabile che la tradizione sia arrivata fino a noi con qualche
fraintendimento. Atlantide doveva essere tutto l’Impero nel e intorno al
Mediterraneo, “Mare Nostrum”.
E allora, trattando a parte le eventuali colonie d’America,
possiamo immaginare altri distretti
nella 4) Europa atlantica; e poi 5) Tartesso,
6) Africa atlantica, 7)
Egitto, 8) Troia, 9) Creta/Micene, 10) Biblo. Questa fu la prima superpotenza della storia.
A partire dal 1550/1525 a. C.,
per cinque secoli, fino a Salomone di Gerusalemme (970 a.
C.), i Romani dominano la scena mondiale sedendo prima di tutto sul trono
di Tebe d’Egitto, di Troia, di Cnosso, di Biblo. Una parte rilevantissima
della tradizione italica (oggi “greca”) è legata a Tebe egizia
dalle cento porte per il semplice fatto che Tebe è una nostra creazione.
Si tratta del primo impero romano, di cui esisteva anche una parte occidentale, al di là della
Sardegna, fino a Tartesso, fino alle Colonne di Atlante… fino alle
Americhe!
Come ho già scritto in appendice ad Atlantide, e
qui porto avanti le mie riflessioni, i Romani
frequentarono l’America centrale. In Timeo
24e-25a il sacerdote di Sais in Egitto afferma: « quel mare (Oceano
Atlantico)... davanti a quell'imboccatura che, come dite, voi chiamate colonne
d'Ercole, aveva un'isola... più grande della Libia e dell'Asia messe insieme:
partendo da quella (“Atlantide”) era possibile raggiungere le altre
isole per coloro che allora compivano le traversate, e dalle isole tutto il
continente opposto (Americhe) che si trovava intorno a quel vero mare (Oceano
Atlantico). » Probabilmente il sacerdote di Sais descriveva Atlantide come la Penisola
con capitale Roma Capitolina di cui ho detto. E’ Platone che ha collocato
questa sua “Atlantide” al di là delle Colonne, confondendola
(volutamente) dunque con un’isola di cui effettivamente parla o sembra
parlare la tradizione antica.
Prima di tutto noi conosciamo benissimo i fondali
dell’Atlantico (e del Mediterraneo) e non c’è spazio per tale
isola, sia pure affondata. Da altri documenti antichi sappiamo abbastanza per
farci l’idea che quest’isola che avrebbe dovuto fare da
“ponte” fra l’Italia (vera Atlantide) e le Americhe, a causa
della cura che i Fenici mettevano nel tenerne celata l’ubicazione e la
possibilità di approdo, poteva anche non esistere affatto. L'isola “ponte” non si trovava
subito dopo le Colonne d’Eracle (ovviamente), ma a parecchi giorni di
navigazione verso Occidente. Lo pseudo Aristotele di Storie meravigliose, 84,
dice che i Cartaginesi sbarcavano spesso, e alcuni vi si stabilivano a motivo
delle sue felici condizioni, in un'isola deserta che distava numerosi giorni di
navigazione oltre le Colonne e di cui impedivano a chiunque l'accesso.
Diodoro nella Biblioteca storica scrive che dalla parte dell'Africa si trova in
mare aperto, a parecchi giorni di navigazione verso Occidente, un'isola notevole
per l'estensione, che per l'estrema felicità sembra essere la residenza di
divinità e non di semplici mortali. I Fenici che esploravano le coste africane
oltre le Colonne d'Eracle vi arrivarono casualmente, portati per parecchi
giorni dai venti e dalla tempesta. Essi si opposero all'invio di una
colonia da parte dei Tirreni (5, 19-20). Naturalmente al tempo dei Cartaginesi
i Tirreni degli sciatti Greci sono gli Etruschi (che i Greci definirebbero
Pelasgi)! Questi due documenti sono riportati dal lavoro di Gras,
Rouillard e Teixidor, L'universo
fenicio, Einaudi Tascabili, pp. 292-294). Documenti riportati alla luce nelle Americhe
in età moderna, di vario genere, epigrafici e manufatti, ci confermano nel modo
più totale la veridicità della tradizione,
di navi fenicie spiaggiate dai venti e
dalle correnti marine e giunte nelle
Americhe (restandoci senza
speranza di ritorno in patria). Dato che i fondali non segnalano tracce di tale
isola, alla fin fine, per quanto ambigua, la tradizione va riportata alla
situazione geografica attuale per cui le navi partivano direttamente
dall’Italia, o meglio dai suoi avamposti spagnoli (come Tartesso, ed
eventualmente marocchini), per giungere
sulla via di Colombo fino alle isole caraibiche (Cuba, Haiti ecc.) antistanti
l’America centrale, ma anche fino all’America settentrionale e
meridionale. Si tratta di un viaggio oceanico senza soste intermedie della
durata di circa 3 mesi. Esiste però una possibilità. I marinai tirreni
s’erano certo imbattuti nel Mar dei Sargassi che al tempo di Colombo
(1500) era costituito da sole alghe, il che non esclude che nel II-I millennio conservasse la
consistenza di « un continente vagamente
trapezoidale che si estendeva dalle Bermude alle Azzorre e alle isole del Capo
Verde, e ricopriva l’attuale Mar
dei Sargassi » (Jean-Baptiste Charcot, Cristoforo Colombo marinaio, Giunti
Martello, p. 94; la teoria è di L. Germain,
L. Joubin e E. Le Danois: Une esquisse du passé de l’Atlantique nord
in “La Géographie”,
tomo XL, n. 3, settembre-ottobre 1923).
Dunque tutto sarebbe stato più facile se i Romani avessero beneficiato
almeno di un « rosario d’isole disseminate » come
un’“Atlantide” di strutture vegetali galleggianti come tante
oasi nel deserto marino sufficientemente
solida da potervi attraccare le navi, abbeverarsi con acqua piovana, pescare e
in genere rifornirsi di cibo come, che so io banane, noci di cocco e così via.
Altrimenti è vero quel che ha scritto
uno studioso, che Platone come ha creato Atlantide (rubando però la tradizione
della prima Roma e della vera Atlantide nel Mediterraneo) s’è anche
preoccupato di farla affondare, per far sparire le tracce della sua menzogna
politica.
Più in generale è evidente che mai e poi mai le
Americhe, la cui civiltà è assai più
tarda (e semmai deriva) da quella eurafroasiatica avrebbero potuto colonizzare
l’Europa fino all’Italia e l’Africa fino all’Egitto,
scatenando un’invasione fino alla Grecia.
L’identificazione di Atlantide con l’Italia è
schiacciante, e dunque, eliminata l’isola “ponte” al di là delle Colonne (che sotto censura
cartaginese può identificarsi tanto con
un’isola del continente americano quanto con una delle loro basi
atlantiche in Africa o in Europa; del resto avevano il monopolio di tutto
quanto era al di là delle Colonne e nessuno poteva contraddirli), non resta che
tenere in conto l’Italia/Atlantide colonizzatrice e il continente
americano colonizzato. Qui entra in gioco certamente il nome Aztlan
(somigliante ad Atlantide) dato dagli Aztechi (popolo che appare nel XIV secolo
d. C.) alla loro terra messicana. Come ho detto altre volte la terra ricorda la
storia che poi viene raccolta dai popoli che vi si susseguono. Qualsiasi
popolo, per quanto straniero, finisce con l’identificarsi con gli antichi
popoli di una determinata regione.
Basta che dei Romani siano giunti nelle Americhe nel II o nel I
millennio a. C. perché il ricordo sia passato agli Aztechi. E’
un’ipotesi che si basa su poco, ma vale la pena di essere approfondita,
come le tracce di tabacco che sarebbero state trovate su mummie egizie. Gli
indigeni furono visitati in un tempo passato dagli dèi, che promisero il
ritorno. Disgraziatamente per loro tornò Colombo, che aprì la strada alla caccia all’oro e
allo sterminio degli Indiani da parte della Spagna (Storia Universale
Feltrinelli, America Precolombiana, vol. 21). Ma certo nel frattempo erano
arrivati anche i Fenici spiaggiati, che portarono i sacrifici umani (gli
Israeliti/Cananei di prima stratificazione praticavano sacrifici umani, e così
gli illirico-traci-armeni di seconda stratificazione al tempo di Merenptah e
Ramses III), trasformando le Americhe in un Inferno sulla terra, luogo ideale
per l’epopea americana dei Cristiani, della Cristianissima Spagna. La Spagna
è un caso unico nella storia di Stato che non riesce a cogliere le buone
occasioni a causa del suo razzismo e carenza assoluta di voglia di lavorare.
Nasce con la regina Isabella e Ferdinando cacciando ebrei e arabi e appena in
tempo per prendersi il merito e i
“vantaggi economici” della
scoperta delle Americhe da parte dell’Italiano Colombo. Proprio poco tempo prima della partenza di
Colombo da Palos con le tre caravelle gli Spagnoli hanno cacciato dalla Spagna
gli Arabi e gli Ebrei (Sefarditi, che erano la materia grigia del paese e anche
quella disposta ad usare le braccia per lavorare) in nome della limpieza de
sangre (purezza del sangue, cioè del sangue spagnolo, punto e basta; concetto
ripreso da Hitler). Mentre le caravelle riversano in Spagna l’oro,
l’argento e i preziosi strappati
agli indigeni macellati come bestie e con la benedizione dei papi e preti spagnoli (vedi Alessandro Borgia; da poco i papi sono
tornati a Roma da Avignone), la Spagna
è il paese più ricco del mondo (e si dedica solo alla guerra e ai piaceri), ma
agli spagnoli non va di lavorare (no me gusta trabajar!) e accumulano terre su
terre schiavizzando e considerando e rendendo merda altri popoli fra cui noi
Italiani. Un membro (intelligente) delle Cortes scrive a Filippo II (succeduto
a Carlo V sotto il cui regno non tramontava mai il Sole) che la Spagna
finisce con l’essere il paese più povero perché serve da ponte per far
passare oro e argento in altri regni nemici della Spagna. Questa è invece la
relazione presentata a Filippo II da un altro membro (stupido, ma che rende
l’idea di cosa sono gli Spagnoli) del Parlamento (le Cortes): Lasciamo
Londra produrre quei panni così cari al suo cuore. Lasciamo l’Olanda
produrre le sue stoffe, Firenze i suoi
drappi, le Americhe le loro pellicce, Milano i suoi broccati di seta, le
Fiandre i loro tessuti di lino! Noi siamo in grado di comprare questi prodotti,
il che prova che tutte le nazioni lavorano per Madrid e che Madrid non serve
nessuno. Questa politica fallimentare
(gli storici parlano di suicidio economico che condusse al sottosviluppo
irreversibile alla fine del ‘600) li porta a sparire dalla scena
internazionale ai primi del 1600 proprio mentre credevano di aver realizzato
l’ideale della nazione cristianissima, motivo in più per i popoli
intelligenti di tenersi alla larga dal cristianesimo. Insomma, sono stati al
centro della politica europea per poco più di un secolo. Oggi l’Italia fa
parte dei sette paesi più industrializzati del mondo, la Spagna
no (e nemmeno uno degli stati dell’America latina ex colonie spagnole). E
pretendono che Colombo sia spagnolo (o
ebreo spagnolo) dopo averlo « espulso come straniero dai
“suoi” territori nel 1504,
vide gli ultimi arrivati usurpare il suo posto e spogliarlo di ogni diritto ed
avere, dei suoi effetti personali e persino dei suoi scritti che aveva
conservato per lungo tempo. » (p.18) I re cattolici avevano posto il divieto
all’immigrazione in America dei non Spagnoli e Cristoforo Colombo fu
respinto dal continente col pretesto che era straniero (p. 15).
Ciò che ho scoperto a proposito delle relazioni esistenti fra
Atlantide e la Mesoamerica,
ha dello straordinario, ma discende soprattutto dal fatto che fin dalle scuole
medie mi sono occupato di tutte le civiltà antiche, per cui, nonostante la mia
attenzione si sia dal 1984 rivolta
soprattutto (Mediterraneo e Vicino Oriente) dove mi portavano le mie scoperte
incentrate su Disco di Festo, Hyksos, XVII-XVIII dinastia, Omero… ,
conosco abbastanza bene e mi tengo aggiornato anche sulle civiltà
precolombiane. E’ sintomatico
degli studi a compartimenti stagni (al contrario mio che studio tutto e
interdisciplinariamente) che la Séjourné,
autrice di un ottimo lavoro sull’America precolombiana (vol. 21 della
Storia Universale Feltrinelli, da cui provengono tutte le mie citazioni di
questo argomento nel presente lavoro), si smarrisca (né più né meno degli
altri) dietro alla figura senza tempo di Quetzalcoatl, che io invece identifico
senza alcuno sforzo con Nebmaetra
Amenofi III/Eracle, l’unico personaggio che secondo la documentazione di
lingua greca e fonte romana esistente ebbe l’apoteosi dopo morto e dunque
fu assunto fra gli dèi. E questo faraone
fu piuttosto, come ho dimostrato, un governatore dell’Egitto in nome di
Roma (Haunebu/Ausonia), attraverso la
sua parentela con le donne Titanidi o Creontidi, cioè della casta dei Potenti
di Atlantide (se Amenofi IV patì tanto a cercare un erede maschio fu per un
semplice motivo, perché emarginò Nefertiti (“la bella viene [da
lontano]”) e portò l’Egitto fuori dall’impero di Roma, cosicché Roma non inviò successori). Perciò da questo momento, circa il 1400 a.
C. se non prima, è Roma ad esportare usi
e costumi del suo impero (soprattutto di Roma e
dell’Egitto) in America centrale (dagli antenati degli Aztechi a
nord agli antenati degli Inca a sud) oltre che importare materie prime,
lavorate, indigeni, vestiario, mode, ecc.
Comincerò semplicemente dalla tradizione romana rubataci dai
Greci. La
decima fatica di Eracle, catturare i buoi di Gerione nell'isola di
Erizia/Rossa, si riferisce all’arrivo di Romani atlantidei in
Mesoamerica. Il Sole diede ad Eracle la sua coppa d'oro (una imbarcazione)
"per attraversare l'Oceano" (pseudo Apollodoro II, 5) da Tartesso a
Erizia/Mesoamerica (abitata dai Pellirosse). Omero la chiama Apeira "sconfinata"
o "ai confini del mondo", e i
Romani (i “Feaci” omerici)
ne hanno riportato a Pyrgi (Scheria) un'indigena pellerossa come
domestica per Nausicaa (Od. 7, 7ss). Gli Aztechi del Messico celebravano la
grandezza (figurativamente rappresentata come gigantismo) dei mitici fondatori
(i Toltechi, detti Grandi Artefici) di Tula, che situavano ai confini del mondo
(p. 176). Analogamente raccontavano
che « i nostri padri vissero felici, in
quel luogo che essi chiamarono Aztlan (Atlantide), che significa ‘candore’; in tale luogo si trova, in mezzo
all’acqua, una grande montagna che essi chiamano Culhuacán perché la sua
cima è contorta, infatti Culhuacán
significa ‘montagna contorta.’
Su quella montagna c’erano delle buche o grotte o caverne dove i
nostri padri e i nostri nonni vissero per lunghi anni… (p. 179). Secondo
il nobile Chimalpahin, Chicomoztoc
(“Le sette caverne”), si
identifica con Culhuacán e specifica che
« di là, da Chicomoztoc, uscirono dapprima i Culhua, poi i Toltechi e
finalmente tutti gli uomini del nostro mondo,
i sudditi che noi chiamiamo uomini della Nuova Spagna… » (p. 183).
Tula, ”luogo delle canne” (che potrebbe rimandare ai Campi Elisi,
Campi di Canne/Paradiso egizi, all’estremo confine del mondo orientale,
l’Italia), fu patria del gruppo
ancestrale e culla dell’astro che diede inizio all’èra del
movimento alla quale appartenevano i costruttori della prima Tula/Teotihuacán,
“luogo dove l’uomo si trasforma in Dio”, capitale dei Toltechi, “Grandi
Artefici” (che sembra rievocare i Titani romani) e del loro re
Quetzalcoatl che qui (dopo essersi unito a sua sorella, pratica degli Egizi e
degli Atlantidei matrilineari) si gettò sul rogo acceso da lui stesso,
ascendendo al cielo e divenendo il Quinto Sole (p. 175). Quando i nomadi Aztechi intorno al XIII secolo arrivarono
sull’altopiano messicano celebrarono i Grandi Artefici costruttori di
Tula, che situavano ai confini stessi del mondo (p. 176). Per quanto Tula come abbiamo detto possa
corrispondere a Teotihuacán non c’è dubbio che questo nome fa anche
riferimento alla terra di origine dei Toltechi (ovviamente a Oriente/Atlantide)
altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di parlare dei confini del mondo quando
Teotihuacán si trova in Messico. Penso quindi che Tula (il nome più antico
della città) riceva il nome dalla Tula atlantidea (si sente parlare dai nostri
antichi di ultima Thule, che potrebbe fare riferimento alla terra del
‘candore’ — terra di ghiacci? — da cui partivano per le
Americhe gli Atlantidei) da dove al
momento penso provengano non tanto i colonizzatori quanto (per ora mi
accontento) i frequentatori/civilizzatori Romani. Va ovviamente considerato che
queste tradizioni locali antichissime sono raccolte dagli ultimi arrivati
Aztechi che le fanno proprie.
Come Atlantide, fondata dai Titani (almeno dal 1600 a.
C.) e “distrutta” dai loro lontani discendenti Giganti, anche
Aztechi e Incas dicevano di essere discendenti di giganti che avevano costruito
opere ciclopiche nelle loro città capitali, come i colossi toltechi (i Toltechi
erano chiamati i Grandi Artefici) di Tula o le statue gigantesche con barba ad
alto-rilievo trovate a Tiahuanaco che illustrano le leggende sui giganti
primordiali barbuti che il Titicaca avrebbe generato nella notte dei tempi (p.
220). E’ evidente che chi costruì queste opere gigantesche veniva molto
tempo dopo i colonizzatori romani, ma ne
manteneva la tradizione, pur
riproducendoli a modo suo.
Idealmente questi colossi sono dei Titani romani venuti da Aztlan/Atlantide.
Ora io credo che qualsiasi significato possano
aver avuto queste tradizioni per gli Aztechi (ovviamente alla lunga i toponimi
d’origine si sono cercati nel Messico stesso), in origine Aztlan si riferiva ad Atlantide,
realmente situata ai confini del mondo, ad Oriente. ‘Candore’ può
essere stato riferito ai ghiacci del nord Europa (che faceva parte di
Atlantide) da cui le flotte romane possono essere partite per una navigazione
(che fu poi quella dei Vikinghi) costa costa
delle Americhe da nord a sud in senso antiorario.
Eracle era noto ad Erodoto come
personaggio storico, umano (Amenofi III, 1390-1352), e come dio, il dio assai
più antico dell’uomo. Anche gli Aztechi conoscono il dio e il potente
monarca esposto alle passioni e alla fine cacciato da un rivale [che nella
tradizione “greca” è Euristeo]. Poiché Eracle fu divinizzato dopo
la morte è possibile che la tradizione lo abbia alla fine scisso in due esseri
differenti, uno divino, uno umano, mentre logicamente doveva essere un uomo
divinizzato dopo morto. Quetzalcoatl re di Tula/Teotihuacán, “luogo dove l’uomo
si trasforma in Dio”, capitale dei
Toltechi, deve essere stato all’origine della
civiltà mesoamericana anche se come il gemello Eracle finisce con
l’essere moltiplicato in storie di differente cronologia e ambientazione.
E’ rivendicato come loro
creatore dai Grandi Artefici, i Toltechi,
dell’altopiano del Messico, da cui tutti gli altri popoli
messicani si proclamano discendenti.
Dapprima re di una purezza sovrumana, si da al bere, spinto da cattivi consiglieri,
si unisce carnalmente a sua sorella (pratica egizia e atlantidea), discende
agli inferi cioè si chiude per quattro giorni in una specie di sarcofago
(questo è anche il percorso giornaliero in cui il pianeta Venere, come Vespero,
stella della sera scende con la nave del Sole a Occidente nella parte inferiore
della Terra per risalire al mattino come stella dell’Aurora, Lucifero, a
Oriente), abbandona il suo regno e dopo
una peregrinazione arriva al Paese del Sole o alla “terra del nero e del
rosso” (pp. 201 e 299; nella quale vedrei l’Egitto, Chemet, la
terra nera, bordata a destra e a sinistra dal Deshert rosso), giunto alla riva
celeste dell’acqua divina (cos’altro se non il Nilo?), prepara le
sue insegne di piume e la maschera verde (le maschere funerarie sono in uso per
coprire il volto del morto come, in questo stesso tempo, in Egitto e a Micene)
si sacrifica su un rogo, il suo cuore scortato da miriadi di uccelli
multicolori sale al cielo e diventa il pianeta Venere/Lucifero, il Signore
dell’Aurora (p. 192 e 201).
Secondo altre versioni questo re era sacerdote del dio Quetzalcoatl, il
dio Sole (p. 194). Solo Amenofi III ebbe la divinizzazione come Eracle, ma è
possibile che la figura di Eracle sia stata alla fine piuttosto contaminata da
quella di Amenofi IV (1352-1336), il faraone eretico, figlio del precedente,
sebbene anche Amenofi III abbia per primo venerato il Sole/Aton con cui
addirittura si identificava in vita. Eracle costruì una pira vi
montò sopra, vi bruciò e una nube lo sollevò in cielo dove ottenne
l’immortalità (Apollodoro, II, 7).
CONTINUA DOPO LA… PUBBLICITA’
ATTENZIONE! Avete creato o avete
intenzione di creare un sito con contenuti seri, scientifici, o cui comunque
tenete particolarmente, sull’insieme Xoomer.it, Virgilio.it,
Telecomitalia? NON FATELO! Tutti i miei lavori (frutto di anni di lavoro intenso)
postati sul sito di questo GESTORE INFEDELE, XOOMER.IT: http://xoomer.virgilio.it/corsinimg sono stati rimossi insieme al sito stesso senza alcun
preavviso e motivazione. Non pensavo minimamente che potesse accadere
un’assurdità simile, ed è per ciò che il fatto mi ha colto di sorpresa.
Quando me ne sono accorto e ho reclamato, la motivazione dei tecnici (perché
solo da loro ho ricevuto risposta) è stata che non usavo il sito da tempo! Cioè
non inserivo nuovi lavori… Queste teste di cazzo non capiscono che non
sono io a dover frequentare il mio sito, ma gli utenti, voi, che vi ci collegate e che in ogni tempo
trovate lavori da consultare, per sempre. E pensare che questa storia da incubo
iniziò quando mi arrivarono delle e-mail di Telecomitalia che mi… pregava di postare i miei lavori su
Xoomer.it, e io stupidamente accettai.
CONTINUAZIONE
Nel caso che gli Atlantidei (soprattutto Tirreni e dunque
Sardi e Laziali, nonché Siculi) siano giunti nell’America Centrale è
presumibile che abbiano lasciato dei discendenti di pelle bianca accoppiandosi con le donne indigene, ciò che
constatiamo dall’Africa settentrionale alle Canarie alle indigene
dell’America centrale (si tenga presente che il Rio delle Amazzoni ha
preso nome dall’esistenza di donne indigene che assomigliano nel loro
modo di vivere alle Amazzoni della tradizione occidentale). Oltre al DNA
Tirrenico ci aspettiamo di trovare in Mesoamerica alcuni elementi della civiltà
romana di questo periodo che abbiamo teorizzato sulla base della tradizione
romana in greco rubataci dai Greci.
Insomma, se la mia tesi è corretta
i Romani devono aver lasciato tracce
del loro passaggio e noi dovremo riscontrarle.
Le donne sono descritte come Amazzoni: « Fiera e coraggiosa,
la donna uguaglia spesso per bellezza le Spagnole più avvenenti e L?pez de
G?mara assicura che, nonostante la mancanza di scarpe, che la fa sembrare più
piccola, la sua statura è uguale alla
loro. Stupiti per la bianchezza della pelle di certe donne indigene, tutti
concludono che il colore bronzeo delle altre è una conseguenza della loro
costante esposizione al sole. Agili tanto nell’acqua quanto sulla terra
— l’acqua era infatti il secondo ambiente naturale di quelle
popolazioni rivierasche —,
abituate a ogni genere di esercizio, compreso quello della caccia o
della guerra con l’arco, le ragazze godevano, fino al matrimonio, della
stessa libertà sessuale dei loro compagni, e si avvicinavano a un ideale di
forza e allo stesso tempo di femminilità curiosamente moderno. Dimenticando i
suoi pregiudizi, Oviedo proclama più volte la sua ammirazione per quelle donne,
più pudiche e più nobili nella loro nudità di molte eleganti cristiane. » (pp.
106-107) La donna poteva essere anche medico e partecipare alla guerra e al
governo e gestire i beni. Oviedo parla
di grandi dame che organizzano e dirigono numerosi lavoratori (p.
146). Diego de Landa dice che, in
realtà, certe donne vendono i prodotti del loro lavoro sui mercati e si
occupano pure dell’educazione dei figli e dell’economia domestica,
poiché è su di esse che ricade la responsabilità del pagamento dei tributi; che
organizzano balli per sole donne, vietandone la partecipazione agli uomini; che
si ubriacano fra loro nei banchetti e arrivano persino a percuotere il marito
infedele. Sembrerebbe dunque che la
donna dello Yucatán non avesse completamente perso la bella autonomia che
possedeva nell’area caraibica (p. 147). A Cuba le signorie passavano in eredità alla moglie legittima.
Alla morte di questa, le succedeva il figlio maggiore o il figlio della sorella
del sovrano, mai quello del fratello… Anche per la Colombia,
Cieza de Léon segnala l’accesso al potere della donna per diritto di
successione e il passaggio dei titoli e dei beni al figlio della sorella del
defunto. (p. 148).
Oviedo segnala le vere e proprie Amazzoni, le donne « che non
vogliono sposarsi e portano arco e frecce come gli Indiani e vanno alla guerra
con loro; esse praticano la castità e possono
a buon diritto uccidere un uomo che volesse il loro corpo o la loro
verginità. Gli uomini non chiedono mai la pace; anche se fanno parte di
un’ambasceria, sono le donne che avanzano le proposte, discutono e si
arrendono, se il caso lo richiede…
Fra l’altro essi dicono che “è meglio che siano le donne a
mentire.” Si portano in guerra ossa di antenati eroici il cui
esempio si pensa possa essere
d’incitamento. [il che mi ricorda che, secondo gli oracoli che
proteggevano la città, Troia sarebbe caduta innanzitutto se le ossa di Pelope
fossero state trasportate al campo greco, Apollodoro, Biblioteca storica, Epitome, 4] » (p. 158; e appunto si mandò a
cercarle e furono portate al campo; queste Amazzoni sono uguali spiccicate a
quelle della tradizione romana in greco; le Amazzoni del Termodonte
(Pentesilea) invece appartenevano a popolazioni Sarmatiche, parteciparono alla guerra di Troia contro gli
Achei/Romani e invasero l’Attica e
Atene). Un periodo variabile da quindici a venti giorni è consacrato ai canti
che rievocano i fatti e le gesta del nobile scomparso, affinché figli e
vassalli li imprimano per sempre nella loro memoria (p. 159). Credo sia
interessante la relazione stretta fra Egitto che imbalsamava i morti e
imbalsamazione attestata nelle Canarie fino alle regioni caraibiche e al Perù.
Fernández de Oviedo afferma che « v’è un’infinità di morti nei
templi destinati a quest’uso e i loro ventri e stomaci, così riempiti,
furono ripuliti con diligenza dalle mani dei nostri soldati; fu raccolta in tal
modo una quantità grandissima d’oro e di smeraldi. » (p. 161)
Un cortigiano italiano dei re di Spagna, Pietro Martire
d’Anghiera, fu il primo a rivelare al mondo, dal 1504 al 1530, le
scoperte di Colombo e di altri testimoni: « Trenta donne si fecero avanti [a
Colombo e seguito] per riceverli con rami di palma, danzando, cantando e
suonando per ordine del re; esse avanzavano completamente nude, salvo le loro
parti intime che nascondevano con una sorta di
gonnellino di cotone [cf. più avanti la Dama
di Dorak quando parleremo di Troia]. Le vergini, invece, portano i capelli
sulle spalle, un nastro sulla fronte e non coprono nessuna parte del corpo. I
nostri dicono che hanno viso, petto, seni e mani bianchissimi e che essi ebbero
l’impressione di vedere quelle superbe driadi o ninfe che cantano le
favole antiche. » (p. 108) Ci sono ragazze che fanno voto di verginità per
libera scelta come molte ragazze (le possiamo definire Amazzoni) e divinità
della tradizione romana (Athena, Artemide) poi conservata e manipolata dai
Greci. In questo paese la verginità non ha alcun valore sociale o religioso (p.
143), eppure resistono alla violenza degli Spagnoli fino a farsi ammazzare e, se
violate, si suicidano, solo per
rispettare la libera decisione individuale (p. 107). A Cubagua le vergini portano « giarrettiere
molto strette sopra e sotto il ginocchio
affinché le cosce e i polpacci si ingrossino molto, ciò che è per loro indizio
di grande bellezza. » (p. 137) La deformazione cranica (di Amenofi IV e della
sua famiglia) passa dall’Italia ai precolombiani (pp. 138-139). Altra
deformazione interessante è lo strabismo ottenuto attaccando un ciondolo fra le
sopracciglia dei lattanti (il che mi ricorda lo strabismo di Venere), p.
139. C’è una pratica che mi
ricorda un passo di una commedia di Plauto secondo cui le ragazze etrusche prostituendosi ai marinai di passaggio (a
Pyrgi) accumulavano la dote. La prostituzione era un lavoro rispettabile come
qualunque altro; era normale che una ragazza si guadagnasse la vita con amanti
di passaggio e accumulasse così la sua dote (p. 144). E trovo anche una pratica
che mi ricorda quel che diceva un greco a proposito delle donne etrusche che si
concedevano a chiunque. Ebbene, scrive
Oviedo, « in una certa festa molto importante, nella quale si trovano riunite
molte persone, le donne sono libere, per il tempo della durata della festa (che
si svolge di notte), di unirsi con chi vogliono, qualunque sia la loro
posizione sociale. Passata quella notte, non accade più nulla di simile e ciò
non si ripete più di una volta all’anno… » (p. 145)
In guerra come segno di valore si dipingono il corpo
interamente di rosso. So di proporre cose che potrebbero essere azzardate ma,
conoscendo abbastanza bene i popoli dell’America precolombiana, non mi
stupirei tanto se il principe dei gigli (datato al tempo in cui i Romani
dominavano su Cnosso) portasse una acconciatura di penne di uccello quetzal
(tradotto pavoni in 1 Re 10, 22, e nel passo
corrispondente di 2 Cronache) dei
Maya o, piuttosto, dei loro antenati. Lo stesso naturalismo dell’arte
amarniana (che ha un parallelo in quello cretese più o meno coevo) potrebbe
essere conseguenza dei rapporti con la civiltà
paradisiaca dei buoni selvaggi
caraibici. Potrei addurre altre immagini di civiltà dell’Oriente
antico che suggeriscono relazioni fra Vecchio e Nuovo mondo (e fino
all’Indonesia, dall’altra parte del Pacifico).
Riassumiamo sulla guida della Séjourné. In
origine (pensiamo al tempo in cui eventualmente i Romani di Atlantide
arrivarono in America) era la struttura matrilineare. Se si pensa al tabù
dell’incesto si comprenderà che la deroga alla legge più rigida del
comportamento indigeno debba rispondere a una necessità vitale. A ad esempio si
dice che « si sposano con le loro nipoti o con le loro sorelle » e la dinastia
Inca inizia con l’incesto considerato come essenza stessa della saggezza
del mitico Manco Capac. Secoli dopo un
altro monarca inviterà un paese ad aderire all’impero alla sola
condizione « di sposare i figli con le
figlie ». Garcilaso conferma che essi « si sposano fra loro perché la razza non
subisca mescolanze. » (p. 162) Qui c’è tanto Atlantide che
l’Egitto. In un’area di predominio femminile il valore sociale
della verginità era nullo. Deformazione cranica, depilazione, applicazioni
nelle orecchie e in diverse parti del viso,
uso dei pennacchi e della pratica dei bagni quotidiani [anche i Romani del
primo impero amavano i bagni caldi, dice Omero]. Scrive la Séjourné
che quest’ultima usanza apparve così strana agli Spagnoli che presto le
attribuirono la causa principale della mortalità dei vinti (p. 167). Si trovano
dappertutto anche la trasmissione orale per mezzo di canti, la leggenda di
un’era che termina col diluvio [ovviamente quello di Dardano, XIII sec.,
che coincide con la guerra di Troia e la fine “relativa” dell’impero di Atlantide, che solo i
Romani possono avere importato in America] (p. 167). E’ noto il
valore sacro dell’ospitalità dei Romani del primo impero come emerge da
Omero (soprattutto Alcìnoo di Pyrgi) e in
genere dalla tradizione romana oggi greca. L’ospitalità dei popoli
mesoamericani resta ancora ai nostri giorni il dovere sacro che era al
tempo della conquista.
In America latina gli Atlantidei hanno verisimilmente
importato la deformazione artificiale del cranio che così diventa cilindrico
(p. 225). Infatti quest’uso è osservabile in Egitto (grazie
all’arte veristica) nella famiglia di Amenofi IV, Nefertiti e figlie, e
deve provenire proprio da Nefertiti. Sulla scia di un egittologo credevo che
queste donne grandi spose reali fossero Mitanniche e invece ho scoperto che
sono Italiane. La mummificazione presso
gli Incas comportava l’estrazione di tutti gli organi interni (p. 226).
Queste due pratiche erano profondamente radicate nella tradizione (p. 228).
La civilizzazione della Mesoamerica (eccetera) fu dovuta a Roma capitale di Aztlan/Atlantide, che
disponeva (per adesso, ipotizzo, dal 1600 a.
C. ca.; ma potrebbe trattarsi anche dal 2500 a.
C., navi di Dorak) di una flotta capace di attraversare l’Oceano assai
meglio delle caravelle di 4 millenni dopo. E’ a tutti noto che la Roma
da Romolo in poi (dunque sicuramente anche quella dell’impero di
Atlantide) ha scrupolosamente codificato le norme per la dichiarazione di
guerra solo dopo un tentativo dei diplomatici (la diplomazia è stata inventata
in Italia non a caso) di ottenere soddisfazione con le buone. « Tutto porta a credere infatti che, per gli
autoctoni, un attacco fosse inammissibile senza una dichiarazione di guerra e
il modo in cui perdono invariabilmente le buone occasioni di sbarazzarsi dei
loro aggressori che li ingannano col tranello delle false promesse, obbliga a
pensare che il tradimento costituì un’arma ancor più efficace
dell’erchibugio o del cannone. » (p.
58)
Troia fu certo un sito antico. Deve essere stata colonia di Roma verisimilmente prima
dell’invasione dell’impero Hyksos,
suppongo intorno al 1800 a.
C., nello stesso tempo in cui forse
entrammo in contatto con l’Egitto (a quel tempo indipendente, cioè non
soggetto agli Hyksos) esportandovi l’argento (verso la fine della XII
dinastia, Amenemhet III/IV). Troia fu un avamposto conquistato e fatto grande
dai Romani per il controllo del traffico dei metalli del Mar Nero (metallurgi
Tiberini, non Tibareni),
dell’Anatolia e dell’Oriente in generale. I dati
archeologici da qui provenienti appaiono i più antichi relativi
all’esistenza di Atlantide
(renderebbero possibile la nascita di
questa civiltà in Italia indietro fino al 3000 a.
C.). Credo che Troia sia stata una delle prime se non la prima conquista romana
nel Mediterraneo orientale (le tombe reali di Dorak, nei pressi
dell’attuale città di Bursa nell’entroterra del Mar di
Marmara, di Alaca Hüyük, circa 165 km
ad est di Ankara, e altre ancora, sono
datate al 2500 a.
C. e appartengono certo alla medesima civiltà), deve essere stata base navale (17 navi, con vele e prua a
rostro, fino a 30 rematori ciascuna e definite in grado di solcare
l’oceano, decorano la spada con lama d’argento di Dorak; se davvero
questa spada data al 2500 a.
C. possiamo dichiarare che Troia possedeva navi di gran lunga superiori a
quella solare di Cheope) per la conquista dell’Egitto (cacciandone gli
Hyksos) intorno alla metà del II millennio a. C. Sono innumerevoli i dati di
questi centri che si ricollegano alla civiltà di Atlantide, come i metalli che
costituivano la prima ricchezza di Atlantide (oro, frammento aureo di un trono col nome del
faraone Sahure, secondo della V dinastia, circa 2500 a.
C.; argento; elettro; bronzo; addirittura ferro (spada di Dorak con impugnatura
in ossidiana e lama in ferro); e poi ambra (dal Baltico); agata; cristallo di
rocca; terracotta; avorio,
dall’Africa), i disegni di
delfini, simbolo dei Tirreni; ma di eccezionale valore ritengo il fatto che il
re della tomba doppia di Dorak aveva ai suoi piedi il proprio cane con davanti
la sua ciotola di pietra e così nelle tredici tombe di Alaca Hüyük il cane del
defunto veniva tumulato esternamente alla camera funeraria, affinché facesse la
guardia al padrone anche dopo la sua morte.
Così scrivono rispettivamente Ian
Wilson in I pilastri di Atlantide, Fabbri Ed. (p. 194ss) e B. Brandau e H.
Schickert, Gli Hittiti, Newton Compton Ed.
2006 (p. 18), ma nel vol. 21
(America precolombiana) della Storia universale Feltrinelli la Séjourné ci informa che Xolotl è il cane che quida
Quetzalcoatl nella sua discesa agli inferi (e Quetzalcoatl scende agli inferi
come stella della sera, Vespero, per poi risalire in quanto Aurora/Lucifero). «
E’ infatti Xolotl che è incaricato di condurre le anime attraverso i
meandri di un basso mondo che egli è il solo a conoscere, poiché nessuno,
all’infuori di lui, ne è mai tornato (Odisseo che va agli Inferi, quando
si trova presso Circe di Colchide, e ritorna, raffigura Romolo, il re asceso al
cielo, divinizzato come Quirino “Signore”, dio Sole; notare che
Odisseo è la traduzione di Hostus Hostilius cioè Romolo). Il suo aiuto è
considerato tanto indispensabile che i morti erano sempre accompagnati da un
cane: i cronisti segnalano quest’uso presso gli Aztechi del XVI secolo e
i nostri scavi hanno dimostrato l’esistenza della stessa usanza a
Teotihuacán, quindici secoli prima. » (p. 277)
I Tirreni (Etruschi) si fanno riprodurre a banchetto con ai piedi il
cane fedele, e lo stesso Odisseo, re tirrenico (che come ho dimostrato, secondo
una delle letture possibili, di cui si sono avvalsi i fondatori del
cristianesimo, è immaginato come morto
durante il ritorno, evocato dal figlio disperato per le angherie dei Proci, per
cui passa dall’inferno di Circe al purgatorio di Calipso per arrivare al
Paradiso di Nausicàa e da qui per un giorno soltanto a Itaca dove riabbraccia
moglie e figlio, libera la sua casa dagli oppressori, sparendo definitivamente
per il mondo dei morti che si trova in Italia/Campi Elisi), aveva i propri
cani, fra cui il celebre, fedele Argo (che è l’unico a vederlo, come
Athena, proprio per la sua essenza di morto). Il cane dei Romani è lo sciacallo
degli Egizi. Anche attraverso la pratica della mummificazione giunta nelle
Canarie e fino in Perù la civiltà atlantidea ha fortemente permeato quella
mesoamericana.
Il dio Anubis, lo sciacallo,
presiede all’imbalsamazione del defunto e lo accompagna fino agli inferi
dove pesa il suo cuore, sulla bilancia
di Maat (Verità e Giustizia).
La barca solare di Cheope data a circa il 2600 a.
C. Queste che io attribuisco alla flotta
di un signore dei mari di Atlantide stabilitosi nella Troade sono ? cos’altro se no? ?
le navi di Tarshish/Tartesso che oltrepassavano le Colonne di Atlante e ogni
tre anni portavano prodotti esotici (fra cui argento e uccelli quetzal
dalle lunghe piume colorate, tradotto pavoni nelle bibbie protestanti e in quella delle Paoline) dall’America centrale ai re di Roma fino al tempo di Salomone nel X secolo. Tartesso
(Andalusia, Spagna sud-orientale), regione strategica navale romana è
l’erede di Los Millares (Andalusia), dove si rinvengono costruzioni
fortificate di tipo nuragico tra fine III-inizio II millennio. Non credo che
qualcuno possa pensare seriamente alla navigazione “oceanica” da
parte dei Troiani nel Mar Nero (da cui non provengono segnali archeologici di
civiltà antiche di un qualche rilievo). Troia c’entra qualcosa… ma
come colonia di Atlantide e non viceversa, come attesta la tradizione del
Palladio realizzato sul Tevere e finito a Troia prima della sua fondazione (e
Troia, come Memfi che la tradizione vuole nostra fondazione, risale alla fine
del IV millennio)!
Mi si potrebbe contestare
che la stessa tradizione “romana” rivendica la
fondazione di Roma da parte di Troia attraverso la mediazione di Alba
Longa. Il guaio è che questa tradizione come ho dimostrato altrove è in realtà
spudoratamente greca (o, come abbiamo visto, adattata a compiacere i Greci pur
di attirarne gli investimenti a Roma), in quanto Ascanio figlio di Enea profugo
(in realtà reduce) da Troia avrebbe fondato Alba Longa, la quale a sua volta
avrebbe inviato il legittimo erede al trono di Lauro-Lavinio Romolo (Remo a capo della comunità greca
dell’Aventino è assolutamente
un’invenzione filogreca; e si appoggia, come abbiamo scoperto
adesso, all’astro di Venere e ai
gemelli del tramonto e dell’alba) a cercarsi un altro regno, fuori dai
piedi, insomma, del “buon nonnino” Numitore. Tutta la tradizione,
come ho dimostrato da tempo, è di origine
filogreca, e perciò da rottamare grazie al solito grande storico che è
Dionisio d’Alicarnasso. Roma, c’è bisogno di dirlo?, fu fondata
prima di Alba Longa (anche la Roma Palatina
di Romolo fu fondata prima, e la stessa tradizione si sbugiarda negando che ad
Alba Longa ci fossero i Penati sedicenti portati da Lavinio, che infatti si
erano rifiutati di andarci fino a che li lasciarono in pace dov’erano).
Parliamo del Palladio: « Quando nacque Atena,
la dea fu allevata da Tritone [Tevere], che aveva una figlia,
Pallade. Le due fanciulle si esercitavano insieme nell’arte della
guerra; un giorno… Pallade…
fu colpita [accidentalmente] da Atena e morì. E la dea,
angosciata per la morte dell’amica, fece una scultura di legno con il suo
ritratto… e le tributò onori. Ma il giorno che Elettra [figlia di
Atlante e dunque vivente ad Atlantide], violata da Zeus, si rifugiò presso
il Palladio, Zeus lo gettò nella regione di Ilio, insieme alla fanciulla; Ilo poi costruì un
tempio per il Palladio, e gli rese grandi onori. » (Apollodoro III, 12) Da Roma
a Troia, dunque! Dal biondo Tevere al
biondo Scamandro! Zeus è un intruso impostore tracio.
La regina di Dorak era vestita riccamente e circondata da
prodotti cosmetici e articoli da toeletta. Possiamo farci un’idea di
queste donne dalle cinque statuette alte 15 centimetri
in bronzo, argento e elettro, rinvenute nella tomba della regina. La statuetta
in elettro con copricapo conico alto (che pare piuttosto una complicata
acconciatura dei capelli), braccialetti e cavigliere, a petto nudo e vestita
solo di un gonnellino, potrebbe raffigurare la stessa regina, in quanto i
gioielli sono identici a quelli trovati nella tomba.
Regina
di Dorak e dea dei serpenti dal secondo palazzo di Cnosso
Al
centro della sua acconciatura c’è un medaglione sul quale sono
raffigurati due delfini e due ibici, che richiamano gli ibici sul sarcofago di Radamanto ad Haya Triada. La
kýria [KI] del sillabario romano di Phaistòs porta quella che mi sembra una
pelle di animale su gonna fino ai piedi, seni nudi e capelli lunghi all’indietro.
La civiltà atlantidea doveva avere un tocco di libico-punico ricevendo influssi
di civiltà dalle Amazzoni libiche del Tassili
e da Malta, entrambe risalenti al V millennio.
Le navi oceaniche Romane (navi di Dorak) di base a
Tarshish/Tartesso, in Andalusia, andavano fino alle Americhe (almeno dal XIV e ancora nel X secolo gli Italiani portavano
in Oriente e a Salomone oro, argento, avorio, scimmie e uccelli quetzal dalle
piume variopinte, cf. 1 Re 10, 22), impiegando tre anni fra andata, carico e
ritorno, come i galeoni spagnoli che facevano Siviglia-Americhe e ritorno! Il
calo del prezzo dell'argento in Egitto nel Medio Regno (XII din., 2000-1800 ca.), derivava forse dall'argento
americano!
Balsamario a forma di scimmia
col piccolo, terracotta, VI sec. Roma, Antiquarium comunale
Si tratta della medesima realtà
fotografata in tempi distanti: « Probabilmente nel mercato egizio si ebbe una
sovrabbondanza di argento, come nell'Europa del XVI d. C., sommersa dal metallo
bianco proveniente dall'America. » (F. Braudel, Memorie del Mediterraneo,
Tascabili Bompiani, p. 233) Se il grande
storico Braudel dice il vero, allora la potenza italica potrebbe realmente
essere datata dalla fine del III-primi del II millennio, il che corrisponde alla ragionevole datazione dei
più antichi nuraghi sardi.
Dobbiamo ritenere abbastanza probabile la
datazione al radiocarbonio di alcuni nuraghi e aree connesse che giungono fino
al 2000 a.
C. e oltre, come il nuraghe Brunku Màdugui (Gésturi-Cagliari). Importante è
anche il contestuale ritrovamento di
lingotti di rame con segni della Lineare A. « Quel che sorprende è come tali
principi architettonici abbiano allignato così presto in Sardegna, anzi quasi
prima ancora che nello stesso Peloponneso raggiungessero il massimo sviluppo.
Infatti, come si è visto, sulla base del radiocarbonio, almeno due nuraghi a
tholos potrebbero porsi fra il XVIII e il XV sec… Nuraghe di
Barùmini… Nuraghe Pizzinnu di Posada… (Ercole Contu, La Sardegna
dell’età nuragica, p. 160, in
Popoli e civiltà dell’Italia antica, vol. III, Biblioteca di storia
patria, 1974). Questa meraviglia è propria di chi ancora subisce l’errore
comune che l’Oriente abbia civilizzato l’Occidente (oltretutto
assai tardi).
Ecco spiegato
perché è in Egitto che si verifica
(oltre ad esservi registrato) il calo
del prezzo dell'argento. Ma attenzione! A quest’epoca l’Egitto è
sotto la XII
dinastia, la dinastia canonica della civiltà egizia. Poi verranno gli Hyksos.
Poi Ahmose I di Tebe. Per il momento non ho prove sufficienti per azzardare una
datazione così alta del primo impero romano (perlomeno fino all’Egitto;
si potrebbe trattare più semplicemente dell’impero occidentale). Serve
ulteriore documentazione. Durante la XII
dinastia gli Egizi possono essere stati
anche solo acquirenti dell’argento che eventualmente proveniva
dalle Americhe. L’argento egiziano avrebbe potuto provenire dalla Spagna
e dall’Inghilterra sempre attraverso Atlantide; tuttavia forse non a caso
i maggiori produttori mondiali d’argento sono nell’ordine: Messico,
Stati Uniti, Canada, Perù, Australia, Bolivia (Enciclopedia Universale Fabbri).
Tutti nelle Americhe tranne l’Australia, mentre Messico, Perù e Bolivia
sono sulla via più ovvia della frequentazione italiana. C’è un indizio
importantissimo e credo univoco per stabilire se veramente Atlantide era in
contatto con le Americhe da cui importava in Egitto. Da qualche parte ho letto
che in qualche mummia egizia si è trovata traccia di tabacco. Se ciò è vero
Atlantide certamente fu tramite, perché il tabacco origina dall’America
tropicale. Verificando il DNA delle mummie più antiche potremo dimostrare che
Roma andava in America assai prima di Salomone.(che era sempre dipendente da Roma),
dei Vighinghi e di Colombo.
Gli Etruschi, come eredi bastardi dei Tirreni,
pretendevano riallacciare i rapporti con l’America, ma non
avevano più il controllo dello Stretto di Gibilterra e di Tartesso.
E’ a questo punto che, avendo Tiro fondato Cartagine, verisimilmente nel
IX secolo, sono i Fenicio-Punici a dominare la scena. C’è da domandarsi se l'oro degli
Etruschi non sia stato almeno in parte accumulato dalle precedenti generazioni
tirreniche, provenendo così dal Centroamerica.
Il nome Atlantide è rimasto legato
all’Africa nord-occidentale e alla Sardegna/Ogigia di Calipso figlia di
Atlante. Che una serie di maremoti e terremoti ci sia
stata appare direi perfino certo. Un qualche cataclisma accompagnato da
maremoti e fuochi nel cielo avvenne effettivamente al tempo che ci interessa e
fu avvistato e provocò danni all’Egitto di Ahmose I e fu registrato nella
Stele della Tempesta e nel verso del papiro matematico Rhind. Penso sia stato
coevo della prima esplosione dell’isola di Thera, che probabilmente facilitò
la vittoria romana sugli Hyksos, ma c’è anche la possibilità del
contemporaneo alluvione di Atlantide (senza l’inabissamento) se il
diluvio di Ogige lo riferiamo, come mi pare doveroso, ad Ogigia/Sardegna della
ninfa Calipso figlia di Atlante. Ogigia è l’ « isola in mezzo
all’onde, dov’è l’ombelico del mare » (Od. 1, 50). Mi pare
fuor di dubbio che Omero si riferisce qui al Mediterraneo Occidentale
(l’ex palude Tritonide). Atlante « regge le grandi colonne che cielo e terra
sostengono » (Od. 1, 54) Nei pressi c’è il massiccio del Grande
Atlante dell’Africa nord-occidentale di cui parla Erodoto: «
L’Atlante è un monte stretto e arrotondato su ogni versante, ma tanto
alto che le sue vette, pare, non si possono nemmeno vedere: non sono mai
sgombre di nubi, né d’estate né d’inverno; a sentire gli abitanti
del luogo, l’Atlante è la colonna che sorregge la volta celeste. La
popolazione ha derivato il suo nome da quello del monte: si chiamano infatti
Atlanti. » (4, 184) Abbiamo già detto cosa ricordavano gli Aztechi:
« i nostri padri vissero felici, in quel luogo che
essi chiamarono Aztlan (Atlantide), che significa ‘candore’; in tale luogo si trova, in mezzo
all’acqua, una grande montagna che essi chiamano Culhuacán perché la sua
cima è contorta, infatti Culhuacán
significa ‘montagna contorta.’
Su quella montagna c’erano delle buche o grotte o caverne dove i
nostri padri e i nostri nonni vissero per lunghi anni… (p. 179).
I Romani raggiungevano anche l’Oriente e il Nord Europa.
Riassumo quel che ho scritto su Atlantide. Dalla Colchide di Circe attraverso
il Mar Nero, sulla via del Dnepr/Borysthenes, noto come la "via dai
Variaghi ai Greci” fino al Mar Baltico e poi attraverso il Fiume Oceano,
dall’altra parte, Odisseo giunge all’Ade. Torna poi da Circe che
gli indica il percorso fino a casa: Sirene, stretto di Messina, Trinacria/Sicilia e poi, se non tocca le
vacche del Sole, giungerà a Itaca coi compagni, altrimenti da solo. Così
Odisseo riprende la via di fiumi che dal Baltico porta al Mar Nero e dunque
ripercorre il “profondo” Dnepr con una successione di ben sette
rapide e dove le ondine slave/Sirene sono le amanti respinte che si gettano nel
fiume. Ora è evidente che Odisseo deve uscire dal Mar Nero ed entrare nel
Mediterraneo, ed infatti entra nel Mediterraneo. Poi ha due vie, una esclusa,
Canale di Sicilia, che solo la nave Argo (dei più grandi navigatori del mondo,
i Tirreni) riuscì a passare, e stretto
di Messina (Scilla e Cariddi), dopo di che
giunge in Sicilia. Ma perché
passare lo Stretto di Messina se deve
andare a Itaca, che è prima e sulla destra? Perché il poema originario
prevedeva il ritorno del Romano Odisseo a Pyrgi/Roma, dal suo re Alcìnoo, per
relazionare sul suo Viaggio, che era un panegirico degli antichi viaggi dei
Romani (Argonauti) nel loro impero. I
suoi compagni, abbastanza atei, cucinano le vacche del Sole e la nave si
sfascia. Odisseo rimane nel versante occidentale del Mediterraneo e, aggrappato
al fico di Cariddi, si lascia cadere in mare quando la marea riporta indietro
il fasciame della nave, e, aggrappato a questo, raggiunge la Sardegna/Ogigia.
E’ matematico.
In Pyrgi (Santa Severa, Santa Marinella), col suo tempio di
Ino Leucothea e il re Alcinoo a capo dei dodici re della lega tirrenica (eredi
dei dieci re di Atlantide, che si riunivano periodicamente a Roma, è ovvio),
Omero vede il porto di Roma, e addirittura Roma stessa, in quanto
Odisseo tocca terra alla foce di un fiume sacro (che non può certo essere il
Mignone!) che nella sfocatura del ricordo si allarga ad identificarsi col
Tevere, tanto più che qui ha sede il re Alcìnoo capo della dodecapoli/dieci
distretti di Atlantide che facevano capo alla capitale Roma Capitolina (in
altri scritti ho già avanzato l’ipotesi che Roma fu la prima antica sede
del Fanum Volthumnae tirrenico, sul Campidoglio, dove per la prima volta
avvenne la cerimonia della fissione del chiodo, poi ripresa dalle etrusche Cere
e Volsinii Veteres; Vertumno il “Mutevole” era il Tevere).
Pyrgi è circondata da un alto muro, e lungo la strada che si apre
sul porto sono tratte in secco le navi. Su una piazza pavimentata con blocchi
di pietra, intorno ad un tempio di Posidone, i Romani (Pyrgi fu porto di Cere,
sottomessa a Roma fino al tempo di Tarquinio il Superbo) preparano tutto ciò
che ha attinenza alla navigazione (Od. 6,262ss). Nel santuario di Posidone il
dio era raffigurato in piedi (quasi toccava il soffitto col capo) su un
carro tirato da sei cavalli alati (cf. i cavalli alati di Tarquinia),
circondato da cento Nereidi (meglio Oceanine; fra queste era Tetisheri
“Teti la piccola”, nome della fondatrice romana della XVII dinastia
egizia, 1600 ca.) su delfini (i delfini sono legati ai Tirreni
nell’iconografia e nella tradizione), il tutto fuso in oro (in
Sardegna da alcuni anni una società australiana opera nella produzione
dell’oro; notizia superflua se l’oro proveniva dalle Americhe).
Chi sperasse di ritrovare a Roma le statue in oro di Posidone, auriga di sei
cavalli alati, 100 Nereidi su delfini, le statue delle “ donne e quei re
che nacquero dai dieci e molte altre offerte… di re e privati, originari
della stessa civiltà e di altri paesi esterni sui quali quelli
governavano”, quasi certamente spererebbe invano, ma basterebbe anche un
solo buon frammento di queste meraviglie per provare la fondatezza della
tradizione, non solo, ma anche una datazione di Roma più antica di quella che
possiamo proporre al momento. Questi ed altri lavori assai
elaborati, richiamano da vicino le analoghe opere di Efesto, anche in oro,
che abbelliscono il palazzo di Alcìnoo di Pyrgi. La regione di Pyrgi si chiama Monte dei
Tirreni e la leggenda spiega questo nome con l’avverarsi della profezia
di Nausìtoo re dei Feaci secondo cui Posidone un giorno avrebbe coperto con un
monte l’isola dei Feaci/Atlantide
punendoli per aver riportato a casa Odisseo che aveva accecato
l’unico occhio di suo figlio Polifemo. Come in Atlantide, a Scheria
erano due fonti di acqua calda e fredda, ma distinte anche
nell’uso, una propria del re e l’altra messa a disposizione del
popolo (Odissea. 7, 129ss). L’ippodromo della capitale di Atlantide
corrisponde al progenitore del Circo Massimo di Roma, al centro del quale,
secondo Dionisio d’Alicarnasso era interrato un sacello dedicato al
tirrenico Posidone Uranio (metà uomo metà pesce, da me scoperto come segno n°
50 sul Disco di Festo, 1350 a.
C.) interpretato come Dagon dagli Ebrei e Conso dai Romani tardi (in ambo i
casi connesso fra l’altro col grano).
Il regime regale di Atlantide è probabilmente duale e lo si
deduce anche dalle cinque serie di coppie dei figli di Posidone e Clito (ma ho
il sospetto che Platone abbia ridotto a 10 quelli che erano i 12 rappresentanti
della contemporanea lega dei popoli etruschi, ovviamente per non far luce sullo
stretto rapporto fra Atlantide e la Tirrenia;
inoltre è più facile che qui le coppie fossero maschio e femmina perché la
legge matriarcale imponeva il matrimonio fra sorella e fratello). Nausìtoo di
Scheria dei “Feaci” genera Rexenore e Alcìnoo. Rexenore muore dopo
aver generato Arete che va in sposa allo zio Alcìnoo. Dunque la regalità viene
comunque dalla donna. Il Lazio ricorda l’antica esistenza della regalità
duale che si rifà ai Dioscuri ed è ripresa dalla coppia di Romolo e Remo, Romolo e Tito Tazio, Amulio e Numitore, ecc.
Il medesimo dualismo è noto a Cartagine, a Sparta (su cui ha regnato il
governatore romano Menelao). I due re spartani originano da Illo, che sappiamo
figlio di Eracle e di Deianira di Roma. Anche l’alternanza prevista nel
regno fra Eteocle e Polinice è in questo senso. In linea generale potremo dire
che i regni germogliati
dall’impero di Atlantide avranno una regalità duale salvo
interferenze esterne. Per quanto sono riuscito a comprendere al momento
v’era un re in carica per un certo tempo, che alla fine del mandato era
sostituito dall’altro, e così via, fino a nuove elezioni entro
l’assemblea dei Potentes/Patres (i
Titani o Giganti). Mentre un re regnava
l’altro faceva da controllore soprattutto da un punto di vista della
sanzione divina. Era sostanzialmente un rappresentante della divinità e delle
consuetudini e leggi patrie. Il panorama
delle iscrizioni in Lineare B, su cui non posso farmi un’idea personale
non possedendo il corpus relativo, è assai confuso. Ai curatores e procuratores aggiungo gli
equites (e-qe-ta) che per me sono i cavalieri (si ricordino le due classi dei
senatori e dei cavalieri a Roma), che
non a caso attorniano il sovrano. Pur
non essendo sufficientemente note le attribuzioni del wánax (col digamma eolico, romano,
altrimenti ánax) e del lawaghétas, io suggerirei che il primo sia il controllore
politico-religioso e il secondo il
comandante civile-militare, costituendo
una collegialità paritaria, dal momento che ogni certo lasso di tempo scambiano
il loro ruolo, non solo, ma nel caso
della temporanea incapacità del comandante militare questo viene sostituito dal
wánax. E’ significativo che tanto
il palazzo di Alcìnoo di Pyrgi (« Cinquanta ancelle erano in casa
d’Alcínoo: alcune con mole moliscono giallo frumento, altre tessono tele
e girano fusi… Quanto i Feaci sono sapienti sugli uomini tutti a reggere
l’agile nave sul mare, altrettanto le donne son tessitrici di tele; a
loro Atena donò in grado massimo di far opere belle e d’aver savia mente » Od. VII, 103-111), che Tarquinia
nell’età di Annibale, che il tempio annesso al palazzo di Gerusalemme
roccaforte romana (2 Re, 23, 7: « le
case dei prostituti sacri, che erano nel tempio, e nelle quali le donne tessevano tele per
Asera. », che il palazzo del wánax “miceneo”,
specie a Pilo e Cnosso, siano solo o primariamente ricordati come sede di donne
che tessono tele, presumibilmente innanzi tutto, almeno in origine, come a
Tarquinia, per le vele delle navi della possente marina romana. Vi sono delle caratteristiche della
dominazione “micenea” che mi paiono sottolineare la presenza di
dominatori (Romani) che non si preoccupano di interagire con la popolazione
assoggettata quanto di esigere determinati tributi come, per citare i più
rilevanti: « i limiti numerici del
personale del palazzo, rispetto alla quantità presumibile degli abitanti dei
regni micenei; la problematicità di un monopolio palaziale
nell’importazione del bronzo … la potenza
dell’amministrazione palaziale, con la gestione di quell’importante
strumento di controllo che è la scrittura … l’assenza di un vero
consiglio e di un’assemblea. » (D. Musti, Storia greca, Biblioteca
Storica Laterza, 2008, p. 57) Insomma i preposti da Roma alla gestione di un determinato
territorio si preoccupano della continuità del dominio e quindi della
collazione dei tributi sia per il territorio che per Roma, da cui provengono in
cambio prodotti necessari alla difesa, all’alimentazione, ecc. di cui i
diversi preposti non hanno né potrebbero avere il monopolio.
Come sappiamo dalla storia del cristianesimo e possiamo ben
comprendere, con queste premesse di conflittualità di due autorità una
religiosa e l’altra militare non si poteva andare molto lontano, e
infatti Romolo, che la tradizione ci ricorda come esperto di materia
religiosa, pretese di porsi sopra il
collega “civile” Tito Tazio eliminandolo. Il sistema duale
comunque riprese dopo la cacciata di
Tarquinio Superbo (dopo il fallimento della “riforma” di Romolo)
con la Repubblica
e i due consoli. Però anche in questo caso Roma non seppe disfarsi della
superstizione (nei libri di storia viene messa in ombra la parte avuta dagli
oracoli e dalle sorti tratte in mille modi, prima di una battaglia o di
qualsiasi impresa importante, ma nessun popolo ne fu immune, anzi, proprio i
popoli che riputiamo più razionali, come Greci e Romani, furono i portabandiera
di questa pratica che, pare, continua ad interessare i governanti dei nostri
tempi). La religione sta sempre in agguato per distruggere la civiltà. Il buio
della ragione genera mostri. Anche se dal tempo di Colombo e Galileo viviamo
nel mondo dell’Uomo Signore
dell’Universo, continuiamo a portarci dietro la ruota di pietra di
Fantozzi come zavorra di cui nemmeno più sappiamo il perché. Ma io sono
ottimista in quanto proprio nei paesi islamici
le donne si stanno ribellando per appropriarsi della propria libertà di
cui hanno diritto innato (e l’Occidente non potrà fare a meno di
aiutarle). Ciò che apprezzo ancora di più è che in Russia queste giovani donne
si ribellano da un punto di vista ateo e contro addirittura il Vaticano. Ciò a
mio avviso significa che la consapevolezza della religione come assurdità
nemica dell’uomo ha raggiunto tutto quel che poteva raggiungere, si
tratta solo di far trionfare questo principio contro l’opportunismo dei
potenti e farlo diventare ufficiale statuto dell’umanità.
Infine, per allontanare qualsiasi dubbio circa la mia teoria
che sono il primo a voler verificare fino in fondo (mi piace stupire con
effetti speciali ma devono anche corrispondere
al vero; altrimenti farei solo della
Radio Televisione Italiana), devo
discutere di Posidone fondatore di Troia. La tradizione di Atlantide ci
proviene dall’Egitto dicesi tramite Solone (alterata da Platone ma non in
modo irrimediabile), e l’Egitto è senza alcun dubbio il paese che ha la
più lunga cronologia e tradizione scritta (gli Orientalisti, e io sono anche
Orientalista, e dunque li posso
giudicare, fanno carte false (basandosi sulla prepotenza della Chiesa Cattolica
da sempre, fin dal tempo di Champollion che sovvertiva la sua cronologia
biblica a favore dell’Egitto), per
far credere che la civiltà Sumero-Babilonese sia la più antica, ma al dunque le
prime attestazioni scritte egizie di carattere storico sono più antiche di 300
anni rispetto a quelle mesopotamiche. La paletta di Narmer, 3150 a.
C. circa, per citare un documento conosciuto da tutti, è senza dubbio più
antica di 350 anni rispetto alla iscrizione storica di Enmebaragesi (2800 ca.),
menzionato come re di Kish in un poema del ciclo sumerico di Gilgamesh (Paolo
Matthiae, op.cit. p. 242). La pseudo preminenza che gli Orientalisti hanno nel
senso che studiano un insieme di civiltà legate da lingue e civiltà comuni in
prevalenza semitiche (come l’accadico e l’aramaico utilizzate come
lingue della diplomazia internazionale, anche in Egitto), li porta a manie di
grandezza volendo scavalcare questo limite pretendendo di tutto sapere e tutto
asservire alla Mesopotamia, considerando
l’Egitto un paese acculturato dalla medesima. Ciò non è assolutamente
vero. Quella egizia è la più evoluta e sofisticata civiltà dell’Oriente.
Oltretutto la Bibbia
sulla base della quale hanno portato avanti la loro “truffa”, è
un’opera tarda e truffaldina, in quanto manipolata dagli aronniti (ordine
sacerdotale originariamente politeista e pagano nato sui testi dei seguaci di
Mosè/leviti di origine israelita che si affermarono a Gerusalemme solo con
Geremia e Giosia, per contrapporsi a loro e mettere le mani sulla cassaforte
del tempio di Gerusalemme) dalla fine del V secolo a. C. Da studioso di tutte
le civiltà fin dalle scuole medie ho acquisito la certezza che mentre
l’Oriente è un guazzabuglio di miti e incertezze, solo l’Egitto si
può studiare fino nella più remota antichità con una precisione invidiabile (la
cronologia egizia, grazie soprattutto alla documentazione egizia originale) è
l’unica bussola esistente per
orientarsi nel difficile mondo dell’antichità; non è sufficiente essere
egittologi, ma se non si è egittologi non si va da nessuna parte, e io mi sono
formato prima di tutto come egittologo).
Se gli Atlantidi discendevano da
Posidone ci possiamo credere (ovviamente nel senso che a questa discendenza
davano gli antichi). Anche i Feaci di
Scheria discendevano da Posidone. Anche
i Romani di Romolo veneravano al centro del Circo Massimo un altare sotterraneo
di Posidone Uranio (lo stesso che ho scoperto come segno n° 50 del sillabario
di Festo). I “Filistei” (i Romani, i Tirreni) veneravano
notoriamente Dagon che era la divinità con cui gli orientali identificavano il
romano Posidone Uranio. Sappiamo che Dagan è attestato per la prima volta in
età akkadica (2370-2250 a.
C.), anche a Ebla, in alta Siria, ma
resta il fatto che è notoriamente noto come “Signore
dell’Occidente”, il che lascia assai aperta la possibilità che il
Posidone romano sia più antico di Dagan,
anche per il fatto che Posidone nasce come dio marino, mentre Dagan, se non è in qualche modo filiazione del primo
nascerebbe come dio fluviale (dell’Eufrate), il che è meno ovvio.
Bene faceva Giuseppe Flavio sacerdote di Gerusalemme ad
identificare la cacciata degli Hyksos con quella degli Israeliti
discendenti da Giacobbe (che io
identifico con un faraone hyksos di nome Yahqub vissuto intorno al 1650 a.
C. e di cui possediamo diversi scarabei col suo nome). Dunque le tracce
dell’Esodo ci sono ma vanno cercate storicamente intorno al 1525-10. Il
contesto di questa cacciata della fine del XVI secolo combina sostanzialmente
con quello delle “dieci piaghe
d’Egitto” bibliche. Questa deve essere stata la tradizione
israelitica, cioè tanto “ebraica” originale, quanto dello stato del
nord. La tradizione di Erodoto e Giustino sull’origine dei Fenici diceva
la stessa cosa. Così chiamavano i Cananei che altro non erano se non i
discendenti degli Hyksos (tanto quelli rimasti in Canaan quanto quelli
ritornati dal Goshen). In origine non era possibile distinguere gli Ebrei (aronniti, che sono tali solo dal
IV secolo a. C.), dai Fenici o perfino dagli Arabi. Dal ceppo degli Hyksos di
Canaan veneratori di Seth/Tifone, il tornado che spazza la sabbia del deserto
come i poveri nomadi che ci passano sopra coi loro cammelli, vennero fuori i
popoli che adorano come unico o principale un dio cui si da anche il nome di
Baal (“Signore”) e che è noto come El (“Cielo”), dei
Cananei, Fenici ed Israeliti (Elohim) e che viene ripreso dall’islamico
Allah. Una seconda stratificazione
“ebrea” ritengo sia dovuta agli esodati dall’esondazione del
Mar Nero (indoarii Illiri,Traci e Armeni praticanti sacrifici umani e
l’oracolo di querce sacre sotto la guida di sciamani alla Calcante,
veneratori di Yahweh/Dyaus,”Cielo”) che coincide col regno di
Merenptah e Ramses III. Si tenga bene
presente che al tempo dei primi Romani il dio era Posidone/Dagon e non
Giove/Giavè importato da Romolo sacerdote che si portò dietro come guardia del
corpo mercenari jahveisti Shardana e Cari
adoratori di Zeus Stratio/Jahvè Zebaoth.
Quattro anni fa, quando ho scritto Atlantide, non avevo le
informazioni e non le avevo elaborate
come oggi. Il movimento dei
popoli del mare viene interpretato come
esodo dalle loro terre di popoli affamati spinti in avanti da altri popoli affamati e con
intenzioni non certo amichevoli, in cerca di nuove terre da depredare e su cui
stabilirsi da padroni. La tradizione antica, egizia e greca, certamente
appoggia questa interpretazione perché gli Egizi di questa fase diventano
nemici di Roma e dunque falsi e bugiardi,
invidiosi e pronti a falsificare le carte pur di toglierle il prestigio
che merita. Il sacerdote di Sais che parlò con Solone (o per lui Platone) mise
in evidenza l’affinità fra Sais egizia e Atene tramite una divinità
Hyksos come Anath/Atena. Quando parliamo di Hyksos parliamo di Eracle, il
capostipite, schiacciato dai Romani, degli invasori Greci dell’impero
Romano, e ad Eracle succedettero gli Eraclidi e cioè la XIX
dinastia Sethiana che defezionò da Roma alleandosi con gli Ittiti. Erodoto
mette in evidenza nel II libro (54ss) la relazione fra il tempio di Amon di Tebe e quelli libico dell’oasi
di Siwa e illirico di Dodona rendendo
intuibile (volendo suggerire?) una collusione fra questi santuari giahveisti a
monte dell’invasione dei Pelasgi, letteralmente “popoli del mare”. Questa coalizione è all’origine delle
dinastie libiche ed etiopiche in Egitto, nonché al predominio del clero tebano
sull’Alto Egitto dopo i Ramessidi.
Ma all’origine di questo movimento, all’origine della fine del mondo
antico, ci sono i Romani che
aggrediscono la coalizione Ittito-Egizia
(realizzatasi col trattato fra Ramses II e Muwatalli II dopo la battaglia di
Qadesh) e i gli indisciplinati regoli siro-palestinesi. Ora mi spiego anche
perché le prime navi sarde, i segugi di Roma, appaiono nelle acque egizie
all’inizio del regno di Ramses II seguite da quelle sicule nelle acque di
Cipro al tempo di Suppiluliuma II e
Merenptah. La guerra di Troia cantata da
Omero non fu semplicemente l’esaltazione di un angolo di terra bagnata dal
sangue di Romani che si erano distinti
per il loro eroismo (Ettore in primis, il modello di civis Romanus). Troia in
Omero divenne il simbolo, la punta dell’iceberg del secondo conflitto
mondiale di Roma contro Egitto ed
Ittiti, che Roma vinse fino all’annullamento dei suoi nemici a costo del suo stesso
annullamento, l’Atlantide di Platone (affondata metaforicamente anche
per il velo dell’oblio che Greci,
Ebrei ed Egizi stesero sulla storia che
celebrava Roma come superpotenza, quando non addirittura per il dislocamento e
il furto della sua tradizione) con la cui fine finisce anche tutto il mondo
antico (si direbbe che l’ordine di Roma sia stato: “muoia Sansone
con tutti i Filistei!”). Roma aveva già scatenato la sua potenza
distruttrice contro l’Oriente al tempo dell’annientamento degli
Hyksos (prima guerra mondiale). Adesso, circa 300 anni dopo, ripeteva
l’operazione contro la sua creatura
(l’Egitto) e non solo, che le si era rivoltata contro. Aveva
giurato morte all’Egitto, e morte fu, perché con Ramses III l’Egitto sparisce dalla
scena mondiale. Due attacchi mortali dell’Occidente contro
l’Oriente. Quell’imbroglione di Erodoto non poté inventarsi altro
che ratti di donne all’origine
dell’antagonismo fra Oriente e Grecia (supposta falsamente come
Occidente), che appare alla storia già schiava dei Persiani! Ratto di Io da
parte dei Fenici (Io, sacerdotessa di Era, madre di Epafo fondatore di Memfi, è
figlia di Inaco, figlio di Tetisheri, di chiara discendenza italiana e mai
rapita da chicchessia); di Europa fenicia
da parte dei Greci cretesi (Europa/Mutemuia era italiana e dominava come
regina d’Egitto; nessun greco o cretese poté mai vantarsi d’averla
rapita); di Medea di Colchide da parte
degli Argonauti (gli Argonauti erano Romani e non avevano bisogno di recuperare
il Vello d’Oro perché questo, il potere, era sempre rimasto a Roma, tanto
che in base ad esso Agamennone e Menelao erano stati governatori di Micene e
Sparta; quanto a Medea traco-armena non poteva interessare a nessuno); di Elena
da parte di Alessandro/Paride di Troia (I Romani/Achei assediarono Troia per liberarla
e liberare lo stesso suo re Alessandro d’Ilio dal vassallaggio
agli Ittiti; fu una guerra fra Romani e Ittiti; non Elena era stata rapita ma
l’indipendenza di Troia, dagli Ittiti; Elena non era a Troia ma in Egitto
come tutti potevano testimoniare e testimoniarono; era una dea romana —
Afrodite — ed era anche un pretesto;
inutile, perché chi vinse distruggendo Troia furono gli stessi Romani e
i Greci non c’entrarono mai nulla).
Il motore della storia è
fondamentalmente l’economia. Fin che si può, anche per educazione
(e i Romani avevano codificato le regole diplomatiche della guerra e della pace
già nel II millennio; per la verità dobbiamo ipotizzare che fin dai tempi
preistorici, neolitici, le regole del commercio leale fossero già state
codificate più o meno lealmente dagli
antichi in generale), si procede a scambi di merci. Poi ci sono le esigenze
strategiche delle grandi potenze, di fronte alle quali le buone maniere cedono
il passo. Roma era la superpotenza. L’alleanza
Egitto-Ittiti con i loro possedimenti siriani bloccavano il transito dal
Mediterraneo al Golfo Persico. Solo
questo era probabilmente il problema Romano, riaprire il transito dal
Mediterraneo al Golfo Persico. Tutti i re e reucci del tempo, mi immagino, occupavano un trono grazie a Roma (come fu
poi nel secondo impero romano) ed erano in genere fedeli a Roma. Roma doveva
dunque superare la barriera ittito-egizia e dei suoi satelliti cananei per
riallacciare i rapporti coi re orientali. L’impero di Roma (Atlantide)
era noto soprattutto per la ricchezza metallurgica (che gli proveniva dalle
Americhe e comunque dall’Europa, dall’Africa, fino
all’Oriente), per cui l’ultima cosa che Roma cercava era il rame o
l’argento per realizzare le
obsolete armi di bronzo. Già dall’inizio della seconda guerra mondiale Roma invade la Siria-Palestina
e l’Anatolia con le sue legioni di 3000 uomini e 300 carri di ferro, cioè
con le ruote cerchiate di ferro e con rinforzi di ferro. Introducono cioè l’arma strategica con
cui nel giro di un secolo, entro il regno di Ramses III (1186-1154; dunque
“guerra di Troia” secondo Sosibio: 1182-1172), hanno ragione degli
Ittiti (che spariscono letteralmente dalla storia) e dell’Egitto (che
continua come “canna rotta”)
e della Siria-Palestina, i cui popoli litigiosi ieri come oggi sono assoggettati dopo la battaglia di Afèq del 1050, in
seguito alla quale viene distrutto il campo di Silo e l’arca di
Giahvè/Djahvè/Zeus, e non si trovano più due giahveisti insieme. I popoli del
mare affamati in fuga dalle loro terre appestate e in cerca di un Lebensraum
nelle terre periferiche delle grande potenze ricche come l’Egitto sono
probabilmente la conseguenda del primo attacco sferrato da Roma e dai suoi
fedeli alleati sardi e Siculi.
I
Libici (gli Italiani) sono accusati dal faraone di aver capeggiato la
coalizione dei popoli del mare
dell’anno 1208 di Merenptah (Gardiner, p. 245). Questa accusa
potrebbe far pensare ad una cospirazione cui ho accennato sopra dei santuari
pelasgici giahveisti (fra cui era quello libico dell’oasi di Siwa)
sobillati dal diabolico clero di Amon di Tebe. Ma io non casco nel tranello del
depistaggio. Ricordate quando i Greci (Diodoro Siculo era greco) ci prendevano
per Amazzoni libiche sicuramente per mettere in dubbio che avessimo gli attributi
maschili? Di nuovo i Libici, che ci stanno a due passi, che secondo la
tradizione di Atlantide facevano parte dell’impero, citati trasversalmente per indicare noi, dato
l’odio che portavano al nome stesso di Roma. Fra questi invasori sono menzionati gli Shekelesh/Siculi. Mi pare
evidente che dietro a questo attacco c’è Roma. I popoli interessati non
sono affamati, bensì aggressivi in primo luogo (se si portano dietro le
famiglie è perché sono certi di vincere ed occupare le terre del nemico,
colonizzandole; probabilmente Roma acquisisce proprio ora il concetto che non
esiste vero e proprio dominio su un territorio se lo si lascia abitare dai
vinti senza arricchire la popolazione di Romani che garantiscono il
mantenimento del potere di Roma).
Spieghiamo prima di tutto perché gli Shekelesh vengono proprio
dall’Italia, dalla Sicilia. Secondo Dionisio d’Alicarnasso i
Pelasgi… furono cacciati dalla Tessaglia... La maggior parte di essi
trovò rifugio nell'interno presso gli abitanti di Dodona [e lo Strimone/Palaistînos], loro consanguinei... la terra non era in
grado di nutrire tutti quanti, lasciarono la regione accogliendo l'ordine
dell'oracolo di navigare alla volta dell'Italia... si diressero verso lo
Ionio... [Se si nota bene, eliminati i fronzoli aggiunti che pretendono di
dare origine preellenica ed ellenica agli empori greci in Italia da Spina giù
fino a Cere, l'esodo pelasgico,
punta avanzata dell’esodo di Teucri e Misi nel XIII-XII secolo,
rimane realisticamente contenuto in Epiro e in area Ionica, ciò che è
confermato dalla tradizione greca riguardante l'Elide e i Tafii di pseudo
Apollodoro, Epitome, 2 e II, 4; detto in altre parole questi
fatti riguardano i Traci periferici, i Greci, non Roma e la Tirrenia]
…e usciti dall'Italia a cavallo della guerra di Troia (I, 26,1),
sospingono davanti a sé i Siculi, che vanno in Sicilia (I,22); dobbiamo
dunque immaginare un ulteriore sciame
di Siculi/Shekelesh dalla Sicilia verso il Levante. La cosa diventa più
verosimile in quanto anche i Libi fanno parte di questo attacco (ma non i
Pelasgi/Peleset/Filistei, che sono i Romani, che troviamo invece al tempo
dell’invasione sotto Ramses III). Ritroveremo fra poco gli Shekelesh
menzionati negli attacchi agli Ittiti e per l’apertura della via per il
Golfo Persico. Tutta questa storiella di
Pelasgi è una fantasia dei Greci, ovviamente, in quanto la Sicilia,
abbiamo visto, era una delle isole sacre di Ausonia/Atlantide e perciò, come
gli Shardana, anche gli Shekelesh, sulle loro navi veloci di stile vikingo,
presero il mare alla volta di Hatti e dell’Egitto per distruggerli, su
ordine di Roma.
Gli Ittiti, fin dal fondatore Hattusilis (1650; che è
l’età degli Hyksos in Egitto che hanno rapporti con Labano/Labarna; anche
gli Ittiti devono aver dato fastidio ai Romani di Troia) si preoccuparono
solo di procurarsi l’argento e il
rame per il possesso della obsoleta arma
del bronzo, e pertanto furono la causa prima della ”seconda guerra mondiale”
che sfibrò le grandi potenze del Levante e preparò il terreno a quello sciame
di cavallette costituito dai popoli del mare traco-illirico-armeni che in breve
completò il lavoro di Roma facendole
uscire dalla storia guarda caso intorno al tempo in cui Sosibio data la guerra
di Troia (che infatti cade durante il regno di Ramses III ultimo faraone
dell’Egitto prima dello sfascio; si noti dunque la fine di Hatti ed
Egitto nello stesso tempo a causa degli stessi Romani). Ma i Romani, sia pure
ridimensionati, sopravvivono e continuano a dominare in Oriente. Per quel che
posso intravedere dai dati frammentari,
l’Italia domina l’età del bronzo col rame e lo stagno che
senza andar troppo lontano le arrivano dalla Spagna, dalla Bretagna, dall’Italia stessa, ed
è pronta a guidare il passaggio all’età del ferro di cui si è procurata
per tempo il totale monopolio, anche della lavorazione industriale. Il ferro ce
l’ha in casa: in Etruria settentrionale, a Cipro, a sud del Mar Nero, in
Palestina meridionale. Nulla consente di supporre che l’Oriente abbia avuto
la possibilità del monopolio e
lavorazione del ferro, altrimenti
chi meglio degli Ittiti avrebbe potuto farlo? Essi furono spazzati via dai
Romani. Poiché il ferro si degrada presto in ruggine, ad eccezione di
determinati tipi d’acciaio, le testimonianze letterarie sono essenziali.
Trovo interessante che « Schliemann scoprì a Troia un reperto molto raro,
risalente alla metà del II millennio a.
C., indicato a volte come pomo a volte come testa di una mazza; come si è
scoperto nel frattempo, è costituito da un nucleo di ferro » (B. Brandau e H.
Schickert, Gli Ittiti, Newton Compton Ed.,
2006, p. 166). Mi ricorda gli scettri sormontati dal globo dei re di
Dorak, il che forse alludeva alla loro presunzione di dominare la Terra
(che i Tirreni e Omero sapevano essere rotonda, come ho già scritto altrove; e
adesso si capisce meglio perché; perché sull’impero di Atlantide non
tramontava mai il sole), per cui questi trovano forse una datazione più vicina
alla realtà dove li ho collocati (1800 a.
C.) prima della vittoria di Ausonia
sugli Hyksos.
Gli Ittiti si trovavano in una posizione geografica tale da
farne automaticamente dei nemici di Roma.
Roma aveva Troia e la costa occidentale dell’Anatolia (gli
Ahhijawa), il Mar Nero e la Russia
fino al Mare del Nord, Cipro, la Siria-Palestina. Gli
Ittiti erano circondati e ignorati finché stavano al loro posto. Poi
l’Egitto della XIX dinastia tradì alleandosi con questi ultimi, bloccando il passaggio a Est. Ora io
considero gli Ahhijawa come Romani. Le guerre fra Ittiti ed Ahhijawa hanno come
oggetto anche la presa e la difesa di Wilusa/Ilio. Per quel che riesco a vedere
adesso, Troia fu il simbolo del conflitto mondiale che vide la potenza di Roma
scatenata contro i Levantini, fra cui i traditori Egizi. Troia VI parlava greco
eolico (cioè Romano), come ritiene la stragrande maggioranza degli studiosi.
Gli Ahhjawa erano sempre Romani e parlavano greco, erano della stessa pasta dei
Troiani e da nord a sud della costa occidentale dell’Anatolia avevano
costituito colonie (come Millawanda/Mileto) entrando in contatto con gli
Ittiti. Credo che i Romani
utilizzassero i Kaska, nemici storici
degli Ittiti, per impedire loro
l’accesso al Mar Nero (ad esempio le miniere di ferro presso Amiso) e
salvaguardare Troia dalle loro mire. I rapporti di Troia con Micene erano di
Romani con Romani. In Troia VI F (poco
prima del 1400 a.C.)
un incendio distrusse più di 20 assai costosi vasi importati da Micene.
L’edificio fu ricostruito e continuò ad essere abitato (B. Brandau e H.
Schickert, Gli Hittiti, p. 231).
Stanno
emergendo dati storici che potrebbero confermare un nucleo di verità storica
dell’Iliade. Il re di Troia al
tempo di Mursili II era Alaksandu/Alessandro (Paride, il pavido seduttore
omerico). Su Troia (romana) avevano mire sia gli Ittiti sia gli Ahhijawa che
secondo me erano Romani. Pijamaradu era un attaccabrighe che cercava un trono
come vassallo degli Ittiti e riuscì a entrare a Ilio (divenendo dunque il
Priamo omerico) aggredendo anche Lesbo.
Suo genero Atpa regnava su Millawanda/Mileto come governatore di
Ahhijawa. Dopo la sua aggressione a
Troia nel 1280 Alessandro fu costretto a concludere un trattato di vassallaggio
con Muwatalli II. Muwatalli II invia il
suo generale Gassu che insieme a Kubantakurunta di Mira rimette sul trono
Alessandro. Pijamaradu si sottrasse alla
cattura e continuò a tramare in Licia sostenuto da Ahhjawa e Millawanda.
Dunque, o con Priamo o con Alessandro/Paride, Troia entra nell’orbita
degli Ittiti. Termina qui l’indipendenza di Troia
(mentre fino al 1300, Troia VI, essa è stata romana). Ovvio che i
Romani/Ahhijawa/Achei vogliano
riprendersi Troia e scatenano la guerra. Dunque la seconda guerra mondiale di
Atlantide ha per causa l’aggressione a Troia entrata nell’orbita
ittita. Succederà la guerra fra Egitto e Ittiti. L’alleanza fra Egitto
sconfitto (a Kadesh) e Ittiti, e infine l’aggressione a oltranza, a costo
della fine stessa del suo impero, di Roma contro Hatti e Egitto che alla fine
usciranno letteralmente dalla storia, mentre Roma per quanto ridotto il suo
impero (sotto Salomone nel 970 a.
C. dominava almeno dalle Americhe a Gerusalemme), continuerà a dominare sulla Troade o comunque
sulla Focide (sulla via dei metalli e del ferro), da cui giungerà a Roma Romolo
(qualche anno prima del 753 a.
C.). Da una lettera di Hattusili III (1266-1236), scritta intorno al 1260/50 a. C., apprendiamo
dell’avvenuta passata da non molto tempo “guerra” fra i due
regni (cf. B. Brandau e H. Schickert, Gli Hittiti, p. 233ss). Per gli studiosi
non si sarebbe trattato di una vera guerra. Però non c’è
nessun’altra possibilità. Se la guerra fu davvero decennale la dovremmo
collocare fra il 1280 ca. quando Troia
diventa vassalla di Muwatalli II (e i
Sardi appaiono nel mare egiziano ai primi del regno di Ramses II 1279) a quando
gli Ahhijawa/Romani prendono Troia, nel 1270 ca. (ciò corrisponde a Troia VIIa:
1300-1260). (la data della guerra di Troia, rigidamente intorno al 1280-1270
perché dopo il 1274 Egizi ed Ittiti si alleano contro i Romani e la tradizione
pone infatti entrambi dalla parte di Troia —, si può ritenere sostenuta
anche da Erodoto, II, 145. Se sono 900 anni ca. a separarlo da Amenofi
III/Eracle (morto nel 1350 ca.) otteniamo 450 a.
C., il tempo in cui vive Erodoto. Poi aggiungiamo a 450 gli anni 800 ca. che
separano Erodoto dalla guerra di Troia e otteniamo 1250. Erodoto fa calcoli
approssimativi per cui non possiamo
chiedere di più). Ma questa è anche la cornice del conflitto fra Ramses II
e Muwatalli II conclusosi con la battaglia di Kadesh (1274). Cosa dedurne?
Ramses II combatté dalla parte dei Romani per riprendere Troia ma, sconfitto a
Kadesh da Muwatalli II, voltò gabbana e si schierò dalla parte degli Ittiti. Fu
a questo punto che Roma scatenò tutta la
sua ira prima contro l’Anatolia e poi contro l’Egitto (il tutto con
un progetto unitario pensato in anticipo rispetto alla messa in esecuzione),
eliminando dalla storia l’una e l’altro. Certo è che se la guerra
di Troia presa in considerazione da Omero in sé e per sé durò dieci anni (poniamo
con la sua distruzione definitiva da parte dei Romani, tanto che la base della
Troade si sarebbe spostata a Focea), poi il conflitto di Roma contro Ittiti ed
Egitto durò complessivamente un secolo,
dal 1279 di Ramses II al 1178 di
Ramses III. Alla fine l’impero di Roma continua in Anatolia occidentale
ma evidentemente non più appoggiandosi su Troia, bensì su Focea, da cui
proviene Romolo.
Omero
si ispira alla Troia VI dell’età dell’oro ma anche in sottofondo
alla guerra decennale di Roma contro Alba Longa. Dietro alla guerra di Troia
Omero canta anche la presa di Alba Longa da cui forse traeva origine lui stesso
per parte di padre. Romani e Albani, che
entrarono nelle tribù di Roma, erano fratelli. L’orizzonte ideale della
guerra di Troia è dunque Troia VI con
Alessandro (sostituito da Priamo; è una favola, non un racconto storico) che
torna al potere come vassallo di Muwatalli II. Ciò fa coincidere la Troia
reale con la Troia
ideale che Omero non avrebbe potuto collocare altro che all’epoca d’oro
di Troia VI. Era qui, intorno alle sue mura poderose, che si doveva localizzare
la fine ideale dell’impero di
Roma, in un tempo di splendore
quale poteva essere quello di Troia VI, al tempo del Galateo e della
Cavalleria. E’ l'epoca degli Ahhijawa che, partendo da
attacchi esterni (non dalla Grecia e nemmeno con una spedizione navale da
invincibile armata) alla fine si stabiliscono nella Troade. Nell’Iliade i
lontani Egizi (di Ramses II) e Ittiti
(di Muwatalli II) stanno dalla stessa
parte dei Troiani sudditi degli Ittiti, contro i Romani (gli Achei, che
appunto parlano greco). Gli Ahhijawa e i
Troiani partecipano di una stessa civiltà progredita, cavalleresca, che unisce
fra loro i rappresentanti dell'aristocrazia. Al tempo di Mursilis II
(1345-1315 ca.) i principi ahhijawa, con quelli ittiti, imparano la nuova arte
della guerra coi carri sulla base del
manuale di Kikkuli, alla corte di Hattusas (J. Lehman, Gli Ittiti, Garzanti, p.
220). Questo avveniva ovviamente poco
prima della seconda guerra mondiale scatenata da Roma contro Troia, ora in mano
agli Ittiti, per cui se vedo bene avremmo proprio Achei (Romani) contro Troiani
vassalli degli Ittiti. Gli Egizi al tempo di Ramses II fanno alleanza con gli
Ittiti e così Roma prosegue questa seconda guerra mondiale scagliandosi anche
contro l’Egitto. La fine di Troia diventa il simbolo della fine del mondo
antico di Roma che riduce drasticamente il suo impero di Atlantide, pur di annientare i suoi nemici orientali, ma
sopravvive comunque. Alla fine dell’Egitto e di Hatti seguì la conquista
della Siria-Palestina, che permetteva di ricollegare il Mediterraneo col Golfo
Persico. Ciò accade con l’epopea romana della battaglia di Afèq (1050)
che costituisce lo spunto della trama dell’Ira d’Achille. Cattura
dell’arca/Criseide da parte dei Romani/Filistei/Achei (Troia è in mano
agli Ittiti nemici dei Romani). La peste inviata dal dio troiano/ebreo della
guerra della morte e della pestilenza Apollo/Djahvè nel campo degli
Achei/Romani miete numerose vittime. 1 Samuele/Omero la fanno smettere non
appena i Filistei/Achei/Romani restituiscono l’arca/Criseide/al sacerdote
di Apollo Crise, ma la realtà fu sicuramente diversa, perché i Romani certo
distrussero tutto, l’arca, il campo di Silo col tempio, il clero djahveista
(dunque niente Samuele che unge Saul generale romano, sia pure ribelle a
Roma). Dunque Omero ebbe occhio al
conflitto nel suo complesso anche perché, vista l’epoca in cui scriveva,
gli riusciva più facile avere accesso ai fatti
del 1050 piuttosto che a quelli del 1270/74 a. C.
Intorno
al 1230 i contatti commerciali micenei si contraggono drasticamente e pochi
decenni dopo anche la rocca di Micene (Romana) è ridotta in cenere. Tudhaliya
fece una spedizione contro Cipro (dove i Romani lavoravano il ferro) e Pilo
(Romana) perse la sua fonte di approvvigionamento del rame. Si scoprirà che gli Ittiti non riuscivano a
produrre il ferro di buona qualità ma semmai si facevano credere produttori
senza affermarlo esplicitamente, acquistandolo dai Romani a Cipro. Alla metà
del XIII secolo il re assiro chiede ad Hattusili III l’invio di ferro di
buona qualità e questo risponde: « ferro di buona qualità non è disponibile
nella mia camera del tesoro di Kizzuwatna. Non è il momento propizio per la
produzione del ferro, come ti ho scritto. Producono nuovamente ferro di buona
qualità, ma non lo hanno ancora portato a termine. Quando avranno finito te ne
spedirò un po’. Per ora ti invio una lama di pugnale. » (B. Brandau e H. Schickert, Gli Ittiti, p.
170) Il testo è chiaramente sibillino. Non si vuol menzionare il nome dei
produttori perché sono i Romani (i “Tibareni”, i Tiberini). Il re
non ha evidentemente disponibilità diretta del ferro di cui parla. Non ne
possiede nella cassaforte di Kizzuwatna e cioè una regione confinante con Cipro e l’Alta Siria, dove i Romani
avevano certo la loro via per l’Oriente, per il Golfo Persico. Se i rapporti con Roma andavano bene il re
Ittita poteva sperare di ricevere qualcosa, altrimenti no. Ed è chiaro che il
momento è sfavorevole perché Ittiti ed Egizi fanno comunella. Come vedremo gli
attacchi dei Romani si indirizzeranno proprio in quest’area strategica
per il ferro di buona qualità. I Romani vinceranno perché al tempo di Saul (ma
certo anche assai prima, da quando hanno scatenato la seconda guerra mondiale)
avranno il monopolio del ferro (1 Samuele,
13, 19ss), armi di ferro, carri da guerra con le ruote cerchiate di
ferro.
Approfondendo l’analisi si
capisce che dietro ai Libici c’è Roma che il vile Egitto non vuole
menzionare (per prenderci in giro gli Egizi raffigurano i guerrieri
Romani/Filistei su carri con inverosimili
ruote “sumeriche” di legno, ed è chiaro che ora i Romani
combattono contro gli Egizi). E’ Roma che scatena contro il Levante,
ancora una volta, tutta la potenza di Atlantide, i Libici, i Siculi, i Sardi, e ancora gli Achei e i
Lici anatolici. Sulla scia degli Shardana/Carii/Cereti ho raccolto dati che mi
inducono a ritenere che fin dall’origine di Atlantide i Siculi, i Sardi,
i Tirreni, abitano le isole omonime e dopo la conquista dell’impero
hyksos i Sardi stabiliscono in età tarda una base a Labraunda in Caria dove li
conosce Erodoto e sia lui sia Tucidide ci dicono che da qui venivano i
mercenari Carii di cui si servivano Minosse e Amenofi III. La tradizione orientale, secondo il
collaudato ex oriente lux, privilegia la Caria
come terra di origine di questi guerrieri invece dell’Italia che va
ostracizzata. Avevano una base a Cere per cui nella Bibbia i Sardi guardia del
corpo dei re (governatori) di Gerusalemme sono detti tanto Cereti che Carii, ma
si tratta sempre di miliziani che hanno la base principale in Italia. Ma in età
tarda questi mercenari ormai da tempo stanziati in Oriente hanno tralignato e
sono diventati la guardia del corpo degli ultimi re ebrei portando a
Gerusalemme il culto del Yhaweh/Giovè
barbaro traco-illirico-armeno, e poi Romolo lo introdusse a Roma coi suoi Shardana/Salii.
Amenofi
III si considerava dio in terra e si fece descrivere come figlio di Amon che
aveva ingravidato sua madre Mutemuia/Europa (Romana di Ausonia/Haunebu). Allo
stesso modo lo Zeus (gen. Diòs) impostore dei djahveisti aveva ingravidato
Alcmena generando Eracle dopo aver preso l’aspetto di Anfitrione. Come
ricostruisce lo stesso Erodoto, costoro erano di origini egizie (II, 43) e
infatti non di Tebe beota si trattava bensì di Tebe egizia. Come abbiamo visto,
si tratta di faraoni che provengono dall’Italia, da Roma. Solo
Amenofi III/Radamanto e Eracle ebbero l’apoteosi, dunque coincidono. Alla
morte di Amenofi III Nefertiti (la grande sposa reale di Amenofi III era Teye;
Nefertiti era una delle tante mogli dell’harem) passa a suo figlio
Ekhnaton divenendone la grande sposa reale. Analogamente alla morte di Eracle Megara (menzionata
nell’Apoteosi di Radamanto e figlia del Creonte/Potente di Roma) passa a
suo figlio Illo (non a Iolao). Si tenga infatti presente che Illo è il figlio
più grande di Eracle (a parte questa concordanza la figura di Illo è stata
deformata in quanto non può essere figlio di Deianira di Eneo di Calidone/Roma,
dunque un altro Potente di Roma per cui è portatrice della regalità; Ekhnaton
era figlio della nera Teje). Nefertiti era la portatrice del potere di Roma. Il divorzio da Amenofi IV significò la caduta
in disgrazia del faraone e della successione dei faraoni seguenti (non sarà
probabilmente un caso che, salito al potere, Horemhab abbia scalpellato tutti i
nomi dei suoi predecessori eretici fino a ricollegarsi ad Amenophis
III/Radamanto). Ankesenpaaten figlia di Amenofi IV e Nefertiti e vedova di
Tutankhamon rifiuta di andare in moglie ad un “servo” quale
Giuseppe/Ey figlio del visir Abramo/Minosse proprio perché questa famiglia non
è di origine romana, bensì mitannica (e traditrice del rapporto di sudditanza),
e in quanto tale connessa agli Ebrei (vi sono ebrei di discendenza Hyksos
nell’orbita israelitica ed ebrei di discendenza mitannica
nell’orbita di Gerusalemme).
Anfitrione/Tuthmosis IV faraone di Tebe
d’Egitto non può certo provenire dai profughi Pelasgi dello Ionio
(connesso con la conquista delle isole dei Tafi di fronte all’Acarnania,
terra dei Teleboi, Apollodoro II, 4). Che egli sia italiano di provenienza lo
ricostruiamo dalle vicende del vello d’oro Romano, che alla fine giunge
in mano ai governatori romani su Micene e Sparta, i Pelopidi Agamennone e Menelao.
Anfitrione/Tuthmosis IV è pelopide per parte di madre (Astidamia figlia di
Pelope). Pelope lo troviamo presso Enomao a Pisa in Elide (altra truffa ai
nostri danni) che vince e sposa Ippodamia (Apollodoro, Epitome, 2). Dunque è
evidente che i Greci spostano dal Tirreno dei Romani allo Ionio e Adriatico dei
generici Popoli del mare le nostre origini e tradizioni. Da Tirreni siamo
trasformati non in Filistei (ancora riconoscibili come Romani nei testi
ebraici) bensì in Pelasgi (“popoli del mare”) marginali e
anellenici, da quattro soldi, ciò che invece erano proprio i Greci appena
arrivati sulla scena della storia, da distruttori.
Attribuire
a Roma vicende marginali come quelle degli Illirico-Traco-Armeni è solo un
volere sminuire la sua epopea. Ma anche così la tradizione mette bene in
evidenza l’arrivo dei nemici degli Ittiti e dell’Egitto da
Occidente in rinforzo degli Ahhijawa e Lici che stanno già sul posto. I Romani
circa 300 anni prima avevano invaso l’Oriente per prenderne possesso dopo
aver cacciato gli Hyksos. Adesso ripetevano l’operazione contro il loro
nemico costituito da Hatti ed Egitto che con gli Eraclidi (i faraoni Sethiani
della XIX dinastia) aveva finito col solidarizzare con gli Ittiti. Ci sono
state una pestilenza e una carestia che verisimilmente dobbiamo vedere
come conseguenza della guerra che Roma ha scatenato contro le due potenze
alleate dell’Oriente. Gli Ittiti sono sotto pressione dei Romani, non
c’è dubbio. Muoiono di fame e Merenptah
invia a Suppiluliuma II grandi
quantità di granaglie. Dice la stessa cosa il fatto che gli Ittiti chiedono 450
tonnellate di grano a Ugarit. Ugarit sta
dalla parte degli Ittiti, ha inviato navi e carri al re degli Ittiti in Licia
ed ora è sguarnita e brutalmente assalita da sette navi. I Siculi assaltano tre
volte Cipro e vengono respinti grazie alla flotta che tempo prima gli Ittiti
avevano costruito con aiuto
egiziano. L’Egitto è attaccato
l’anno 5° (1208 a.C.)
di Merenptah che dopo sei ore di battaglia navale riuscì a vincere e a fare un
ricco bottino (non ci dobbiamo credere perché d’ora in poi l’Egitto
è invaso da numerosi Libici e Shardana che rimangono in loco come i Germani
all’interno dell’impero secondo di Roma). Fra gli aggressori sono
ricordati gli Shekelesh, gli Ahhjawa e gruppi di Lukka (sono tutti dalla parte di Roma contro
gli Ittiti, ma anche contro l’Egitto che fa pappa e ciccia con gli
Ittiti). L’invasione dell'anno 8 di Ramses III (1178) colpisce in senso
orario da nord a sud con attacchi di
navi da guerra (trasformate da Omero nella flotta omerica guidata da
Agamennone) l’Anatolia occidentale dove già sono stabiliti i Romani come
Ahhijawa e dunque possiamo immaginare da nord a sud la Licia,
Arzawa, Cipro, Adana, Karchemish, Ugarit, e giù per tutta l’Alta e la
bassa Siria fino alla Palestina. Dal loro campo in Amor « essi devastarono e
spopolarono quel paese [Siria] come se non fosse mai esistito. » Hatti
sarà rasa al suolo e ciò la dice lunga sulla rabbia dei Romani.
I
primi giahveisti sono i Carii che, « a Labraunda », hanno un «
santuario di Zeus Stratio, un vasto e sacro bosco di platani (i Cari sono i
soli, a mia conoscenza, a sacrificare in onore di Zeus Stratio). » (Erodoto V,
119; si tratta di Jahwè Zebahot biblico) I Carii conosciuti da Erodoto sono
tardi, gli Shardana che già al tempo
della prima guerra mondiale furono sguinzagliati da Roma contro gli Hyksos e
che furono poi stanziati (fra l’altro) in Caria per difendere
l’impero romano da quella parte. Sembra più logico ritenere
l’imbastardimento dei Carii col tempo. Essi al tempo di Erodoto erano
veri e propri mercenari (dunque reclutati da ogni dove e uniti dalle tradizioni
di corpo dietro ad un dio della guerra della morte e della pestilenza che a
loro dire li proteggeva col nome anche di Reshef e che i Troiani conoscono
anche col nome di Apollo Sminteo, ”dei topi portatori di peste”) e
venivano soprattutto da Gerusalemme tarda e dal mondo ebreo. Erano giahveisti discendenti dai traco-illirici di
Dodona (responsabili, secondo la teoria originale da me sostenuta da tempo, della seconda
stratificazione ebraica, quella appunto giahweista). E’ vero che
nell’esercito egizio al tempo dei popoli del mare militano degli
Shardana, ma noi li percepiamo appunto in una fase in cui l’Egitto è
nemico di Roma. Dunque Shardana egizi e Shardana carii sono tardi e al servizio
dei nemici di Roma. Gli originari Sardi
provenienti da Roma non possono in alcun modo essere accusati di giahveismo
come i Carii/Sardi mercenari orientali. Roma prima di Romolo venerava
Poseidone/Dagon. Fu Romolo ad importare a Roma le sue guardie del corpo
shardana adoratrici di Zeus/Yahweh.
Il fatto che David e Salomone (re romani del X
sec.) possiedano mercenari (Shardana detti anche Cereti e impropriamente Carii) provenienti certissimamente da Cere
(che dipende da Roma e da cui dipende il porto di Pyrgi), unito al fatto che navi di Tarshis/Tartesso
cioè oceaniche, portavano ogni tre anni a Salomone prodotti americani: oro,
argento, avorio, scimmie e quetzal/pavoni (2 Cron. 9, 21), dimostra la perdurante potenza
dell’impero romano dalle Americhe a Gerusalemme all’inizio del X
secolo a. C. Hiram di Tiro, che viene sostituito ai Romani, per invidia, è un
tarocco. L’onomastica della famiglia reale di Tiro coincide largamente
con quella dei sovrani di Biblo. Le navi e i cedri del Libano, nonché la manovalanza,
sulla base della stessa Bibbia e del Viaggio di Unamon, vengono da Biblo (da Ahiram di Biblo; secondo i miei calcoli
Salomone deve essere vissuto intorno al 1040), città sotto il controllo di Roma, come dimostra il
fatto che il principe di Biblo al tempo del viaggio di Unamon (1080 ca.) si
chiama Tjekker-baal. Con le loro imponenti squadre navali (su cui certo è
issato il glorioso grifone di Roma) i "pirati", i vecchi lupi
di mare Tjekker/Teucri/Troiani (ciò che
induce a ritenere non solo vinta la guerra di Troia ma anche che questo
presidio continua a tenere, quanto meno dalla Troade in generale), pattugliano
il Meditarraneo orientale dalla loro base navale di Dor, al centro del
Mediterraneo orientale, da cui controllano tutto il nord (il principe di Biblo
si chiama Tjekker-baal, e dunque i Romani si sono impossessati di Biblo per
sicurezza, magari già al tempo di un
suo antenato; si ricordi che sotto quella specie di buffone che fu Ekhnaton,
Rib-Addi di Biblo chiese inutilmente aiuto contro Abdi-Ashirta, e ciò fa
pensare alla fedeltà di Biblo a Roma), e
il sud (dove del resto i Romani sono attestati saldamente nella pentapoli come
“Filistei”). I Tjekker intorno al 1080 hanno i nervi a fior di pelle
e sospettano che Unamon, sacerdote di Amon
tebano, traffichi in armi contro l’impero. Dopo quello che ho detto circa
la defezione dell’Egitto (del resto solo così si spiega che i
Romani/Filistei combattono contro gli Egizi) è chiaro che i Tjekker sospettano
gli Egizi in sé e per sé a prescindere dal fatto che appartengano al clero di
Amon (del resto se i Romani fossero pelasgi giahveisti di Dodona connessi coi
libici di Siwa, al contrario dovrebbero solidarizzare con Unamon sacerdote di
Amon tebano). La situazione diventa più tranquilla solo dopo la battaglia di
Afèq (1050) in cui i Romani dominano definitivamente la regione (dopo aver
demolito Hatti, Egitto e loro alleati) riallacciando ovviamente il Golfo Persico col Mediterraneo. Ora sono i Romani, da soli, a tenere la situazione sotto controllo (i
Romani per la verità hanno tenuto tutto sotto controllo fin dalla conquista del
1525 circa; ma è vero che devono essere stati spiazzati dalle mire
autonomistiche degli ultimi faraoni
della XVIII e i primi della XIX dinastia).
I regni di Saul e David
nell’XI secolo sono certamente un modo per rafforzare con presidi
militari il potere romano in Palestina. Ma i popoli del mare traco-illiri messi
in movimento secondario dal movimento principale romano, hanno devastato tutto
e, affermatisi in area greca, hanno dato inizio alla fase espansiva della
civiltà greca che ha cominciato ad impossessarsi di tutto a spese
dell’Impero di Roma. Si affievoliscono i contatti fra le colonie e la
madrepatria. Alla fine il nome dei Tirreni aleggerà nel Mediterraneo orientale legato a quella
che i Greci chiamano pirateria (ora connessa con gli ultimi Romani, Tirreni,
dell’Anatolia eolica)
attribuendola agli Etruschi!
I Romani
patrocinarono l’abbattimento dello strapotere del sacerdozio di
Amon con l’eresia Amarniana? I Romani erano pragmatici e anche Omero mi
appare pressoché ateo. Il Disco di Festo conferma il “culto” solare
e cioè del faraone dio in terra. Amenofi III fu il primo faraone a ritenersi
dio da vivo. Il culto di Aton è del
tutto materialistico in quanto si adora il Sole come astro che coi suoi raggi
illumina e dà calore alla terra. La cosa si ripeterà nel III secolo
dell’impero secondo di Roma quando gli imperatori cercano di vincere il
cristianesimo attraverso il culto del Sole e dell’imperatore considerato
dio in terra. Ora non credo più come altri che Nefertiti (1350 ca.) sia
stata fautrice di questa politica
religiosa. In ogni caso questa politica fallì l’obiettivo perché gli
Egizi erano fortemente imbevuti di superstizione e così la seconda eruzione del Thera (del
Diluvio di Deucalione), fu interpretata
come la vendetta degli dèi abbandonati da Amenofi IV, con il risultato
che il clero tebano tornò al potere (con Ey/Giuseppe, 1327 ca., e Horemhab).
Poiché Abramo/Giuda/Minosse e suo figlio Giuseppe/Ey furono indubbiamente
legati al culto di Aton (divinità mitannica dietro alla quale si nasconde
Yahweh indoario, anticipatore del Yahweh traco-illirico) è evidente che ciò
finì coll’andare contro agli interessi romani. Diremo dunque che da Tuthmosis IV fino alla
fine della XVIII dinastia qualcosa si incrina nel potere romano in Egitto a
causa della ribellione dei vassalli signori della guerra mitannici. Tuttavia ancora con questi faraoni Roma
manteneva il controllo dell’Egitto. Ma Ankhesenpaaten, la biblica Asenat,
vedova di Tutankhamon, probabilmente non apprezzava (e nemmeno il suo
entourage) il ruolo di potere che i mitanni (essa definisce “servo”
Giuseppe/Ey) avevano assunto depotenziando la presenza romana in Egitto e cercò
di sposare un figlio di Suppiluliumas
II (Zannanza), che certamente
Ey/Giuseppe fece ammazzare, succedendo
al trono. Dopo che Roma distrugge
l’Egitto è il clero tebano a
trarne vantaggio dominando da Tebe
sull’Alto Egitto dalla XX din.
L’Ira d’Achille
è stata commissionata da Tullo Ostilio
ad Omero per celebrare l’ingresso delle tribù albane in Roma come
esito della conquista e distruzione di Alba Longa. Una guerra fra fratelli e non fra popoli
nemici, intorno all’incarnazione di Afrodite Urania, ad Elena, dea del
matrimonio e dell’unione fra popoli. Nei poemi omerici si affastellano
diverse chiavi di lettura. Dietro alla stessa Elena è difficile non vedere
anche la Romana Ersilia
moglie di Osto Ostilio/Romolo. Anche in questo caso il colpo di stato di Romolo
contro Tito Tazio era stato appianato dal matrimonio delle “Sabine”
con i guerrieri Sardi (Romolo veniva da Focea ed è probabile che si sia portato
dietro i suoi mercenari Shardana/Sardi colà stanziati, dei veri e propri
giahveisti, per cui, sotto il nome di Giove fu proprio a Roma che il giahveismo
attecchì prima che a Gerusalemme). Omero cantò contemporaneamente l’età
d’oro dell’Impero di Roma,
di Atlantide, “affondato”
nella seconda guerra mondiale scatenata da Roma contro le due maggiori potenze
dell’Oriente, Ittiti ed Egitto, determinandone a breve la scomparsa dalla storia. E come i Titani
romani avevano aperto il sipario sull’età dell’oro conquistando l’Impero, i loro discendenti, i Giganti, i figli degli dèi (Achille e Golia sono
rappresentati realmente come giganti per ricalcare il significato del vocabolo,
sinonimo di nobiltà d’origine), immolandosi nella difesa
dell’impero di Roma allo sfascio, chiusero in bellezza il sipario
nell’età del ferro, con il rogo di Troia.
Omero tuttavia non guarda a questo passato prossimo con
nostalgia, perché esso continua nella Roma attuale (di Romolo, che è
morto da non molto colpito dal fulmine e dunque asceso al cielo come un dio
— e Omero se non nacque prima della sua morte certo ebbe modo di
ascoltarne le gesta dai suoi ultimi compagni d’avventure — e di
Numa Pompilio e Tullo Ostilio) nell’esplosiva civiltà orientalizzante che
ricorda i fasti dell’Egitto antico
(e supera quelli dell’Egitto contemporaneo), mentre gli altri, Greci compresi (vedi Esiodo), sono
sotto il segno della difficile età del
ferro. Che Omero viva in un periodo
dorato di Roma, pieno di speranze per un futuro di grandezza come lo era stato
il passato, lo dimostra il fatto che il Viaggio d'Odisseo, commissionato
da Numa Pompilio, celebra Roma signora e
faro di civiltà del Mediterraneo,
probabilmente in occasione della sconfitta di pirati greci a Pyrgi
(paragonati a Polifemo sul contemporaneo cratere di Aristonothos da Cere) che
ne avevano tentato la depredazione
intorno al 675 a.
C. (i Greci assalivano questo tempio per depredarne le ricchezze ma soprattutto
per distruggerne gli archivi che risalivano ai grandi splendori di Atlantide),
mentre l’Ira d’Achille commissionata da Tullo Ostilio celebra Roma
signora del Mondo nel centenario della rivoluzione di Romolo e fondazione del
suo palazzo sul Palatino (649 a.C.).
Sinceramente, al momento, il fine di attrarre investimenti greci a Roma mi
appare assai secondario rispetto allo scopo
di celebrare le imprese romane nella lingua originaria greca per un uditorio romano ancora in grado di intendere il greco.
Possiamo dire che così i re di Roma prendevano
due piccioni con una fava. Così viene giustificata come reale la pretesa
di alcuni Greci che Roma era una città greca. Roma era la città più greca di
tutte come poi fu la città più etrusca di tutte.
La guerra di Troia è una storia di pura fantasia, irrazionale,
com'è tipico delle favole per bambini. Devo modificare il quadro
da cui partivo quattro anni fa per descrivere questa favola. Ora so che Troia
era vassalla degli Ittiti (e gli Egizi stavano dalla stessa parte), un popolo
continentale al quale della navigazione poco caleva, come si sarebbe espresso
Omero (il fatto che di recente gli Ittiti avessero cercato di rimediare nulla
toglie alla loro inferiorità navale). In queste circostanze effettivamente la
difesa dal mare di Troia doveva essere pressoché nulla di fronte
all’invincibile armata dei lupi di mare Tjekker guidata da Agamennone di
Micene e Menelao di Sparta. Effettivamente Omero prese due piccioni con una
fava e mentre solleticava la vanità greca (in fondo i Greci erano gli eredi dei
Romani in zona) in cambio di investimenti e denari nelle banche romane non
faceva che esaltare l’ultima grande guerra vinta dai Romani sugli Ittiti,
gli Egizi e gli infidi beduini siro-palestinesi. Roma era uscita di scena alla
grande, portandosi dietro con grandi fuochi artificiali tutto il mondo antico
orientale. Viste le cose a distanza non c’è dubbio che proprio da questa
età assiale la leadership del mondo orientale finisce e comincia quella del
mondo occidentale con Roma, che ricreerà il suo impero da allora in poi dando
fino ad oggi all’Occidente il suo primato. Contrariamente a quel che si
fa credere da parte degli ignoranti imbecilli universitari non è vero che la
civiltà di Roma segue quella Greca. Come abbiamo visto e come risulta dalla
stessa storia di Roma tradizionale, la storia di Roma è comunque più antica di
quella della Grecia posteriore alla dark age. Come la metti la metti è sempre Roma
che ha la meglio, da 4000/3500 anni a questa parte. Quanto alla guerra per una
donna, la più bella del mondo, proprio
la dama contesa era il tema più scontato di tutta la poesia curtense che aveva
al centro la donna, per ottenere la quale, nel caso della bellissima e infedele
Elena, valeva la pena non un duello all’ultimo sangue, bensì lo sterminio
di popoli interi, l’olocausto dell’intero mondo antico,
perché non è solo la città più antica e ricca del mondo a sparire (Roma, perché
la fine di Troia rappresenta la fine del primo impero romano, di Atlantide), ma
gli stessi Romani che l’hanno distrutta, che se non sono morti a Troia
sono morti sul mare nella via del ritorno o, tornati a casa, uccisi a
tradimento dalla moglie infedele, o sono stati costretti a riprendere il mare
per altri lidi (tutti o quasi nella stessa Italia). Tutto ciò perché non valeva
la pena sopravvivere alla fine di Atlantide
e dell’età degli eroi, figli degli dèi.
I Traci/Greci/Egizi/Ebrei davano un’altra versione della vicenda. Zeus/Djahvè
vide che la malvagità degli Atlantidi/Romani era grande sulla terra…
(Gen. 6, 4-5) e causò il diluvio “universale” del Mar Nero (di
Deucalione/Noè) e la fine dell’età dell’oro con la guerra di Troia ultima impresa in cui si
fanno luce per l’ultima volta, sterminati, i Giganti Filistei, i
Romani, come Golia e Achille, i figli
degli dèi e delle figlie degli uomini, gli eroi, uomini famosi. Ovviamente
faceva piacere a Greci, Egizi ed Ebrei spiegare la fine dell’impero
romano con la punizione divina di una stirpe sempre più corrotta e perdente la
sua divinità originaria a favore dell’accrescersi della sua materialità
(è la spiegazione data dal sacerdote di Sais a proposito dell’Atlantide
di Platone). Nella tradizione ebraica la colpa dei figli degli dèi (elohim)
sarebbe stata quella di unirsi con le figlie degli uomini, cioè degli
Orientali.
Se è vero che Roma ebbe due imperi è anche vero che non esiste
soluzione di continuità fra la prima e la seconda Roma. La prima Roma aveva già
tutto quel che si attribuisce alla seconda. Non è stato Romolo a creare Roma e
la romanità. Nel modo più assoluto. Gli approfondimenti storici diranno caso
mai che Romolo ha fatto più male che bene a Roma. I (primi) Romani furono degli
avventurosi cavalieri medievali in cerca di gloria e onore in terre lontane.
Gli piaceva riunirsi, come scrive Calasso, per qualche impresa comune,
come la caccia al cinghiale Calidonio/di
Roma, la conquista del Vello d’Oro (sempre di Roma) o del
Palladio di Troia (provenente da Roma). Ora abbiamo finalmente compreso che
stiamo parlando di imprese che avvengono tutte in casa nostra, fra noi. La
pelle del cinghiale va ad Atalanta romana, colei che l’ha ferito per
prima (nessuna donna greca sarebbe stata ammessa ad una competizione, e infatti
la tradizione greca le contesta il premio); il
Vello d’Oro torna a Roma da cui (Pyrgi) è partita la nave Argo; il
Palladio è la famosa statua realizzata da Atena sulle rive del Tevere/Tritone e
scagliata da Zeus sull’area della
futura Troia e poi riportato a Roma dai profughi di Troia (Enea), poeticamente
rubato da Odisseo e Diomede romani. Si tratta di autocelebrazione di imprese
compiute dai celebri guerrieri e marinai Tirreni nella parte orientale del
primo Impero di Roma. Tutto è nato a
Roma prima che altrove. Quando Odisseo giunge a Pyrgi/Scheria, il re Alcìnoo
organizza in suo onore i giochi (corsa, lotta, salto, lancio del disco,
pugilato, 8, 120ss; in 8, 102: « …eccelliamo su tutti nel pugilato e alla
lotta, e nella corsa e nel salto. »), come i Romani a Troia organizzano i
giochi in onore del defunto Patroclo.
Siamo fra XIII e XII secolo a. C. I
giochi furono fondati infatti nell’Età dell’Oro quando corsero i
Cureti, dice Calasso, e i Cureti erano i guerrieri romani di Cures sabina o
forse addirittura i Cereti di Cere, la guardia armata dei Sardi. Noi Romani, dice Alcìnoo, « corriamo veloci » (Od. VIII, 247). Odisseo
ottenne Penelope vincendo tutti gli altri pretendenti nella corsa, scrive
Calasso.
Uno
pseudo esperto omerico che, come tutti, non ha capito nulla di Omero e dei suoi
poemi, ma scrive e pubblica, ci tiene a
negare lo spirito medievale che aleggia nei poemi omerici... Questi veri e
propri castelli medievali calati nel tempo del movimento dei popoli del
mare in “Terra Santa” (1050 a.
C., battaglia di Afèq con distruzione del campo di Silo e rapimento
dell’arca “santa”/Criseide che fa da spunto per l’Ira
di Achille, alla peste che ha colpito il campo acheo all’inizio del poema
e cessa solo con la restituzione dell’arca/Criseide; ma ciò è vero solo
nella fantasia dell’Iliade e di 1 Samuele, in quanto nella realtà
l’arca fu distrutta dai Romani e non se ne deve parlare più, ragionevolmente, nella Bibbia)
con tanto di Romani che danno la caccia ai fanatici giahveisti o elohisti
(dunque gli Ebrei perseguitati al posto degli Arabi) ci rappresentano il quadro
di vere e proprie crociate ante litteram.
I Romani sono armati alla perfezione
con cotte di maglia di ferro. L’arciere sopra, notare
l’appendice della cotta che fa da paraguancia, sorprende per la sua
modernità e non credo sfigurerebbe di fronte ai suoi colleghi medievali alla
corte di Riccardo cuor di Leone. Che sia un arciere Shardana e non
Romano non fa alcuna differenza, in
quanto è certo che i Romani hanno il monopolio del ferro (1 Samuele 13,
19-21) e producono anche i carri da guerra impiegati dai maryannu in
Canaan fin dall’inizio a contrastare l’invasione dei popoli del
mare (XII sec.). Poiché sono sempre stati loro i padroni del campo (anche
quando sedevano sul trono di Tebe come faraoni egizi o di Troia come re della
più antica città del mondo, o di Cnosso come re cretesi), con la fine
dell’Egitto riprendono in mano la situazione e continuano ad occuparsi
anche dell’armamento dei loro,
anche dei Sardi. Ritengo che Odisseo sia
ricostruito come guerriero sardo perché deve rappresentare un Greco giahveista
(uno Shardana tardo che serviva sotto l’Egitto nemico di Roma e a
Gerusalemme). Dunque è immaginato armato di “ascia e scudo e due
lance” (Od. 1, 256). Usa
l’arco e l’asta (Od. VIII, 215ss, 229). Ed è arciere, arma che qui si dice
disprezzata dai valorosi Romani (Od. VI, 270). Chi più e meglio dei Romani può
avere inventato marchingegni come le baliste e le catapulte? Non è curioso che un ingegnere “ebreo” abbia
inventato tali macchine da guerra durante il regno di Ozia/Azaria di
Gerusalemme, contemporaneo di Romolo? (2 Cronache 26, 15).
Questo bronzetto sardo non sarà più antico dell’VIII
secolo e proprio per ciò ci dimostra che fra Atlantide e la Roma
di Romolo non vi è soluzione di continuità.
Gli Shardana acquartierati a Cere, da cui Ceriti/Cereti, sono la guardia scelta di David (1000) e
Salomone e son detti Cereti proprio perché (in origine) vengono da un
acquartieramento di Cere a pochi passi dal suo porto di Pyrgi. Può un arciere come questo
rappresentare un mondo in declino senza scrittura, da medioevo
“greco”? Certo che no. In questa fase diminuiscono le informazioni
a causa della perdita di documenti scritti, ma si scriveva, si continuava a
scrivere, con la scrittura alfabetica su papiro, pergamena, e a vivere, alla
grande, come dimostrano i poemi omerici,
della metà del VII secolo, in cui è il ricordo orgoglioso della grandezza
passata, punto di partenza di una ripresa futura, che regolarmente ci sarà. Non
è di poco conto che tanto nella tradizione di pseudo Apollodoro che nella Bibbia (storia romana in Grecia e
Palestina rielaborata dai Greci ed Ebrei), l’unico accenno all’uso
della scrittura è fatto risalire allo stesso Preto/David (1000 a.
C.) generale romano che consegna una missiva (probabilmente già in
scrittura alfabetica) a Bellerofonte/Uria l’ittita da consegnare al
superiore Iobate/Ioab in cui si ordina a questo di far morire il latore della
lettera (2 Samuele 11, 14ss). Naturalmente tutti questi personaggi sono romani,
compreso l’”ittito” Uria e la sua bellissima Betsabea, che fa
rima con Antea omerica, la donna oggetto del contendere all’origine del
misfatto). Bellerofonte discende da Eolo tramite Sisifo e anche da Atlante tramite
Merope.
Non solo la scrittura continua ma anche il mercato dei metalli, specie del
ferro, a Roma continua ad avere la sua importanza. Nell’VIII
secolo continua l’asse Roma-Oriente attraverso Focea (da cui proviene
Romolo) per la lavorazione dei metalli dell’isola di Lemno e in generale
della Troade, e del resto i Romani/Achei hanno ripreso la città dalle mani
degli Ittiti.
I Romani in
battaglia terrestre sui carri di ferro. Sopra due armature in bronzo
ricostruite sulla base delle immagini riprodotte dagli Egizi (sulle quali è
rimasto a volte il colore. I Romani portavano soprattutto armature metalliche.
Anche in questo caso l’affinità col Medioevo è evidente.
L’acconciatura
dei Romani (1) è passata ai Tjekker (Teucri/Troiani 2) della flotta che ha base
a Dor;
3, trovata a Malta, si direbbe la caricatura del classico sergente
Romano che addestra la truppa. I Romani erano appunto detestati da tutti come
occupanti ed è perciò probabile che i popoli sottomessi si vendicassero
trattandoli da “Sturmtruppen”; 4, punta di lancia in ferro romana
trovata nel Levante.
Il ferro arrivava in
Oriente con le legioni romane che
ne avevano il monopolio già intorno
all’iniziale XII secolo in cui
si parla di carri da guerra di ferro degli squadroni Romani
(“filistei”) sia in proprio sia dislocati a difesa delle città
cananee alleate dove sono chiamati nella documentazione locale col nome di
maryannu. L’età del ferro ha per
epicentro l'Europa centrale. Dobbiamo dunque immaginare che a Roma il ferro
arrivasse per la cosiddetta via pelasgica, dall'alto Adriatico, da Adria e
attraverso Cortona fino a Cere e Roma, il capolinea tirrenico di Braccesi
(p. 76). Adria era il terminale della via argonautica che partiva da Troia e
dall'entroterra (dal Bosforo e dal Danubio). Ad Adria facevano capo « due
importantissime carovaniere, attive già dal II millennio, che collegavano
l'alto Adriatico ai mercati del settentrione di Europa. Donde affluivano
materie preziose come l'ambra greggia, o metalli rari come lo stagno e
l'argento, ovvero prodotti grezzi per la metallurgia... L'una proveniva dal
Baltico... L'altra nasceva in area danubiana. E', questa seconda, la grande via
'argonautica', che consente di raggiungere il Mar Nero » (Braccesi, pp. 73-74).
I primi approdi troiani in area veneta (pseudo Antenore) e laziale (pseudo
Enea) non a caso portano il nome di Troia. Non a caso i Greci
solo agli inizi della seconda metà dell'VIII secolo, quando non solo in Oriente
hanno cominciato a colonizzare ed espropriare i Romani, ma anche in Occidente
riescono a vincere la superiorità navale tirrenica, si affacciano nel Tirreno
per approvvigionarsi in primo luogo di ferro, da Populonia. Se la devono vedere
fra Romani ed Etruschi, ma sciatti come sono non fanno differenza.
Intorno al IX-VIII secolo (Populonia, Vulci, Vetulonia, Cere,
Roma), secondo un passo dell’Eneide, a partire da Cere, i mercenari
shardana/carii giahveisti (sono loro a portare in Italia l’aruspicina e
il pettorale dell’efod) occuparono i monti (minerari) d’Etruria,
dando vita alla civiltà etrusca che si confonde con l’orientalizzante. Si
sono cercati rapporti fra Etruschi e Tursha
(/Tirreni) popoli del mare, mentre si doveva cercare in direzione degli
Shardana che in Egitto ci andarono e misero radici. La loro storia si farà
iniziare dalla loro diaspora dall’Anatolia (Teucri e Misi), ma si
eclissano per molto tempo in Egitto, dove al tempo di Ramses V (1146-1143) li troviamo stabiliti come
coloni-guerrieri specie nel Fayyûm,
dove si specializzano nel drenaggio dei terreni e nelle canalizzazioni (Gardiner, pp. 236 e 269), esperienza che poi
misero a frutto nella bonifica delle pianure
tosco-laziali, dove infatti compaiono massicciamente nell’VIII-VII sec.
Ho ribaltato il ragionamento di Massimo Pallottino
(Etruscologia, Hoepli). Non sono i Greci posteriori alla dark age a saltare da
Cuma a Monaco e Nizza il territorio saldamente in mano degli Etruschi, bensì è
proprio il contrario, sono gli Etruschi, che si formano a partire dall'età dei
"ritorni" da Shardana/Cari di lingua “lemnia”, ad
estendere via via la loro dominazione sull'Etruria propria ed a penetrare
contemporaneamente in Campania, saltando non solo l'Ausonia (il Lazio, saldamente
in mano ai Romani di Romolo), ma anche l’area di influenza greca
euboico-calcidese nella baia di Napoli, in stretti rapporti con il Lazio (Greci
che in qualche modo sono in relazione coi Tirreni da più vecchia data,
anteriore alla dark age). Dunque i Greci si potevano rendere conto di tutto ma
a causa della loro superficialità e del loro odio hanno fatto finta di non accorgersi di nulla. Esiodo, contemporaneo di
Omero, considera i Tirreni come Latini, ovvero (analogamente a Dionisio
d’Alicarnasso) come parlanti greco di tipo eolico
dell’Ausonia. Infatti Agrio e Latino, figli di Odisseo e
Circe, in mezzo a isole sacre (l’Ausonia) regnavano su tutti gli
illustri Tirreni (Teogonia, 1009-1016). Nessuno penserà seriamente che Esiodo
consideri gli Etruschi affini ai Greci! Pertanto mi pare assai venata di
invidia verso i Tirreni, eppure significativa della loro potenza tuttora viva,
la testimonianza del tardo Eforo (storico cumano della prima metà del IV
secolo) in Strabone (6, 2, 2), secondo
cui fino agli inizi della seconda metà dell’VIII secolo (fino alla
fondazione di Nasso e Megara) i Greci evitavano la Sicilia
anche solo a scopo di commercio perché temevano le scorrerie dei Tirreni e la
crudeltà degli indigeni.
Secondo la mia trascrizione e traduzione in
“Atlantide” (vedi), la stele di Lemno (isola metallurgica dove
opera Efesto/Vulcano) documenta un culto a Romolo originario di Focea, che morì nella città Tiberina
(Roma) a 55 anni (colpito da un fulmine, infausto, cosicché fu sepolto là dove
cadde), presso il Volcanal del Foro; nei
tempi successivi il luogo fu marcato dal Lapis Niger.
Romolo aveva una carica sacerdotale (servitore di Efesto
Tiberino… in rappresentanza dello stato di Focea; questo Efesto sposo di
Afrodite, divinità marina, doveva
essersi evoluto dal Posidone Uranio romano paredro dell’affine divinità
marina in forma di Sirena nota in Oriente come Derketo) a Roma, intorno al
Volcanal (Velkhanos/Vertumno). Dopo il progressivo venir meno di tutti i capisaldi romani orientali tradizionali
(ma c’era stata la vittoria romana a Troia, l’affermazione in
Palestina con i re David e Saul, e forse lo sfondamento fino al Golfo
Persico) resisteva ancora l’asse
metallurgico Roma-Focea, intorno a Troia.
Romolo ritengo sia venuto a Roma
in veste di augure come collega
(controllore) di Tito Tazio. La magistratura duale è documentata nel Lazio
prima della monarchia istituita da Romolo.
Sfruttò questa posizione religiosa come tutti i preti da
“Pietro” a S. Agostino ai papi medievali che vogliono mettersi
sopra ai re e ai principi e così fece il suo colpo di stato imponendo
Giahvè. Romolo non ha fondato Roma,
bensì la monarchia (fondando il suo palazzo sul Palatino). Provenendo da Focea,
si rendeva ben conto dell'aggressione greca ai residui del mondo tirrenico
orientale, e che presto, senza contromisure, Roma stessa sarebbe morta in un
cul de sac, come un topo nella sua tana. Pertanto decise il colpo di stato
contro Tito Tazio per rendere Roma una potenza guerriera di primo piano, in
mano ad un solo uomo, capace di decidere tutto da solo, in tempi brevissimi (da
qui anche l'introduzione di quello che anche gli Americani si inventarono nella
guerra di rivoluzione, il minute man). Fece davvero bene? La tradizione tutto
sommato ci presenta un Romolo tiranno che alla fine se non fu ammazzato ci si
attenderebbe che lo fosse stato, tanto era odiato. Forse non era necessario
abbandonare la magistratura duale e soprattutto democratica, tanto è vero che
la monarchia durò fino a Tarquinio Superbo, e poi fu rovesciata, 510 a.
C., per tornare alla Repubblica e ai due
consoli. E la Repubblica,
eroicamente, ricreò l’impero.
Così alla fine i Focei, gli ultimi eredi della potenza romana
in Oriente, finiscono con l’essere presentati da Erodoto imbroglione come « i primi Greci a compiere lunghe navigazioni:
furono loro a scoprire l'Adriatico, la Tirrenia,
l'Iberia e la regione di Tartesso: non navigavano con grandi navi da carico ma
con delle penteconteri. » (Erodoto I, 163) Ovvio dunque che Omero parli di
Feaci/Focei al posto di Romani (per lusingare i Greci e attirare a Roma i loro capitali). I
Feaci/Focei sono greci di lingua e parlano in greco con Odisseo senza
bisogno di interpreti. I Feaci/Focei non
sono Greci nel comune senso della parola, bensì di stirpe tirrenica, sono
Romani, assai più antichi e più autenticamente greci dei Greci. Sembra che i primi a lavorare il ferro siano
stati i “Tibareni” della costa settentrionale
dell’Anatolia. Tenuto conto della somiglianza del nome azzarderei
facilmente che si tratta invece di Tiberini. Gli antichi tendono a
storpiare i nomi dei nostri antenati, delle città, di tutto, per occultarne la
grandezza di cui sono invidiosi e appropriarsela.
A Roma, nella Tirrenia, dovunque sia una sede reale o un
palazzo aristocratico, risuonano le gesta degli eroi cantate dalla casta di
maestri di palazzo, i cortigiani (civiltà curtense, delle molteplici
corti in ville e castelli) letterati tradizionali nella civiltà italica. La
poesia epica (l’esametro è nato a Roma) è il codice delle belle
maniere, del Galateo, dei valori morali e cavallereschi della civiltà
aristocratica ed è rivolta non tanto agli uomini d’arme quanto ad
intrattenere quelle dame la cui
condizione sociale fa sì che la loro vita sia limitata al palazzo o poco più.
Contrariamente a quanto ritiene qualche imbecille che ha studiato e ricercato
invano, questa è una civiltà di stampo medievale e cavalleresco in tutto e per tutto. Le torri nuragiche sono
dei veri e propri castelli. I Romani sono, a quanto appare dai bronzetti sardi,
dei guerrieri temibili con cotte di maglia e spadoni. Le dame portano il velo,
accompagnate da ancelle, palpitano e tessono per i loro guerrieri prediletti
scene di duelli e battaglie, perfino i lenzuoli funebri in cui avvolgerli nell’estremo
saluto. I re tornano dalle crociate in Terra Santa dove già si diffonde il
giahveismo che possiamo ben paragonare all’islam e soccombono
nell’agguato teso dalla regina e dal suo amante con la complicità del
maestro di palazzo.
La poesia di Omero (VII sec.) prova alla
perfezione che dagli inizi del II
millennio ai suoi tempi la civiltà della prima Roma non ha avuto soluzione di
continuità, così come ce l’aveva già suggerito il bronzetto shardana
coevo. La stessa potenza militare romana
seppur ridimensionata (è possibile che anche in questo caso la peste abbia
avuto il suo peso come nel secondo impero romano, 166 d. C., dove fu decisiva,
altro che cristiani, germani e
sassanidi) è quella di sempre. Non
c’è stata nessuna interruzione di civiltà, nessuna fine per un successivo
lento inizio, ma solo il buio delle informazioni dovuto al tempo che tutto
distrugge (e ai depistaggi greco-giudaici-egizi). I kléa andrôn (le clarorum hominum
virtutes di Catone) cantati da Achille tirreno allietarono i Romani delle
origini (delle origini tirreniche di lingua greca!) nei banchetti, accompagnati
dal flauto, come tramanda Catone nelle Origini (Cicerone, Tuscolane, I, 2), in
sintonia con quanto canta Omero intorno al 650 a.
C.: « E sempre il festino c’è caro, la cetra, la danza » (Od. VIII,
247ss). Ecco perché mi appariva da tempo che con l’entrata in contatto
dei Romani con la Magna Grecia
e poi con la Grecia
sottomessa, i primi cominciassero a scrivere in greco NON sulla base di una
qualche sorta di fascino suscitato da quella lingua, bensì sulla base della
riscoperta di una lingua avita che ora appunto da dominatori avevano la
possibilità di riacquisire come propria.
A favore di questa continuità scrittoria e in un certo senso linguistica
parlano chiaro le due fonti greca e giudaica che ho dimostrato risalire a Roma
e che non a caso pongono sotto il
generale romano, di Gerusalemme, David (1000) l’unico loro accenno
all’esistenza della scrittura in tempi antichi. L'educazione di David signore della guerra
romano, è la stessa attestata per Romolo. Davide è abile citaredo, forte
e valoroso, abile nelle armi, buon parlatore, e Saul lo fece anche suo
scudiero (1 Samuele, 16). I Romani dell’élite aristocratica hanno
la loro formazione completa, militare e letteraria. La testina piumata di “Filisteo”
è la testina piumata del comandante romano, kyrios, in scrittura
sillabica kowiranos, da cui
*seren pl. seranim.
Secondo la tradizione Romolo era stato educato alla lingua
greca, per il semplice motivo che ancora al suo tempo i Romani parlavano e
scrivevano greco (ovviamente la loro lingua si chiamava in altro modo: romano,
tirrenico, che so io; si chiamò greco a posteriori, dato che fu in Grecia che
questa lingua sopravvisse). I dati in nostro possesso ci attestano la scrittura
alfabetica trascrivente il greco a Ischia-Pithecusa, fondata nel 775 a.
C. per lavorare il ferro, e dove fu rinvenuta la coppa inscritta, in versi, di
"Nestore", del 730-20. La tradizione di Romolo riporta significativi
riferimenti alla relazione fra Roma e siti (come Cenina) sulla direttrice
commerciale congiungente l'Etruria alla Campania e a Capua, in prossimità di
Cuma, fondata intorno al 750 dalla stessa Pithecusa. L'alfabeto a Osteria
dell'Osa conferma la tradizione di Romolo che parlava greco. L'epica era già ampiamente coltivata a
Roma. Si tenga presente che verisimilmente la scrittura più arcaica etrusca e
romana con punteggiatura sillabica è il retaggio di pratica scrittoria di tipo
sillabico, cioè marca il graduale passaggio dalla mentalità sillabica alla
nuova pratica della scrittura alfabetica. Poiché la Roma Romulea
fu fondata sul Palatino nel 753 a.
C. da subito i versi poetici furono messi per iscritto probabilmente da
un antenato di Omero celebratore
dell’impresa di Romolo, il colpo di stato contro i suoi compatrioti
sabini per destituire Tito Tazio e fondare la monarchia.
Fra
gli Ateniesi (Ioni) e i Dori di Sparta che si dicevano discendenti degli
Eraclidi, e ritenevano ancora nel 300 a.
C. di avere origini comuni con gli Ebrei di Gerusalemme non c’è davvero
nessuna differenza, in quanto si tratta
all’inizio di Hyksos/Cananei/Pelasgi su cui hanno dominato i Romani
introducendovi il greco (Minosse ha assoggettato l’Attica introducendovi
il greco — eppure i Greci lo considerano un nemico straniero; ed a
ragione — e terrorizzato Atene con i tributi al Minotauro), e da ultimo
di traco-illiri immigrati (movimento dei Teucri e Misi dopo l’esondazione
del Mar Nero). Questi popoli indeuropei
ma non di lingua greca, le Amazzoni del Termodonte, invadono l’Attica e
Atene. Omero detesta gli
“ellenofoni” Dori distruttori della civiltà aurea di Roma, che hanno precipitato il mondo nel buio della
ragione che genera mostri, nello giahveismo: « nemmeno il banchetto splendido
darà più gioia, quando il peggio la vinca » (Iliade I, 575-576), ed
apprezza i Pelasgi (in cui vede i Romani così come li depistano i Greci),
“i gloriosi Pelasgi” di Od. XIX, 177. Io al momento, essendo giunto
alla conclusione che il greco è stato portato in Grecia (anche in Attica e
Atene) a partire dalla metà del XVI
secolo dai Romani, e che
l’invasione dei popoli del mare in Grecia è di tipo indoeuropeo
(Traco-Illiri; che dunque stanno al posto dei “Dori”), immagino che
il greco storico sia la risultante della lingua parlata dai Romani introdotta
in Grecia, in bocca e nell’uso degli invasori Traco-Illirici su tutto il
territorio greco con ovvie varianti dialettali locali.
Greci ed Ebrei (traco-illiri-armeni in origine) ebbero interesse
a trasferire sui Mitanni, confusi con gli abitanti di Colchide, a Oriente del
Mar Nero, la tradizione di Roma tirrenica. Dobbiamo prima di tutto domandarci
il perché. Prima di tutto perché loro
scapparono dall’esondazione del Mar Nero dalla parte dell’Armenia
(dove si praticavano sacrifici umani come anche in Tracia), dall’Ararat
da cui fluiscono i fiumi dell’Eden/Steppa Tigri ed Eufrate, e su cui si è
arenata l’arca di ”Noè” dei popoli del mare.
Al tempo dell’esondazione del
Mar Nero (al tempo del Diluvio di Dardano) gli Shardana e Danai evacuarono la Colchide,
il loro paradiso/terra d’origine. E infatti i popoli del mare giungono in
Palestina da nord e dal mare, dalla piana di Israel, anche via terra,
dall’Anatolia orientale, via Transgiordania, in senso orario e non dal Mar Rosso,
dall'Egitto, da sud, in senso antiorario, come pretende la Bibbia. Ma
è anche vero che Mitanni non è solo un satellite di Roma, è anche guidato da
antenati degli Ebrei come Abramo/Minosse (lo Yuya degli egittologi, generale
dei carristi di cui abbiamo la mummia con caratteristiche caucasiche; ho già
detto più volte che intorno a Minosse mitannico, armeno, aleggiano i sacrifici umani come si
intuisce dal sacrificio di un toro “umano” sul sarcofago di
Radamanto da Haghia Triada). Ma hanno
commesso un errore considerando Pasifae figlia del Sole di Colchide, perché
questa corrisponde a Tuja, negroide di pelle nera (di cui abbiamo la mummia)
che mai e poi mai poteva originare da Colchide caucasica. Fu Tuya
dell’harem di Amenofi III la Agar
la moglie di A>bramo e madre del legittimo erede Ismaele e non Sara, che con
Isacco sparisce di scena. Dunque lo scopo era quello di cancellare il cordone
ombelicale che legava l’antichità con
Roma e spostarlo ad Oriente orientalizzando Minosse/Abramo che,
addirittura, più che da Mitanni finisce col provenire da Ur
sumero-babilonese. Abramo in quanto
patriarca antenato di Giacobbe è diventato l’antenato degli arabi tramite
Ismaele e origina da Ur. Come personaggio originario Giuda/Minosse è un signore della guerra ariano di Mitanni
satellite di Roma, ma anche connesso con
la Sicilia. Fatto
sta che morì a Camico (che c’era andato a fare?) alla corte di re Cocalo,
e fu sepolto presso Agrigento.
I Tirreni, secondo Dionisio d’Alicarnasso,
furono i migliori marinai dell’antichità: « I Pelasgi erano divenuti
migliori di molti popoli nel fare la guerra perché, vivendo tra genti
bellicose, erano abituati ad imprese rischiose ed ancor più essi erano esperti
nella navigazione per aver vissuto coi Tirreni. » (I, 25, 1, 1) A Troia VI,
colonia di Roma, si parlava greco eolico. Dopo la dark age, l'eolico è parlato
a settentrione dell’Anatolia occidentale, seguito a sud dallo ionico e
dal dorico ancora più a sud. Gli sciatti Greci continuano a chiamare
Tirreni anche gli Etruschi che si sono sovrapposti ai Tirreni, e così finiscono
per non fare differenza fra Pelasgi anellenici e Tirreni anellenici. Con
l’arrivo dei Greci (degli Ebrei, dei Cristiani) la terra diventa piatta.
Dopo
il furto greco noi Italiani/Tirreni
siamo divenuti da padroni garzoni e occupiamo le ultime righe della
civilizzazione tarda, alla fine di tutto, quando il nostro Odisseo (figlio
di Sisifo eolide; da Periere figlio di Eolo nascono fra gli altri Icario
padre di Penelope e Tindareo che insieme a Leda generò Clitemnestra, Elena e i
Dioscuri; questa è la versione più logica, ma anche se Periere discende da
Atlante a maggior ragione è dei nostri) torna… a Itaca ultimo
fra gli… Achei, e passa da Calipso (figlia di Atlante) di Ogigia/Sardegna,
isola pertinente ad Atlantide, da cui ha Latino nelle isole sacre dei
Tirreni. E ovviamente gli imbecilli che siedono sui cessi delle
Università, scrivendo sulla carta igienica, hanno bevuto tutto, che i Greci
sono i fondatori della Civiltà, e lo insegnano a discepoli ignoranti come loro.
Però è curioso che Apollodoro concluda la sua opera dicendo che alla fine
Odisseo andò in… Etolia, dove sposò la figlia del re e morì in tarda età.
E’ proprio vero, tutte le strade portano a Etolia! E i professori
universitari vanno ad alcool etolico! Come ho già esposto in altri lavori sui
miei siti nella versione originale del Viaggio, Odisseo partiva per il
suo viaggio esplorativo per poi tornare e riferire al suo re e alla sua
regina (Alcìnoo e Arete), di cui certo avrebbe sposato la figlia
Nausicàa, vero esempio di bella e
atletica donna romana.
Lavorerò
forse ancora al perfezionamento di questa ricerca e delle altre o smetterò, per
costruire il cronovisore e la macchina del tempo. Tanto, fintantoché le poltrone sono occupate
da imbecilli perdo solo il mio tempo.
Fine
ATTENZIONE! Avete creato o avete
intenzione di creare un sito con contenuti seri, scientifici, o cui comunque
tenete particolarmente, sull’insieme Xoomer.it, Virgilio.it, Telecomitalia?
NON FATELO! Tutti i miei lavori (frutto di anni di lavoro intenso) postati sul
sito di questo GESTORE INFEDELE, XOOMER.IT: http://xoomer.virgilio.it/corsinimg sono stati rimossi insieme al sito stesso senza alcun
preavviso e motivazione. Non pensavo minimamente che potesse accadere
un’assurdità simile, ed è per ciò che il fatto mi ha colto di sorpresa.
Quando me ne sono accorto e ho reclamato, la motivazione dei tecnici (perché
solo da loro ho ricevuto risposta) è stata che non usavo il sito da tempo! Cioè
non inserivo nuovi lavori… Queste teste di cazzo non capiscono che non
sono io a dover frequentare il mio sito, ma gli utenti, voi, che vi ci collegate e che in ogni tempo
trovate lavori da consultare, per sempre. E pensare che questa storia da incubo
iniziò quando mi arrivarono delle e-mail di Telecomitalia che mi… pregava di postare i miei lavori su
Xoomer.it, e io stupidamente accettai.
INDEX