MARCO GUIDO CORSINI
Tutti i diritti riservati. 7 Agosto 2012
Con questo lavoro concludo la mia indagine sull’Antico Testamento. Avevo già concluso quella sul Nuovo, alla fine della quale rimangono nell’anonimato
le menti autrici della più colossale Stangata della storia, che dura da duemila
anni. Le prove che ho prodotto documentano che “Gesù”, gli “apostoli”,
Saul/”Paolo”, hanno operato a cavallo della
distruzione del Tempio (70 d. C.; e infatti Flavio Giuseppe, sacerdote del
Tempio e testimone privilegiato, conosce benissimo questi personaggi: il Falso
profeta egiziano, Simone di Ghiora, Giovanni di Giscala, Saul sacerdote del
Tempio, ecc., e ce ne racconta le
imprese ignorando di assistere ai primi passi di una nuova religione). Al
momento di scrivere
i Vangeli e tutto il resto le “criminal minds” retrodatano la vita di
“Gesù/Falso profeta egiziano” al
Rimanevano grossi interrogativi aperti sull’Antico
Testamento, ai quali fornisco risposta in questo
lavoro. Da una parte, in quanto fra l’altro
egittologo, non poteva sfuggirmi troppo a lungo l’identificazione del visir
Abramo/Giuda/Minosse e di tutti i personaggi della sceneggiata del faraone
Giuseppe/Deucalione/Ey, figlio del precedente(!), sposo di Asenat, lettura abbreviata di Ankhesenpaaten o Ankhesenaten, vedova
di Tutankhamon (il faraone celebre per il suo tesoro funerario scoperto da
Howard Carter) e figlia di Nefertiti, la bellissima moglie dell’eunuco
sacerdote di On/Eliopoli, Ekhnaton. Dall’altra, come avevo già intuito nel
precedente studio pubblicato su internet, sostengo che il II tempio di
Gerusalemme fu (ri)fondato dai siloiti, reduci dall’Esilio in Egitto dopo la
liberazione da parte di Cambise II nel 525 e facenti capo al profeta Geremia,
alla cui scuola si deve quasi tutta la “prima Bibbia” (cioè i primi 11 libri
fino a 2 Re, e prima di tutto i codici E e D, elohisti entrambi). Fu questo l’unico Esodo dall’Egitto mai
avvenuto, dietro al sommo sacerdote Giosuè (che non a caso porta lo stesso nome
del “successore di Mosè” che non riuscì a conquistare
La dittatura degli “aronniti” alla fine riscriverà
la storia in modo che tutti gli ebrei
appariranno reduci dalla sola Babilonia. Sono questi ormai i soli ebrei
riconosciuti, quelli che hanno accettato di ripudiare le mogli straniere in
nome di una totale endogamia e odio razziale verso i popoli circostanti. I
primi razzisti della storia sono gli Ebrei di Babilonia da Nèmia in poi. La
prima Stangata della storia fu ovviamente la nascita dell’ebraismo. Poiché
avrei tollerato, credo, l’ebraismo aperto agli stranieri e pacifista di
Geremia, non mi resta che identificare la prima Stangata della storia con
quella che realmente fu, dei razzisti aronniti.
Infine mi turbava un’incongruenza. Come aveva fatto
il violento indoario (i veri cattivi della storia, da sempre, siamo purtroppo
noi indeuropei, da Yahweh alla Bomba atomica!) Yahweh/Dyaus/Giovè, il “Cielo”,
a finire i suoi giorni in Madian, in Arabia, come Genio della Lampada semitico
che a chi gli domanda: “Chi sei?”, risponde: “Yah weh” (“Sono Io”), e l’invita a togliersi i sandali come prescritto fino ad oggi
nelle moschee? La verità è che la tradizione biblica deve essere stata
elaborata dapprima da arabi (non importa se in arabo, aramaico o cos’altro).
Non solo Yahweh proviene dall’Arabia (Madian è in Arabia), ma il primogenito di
Abramo è Ismaele l’arabo (Isacco è una patacca come Giacobbe, che per un piatto
di lenticchie ruba la primogenitura a Edom/Esaù, pure arabo, come tutti gli
Idumei o Edomiti) e il quartogenito, Madian, è pure arabo. Gli arabi
veneravano, ovunque li troviamo, la luna, in quanto viaggiavano
di notte coi loro greggi per sfuggire alla calura del deserto e la luna era il
loro calendario. In Edom/Seir, che potrebbe essere l’Oreb/Sinai del Yahweh di Mosè, fin dai tempi più antichi storicamente
documentati di Yahw dei pastori Shasu (al tempo di Amenophis III), non si adora
Yahweh, bensì un dio Luno, Yahw (cf. egizio gerogl. yahè = luna), e ciò fino ai
tempi tardi dei Nabatei di Petra e oltre. Credo perciò che sia stato un
discepolo di quel furbo matricolato di Geremia, non solo a spostare dal Mar
Nero all’Egitto l’esodo degli Ebrei (Shardana e Danai popoli del mare), ma, già
che c’era, a occultare il loro feroce dio della “guerra santa” Yahweh dietro al pacifico dio Luno Yahw
degli arabi preislamici di Madian o di Edom, pastori e mercanti. Il buono e saggio serpente Necustan
dell’Eden ricollega Geremia a re Giosia
e a “Mosè” in Madian. Queste ed altre osservazioni mi
fanno ritenere che la tradizione biblica dei patriarchi fu dapprima elaborata
in ambiente arabo (nella regione di Gerusalemme non si parla di Ebrei, bensì di
Arabi, almeno dalla fine dell’VIII secolo di Sennacherib al V di Erodoto), di
cui abbiamo evidentemente perduto la
tradizione scritta, fino a che qualcuno non la riporti miracolosamente alla
luce in seguito ad uno scavo archeologico o ad un fortunato ripescaggio da un
archivio religioso. Non ho ripetuto qui approfonditamente cose che ho scritto
altrove. Se un giorno qualcuno, università, editore o altro, mi chiederà un
lavoro completo sul Giudaismo o sul Cristianesimo, ne approfitterò per rivedere
tutto e aggiornarlo al meglio. Ma sono parole sprecate, perché a nessuno
interessa la verità, ai più la menzogna.
Scrivo questo articolo a più di un anno di
distanza da quando l’ho concepito. La causa è sempre la stessa, e cioè la
defaillance del precedente computer. In questo frattempo ho continuato le mie
letture e ricerche in differenti direzioni, come apparirà dalle mie prossime
pubblicazioni. Ho continuato gli studi storici dall’antichità ai tempi moderni.
Oggi mi propongo come storico a tutto campo. Da qualche tempo, soprattutto dopo
la morte del mio adorato cane Trottolino, morto per causa altrui, mi
interrogavo sulla possibilità di costruire una macchina per andare indietro nel
tempo. Avendo trovato alcuni libri di fisica, in particolare di Stephen Hawking
e Leonard Susskind, dopo
circa sei mesi da farmi fumare il cervello credo di aver trovato la via per il
passato nei primi mesi del 2012. Più in
generale la via di cui parlo potrebbe forse essere la stessa che ci
consentirebbe di colonizzare
Come si andava delineando
in precedenti miei lavori, la nostra civiltà ariana mitannica (Mitanni è la
culla della civiltà occidentale – di cui fanno parte anche gli antenati dei
Giudei – soprattutto della civiltà romana) ha inizio con Minosse (di cui ci
parla in primis il greco-romano Omero) che è anche il Giuda e l’Abramo di cui ci parla la tradizione
giudea. Qualsiasi notizia anteriore che il biblista ha cercato di ricostruire o
meglio inventare di sana pianta, viene
smantellata dalla tradizione greca in cui non v’è parallelo credibile. E’
evidentemente impossibile che Abramo origini da Ur, in Babilonia (Abramo, di
cui possediamo la mummia, è originario
dell’Alta Siria, è un armeno, un caucasico
di razza bianca); è impossibile che il Diluvio di Noè,
riguardante certamente l’esondazione del Mar Nero, si collochi nel
Ma ancora gli Hyksos, arrivati in Egitto con
il loro re Yahqob (Giacobbe) intorno al
Dunque è evidente che gli Ebrei si trovarono
davvero in Egitto e videro coi loro occhi questa stele dell’anno 400 ed altre consimili (ma vedremo che essi furono
in Egitto in età esilica, dopo la caduta di Gerusalemme ad opera di
Nabucodonosor, 587, e ancora dopo, dopo l’assassinio di Godolia, governatore
ebreo in nome dei persiani), e fecero due più due: Giacobbe, capostipite degli
Israeliti (da qui il nome datogli di Israele) era giunto in Egitto come capo
degli Hyksos ed aveva fondato Awaris. Il suo popolo nel frattempo era cresciuto
tanto da mettere in pericolo gli Egiziani e così il faraone Ramses II, 400 anni
dopo il loro arrivo (l’arrivo degli Hyksos/Israeliti) aveva cominciato a
sterminarli al momento della nascita e a schiavizzarli, costringendoli a
costruire le sue città granaio nella stessa terra che era stata degli Hyksos.
Questa e solo questa è la “storia” dell’Esodo dall’Egitto inventata da un
discepolo di Geremia, reduce
dall’Egitto, sulla base del suo stesso
ritorno a Gerusalemme col sommo sacerdote Giosuè (che richiama il nome del
Giosuè succeduto a Mosè e che non riuscì a conquistare un bel niente perché
trovò la dura opposizione egizia, mitannica e, soprattutto, romana, celata
dietro ai Filistei e ai Beniaminiti di Saul generale romano). In questa
“ricostruzione dei fatti storici” il discepolo di Geremia fa finta di ignorare che gli Hyksos, che oltretutto erano stati
gli oppressori, e non gli oppressi, furono cacciati dall’Egitto intorno al
Ho già messo in evidenza in lavori precedenti
che i Siloiti, i sacerdoti e sciamani Shardana e Danai invasati predicatori
della guerra santa e dell’olocausto (il rogo di Troia è l’esempio più celebre
del modo di agire di questi barbari, sia pure di fantasia, perché Omero ha
spostato a Troia sui Dardanelli l’epopea dei popoli del mare in Egitto e Siria;
egli intendeva celebrare i popoli latini di Enea e il centenario della monarchia fondata da Romolo/Osto Ostilio di
cui il re Tullo Ostilio era discendente) e il popolo in armi che li seguiva erano i veri futuri Israeliti
(penetrati dalla piana di Israel). I siloiti della scuola di Geremia sostengono
l’immigrazione in Israele da parte degli Ebrei guidati da Mosè (sulla falsariga
del ritorno a Gerusalemme dopo il 525 degli esiliati in Egitto) e poi da
Giosuè, dai Giudici fino a Eli e Samuele.
Secondo la mia ricostruzione del tutto originale, furono i siloiti
(discendenti degli Shardana e Danai di Silo) di Geremia a rientrare per primi e
ricostruire il tempio. Sulla base del suo esodo/rientro in Egitto dietro al
sommo sacerdote Giosuè (che richiama il successore di Mosè che non conquistò
mai
Una
volta tagliato il cordone ombelicale fra Mar Nero e Israele e riannodato fra
Egitto e Israele, occorreva appunto identificare il momento in cui questi non
più Shardana e Danai, bensì antenati semiti degli Ebrei erano entrati in
Egitto, e non poteva trattarsi, in base alla documentazione disponibile, che
degli Hyksos di un documentato Yahqob legato alla fondazione di Awaris e ad una
stele dei 400 anni che discendeva fino a Ramses II. Ma
essendo ciò un falso non possiamo dargli spazio nella nostra ricostruzione
storica. Voglio che sia chiaro questo punto. Se davvero gli Israeliti, e solo
gli Israeliti, derivavano dagli Hyksos dovevano
ammettere di aver fatto il loro ingresso in Palestina intorno al
Il
seguace di Geremia architettò di inserire Giacobbe fra Abramo e Giuseppe,
ovviamente determinando uno spostamento indietro di tutta la storia,
alterandola profondamente. Ovvio che poi uno sciocco che crede nella verità biblica cerchi
di identificare Abramo con un qualche asiatico che al tempo di una carestia
entra in Egitto intorno al
Io sono certamente un predestinato, perché il
destino ha voluto che scoprissi le origini della civiltà occidentale partendo
all’età di 15-16 anni dall’Apoteosi di Radamanto (sul Disco di Festo) e poi sondando il testo
biblico e la tradizione greca (che per la materia che ci occupa trae dalla
tradizione romana tirrenica di cui Omero è il primo autore di cui abbiamo un
nome; negli stessi poemi omerici, in particolare l’Iliade, ci sono chiare
tracce di poemi anteriori risalenti al regno di
Romolo o che comunque ne raccontano le gesta, il cui autore potrebbe
anche essere anteriore a Omero) fino a
riconoscere che Roma è fondazione egizio-mitannica (già verosimilmente da
Amenophis III, che diventa l’Eracle così strettamente intrecciato con
l’iconografia della Città Eterna) e Omero un mio conterraneo (nato nell’ultimo
quarto dell’VIII secolo nei Castelli Romani), figlio verisimilmente di madre
romana e padre greco. Mi chiedo come possa non venire alla luce una qualche
lapide che commemori un così eccelso artista che operò alla corte dei primi re
di Roma, quando la scrittura è attestata e Roma è già una grandissima
città. Sono un predestinato perché per
raggiungere queste scoperte occorreva uno che oltre che dotto e intelligente
non fosse assolutamente un credulone, uno che considera la tradizione come
intoccabile perché ad essa hanno creduto generazioni e generazioni di imbecilli
ignoranti e creduloni, ma anche pigri e scansafatiche. Finora il destino mi ha consentito di proseguire
il mio lavoro pur attraverso difficoltà, e qui avverto maggiormente la mia
predestinazione.
Per
la comprensione della più antica storia biblica è necessario partire dalla mia
decifrazione e interpretazione di quello straordinario documento cui ho dato il
nome di Apoteosi di Radamanto. A causa della defaillance del mio computer non
ho potuto pubblicare il testo corretto con l’aiuto della professoressa filologa
e grecista Dalila Curiazi, cosa che farò al più presto. L’Apoteosi di Radamanto
data alla morte e sepoltura di Amenophis III/Radamanto greco (1350 ca.) faraone
e re di Festo a Creta (e perciò il documento è in greco arcaico). Dunque a
questa data l’Egitto dominava su Creta. E infatti nell’Apoteosi c’è l’accenno a
rituali funerari in onore del premorto visir del faraone, l’ariano comandante
dei carristi Minehud/Minosse greco (noto anche, su un sigillo di Amenophis III,
che ho pubblicato, come Yaehud/Giuda; gli egittologi lo chiamano Yuya), vissuto
intorno al
Dunque
possediamo nella stessa mummia una
reliquia di tre religioni (giudea, cristiana e islamica) e anche della civiltà
occidentale, l’unica a poterne rivendicare la paternità assoluta, in quanto il
mitannico Minehud era prima di tutto Minosse. Minosse/Abramo sposò una
principessa egiziana (nera) dell’harem di Tuthmosis IV, Tuya (di cui abbiamo la
mummia e vasta iconografia), corrispondente ovviamente all’Agar biblica. E’
evidente che a ciò fu costretto dal faraone Tuthmosis IV che voleva legare più
strettamente a se il comandante dei carristi e visir. Anche la tradizione
islamica concorda con quella giudaica, e ciò si comprende col fatto che
sostanzialmente riprende da questa. Sbagliano dunque entrambe perché è Ismaele
(l’Arabo) il vero discendente di Abramo, figlio della sua moglie egiziana.
Il caucasico Isacco, come ho dimostrato da tempo e
continuo a dimostrare in questo lavoro, esce di scena. L’esotica Sara caucasica
dalla bianca carnagione entrò realmente nell’harem di Tuthmosis IV, come del
resto non riesce a fare a meno di alludere il pettegolo redattore biblico. E’ evidente che Ey/Giuseppe è mezzo
caucasico e mezzo egizio, ma è figlio indubitabilmente di un’egizia nera di
pelle. Ora, immaginiamo che Sara quando entrò nell’harem di Tuthmosis IV fosse
incinta di Abramo. Che fine avrebbe fatto Isacco? Certamente gli egizi non lo avrebbero
scannato come un capro, ma altrettanto certamente avrebbero fatto in modo che
mai e poi mai potesse aspirare al trono, dirottandolo dove non poteva nuocere. Con la lettura del libro di Friedman ho una
pezza di appoggio in più, in quanto c’è un effetto di “coalescenza semantica”
(Friedman p. 203; Gn 22-23) di grande rilievo nell’accostamento che il
redattore finale R ha fatto fra il sacrificio di Isacco (dunque Isacco
probabilmente fu sacrificato; in linea coi sacrifici umani praticati in Tracia
e Armenia, terra di origine del mitannico Yaehud/Giuda/Abramo/Minosse)
raccontato in E (siloita/israelita) e la morte di Sara e acquisto della tomba a
Macpela raccontato in P (Sara sarebbe improvvisamente morta di crepacuore
appunto a causa del sacrificio realmente avvenuto di Isacco; nella tradizione
greca Elle muore nell’Ellesponto cadendo dall’ariete fatato, ma comunque Frisso
resta a vivere (?) nella Colchide, il Paradiso dei Mitanni). Nella più logica
delle spiegazioni possibili Isacco non esiste. E’ stato innestato da una tarda
ricostruzione ebrea su una poco più antica tradizione araba. Comunque ha una posizione di figlio di serie
b.
Ho
dimostrato come meglio non si poteva che greci ed ebrei narravano la storia
come due facce della stessa medaglia, la quale storia non era di nessuno dei
due in origine, ma una storia mitannico-egizia, laddove gli ariani élite dei
MItanni vantavano la paternità di questa storia. E come ho già scritto e
pubblicato sul mio lavoro Atlantide, subito dopo i Mitanni siamo noi (i
Romani/Tirreni di Roma, fondata intorno al tempo di Amenophis III), gli
Italiani, ad avere il primato.
C’erano
però ancora dei punti non perfettamente chiariti della storia di Giuseppe messa
a confronto con quella amarniana del visir e faraone Ey. E’ stato a questo
punto che m’è capitata fra le mani un’importantissima opera storica (I Profeti
e i Re) del musulmano Tabari (Abû Ğafar Mohammed-ben-Ğarir-ben-Yezid
Tabari), nato nel Tabaristàn nell’839 d. C. e morto a Bagdad (dove trascorse
gran parte della sua vita insegnando teologia e diritto) nel 925 d. C. Non
molti anni prima della sua morte Tabari si accinse a scrivere in arabo una
storia del mondo, dalla creazione fino ai suoi giorni. In quest’opera
monumentale Tabari ripercorre secondo il punto di vista della cultura islamica
la tradizione biblica, attingendo al contempo a fonti babilonesi, egizie,
persiane. Ne fu fatta un’edizione
ridotta in persiano nel 967 d. C. L’edizione italiana dell’Editore Ugo Guanda,
Parma 1993, è ancora più ridotta, come annuncia il sottotitolo: Una storia del
mondo dalla creazione a Gesù.
L’importanza
di documenti come questo (anche se non meno infarciti di favole della Bibbia
stessa) sta nel fatto che fermano nel tempo la redazione dei documenti
giudeo-cristiani che altrimenti sono stati più volte
rielaborati fino alla versione canonica. E’ a tutti evidente il modo
superficiale di esprimersi della Bibbia. In un tempo in cui tutti i popoli
antichi scrivevano ponendo nomi di sovrani e date,
Dalla
lettura del testo biblico concernente il personaggio Giuseppe risulta una
possibile e probabile reticenza nel riferirsi all’immediato rapporto fra
Giuseppe e il Faraone stesso, che viene sostituito da un grande funzionario
comandante delle guardie di nome Potifar, la cui bellissima moglie (altro
indizio) avrebbe cercato di sedurre Giuseppe. Creduto colpevole, Giuseppe viene
messo in prigione (guarda caso il comandante delle guardie è lo stesso Potifar,
che dà a Giuseppe l’amministrazione dei carcerati: Gen. 39,20ss-40,1-4) fino a
che il Faraone viene a sapere della sua capacità profetica (sia Minosse/Giuda
che Ey in Egitto avevano fra gli altri il titolo di profeta) e lo nomina visir.
Giuseppe sposa poi la figlia (Asenat) di un altro Potifar, sacerdote di On/Eliopoli.
Potifar è chiaramente lo stesso faraone (Ekhnaton), di cui Ey/Giuseppe cerca di
sedurre la moglie bellissima (Nefertiti) sfruttando la sua posizione di visir.
Poi, dopo la morte del faraone Tutankhamon, egli sposerà la figlia di Ekhnaton
(a On/Eliopoli era in questa età un tempio di Aton, e l’ascetica figura di
Ekhnaton, oltretutto Primo Profeta di Aton, corrisponde bene al Potifar
sacerdote di On) Ankhesenpaaten, divenendo lui stesso faraone. Prima del nono
anno di Ekhnaton Aton aveva anche il nome di Ra-Harakhty, Horus dell’Orizzonte
(il disco solare al tramonto e all’alba). Antico centro del culto di Ra era
Eliopoli (città del Sole). Le iscrizioni del regno di Ekhnaton definiscono Ra
come la luce nascosta dell’Aton. Ekhnaton onorava il sacro toro Mnevis di
Eliopoli, incarnazione di Ur-mer “vita di Ra”.
Subiva il fascino della pietra benben (il Punto della Prima Creazione),
il più importante oggetto di culto della tradizione eliopolitana. Così
l’Ekhnaton/Mosè di Manetone in Apione aveva eretto torreggianti obelischi di granito a Eliopoli, Karnak e
Tanis. Eliopoli era un centro chiave del culto atoniano. Occorre sottolineare
che il culto che si diffonde apparentemente da Amarna a Gerusalemme roccaforte
egizia (e non tolta da David ai Gebusei) è atoniano. Come ho detto,
Minosse/Giuda/Abramo era visir del faraone e dunque rivestiva un ruolo
ufficiale a causa del quale non si sarebbe mai permesso di fare riferimento
esteriore a divinità estranee al pantheon egizio. Minosse è autorizzato in quanto fa riferimento al dio Min, e lo troviamo sul Disco
di Festo. E’ evidente che se
troviamo Yaehud/Giuda su
uno scarabeo del matrimonio (di Amenophis III) dobbiamo intenderlo come un
primo riferimento all’Aton/letto Yati, il cui culto inizia già da Amenophis III
se non addirittura da Tuthmosis IV e ancora prima. E ancora, nella sua tomba
Minosse/Abramo fa comporre il suo corpo mummificato in un atteggiamento che
nulla ha a che vedere con la credenza egizia e ci ricorda atteggiamenti
cristiani di preghiera e probabilmente anche giudaici, ma dobbiamo ricondurli
al culto di Aton; anche
il grande inno ad Aton richiama il Salmo 104, ma ciò dimostra solo che la
tradizione religiosa giudea deriva dal culto dell’Aton. La differenza fra Aton
e Yahweh è fra un dio universale dell’amore e della pace e un dio tribale della
guerra della pestilenza e della morte, che risulta perfino difficile ricondurre
alle stesse origini del romano Giove.
Dunque avevano in qualche modo ragione
l’egittologo Arthur Weigall e Sigmund Freud, sulla base di Manetone, a
sostenere che la religione ebraica deriva da quella di Aton. Per essere
precisi, la religione giudea originaria derivava dal culto dell’Aton, mentre
quella di Israele (lo stato del nord), poi prevalente grazie ai siloiti
(nonostante la fine di Israele e delle sue dieci tribù dopo la conquista assira
del 722) in Gerusalemme postesilica, derivava dal culto yahweista degli
Shardana e Danai del Mar Nero. Fra Mitanni di Minosse/Abramo e Shardana e Danai
c’è uno spiacevole elemento comune oltre all’origine dai dintorni del Mar Nero,
e cioè la pratica dei sacrifici umani. Magari avrò modo di approfondire col
tempo questo argomento, ma ora come ora, in base alle prove che ho raccolto,
attribuisco agli Ebrei (così come ai Greci) i sacrifici umani dionisiaci, non
ai Cananei. Gli Shardana almeno, praticavano la
circoncisione. Sia dalla tradizione del sacrificio di Ifigenia tracia da parte
degli Achei/Danai, sia dalla tradizione secondo cui Deucalione (figlio di
Minosse e al cui tempo avvenne il Diluvio) aveva promesso che avrebbe
sacrificato la prima persona incontrata (suo figlio) al rientro sano e salvo a
Creta, tradizione corrispondente a quella del capo militare Iefte che aveva
promesso in caso di vittoria sul nemico
il sacrificio a Yahweh della prima persona incontrata (sua figlia) al
rientro in patria, oltretutto in quest’ultimo caso con un non so che di accenni ai riti delle menadi baccanti (e ancor più questo è lo
scenario delle vicende di Melampo o Melampode, in cui ho visto Minosse e ora
anche Abramo; suo fratello Biante, che avevo comparato a Giacobbe, esce alla
grande di scena; si sarebbero trasformati in fratelli i presunti capostipiti delle tribù di Israele
e Giuda, laddove solo Giuda è il protagonista concreto e immediato; Israele/Biante/Giacobbe
dipende dall’Esodo dall’Egitto intorno al tempo di Ramses II, cioè un falso, ed
è dunque un falso), mi risulta che
furono gli Shardana e Danai ad introdurre in Canaan i sacrifici umani di cui
poi vengono accusati i Fenici. Ciò che sconcerta è che vi sono indizi che
questa pratica fosse comune anche a Minosse/Abramo sia per il caso di Isacco
(che corrisponda o meno alla verità il fatto stesso di renderlo plausibile è un
indizio non trascurabile di sacrificio umano), sia per il fatto che i sacrifici
umani sono documentati nell’area mitannica e armena, come ci dice Sir James
Frazer nel suo Golden Bough: “ I selvaggi di Aran [Harran, da cui proveniva
Minosse/Abramo, MGC] offrivano vittime umane al Sole, alla Luna e ai pianeti.
Vittime che venivano scelte in base alla loro presunta rassomiglianza con i
corpi celesti ai quali venivano sacrificati; i sacerdoti, per esempio,
abbigliati di rosso e spalmati di sangue, offrivano un uomo dai capelli rossi e
dal colorito rubicondo al pianeta rosso, ovverosia Marte, in un tempio dipinto
di rosso e adornato con tendaggi dello stesso colore. “ Luciano nel Della dea
Siria, racconta che non era insolito che a Ierapoli, città che appartiene alla
cultura mitannica, i genitori sacrificassero i propri figli. Poi c’è anche il
caso del sarcofago di Radamanto da Haghia Triada.
Manetone,
scriba e sacerdote egizio del tempio di Eliopoli tra il 280 e il
Per
colmo di disperazione Manetone si rifece alla spedizione di Sethi I (padre di
Ramses II) che noi oggi possiamo riscontrare fu fatta
contro gli Shasu e gli Hapiru/Abiru, spedizione che continuò fino ai confini
della Siria. Noi sappiamo bene però che costoro non si possono in alcun modo
identificare con i portatori del culto di Yahweh né con l’ethnos ebraico. Il
nome Ebrei del resto non è proprio dei soli ebrei ma
di tutti gli abitanti della Transeufratene V satrapia persiana; indica appunto
solo tutti coloro che vivono al di là (visti dalla Persia) dell’Eufrate,
ebraico Eber, tedesco Über. Probabilmente
Manetone li vide per quello che furono sempre in genere gli Ebrei, e cioè come
elemento turbolento e destabilizzatore, e così, catturato anche dall’assonanza del nome Hapiru/Abiru con
Eber, si indusse a identificare con essi gli immigrati in Israele inseguiti dal
faraone. Ma è altrove che Manetone ci
fornisce un importante appoggio alla teoria dell’origine atoniana del culto a
Gerusalemme di Giuda. Secondo Arthur Weigall il governo di tredici anni di
Osarsiph-Mosè di Manetone coincide coi tredici anni dell’eresia dell’Aton ad Amarna. Nella trattazione di
Manetone gli esiliati sono lebbrosi e impuri sia per una qualche malattia che
li ha colpiti (per quel che ne sappiamo il regno di Ekhnaton termina
all’improvviso per una pestilenza che ha colpito anche la regina Teye – le
scene di vomito sui rilievi parietali
della famiglia reale ad Amarna possono suggerire la peste – e ha fatto
strage nel Vicino Oriente; pestilenza che è stata interpretata dal popolo
egiziano come vendetta degli dèi abbandonati da Ekhnaton), sia dal punto di
vista del loro culto monoteistico, eretico, reietto dagli Egizi. E’ evidente che non occorre attendere Ramses
II per vedere sconfitti gli atoniani. Eppure non si può parlare di esodo.
L’eresia atoniana fu certo riassorbita. Possiamo affermare che Ekhnaton fu
certamente iconoclasta e intransigente nell’affermare il suo monoteismo, ma
l’Egitto era comunque un paese civile. Mica stiamo fra i talebani che ancora
lapidano (a colpi di kalashnikov) le adultere
come ai tempi della Bibbia! Fu
Horemhab a chiudere definitivamente il capitolo della religione di Aton in
Egitto. Ma non abbiamo alcuna notizia di cacciata o sterminio e esodo. Ben
difficilmente avrebbe
avuto successo un esodo da Amarna, in mezzo al deserto del medio Egitto.
Ho
identificato come atonismo la religione dello stato di Giuda anche nel momento
stesso in cui ho focalizzato, con Friedman, che i due cherubini nel Santo dei
Santi erano in realtà due sfingi e, con de Rachewiltz, che le sfingi erano
connesse col disco solare, fosse Atum o Aton poco importava. Le sfingi sono
egizie, e le troviamo in Egitto soprattutto nel periodo in questione (Boris de
Rachewiltz, I miti egizi, TEA, 2000, voce Sfinge). La
sfinge ha carattere solare e rappresenta il sole all’alba (Khepri), allo zenit
(Ra) e al tramonto (Atum). Atum è il dio supremo nella concezione teologica
eliopolitana. La città di Pitom venne dedicata a questa divinità (voce Atum).
L’Aton di Ekhnaton è la rappresentazione più fisica possibile del disco solare,
senza nessuna metafisica o problema escatologico. E’ una sublimazione del
materialismo (voce Aton).
Due
tradizioni distinte sono dunque quella atoniana di Giuda (XIV sec.) e quella
yahweista siloita (XIII-XII sec.) di Israele, mentre dall’ultimo quarto del VI
secolo Geremia impone la sua tradizione
siloita musita che diventa la tradizione anche degli “aronniti” di
Babilonia. E questi ebrei “usciti
dall’Egitto” con Giosuè sommo sacerdote portano con sé un dio arabo, un Yahweh
pescato in Madian, nella penisola
Arabica, dove al tempo dell’ultima redazione biblica, nel VI-V-IV secolo,
vivono popolazioni arabe, sceicchi a
dorso di cammello, mercanti ismaeliti, eunuchi persiani.
Quello
che chiamiamo Israele (stato del nord) sarebbe forse meglio continuare a
chiamarlo Canaan, in quanto non fu mai realmente yahweizzato e dunque ebraicizzato (anche
perché, grazie a Geroboamo, qui non si parla di Yahweh, bensì di Elohim e il
culto è sincretistico). Il clero siloita (quello della città di Silo, portatore
di Yahweh/Giovè indoario, della circoncisione praticata dagli Shardana, dei
sacrifici umani degli Shardana e Danai) fu sbaragliato insieme agli invasori
dagli egizi e dai popoli che servivano nella milizia straniera degli egizi, e
cioè i Romani e perfino gli stessi Shardana arruolati nella milizia egizia, nonché
i capi villaggio cananei (
Quanto
poco onesto fosse Giuseppe lo capiamo dal fatto che dopo la morte di Ekhnaton
il culto atoniano entrò in crisi e proprio il visir Ey/Giuseppe e il generale Horemhab fecero retromarcia e si
trasformarono in convinti seguaci
di Amon (Ey nella sua tomba amarniana è ancora convinto sostenitore
dell’atonismo), cosicché Tutankhaton,
sotto la loro tutela, divenne Tutankhamon e sua moglie Ankhesenamen (da
Ankhesenaten che era; se
Ey,
l’eminenza grigia di corte, il cui rango ad Amarna era superiore a quello di
qualsiasi altro funzionario, mirava a
diventare faraone con tutti i mezzi leciti ed illeciti. Riesce a rimanere a
galla come visir dopo la morte di Ekhnaton, e dopo la morte di Tutankhamon
diventa faraone sposando Asenat, la figlia dell’eunuco. Anche Ey/Giuseppe porta
il titolo onorifico di “padre del faraone” (Gen 45, 8). Fu Ankhesenaten a
inviare messaggi agli Ittiti perché le dessero un marito di casa reale, in
quanto si rifiutava di sposare uno schiavo, un servo. Anche le fonti non ebree
sembrano disprezzare i mitanni, i prototipi del popolo ebreo a Giuda. Probabilmente
fu lo stesso spregevole Ey/Giuseppe a far uccidere il principe Zannanza inviato
in Egitto. In ogni caso riuscì ad impalmare Ankhesenpaaten e a diventare
faraone. Secondo
Il
testo di Tabari è illuminante per gli epiteti con cui sono definiti questi
personaggi, epiteti che ancor più mi fanno comprendere che ho visto
giusto. Innanzitutto i due Potifar
biblici (così sono tradotti dall’Edizione delle Paoline, anche se i redattori
ci tengono a distinguerli come due personaggi differenti) sono ricondotti ad
unum dall’onesto Tabari. Dopo la sua ascesa a corte il faraone avrebbe dato a
Giuseppe la « bella come nessun’altra in tutto l’Egitto » moglie dell’intanto
morto Putifarre (I Profeti e i Re, p.117). Il testo biblico è più corretto
laddove Giuseppe sposa Asenat e non Nefertiti, ma che dietro Potifar (in tutti
e due i casi) si nasconda Ekhnaton è chiaro da ciò che dice di lui Tabari.
Innanzitutto Potifar (per Tabari c’è un
solo Potifar), pur essendo anche da Tabari distinto dal Faraone, è detto « il
grande d’Egitto ». E’ evidente che nessuno si sarebbe sentito autorizzato a
sparlare pubblicamente, per iscritto, della vita privata del potente Faraone, e
allora le sue vicende si attribuiscono ad un pezzo grosso della corte. Questo Potifar, come si sparlava certamente
dietro le quinte di Ekhnaton, “ non poteva avere rapporti con le donne “ (I
Profeti e i Re, p. 103), “ non era un
uomo e non poteva stendere la mano su di me [Nefertiti MGC]” (I Profeti e i Re,
p. 118). Gli stessi primi egittologi che
ne osservarono le riproduzioni artistiche furono dapprima in dubbio se si
trattasse di una donna o di un eunuco e Manetone lo mette in lista
considerandolo una donna. Forse nessuna delle sei figlie di Nefertiti fu sua e
non ebbe alcun maschio. C’è chi sostiene abbia avuto rapporti incestuosi con
sua madre Teye (tanto da dar vita alla leggenda di
Edipo). Dopo la rottura dei rapporti con Nefertiti, Ekhnaton Smenkhkare e
Meritaton conducono un menage a trois con al centro
Smankhkare.
In
base ad alcuni documenti ritrovati, Nefertiti par aver condotto una vita sessuale
privata in sintonia con la bellissima moglie di Potifar. Bella era
bella, corteggiata sicuramente, certo chi riuscì a goderne i favori non andò a
raccontarlo in giro appunto per non rischiare di perdere questo beneficio. Da
una cronaca giudiziaria possiamo
intuire quanti uomini cadessero ai suoi
piedi tanto da rendere Nefertiti superba
della sua bellezza e arrogante: “ Un uomo di nome Umuhanko, cerimoniere,
celebre per il suo sapere, aveva
invitato
Secondo
alcuni Nefertiti sarebbe figlia di Ey (e dunque Asenat sua nipote). Io credo
invece che si tratti di una principessa mitanni sia per i tratti somatici e il
colore della pelle, che nulla hanno a che fare con la razza egizia, bensì con
la caucasica, sia per il fatto che
semmai la seconda moglie di Ey (vedovo della precedente moglie), Tey, è
definita balia di Nefertiti. Ey è solo il marito della balia di Nefertiti.
Penso ad un affidamento affinché la principessa mitanni fosse introdotta alle
buone maniere egizie. Credo cioè che con Amenophis IV continua la tradizione
per cui il faraone ha una grande sposa reale mitannica. Tuthmosis IV sposa
Mutemuya e genera Amenophis III il quale sposa Teye (figlia di Minosse/Abramo e
Tuya; in questo caso il padre è mitannico, mentre Tuya è una principessa
sicuramente egizia dell’harem) e genera Amenophis IV. Ekhnaton sposa la
mitannica Nefertiti. Una prova indiretta che Nefertiti era di Mitanni lo si
deve dedurre dal fatto che alleva le
figlie secondo gli usi e costumi mitannici. La pratica di deformare
deliberatamente i crani (cf. le figlie di Nefertiti) era comune presso i popoli
preistorici della Siria del nord e della Turchia orientale, i cui diretti
discendenti erano i Mitanni (ce ne informano A. Collins e C. Ogilvie-Herald in
La cospirazione di Tutankhamen, Newton Compton Editori, 2006, p. 40). E qui
tutto si ferma perché nel frattempo i MItanni sono in declino e gli Ittiti in
ascesa.
In
quest’anno ho letto Chi ha scritto
Potrei
omettere di ridiscutere su quanto ho già discusso nei precedenti lavori, ma dato che
analizzavo il testo biblico senza avere una base “scientifica” come ce
l’ho adesso, dopo la lettura di Friedman, e che coglievo già allora esattamente
il punto, ho il piacere di ritornarvi ora, per dar modo di confrontare il mio
pensiero odierno con quello di ieri.
Curioso
che Friedman ci ricordi che Ezechia (paladino degli “aronniti”), a dispetto
della sua riforma centralizzatrice, aveva
risparmiato a Gerusalemme e in luoghi periferici una serie di altari (le
“alture”) sede di una religiosità popolare di tipo sincretistico in onore di
Jahweh eretti da Salomone… lasciando a Giosia l’onore e l’onere di sconsacrarli
(pp. 79 e 181). Io stento a credere ai miei occhi perché ho sempre saputo
che le “alture” erano luoghi pagani, dove Jahweh non c’entrava niente. E ancora
ci ricorda che Ezechia fu sconfitto dal re
assiro Sennacherib – che assediò e prese
Lachis fra le 46 roccaforti giudee (ce lo dice lo stesso re nel prisma di
Sennacherib, e gli diamo credito perché non era un sacerdote ebreo, aggiungo
io); ridusse il territorio di Giuda dividendolo fra i re di Asdod, Ekron e
Gaza – che aggravò il tributo annuo di Ezechia: le sue figlie, il suo harem e i
suoi cantori, 30 talenti d’oro, 800 talenti d’argento, ecc.
2
Re 18:13 conferma che ” nel quattordicesimo anno del re Ezechia, Sennacherib,
re dell’Assiria, assalì e conquistò tutte le piazzeforti di Giuda.” (pp.
81-82). Anche se Gerusalemme non fu presa, appare evidente che Ezechia non aveva piena libertà di movimento
neppure in campo religioso, tanto è vero che in Gerusalemme e periferia
continuavano a funzionare una serie di altari sede di attività cultuale pagana.
Vi sono due modi di indagare nel passato. Quello che giura e scommette sulla
verità storica delle fonti (e rimane fregato) e quello smaliziato che, fonte
per fonte, verifica l’attendibilità in base a riscontri incrociati e alla fine
è pronto a formulare una nuova versione ritenuta attendibile, in contrasto con
la precedente, ma basata su sostegni di pura logica e documentali più probanti.
Io ovviamente sono fautore di questa seconda via, critica e non supina. Quelli cui non va di far lavorare il
cervello, e sono legioni, preferiscono continuare a ruminare la falsa tradizione.
E vengono pagati e hanno le cattedre!
La
storia biblica è costellata di sacerdoti di Silo che non dovrebbero essere più
in circolazione dopo la sconfitta di Afeq da parte dei Romani (i Filistei
biblici; per l’argomento rinvio ai miei precedenti lavori su questo stesso
sito) e lo sterminio
meticoloso che ne dovettero fare i Romani/Beniaminiti/Filistei. Ovvio che Samuele non esiste se non da morto,
definitivamente fatto fuori al tempo della cattura dell’arca, distrutta
certamente o comunque non più restituita ai siloiti. Saul non fu mai unto da
Samuele perché Saul era generale romano, operava presso una roccaforte romana.
Gli Ebrei furono certamente timorosi e gelosi dei romani. Nello stesso VIII
secolo in cui Osto Ostilio (Romolo) compie il colpo di stato in senso
monarchico (
Nel
diciottesimo anno del suo regno lo scriba Safan riferisce a Giosia che il
sacerdote Chelkia, padre di Geremia, del clero di Anatot (Friedman
evidentemente non crede nemmeno lui a questa ipotesi in quanto parla della
conservazione della tradizione siloita in clandestinità e allo sbando durante
secoli; la verità è che Geremia, prima di scappare in Egitto, era legato ai
Babilonesi i quali, prima dei Persiani,
ebbero il problema di un impero con aspirazioni universali e dunque attraverso
Geremia intendevano imporre in Gerusalemme la loro visione religiosa in
funzione di un impero sincretistico) ha “rinvenuto” il codice D nel Tempio.
Quando Safan gliene lesse il testo, il re si stracciò le vesti e dopo aver consultato una profetessa!!! celebrò il rinnovo dell’alleanza fra dio e
popolo. Se davvero P fosse del tempo di
Ezechia (716-687) e la centralizzazione del Tempio fosse avvenuta realmente,
Giosia (640-609), successore di Ezechia, non avrebbe consultato una profetessa,
bensì lo stesso sacerdote Chelkia o un altro suo collega del tempio. Dunque, se per ipotesi D fu scritto dopo la
centralizzazione di P, appare inverosimile interrogare addirittura una
profetessa, ciò che suggerisce un abbandono secolare delle pratiche templari.
Perciò continuo a credere che la riforma di Ezechia sia quanto meno
un’esagerazione cui si ispirò (e questo è comunque lecito; ognuno può vedere le
cose piccole, infinitamente insignificanti, con gli occhiali di ingrandimento)
come a modello di re ottimale il redattore di P.
Dopo
aver letto attentamente il libro di Friedman non me la sento di credere che P
sia anche abbastanza anteriore a D. Fino a prova contraria P è l’ultimo codice,
in quanto in esso (come riconosce lo stesso Friedman) Elohim è visto come essere celeste,
cosmico, impersonale e trascendente e
non come, direi io, un dio di tipo omerico (umano, terreno, che vive in un
mondo meraviglioso, con angeli e animali parlanti) quale quello
descritto nei codici J, E e D. P risente di una civiltà ormai evoluta come
quella persiana (conosce un evoluzionismo darwiniano: Gn 1: piante, animali,
uomo e donna; l’origine di Indeuropei, Camiti e Semiti dall’Ararat, dopo il
Diluvio di Noè scoperto da Ryan e Pitman). Il suo redattore può essere appunto
Ezra, suddito di Artaserse II.
L’ordine
tradizionale dei codici va corretto. J viene normalmente associato a E come
parte più antica del testo biblico. Sarà poi così vero? Certo un caso (la
visione razzista di Gn 2 con uomo, piante, animali, donna), non fa la regola,
ma se poi Friedman mi ricorda che il patto fra Yahweh e Abramo prometteva ai
discendenti di questo (David) la terra
“tra il fiume d’Egitto e l’Eufrate” (Gn 15:18; questo passo e altri simili
servono a Friedman per credere davvero al regno di Salomone!) allora salta
davvero agli occhi che J è tardo, di età persiana, in quanto la terra in
questione è
Si
sostiene che la fusione di E e J potrebbe risalire al tempo in cui gli
Israeliti (722) scampati agli Assiri si rifugiano in Giuda. Quanti Israeliti
saranno scampati alla macchina da guerra assira? Gli Assiri annientarono le
supposte dieci tribù di Israele. A Gerusalemme si saranno rifugiati brandelli
insignificanti. E poi, la mia obiezione è che i Giudei mica erano scemi a dare
una mano religiosa ai loro insignificanti come numero confratelli del nord
(cosa buona e giusta) a scapito della
tradizione sudista che sarebbe
stata umiliata da quella nordista. In E
è esaltato Mosè e umiliato Aronne, e la cosa si ripeterà col Deuteronomista,
tanto che l’autore di P dovrà esaltare Aronne e demitizzare Mosè. Abbiamo detto
che il mondo biblico più anticamente redatto assomiglia a quello omerico.
Orbene io dato, con prove certe all’anno, il Viaggio
di Odisseo al
E
perché Ezra o chi per lui avrebbe dovuto inventarsi (addirittura, direi,
inconsapevolmente, perché l’arianesimo di Abramo l’ho scoperto io dopo tanto
studiare e confrontare coi dati archeologici, soprattutto il Disco di Festo e
la mummia di Minosse/Giuda; mentre una lettura non dotta della Bibbia appare
sostenere un’origine perfettamente semitica, perfino ismaelita, araba, dei
patriarchi, con Abramo che proviene da Ur ed è capostipite degli arabi tramite
Ismaele, e con Mosè che conosce Yahweh in Madian, nella penisola arabica,
tramite suo suocero Ietro) un’origine ariana dei patriarchi, magari per venire
incontro alle esigenze degli ariani persiani e alla loro esigenza di creare un
impero esteso fino all’europa con Gerusalemme come testa di ponte e subliminalmente ariana? No, perché la mia ricerca partita
soprattutto dall’Apoteosi di Radamanto è adesso giunta alla sua conclusione più
straordinaria e inaspettata, alla dimostrazione che l’ariano di cui abbiamo la
mummia, il primo atoniano della storia, è appunto il Minehud/Minosse, il
Yaehud/Giuda ma anche l’Abramo (doveva essere questo un soprannome connesso con
il suo grande potere, ed infatti era il visir del faraone Tuthmosis IV), che
gli egittologi chiamano Yuya e che Ahmed Osman ha identificato, sbagliando di
poco, con Giuseppe, che in realtà era suo figlio.
J
di Ezra o chi per lui è una tradizione storica attendibile, in sintonia coi
dati storici ed archeologici. I Mitanni originavano dall’Armenia e qui si
collocava la tradizione dell’Eden con l’albero della vita e l’uccello grifone
del Sole (fu certo Ezra, per fare dispetto a Geremia e alla sua scuola, a sostituirgli come
cattivo il Serpente Necustan di Madian, realizzato in bronzo da Mosè; alla
corte di Giosia, 640-609, la cui nuora si chiama Necusta, si affaccia dunque
questa religione araba), la fonte dei fiumi Tigri ed Eufrate (più altri due di
fantasia che è inutile cercare di identificare) che nasce ai piedi dell’Ararat
in Armenia, del Diluvio di Noè, dell’Arca arenatasi sull’Ararat, di Abramo
ultimamente originario di Harran/Mitanni. Ezra a mio avviso non poteva più
comprendere le origini ariane dei patriarchi (ma ricollegava nel codice J il nome di Yahweh al
dio dell’Eden indoario) ed è per ciò che
risulta più attendibile. Quello che la tradizione giudea ricordava non era più
immediatamente riconducibile all’élite ariana dei Mitanni in Armenia, ma solo
all’Armenia, e semmai era la dotta
ricerca e i riscontri storici degli “aronniti” di P (consultatori delle
biblioteche di Babilonia durante la deportazione), che rimettevano insieme i
pezzi e ad esempio facevano ricominciare da qui dopo l’esondazione del Mar
Nero al tempo di Noè l’origine di
indeuropei, semiti e camiti (Friedman, p. 46: racconto del diluvio in J e P).
L’origine da Ur (proprio Ur, non Urfa come qualcuno pretende credendo di essere
intelligente) era suggerita dal culto lunare di Sin che si ritrova anche ad Harran, e in tutte le sedi abitate da arabi, e che era
una divinità creduta originariamente connessa, come vedremo, con Yahweh,
tramite i pastori Shasu di Edom veneratori di Yahw. In precedenti lavori ho
analizzato tutte le connessioni degli antichi patriarchi con Harran e
Il
personaggio chiave della torah di JE è il profeta, non il sacerdote (Friedman
p. 162). Scrive Friedman “ Rimane da risolvere la questione del perché esistano
tante somiglianze tra J ed E. I due testi raccontano spesso storie analoghe,
trattano in gran parte degli stessi personaggi, mostrano un’apprezzabile coincidenza
terminologica. E anche sul piano letterario i punti di contatto sono così
cospicui da rendere impossibile discriminare con precisione le due fonti in
base a criteri puramente stilistici. Una possibile spiegazione è che i due
scritti si fondino l’uno sull’altro. “ (p. 71) La mia esperienza di storico mi
dice che in civiltà diverse alcuni testi furono scritti in età tarda copiando
modelli antichi e riuscendo a convincere i contemporanei della loro antichità formale (ma la ricostruzione
di Ezra è anche del tutto storicamente,
oggettivamente corretta). Questo, secondo la mia logica, deve essere
avvenuto a J, realizzato da Ezra o chi per lui sul modello di E. E umiliava Aronne a favore di Mosè (in realtà
nello stesso tempo in cui umiliava “Aronne”, portava alla luce gli “aronniti” e
li legittimava, per cui l’umiliazione era un espediente creativo, dal
nulla). Ma perché J (di Giuda) doveva
uniformarsi a E (di Israele) se J era la storia del sud (di Abramo e Giuseppe atoniani
e poi di Saul, lo possiamo includere, e David romani adoratori di Giove) contro il nord (degli Shardana e Danai
siloiti, musiti, israeliti)? Di Aronne e di Mosè non gliene avrebbe dovuto
fregare di meno. Lo stesso Friedman dice che l’autore di E “ dà rilievo al
patto mosaico mentre non fa neppure cenno a quello stipulato da Abramo, ma
soprattutto, nel racconto dell’esodo dall’Egitto, attribuisce a Mosè il ruolo
principale nella liberazione del popolo… “ (p. 68) e ancora “ in E la figura di
Mosè ha un rilievo nettamente superiore a quello assunto in J, mentre agli
avvenimenti precedenti (creazione, diluvio, patriarchi) viene riservato poco o
nessuno spazio, a differenza di J. “ (p. 70) Quanto a J “ Dati i suoi interessi
per la casa reale di Giuda (la famiglia di David), l’evento capitale della
storia per lui si era verificato prima
di Mosè, ed era il patto concluso da Dio con i patriarchi… “ (p. 71) Giuda e Israele non ebbero mai in comune granché, nemmeno dopo l’esilio. Ma ecco la soluzione del problema per il
quale mi avvarrò, come fonte di notizie, anche del
libro di Paolo Sacchi, Storia del Secondo Tempio, SEI Torino, 2006 (il quale
non ha compreso, come non lo ha compreso Friedman, e non lo ha compreso
nessuno, il patto scellerato fra rimpatriati da Babilonia e leviti siloiti rimpatriati
dall’Egitto, la cui mente perversa va cercata dietro un seguace di quel
diavolaccio di Geremia).
Per
capire la genesi del Pentateuco e della prima Bibbia (Genesi, Esodo, Levitico,
Numeri, Deuteronomio, Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re) occorre riconoscere
che la riunione dei codici avviene in età esilica e fino a Ezra. Gli Assiri nel
722 conquistano Israele e lo spazzano via per sempre dalla storia con tutte le
sue dieci tribù (le abbia avute o no). La storia che ci interessa più da vicino
è dunque quella dello stato del sud, di Giuda. Gerusalemme fa gola prima agli
Assiri, poi ai Babilonesi, infine ai Persiani, perché queste potenze hanno
tutte uno scopo importantissimo, di tenere insieme il loro impero unificandolo attraverso una
religione monoteistica, e in più Gerusalemme è un’ottima testa di ponte per
l’espansione verso Occidente. Gli Assiri avevano appoggiato la politica
sincretistica di Manasse. Friedman ci spiega bene che quando (e accade assai di frequente) i re del nord o del sud sono costretti ad accettare una politica
(imposta dalla potenza straniera vincitrice: assiri, egizi, babilonesi) universalistica e pacifista
tendente ad armonizzare i differenti culti (sincretismo religioso), vengono attaccati
dai profeti che li accusano di abbandonare Yahweh a favore di divinità
straniere, di idolatria. Sacchi in nota 9 p. 34 dice che Nabucodonosor e Nabonedo babilonesi condussero una politica
economica in opposizione al tempio sempre babilonese [par di rivivere
l’opposizione atoniana contro il clero onnipotente di Amon a Tebe, nota di
MGC], e soprattutto Nabonedo “ predilesse il culto del dio Sin di Kharran,
culto che era estraneo alla tradizione babilonese “ e, aggiungo io, richiamava
una certa interpretazione (fuorviante) delle origini del culto di Yahweh come
probabilmente ricostruite dalla scuola
siloita, in quanto Abramo viene fatto originare da Ur (dove pure è attestato il
culto di Sin), e da ultimo proveniva proprio da Kharran, e sappiamo che in qualche modo Yahweh si
metteva in relazione col dio “luna” (che è ciò che vuol dire Sin). Vedremo che
questa interpretazione cui fa da sfondo il culto lunare è tarda e corrisponde a
una qualche cronaca di origine araba che ha elaborato la materia dei
patriarchi. Insomma è evidente che quando
ai Babilonesi si sostituiranno i Persiani questi faranno una politica ancora
più massiccia per dirigere la politica di Gerusalemme. Sono probabilissimamente
di influenza persiana sul giudaismo la tendenza al dualismo, a complicare
l’angelologia e la demonologia e a dar loro peso teologico, l’idea che fra dio
e l’uomo ci sia un mediatore divino o superumano, l’idea della resurrezione o
di una vita che non finisce con la morte, ma queste si fecero chiare solo in
epoca ellenistica. Giuda non ebbe molti momenti di indipendenza. Fu quasi
sempre sottoposta a tributo di questo o di quello. Ora, con la caduta di
Gerusalemme del
Ci
troviamo dapprima nello scenario dei rimasti a Gerusalemme e Giuda. Questi sono
ovviamente i buoni, mentre i cattivi sono stati cacciati e deportati a
Babilonia o fuggiti in Egitto. I buoni continuano a vivere dove hanno sempre
vissuto e l’autorità persiana spartisce fra loro tutti i beni mobili e
immobili, le terre. Ovvio che c’è anche un clero che si occupa del tempio o di
ciò che è rimasto del tempio. Si contrappongono dunque gli interessi dei
rimasti (per loro Yahweh non si è mai allontanato dal Tempio) e quelli di coloro che vorrebbero tornare (per questi Yahweh li ha
seguiti in esilio; se invece l’azione di Yahweh deve avere un senso, li ha
puniti cacciandoli da Gerusalemme) e naturalmente costoro brigano con la corte
persiana per ottenere ciò che vogliono. Ezechiele è la mente di coloro che
vogliono rimpatriare da Babilonia e che alla fine prevarranno. I reduci da
Babilonia in quanto regalisti e atoniani avrebbero le carte in regola per
vincere, in quanto il re persiano invia a Gerusalemme una diarchia composta dal
re Zorobabele e dal sommo sacerdote Giosùè. Ma cosa ti combina il nostro
Ezechiele? Si mette a delegittimare
Zorobabele, che, nonostante in esilio, è il re vassallo di Giuda, e cioè
re di Giuda e nel contempo governatore per conto dei persiani su Giuda. Il fatto è che Zorobabele fin dal tempo in
cui è in esilio fa gli interessi dei rimasti in patria (e tuttavia come vedremo
la decisione di delegittimarlo e dunque di incoraggiarne l’assassinio chiuderà
le porte degli autentici Giudei al tempio, almeno per un certo tempo, perché
non c’è dubbio che sono loro i più furbi, maestri di intrallazzi). Ezechiele
delegittima Zorobabele demolendo l’idea
che la salvezza di Giuda sia legata alla regalità, alla discendenza dalla casa
di David (Sacchi, p. 31). Ezechiele non ricorda nemmeno esplicitamente
Yehoyakin come re, che pure è per gli stessi persiani re vassallo di Giuda. Ma
è anche possibile che
i passi incriminati di Ezechiele siano posteriori alla morte di Zorobabele e
dunque costituiscano una prima retromarcia rispetto alla torah sudista
(atoniana e regalista fondata su Abramo e David) in attesa di inserirsi nella
torah nordista quando i seguaci di Geremia daranno il via libera. Dal punto di
vista dei maneggi sotterranei i reduci riescono ad ottenere un regime
dualistico in cui a fianco del re (che ora, per volontà del re persiano,
diventa anche governatore degli ebrei in esilio) ci sia un sacerdote, Giosuè.
Inutile dire che il re persiano si immagina magari cosa
avverrà ma attende di prendere una decisione dopo i fatti. Una volta a
Gerusalemme scoppia la guerra civile fra chi c’era rimasto e chi è ritornato, e
così Zorobabele viene assassinato e regna il sommo
sacerdote. La fine dei lavori di ristrutturazione del nuovo tempio (515) è
collegata da Giuseppe Flavio ai soli sacerdoti. Evidentemente il re persiano
guarda ed è pronto a mettersi comunque dalla parte che consente al suo progetto
di funzionare. Il primo sommo sacerdote
si chiama Giosuè, coincidenza?, come il Giosuè (falso successore del falso
Mosè) che scatena la guerriglia in
Palestina senza mai conquistarla. Dunque io credo che questo fu il primo ed
unico Esodo degli Ebrei dall’Egitto,
ma sulla falsariga di questo si volle creare l’esodo di Mosè dall’Egitto
sovrapponendolo e sostituendolo a quello degli Shardana Danai dal mar Nero che
in qualche modo avevano popolato Israele.
Nessuno
può negare che la situazione del primo rimpatrio ricalchi esattamente quella
che doveva essere la situazione precedente dei rimasti a Gerusalemme. Insomma,
dopo il primo rimpatrio (e dopo l’assassinio di Zorobabele) il tempio si adegua
al territorio, Gerusalemme si adegua a Giuda, e si addiviene a matrimoni
misti, il che vuol dire che gradualmente
c’è il rischio che il dio unico di Gerusalemme Yahweh non sarà più tale perché
si sa che le mogli pagane indurranno i loro mariti a venerare divinità pagane.
In questa prima fase è evidente che i vecchi latifondisti rimasti in patria non
possono essere stati sloggiati a favore dei rimpatriati e dunque in pratica
ecco perché la situazione continua a permanere come era prima dell’arrivo dei
rimpatriati, eccetto il fatto che ora Giosuè è sommo sacerdote del tempio. Se
gli effetti sono tali, viene da supporre che il rimpatrio di Giosuè sia stato
ispirato dalla teologia deuteronomistica di Geremia (dei siloiti reduci
dall’Egitto), che scrive ovviamente, meglio
un suo seguace, a cavallo fra esodo e rientro in età persiana,
attribuendo la scoperta del Deuteronomio al padre di Geremia Chelkia, sacerdote dei siloiti internati in
Anatot, regnante Giosia. Il seguace di Geremia scrive il Deuteronomio in fase
esilica, in Egitto, e qui, non appena sa che potrà tornare a Gerusalemme, gli
viene in mente di trasformare l’esodo dal Mar Nero nell’Esodo avvenuto in età
ramesside dall’Egitto e così lancia la minaccia che dio potrà far tornare in Egitto gli Ebrei per punirli
della loro infedeltà, cosicché questa minaccia diventa credibile
laddove appunto egli stesso è profugo in Egitto dopo la caduta di Babilonia e
l’assassinio di Godolia. Dunque è qui che l’esodo dal Mar Nero si trasforma
nell’Esodo dall’Egitto. Qui in Egitto “nascono” anche i Leviti (la tredicesima
tribù senza territorio), che hanno assunto durante la loro permanenzaa in
Egitto nomi egiziani. In effetti, dopo la morte del re Zorobabele, i reduci da
Babilonia, regalisti, non avevano più una teologia idonea (tanto più che essi
con Ezechiele furono antimonarchici). Tutta la tradizione giudaica secondo cui
un successore di David sarebbe sempre stato re su Gerusalemme avrebbe
costituito una continua palese condanna del clero giudaico dei reduci da
Babilonia, perché tutti fra il popolo avrebbero sempre potuto domandare al clero di farsi da parte per nominare un re
discendente da David. Dunque ora, per i furbi reduci da Babilonia, che pensano
solo alla decima del sacrificio animale che per legge va fatto solo nel tempio
di Gerusalemme, se vogliono campare
diventa importante la torah dei siloiti di Mosè lo shardana, per
cui Yahweh ha fatto il patto col popolo
e non col re. Io credo che i sudisti non avessero una tradizione mosaica
dell’esodo degli Shardana (dal Mar Nero). La storia di Giuda e Israele furono
non solo indipendenti ma anche opposte, in quanto
Giuda fu il baluardo egizio-romano “atoniano” e gioviano contro Israele
percorsa dalle bande di Shardana e Danai yahweisti.
Friedman
sostiene che P è stato scritto dopo J e E, mentre D è stato scritto per ultimo. Devo
riconoscere che le citazioni che se ne fanno da parte deuteronomistica provano
con buona probabilità che il deuteronomista lo conosce ma non lo approva e se
possibile lo ignora. Tuttavia P è ovviamente più tardo dell’età di Ezechia
(anche se non c’è nulla di male se guarda indietro a Ezechia come a un modello,
esagerandone l’importanza) e poiché nella mia ricostruzione dei fatti prima a
Gerusalemme arrivano i deuteronomisti e infine i sacerdotali, con Nèmia (sotto
Artaserse I), devo dissentire da lui. Il mio ragionamento si basa sul patto
scellerato fra reduci da Babilonia (portatori di una torah regalista che fa
capo ad Abramo e David ed originariamente era atoniana) e reduci dall’Egitto
(portatori della torah di Mosè degli Shardana e Danai yahweisti). Un seguace di
Geremia affiancò a Mosè in E e nel Deuteronomio un Aronne (spuntato fuori
miracolosamente come i sacerdoti sopravvissuti di Silo) subordinato, da cui avrebbero tratto origine
gli “aronniti” destinati a svolgere il lavoro subordinato di Leviti. Ovvio
dunque che il rientro in Gerusalemme fosse guidato da una corrente ispirata a Giosuè siloita che si portava
dietro la tradizione deuteronomista con l’intento di sdoganare, legittimare i
sudisti “babilonesi” (perché questi avevano una torah completamente diversa,
quella di Abramo e David, regalista e atoniana) ed integrarli nella tradizione
siloita yahweista. L’evolversi del
rientro e dei rapporti fra reduci e rimasti in patria è perfettamente in
sintonia con questa mia ricostruzione, in quanto
rispecchia la gestione del rientro come l’avrebbero appunto operata i pacifisti
e universalisti portatori del Deuteronomio nordista (ricordo che la toràh
nordista deve tutto alla politica sincretistica e pacifista di Geroboamo). Sacchi sostiene che P sia stato scritto per
ultimo ma, ponendo il Deuteronomio alla base della politica di Nèmia (ciò che a
me appare assurdo) e P alla base della missione del successivo Ezra (sotto
Artaserse II), finisce con lo lo snaturare l’importanza politica di P che, se
da una parte non può essere troppo tardo (anzi deve essere in qualche modo
contemporaneo) rispetto a Geremia (meglio, al suo discepolo), a E e al
Deuteronomio, dall’altra deve essere stato utilizzato al più presto come
piattaforma della ascesa al potere degli “aronniti”, cioè sotto Nèmia. Io sostengo dunque che sarà anche possibile che Nèmia
“aronnita” (non ancora sdoganato!) abbia compiuto un colpo di mano vigente il
Deuteronomio, ma certamente non è possibile affermare in alcun modo che egli
stesso fosse un deuteronomista e che abbia compiuto le sue riforme credendo nel
Deuteronomio. Nèmia fu uno sporco razzista, segregazionista di ispirazione
sacerdotale (P) anche se formalmente
può essersi servito di riferimenti
ignobilmente distorti dal Deuteronomio.
Dopo
la morte pianificata (a pensarci bene, ad ammazzare Zorobabele potrebbero essere
stati con maggiore probabilità gli stessi seguaci di Giosuè, perché toglievano
ai sudisti la giustificazione per l’applicazione della loro torah regalista) o
meno di Zorobabele gli unici a poter presentare una torah adeguata erano i
siloiti reduci dall’Egitto che facevano capo a “Mosè”, per cui se i
“babilonesi” volevano mettere in qualche modo le mani sul tempio di Gerusalemme
dovevano scendere a patti con costoro. Occorreva dunque tirare fuori dal
cilindro un “Aronne” sacerdote che fosse legato a Mosè. Dunque si composero
insieme i codici J (sudista) ed E (nordista) in modo da esaltare Mosè pur
affiancandogli un Aronne in subordine. A questi si aggiungeva un Deuteronomio che ugualmente esaltava Mosè,
ma gli affiancava un Aronne inferiore di statura. Questo codice D conosceva
l’esistenza del codice P dei “babilonesi” ma lo ignorava volutamente in quanto
in questa fase i vincenti erano appunto i siloiti israeliti. I sudisti, pur
avendo il loro codice legale non erano ora nelle condizioni di farne uso in prima
persona perché non legittimati al potere. Il sommo sacerdote (l’unico che
restava a regnare su Gerusalemme) basava il suo potere sul patto fra Yahweh e
il popolo, mediatore Mosè. E’ solo con la graduale legittimazione degli
“aronniti”, e con la benedizione del re persiano che li appoggia, che questi
riescono a prendere il potere assoluto fra Nèmia e Ezra e a ribaltare la
situazione, per cui (ora che sono stati legittimati) diventano il clero legale
col loro codice sacerdotale ed esautorano i deuteronomisti che sono relegati al
rango di leviti. E’ a questo punto che un seguace di Geremia potrà sfogarsi “ Come potete dire: « Noi siamo saggi, la
torah di Jahweh è con noi », quando a menzogna l’ha ridotta la penna bugiarda
degli scribi! “ (Ger 8, 8).
Più
volte ci siamo imbattuti in accenni veramente curiosi,
che ci aprono un nuovo scenario interpretativo del Pentateuco con l’Esodo
dall’Egitto collocato in età postesilica, e cioè il rientro in Gerusalemme al
seguito di Giosuè (sacerdote musita,
cioè seguace di Mosè) dei profughi in Egitto fra cui i Leviti che appunto, come
è stato riscontrato da molti, portano nomi egizi. Non c’è mai stato un esodo
dall’Egitto sotto Ramses II e dintorni guidato da Mosè. L’unico esodo era stato
quello degli Shardana e Danai dai dintorni del Mar Nero sempre intorno all’età
di Ramses II (più precisamente da quella di Merenptah e Ramses III). Ora i
deuteronomisti che con Giosuè arrivano a Gerusalemme realizzano l’unico vero
esodo dei siloiti musiti dall’Egitto a Gerusalemme. Se ne deduce, se ho
ragione, che tutta la storia di Mosè è una proiezione all’indietro e dunque un
falso storico per incardinare gli Ebrei in un passato storico di un certo
rispetto quale quello che li ricollega all’Egitto del Grande, Ramses II.
Naturalmente i biblisti tradizionali, quelli fantoccio, pagati dalle chiese o
dalle istituzioni pubbliche e private per non fare nulla, per mantenere
l’ignoranza e il potere della religione, obietteranno che non si poteva
ingannare un popolo propinandogli una tradizione nata dal nulla. Innanzitutto
quanto alle tradizioni che funzionano dopo essere nate dal nulla, potrei citare
l’origine divina della dinastia attualmente regnante sul Giappone. Teniamo
presente che quando una tradizione è religiosa, dunque sostenuta dall’anatema
(e dalla pena di morte!), riesce a convince anche i
più refrattari. Nel caso nostro la tradizione non nasceva proprio dal nulla ma
era un collage di mezze verità unite insieme in modo da modificare la realtà
senza che questa potesse essere presa immediatamente per falsa, da un popolo
comunque ignorante e non scolarizzato. Un’esodo c’era stato (dal Mar Nero), ma
era stato toccato anche il delta (sotto Ramses III) da cui gli invasori erano
stati costretti a fuggire per giungere in Israele. Gli Ebrei (per l’esattezza i
furbi siloiti,prima di tutto) procedono come Platone
nella sua Atlantide. Cercano di scrivere una storia falsa da far credere al
resto del mondo che i più antichi sono loro, se possibile più delle piramidi
egizie. Infatti Atene secondo Platone avrebbe respinto un attacco da parte di
proto-Americani/Atlantidei, una civiltà di circa 10000 anni a. C. Perché
stupirsi se dopo l’insegnamento di Platone gli Ebrei pretendono che il loro
Yahweh abbia
creato il mondo, tutto quel che vive sopra la terra e nel cielo, i primi esseri umani da cui si
sono differenziate tutte le razze viventi?
Friedman
ha notato con altri lo scontento dei sacerdoti di Silo, che hanno perso il
potere sia al nord, dove Geroboamo non li ha voluti a Dan e Betel, e al sud,
dove, io affermo, dopo esserci stati portati e legittimati da Giosuè, sono stati
sfrattati dagli “aronniti”, che hanno preso il potere a partire da Nèmia. Mi
chiedo se sia possibile che nel racconto del vitello d’oro, elohista (Es 32),
si possa riscontrare la scottatura passata (al tempo di Geroboamo in cui
Israele era ancora in piedi) ma soprattutto quella recente ricevuta dagli
aronniti che hanno preso il potere assoluto a Gerusalemme riducendo i siloiti
“egizi” a Leviti, sacerdoti di serie b. Se ho ragione, evidentemente ne risulta
un testo biblico ancora più tardo del previsto, il più tardo possibile e direi
quasi inimmaginabile, una sorpresa!
Scrive Friedman « agli occhi del clero di Silo i vitelli d’oro [eretti a
Dan e Betel da Geroboamo, per cui Elohim poggiava su di essi attraversando
tutto Israele con un effetto assai più suggestivo di Aton di Gerusalemme che
poggiava sulle sfingi, nota di MGC] erano diventati il simbolo della sua
esclusione da Israele e Aronne quello
della esclusione da Giuda… Subito dopo la liberazione dalla schiavitù
[immaginiamo di collocarla nell’Egitto dopo il 525, MGC] gli Israeliti si erano
resi colpevoli del peccato di idolatria adorando un vitello d’oro, forgiato
appunto da Aronne [“antenato” del clero ufficiale di Gerusalemme da Nèmia in
poi, MGC]. » Friedman si chiede perché Aronne, responsabile del tradimento, non subisca alcuna
punizione (Friedman, p. 61). A me ora come ora la risposta appare luminosa
nella sua evidenza. Perché gli aronniti hanno fatto il colpaccio. Hanno il
potere e non glielo può togliere nessuno. Ai discepoli di Geremia non resta che
rodersi dentro senza alcuna speranza.
Friedman si chiede anche perché l’autore di E abbia, sempre in questo
racconto, descritto i Leviti come zelanti e sanguinari restauratori
dell’ordine. Perché, rispondo io, ora ai siloiti musiti non resta che il ruolo
sussidiario di Leviti. « Evidentemente egli stesso [l’autore di E, un allievo di Geremia, MGC] era levita, e non
è un caso che Aronne secondo il racconto si comporta da ribelle, mentre gli
altri Leviti sono gli unici a dar prova di lealtà. Mosè predice ai Leviti la
riconoscenza divina e in questo modo l’autore denigra gli antenati dei
sacerdoti di Gerusalemme [che ora in età persiana sono appunto aronniti, MGC]
elogiando invece il resto della tribù di Levi. » (Friedman, p. 62) Dissento da
Friedman laddove egli ritiene che se l’autore di E avesse potuto avrebbe
volentieri lui stesso distrutto i vitelli d’oro di Dan e Betel (Friedman, p.
65). Io credo che se avesse potuto
avrebbe strozzato personalmente non tanto l’inesistente Aronne quanto tutti gli
aronniti che avevano sottratto il
sacerdozio ai siloiti a Gerusalemme. Che
E non sia razzista lo dimostra anche l’episodio in cui Aronne e Miriam sparlano
di Mosè a causa della sua moglie cushita/etiope e dio punisce Miriam facendole
diventare la pelle bianca come neve. Aronne e Miriam sono razzisti (e noi
sappiamo benissimo che gli aronniti da Nèmia a Ezra sono razzisti) e si battono
contro i matrimoni misti. dio punisce solo Miriam facendole venire bianco il
colore della pelle, assai meno gradevole da vedere del nero naturale della
moglie di Mosè. Aronne ancora una volta non viene colpito perché è l’”antenato”
del sommo sacerdozio di Gerusalemme attualmente al potere.
Io
faccio l’ipotesi che Dtr 1 sia stato scritto da Geremia e soprattutto da un suo
discepolo in fase esilica quando era assai probabile o certo che i siloiti
avrebbero governato in prima persona. E’ infatti incentrato sui Leviti,
appartiene alla tribù dei Leviti. In quanto tale, rappresenta il documento che supporta i
rimpatriati dall’Egitto appoggiati dal sovrano persiano. E’ durante la vita di
Dtr 2 che i siloiti sdoganano gli “aronniti” (vai a fare del bene ai confratelli
giudei! Altrimenti, cosa potevano i siloiti “Egiziani” chiedere in cambio ai
“Babilonesi” per questo favore?) nella fase in cui c’è la centralizzazione del
tempio con Giosuè. Ma è questa anche la fase
del sorpasso degli aronniti e del conseguente dente avvelenato di un successore di Geremia.
Dunque
i siloiti facenti capo a Geremia accettarono di sdoganare i sudisti fidandosi di un accordo. In base a questo
accordo i reduci da Babilonia acquisivano la teologia deuteronomistica in
quanto discendenti di un “fratello” di Mosè, Aronne, da cui gli aronniti. E’
evidente che questa teologia e questo patto scellerato fra “Babilonesi” ed
“Egiziani” significa anche la possibilità della premeditazione dell’assassinio
di Zoroabele. Il Deuteronomio è infatti repubblicano, musita, levita e anche pacifista
e universalista. L’impatto di Giosuè e dei rimpatriati che lo seguirono
conseguì appunto, volente o nolente, i risultati della politica
deuteronomistica. Logico pertanto preferire l’ipotesi che questi risultati
fossero precisamente voluti in base all’applicazione voluta da Giosuè del
codice deuteronomistico. Non credo che il Deuteronomio sia stato il programma
di Nèmia. Nèmia è aronnita e deve essere sostenuto da J e P, sia pure senza ancora potervi fare
(per opportunità soprattutto) diretto riferimento. Appare altresì evidente in base ad un ragionamento terra terra che i rimasti in
Giuda tennero le loro terre e non le restituirono ai rimpatriati. Ecco allora
il compromesso. Sparisce il re che aveva difeso i diritti dei rimasti in patria
e come contropartita questi conservano le loro terre in quanto è fatto
esplicito divieto ai sacerdoti di possedere beni in Giudea (Deut. 18, 1). I
matrimoni misti erano nella politica dei siloiti perché questi erano
internazionalisti e infatti nel periodo iniziale del ritorno i sacerdoti
favorirono la venerazione di Yahweh
anche da parte di popoli diversi dagli ebrei, e dai documenti mostrati
dagli Ebrei (ai quali è sempre bene credere con beneficio di inventario) pare
che l’imperatore persiano propugnasse la
venerazione di Yahweh in tutta
Con
Nèmia i reduci da Babilonia, sentendosi forti abbastanza mirarono a prendere il
potere tutto per sé. Prima, re Zorobabele
fatto fuori (non si può più far riferimento al patto sudista fra dio e Abramo e
alla casa di David), ci si può solo avvalere del patto
con il popolo di Mosè siloita e deuteronomista, poi, grazie ormai al potere
raggiunto con l’avallo del re persiano e dei siloiti, gli “aronniti” si propongono come sola classe sacerdotale riconosciuta in
quanto rifacentesi ad un Aronne
“fratello maggiore” di Mosè.
Con
Nèmia secondo Sacchi e chi si esprime come lui nasce il Secondo Sadocitismo. In
realtà è più pertinente distinguere la fase siloita (Primo Sadocitismo) e poi
la fase aronnita (Secondo Sadocitismo). Pare che Sadoq fosse sacerdote del
tempio di Gerusalemme quando David conquistò la città. Dunque Sadoq sarebbe
stato sacerdote atoniano. Ma da come si svolsero le cose è evidente che non si
possa considerare capostipite degli “aronniti” di Babilonia, e a maggior
ragione dei “musiti” d’Egitto. La prima missione di Nèmia è del
“
E tu, Ezra… costituirai dei giudici e dei magistrati, che amministrino la
giustizia su tutto quel popolo che è a occidente dell’Eufrate [Transeufratene,
V satrapia, MGC], su tutti coloro che conoscono
Dunque
ecco come avviene che Mosè diventa il personaggio
più importante del Pentateuco (perché la religione dei Giudei si rifà adesso più a Mosè, tramite
Aronne, che ad Abramo e David; sono diventati yahweisti e dimenticano almeno in
apparenza il loro originario atonismo; probabilmente, come accade ai neofiti,
diventano più zelanti degli adepti originari) e finisce anche per essere
creduto dalla tradizione giudeo-cristiana come Autore del medesimo. Quando
gli aronniti saranno al potere faranno uscire allo scoperto P con Aronne che
prevale su Mosè demitizzato e la redazione finale (Ezra) con un codice J di età persiana. Friedman data
Ezra al tempo di Artaserse I e dunque il
Pentateuco daterebbe prima del 458 (V secolo, l’età di Pericle). Ma Friedman ha
una posizione minoritaria. La più parte dei biblisti data la missione di Ezra
al 398, anno settimo di Artaserse II (IV secolo). Dunque la redazione finale
del Pentateuco risale a fine V secolo-inizio IV.
Probabilmente i codici E e D non fanno cenno all’Arca per
un solo valido motivo (non perché i leviti di Silo al tempo di E e D non vi
avevano accesso, come sostiene Friedman; ritengo che i Leviti, la 13a tribù
senza territorio, siano i postesilici dall’Egitto, ed è pertanto logico che
portino fra l’altro nomi egizi), perché i siloiti sapevano che questa era stata
portata via dai Romani nella battaglia di Afeq e non più restituita. Non fanno
poi cenno ai cherubini/sfingi di Aton e
agli altri oggetti conservati nel I tempio (pseudo tempio di Salomone) di
Gerusalemme perché questo è un tempio egizio, certamente atoniano, sul sito ora occupato dal monastero
domenicano francese di St. Etienne. I due pseudo cherubini posti nel Santo dei
Santi del Tempio di Yahweh a Gerusalemme
erano al contrario due sfingi, e cioè la rappresentazione dell’Atum di
On, Eliopoli, il che rinvia al fatto che questo tempio fosse egizio di culto
atoniano e risalente al tempo di Ekhnaton, 1350 ca. Dunque stabilisco che non
esiste alcun tempio di Salomone, ma solo un tempio di Aton predavidico, le cui
rovine sono state riportate alla luce. Perciò è certamente questo il Primo
Tempio, il tempio in onore di Aton. Le due sfingi erano il punto di sostegno su
cui poggiava il trono dell’invisibile Aton/Yati. Si dice che sotto le ali dei
due cherubini/sfingi si trovasse al centro della stanza l’Arca, lo scrigno
d’oro con le Tavole della Legge di Mosè. Appare evidente l’incongruenza. Poiché
l’arca era alla testa degli assalti degli Shardana di Silo, verisimilmente un
sarcofago del dio della morte, della peste e della guerra di questi sciagurati
(degradazione dell’indoario Giove, Giovè, Giavè); poiché inoltre questa arca fu
catturata dai Romani nella battaglia di Afeq e non certo restituita agli
Shardana, perché i Romani non credevano alla superstizione e semmai avrebbero
distrutto lo squallido simbolo della coalizione nemica, questa sparisce dalla
circolazione. Il fatto è che un oggetto impuro come l’arca degli Shardana non
sarebbe stato ammesso nel Santo dei Santi di Aton. Probabilmente il Santo dei
Santi di Aton sarebbe stato trovato completamente vuoto, come in effetti lo
trovò Pompeo scoprendo l’inconsistenza del mistero che lo circondava (Tacito, Hist., 5, 9: vacuam sedem et inania arcana).
Inoltre, che senso avrebbe avuto conservare le leggi di un Mosè shardana sotto
la protezione delle ali delle sfingi dell’Atum? Mosè è invenzione tarda. In
ogni caso le sue leggi sarebbero andate bene in Israele fino alla caduta di
Silo, dopo di che quel che rimase del clero relativo, sterminato dai Romani,
visse forse confinato in Anatot, certamente
in clandestinità fino a Giosia e Geremia.
Lo
studio delle differenti redazioni che poi qualcuno alla fine ritagliò e
ricompose insieme è assai complesso, tanto che il lavoro dello stesso Friedman
mi appare contraddittorio e incerto in più punti. Il quadro che emergeva e che
alla fine fu portato alla vittoria da Wellhausen portò lo stesso De Wette, che
aveva identificato la fonte D, a rifiutare che una parte tanto cospicua delle
leggi fosse così tarda, sostenendo che ciò equivaleva a “fondare le origini
della storia ebraica sul nulla più rarefatto, anziché sulle grandiose creazioni
di Mosè”. Dal punto di vista tradizionale si fece osservare che la conferma di
una tale tesi avrebbe rivelato un Israele dei primi secoli non soggetto ad
alcun tipo di legge. E infatti la visione minimalista della Bibbia è quella più
realistica. Per quanto io stesso ci ritorni
continuamente sopra, per scrupolo di verità, ritengo, prendendo come spunto il
lavoro di Friedman e le mie scoperte, che
Certamente
dobbiamo analizzare il testo biblico pervenuto fino a noi, perché è tutto
quello che abbiamo, ma per fortuna possediamo i dati forniti dalla storia del
Vicino Oriente, dai documenti egizi, assiro-babilonesi eccetera, tutto un
insieme di elementi di confronto per riportare il testo biblico alla sua reale
verità storica. Il problema non è che i dati linguistici, letterari, storici e
archeologici non ci siano. Stando ai lavori come quello di Friedman (che
comunque ha scritto un lavoro che può servire bene da introduzione all’analisi
documentaria della Bibbia) si percepisce che gli studiosi sono in generale
troppo creduloni circa le affermazioni del testo biblico (o di qualsiasi altro
documento antico) e poco o nulla capaci di afferrare la loro infondatezza
ponendoli sotto la lente dell’archeologia, della linguistica, della
letteratura, della storia del Vicino Oriente. Manca sicuramente una cultura
pluridisciplinare. Se avessero davvero spirito critico e conoscenze storiche,
linguistiche, letterarie, archeologiche, arriverebbero a raccogliere una gran
massa di dati, ciò che io ho fatto e continuo a fare.
E’
interessante notare che P, parallelo a J (cioè “aronnita”), utilizza Elohim,
non Yahweh. Dunque si adegua alla tradizione ormai affermatasi a Gerusalemme
dopo l’arrivo dei siloiti dell’Egitto. Francamente trovo strano che qualcuno
abbia voluto sottolineare il nome di Yahweh in un
documento che ritengo tanto recente come J. Nella Gerusalemme che ormai
venerava Yahweh shardana sotto il nome
di Elohim (almeno fino alla rivelazione a Mosè) c’è qualcuno che ha intenzione
di ricordare le antiche origini di Giuda, di Abramo/Giuda/Minosse visir, di
Giuseppe/Ey suo figlio faraone, di Asenat/Ankhesenaten sua moglie, della
Bellissima/Nefertiti, dell’Eunuco di On/Ekhnaton, non più sotto il nome di
Atum/Aton, ma comunque in un codice, l’unico, in cui si utilizzi, in età
precedente alla rivelazione di Mosè, il nome di Yahweh. Poiché Yahweh è il vero
nome originario del dio degli Shardana e Danai razzisti portato alla luce da
Mosè e diventato l’unico dio di tutte le correnti politiche di Gerusalemme,
probabilmente questo codice ha due caratteristiche strettamente intrecciate: da
una parte deriva da un codice arabo che ha trattato di questa materia da un
punto di vista arabo con Yahw il dio Luno al centro; dall’altra conferma di
essere molto recente, qualcosa che circola in area araba, dal Sinai a Madian
alla punta meridionale dell’Arabia, a Edom, fino a Babilonia dove gli
“aronniti” poterono consultare biblioteche pubbliche e private.
Ho cercato di ricostriuire al meglio gli
antefatti della civiltà giudea ed israelita che alla fine si unificano nel II tempio, dal V-IV secolo in mano agli
“aronniti” (ex atoniani, yahweisti acquisiti) reduci da Babilonia. Ovvio che le
origini ariane (mitanniche e atoniane) si obliterino via via per costoro. Ad
obliterare quelle che hanno rilevato dai musiti (le origini dagli Shardana del
Mar Nero) ci ha già pensato il seguace di Geremia col falso esodo dall’Egitto
dei suoi Leviti. Due religioni distinte seppure in qualche modo originarie da
un’area armena comune si trasformano nell’unica religione yahweista che vede
come protagonista Mosè levita (discendente da Israele/Giacobe hyksos). Tutto
ciò non può che continuare a farmi pensare ad una
religione falsa, priva di tradizione,
quasi che sia stata in qualche modo pescata in un determinato ambiente e
fabbricata ad arte con la supervisione
dei sapienti persiani (anche su ciò ho scritto ampiamente sui miei siti;
si ricordi il parallelo fra il filosofico “Io sono colui che è” di Delphi, e
l’ignorante “Io sono colui che sono” di Gerusalemme) che poi saranno gli stessi (i tre re Magi!) a
fabbricare ad arte il cristianesimo in funzione antiromana. Quando nel VI-IV secolo del
II tempio per la prima volta ci troviamo
di fronte al yahweismo e agli Ebrei in formazione, lo scenario non è più quello
euroasiatico di maryannu carristi
mitannici veneratori di Aton o anche di bande di predoni Shardana e Danai
guidate da sciamani invasati come menadi dietro a un Yahweh/Dioniso
sanguinario, bensì quello da Mille e una Notte, fra sceicchi arabi, mercanti
nabatei, regine lascive, eunuchi persiani, geni della Lampada, in uno scenario
di monti davanti ai quali fantasmi di antichi guerrieri e divinità obliate giocano con
Devo dire che se Mosè vive con Ietro in
Madian , il luogo della rivelazione di Yahweh non può
trovatrsi altro che nei dintorni, per cui la collocazione in Edom/Seir
dell’Oreb o Sinai da parte di Collins e Ogilvie-Herald nonché di Phillips, mi
appare più che plausibile. Importante mi appare subito il capitoletto I piedi
del Dio, dove fra l’altro si mette a confronto il passo appena citato di
Esodo con alcune paia di piedi giganteschi scolpite sulle pareti rocciose, di
solito alla base dei monti, nella cosiddetta Valle Segreta della Piccola Petra,
dove sono monumenti nabatei. “ La loro enorme dimensione, e il fatto che
compaiano sempre in posizione ascendente, indicano che sono stati concepiti per
rappresentare i piedi di certi dèi, o di un solo dio, che si riteneva avesse
abitato nella regione. Per i beduini le
sculture rappresentano un segno del fatto che il sito è sacro e che essi si
dovrebbero togliere le scarpe prima di procedere oltre, com’è uso nelle moschee
(si ritiene inoltre che i piedi scolpiti denotino la presenza di fonti
d’acqua, e sono considerati segni di buona fortuna). “ (p. 285) Anche
interessante è il collegamento fra il dio Usous/Esaù inventore degli abiti per ricoprire il corpo, che egli creava dalle
pelli delle bestie selvatiche (p. 288; noto che anche il dio
dell’Eden assomiglia a Usous, in quanto dopo il peccato originale fece tuniche di pelli per coprire Adamo ed
Eva, Gen 3, 21) di Sanconiatone, autore di una teologia dei Fenici, e i due
obelischi di Zibb Attuf che Graham Phillips propone come i piedi di Dio che
riposano sul monte Sinai, il monte di Dio (p. 285). Sanconiatone sostiene che
Usous “ Consacrò due pilastri al Fuoco e al Vento, e li adorava, e spargeva su
di loro il sangue delle bestie selvatiche che prendeva a caccia: e quando
questi uomini [cioè Usous e suo fratello Ipsuranio] furono morti, quelli che
rimasero consacrarono loro delle aste, […]
adorarono i pilastri e tuttigli anni, in quel giorno, tennero delle
feste in loro onore “ (p. 289). In questa regione vivevano gli Shasu che, fin
dal tempo di Amenphis III, compaiono in iscrizioni della Nubia ricollegati col
culto di Yahw (t3 ssw yhw, “Yahw
della terra Shasu/Edom”; non è un tetragramma, bensì un trigramma!) che molti
identificano con Yahweh. Yahweh era una divinità feroce che dunque ben
combacerebbe coi selvaggi Shasu. Se non che tutte le popolazioni che ritroviamo
in area in età più documentata venerano
In egizio geroglifico luna si scrive yahè.
Yahw (che è un trigramma e non un tetragramma!) dei testi associati agli Shasu
di Edom potrebbe benissimo essere il riferimento ad un dio Luno venerato dai
medesimi. E’ dunque possibile e probaile che i
selvaggi e turbolenti Shasu di Edom venerassero una pacifica,
pacificissima luna pastorale, come tutti i proto-arabi a loro succeduti nella
regione. In un documento di circa il
Voglio ancora dedicare qualche riga al
serpente Necustan di Geremia, Giosia e Mosè. Tanto per cominciare Mosè era
levita ed ebreo. Se fosse stato allevato alla corte egizia del faraone come un
qualsiasi principino regale egli avrebbe accoppato l’ebreo rompicoglioni e non
l’egizio. In ogni caso fu un assassino. Non è certo edificante avere un profeta
che introduce una divinità malvagia che oltretutto è un assassino. E’ tutto un
programma. Vediamo l’altro versante della storia. E’ abbandonato dalla madre
ebrea e levita sulle
rive del Nilo per salvarlo dalla morte che il faraone ha decretato di ogni
maschio nato da ebrei (la solita strage degli innocenti imputata dai
giudeo-cristiani agli altri, ai cattivi, quando i soli e unici cattivi sono
proprio loro), ma la deficiente figlia del faraone, invece che nella vasca del
suo palazzo, va a fare il bagno nel Nilo limaccioso, vede il bimbo nella cesta
e lo riconosce proprio come ebreo (non
oso immaginare da cosa lo abbia riconosciuto). Sai che tuo padre li fa
sterminare i figli degli ebrei. Dunque ignoralo e tornatene a casa. No! La
sorella ebrea di Mosè, altra deficiente, s’era messa a
vedere che fine faceva il fratellino abbandonato nella cesta (che vuoi che fine
faccia?). Cosa fa non appena vede la figlia del
faraone che s’è accorta del bimbo? Si fa avanti come se il fratello non fosse un ebreo
destinato a morire ma un gioiello di
valore che la principessa non vedeva l’ora di trovare: “Devo andarti a chiamare
una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?” Pure razzista, perché se la principessa
vuole il bambino per sé vuoi che non trovi una egizia che lo allatti per lei?
Ma la figlia del faraone risponde sì. La
sorella di Mosè le
porta la madre e la figlia deficiente del faraone dice a questa di portarsi via
a casa il bambino e di allattarlo in cambio di un salario (poi si dice che gli
Ebrei non siano strozzini nati!). Stanti le disposizioni del faraone questo
bambino finirà presto o tardi ucciso dai soldati egizi. Per fortuna si tratta
solo di una stupida storia degli stupidi ebrei. Quando il bambino fu cresciuto
la madre lo portò dalla figlia del faraone che lo trattò come figlio e gli
diede il nome di Mosè. Probabilmente Mosè era già troppo cresciuto come ebreo
per sentirsi un egiziano, in ogni caso mi sembra uno di quei rampolli
deficienti (ogni tanto uno ne capita) delle grandi dinastie industriali
italiane, che pisciano nel piatto in cui
mangiano.
Cominciando da zero a indagare su Mosè, dobbiamo
partire dal Madian e da Ietro, sacerdote (di Yahweh? o di Necustan?) nel
Madian. Proprio all’inizio di Genesi facciamo la conoscenza di Yahweh e del serpente
“cattivo” (Necustan). Il Serpente
induce Eva a mangiare del frutto
dell’albero della conoscenza del bene e del male nel mezzo del Paradiso
terrestrestre. Satana dice ad Eva che
non è affatto vero quel che ha detto loro dio, che morranno se mangeranno di
questo frutto che oltretutto è buono a mangiarsi. Essi al contrario diverranno
sapienti come dio. E difatti Adamo ed Eva
mangiano del frutto dell’albero e, manco a dirlo, si accorgono di essere
intelligenti e, viceversa, dio, ora che
sono come lui, come aveva promesso il Serpente, deve ammettere di aver mentito, e li caccia dal Paradiso affinché
non diventino anche eterni come lui dopo aver mangiato dell’altro albero,
quello della vita eterna. Ma questo serpente non è forse il dio forgiato in
bronzo da Mosè, il famoso Necustan
venerato alla corte di Giosia la cui nuora si chiama Necusta? Dunque alla fine
non è forse vero che Geremia siloita venerava il serpente del Madian? (e Friedman oltre alla notizia del rapporto
fra Geremia la corte di Giosia e Necustan ci da a conferma la scoperta
archeologica nel Madian di un piccolo serpente di bronzo) Studiando il paradiso mitannico nel mio
lavoro Atlantide ho ricostruito che l’albero della vita vi era difeso non dal
serpente, bensì dall’uccello grifone del Sole. Chi vi ha sostituito il serpente
avversario di dio (eppur intelligente, sapiente e sincero), in qualche modo
voleva punire Geremia e i suoi trasformando il loro dio in un dio malvagio e
contrapponendolo al Yahweh ebraico. Ovviamene costui era un
aronnita, Ezra, autore di J, che appunto è l’unico codice che tratta questa
materia. Ma nonostante l’intento malvagio Ezra non riesce a rendere questo dio
Necustan mentitore. E’ Yahweh il mentitore. Necustan di Madian, al centro del
Paradiso terrestre, è un dio amante della verità e della scienza contro un
Yahweh amante dell’ignoranza e mentitore. Conoscendo l’astuzia dei preti
attraverso tutta la storia dell’umanità in cui li ho inseguiti, non mi
stupirebbe che alla fine lo stesso Ezra prendesse in giro i suoi contemporanei
creduloni. I preti fino al tempo di Lutero hanno accumulato scienza e lasciato
il volgo alla sua ignoranza per sfruttarlo ben bene. Ma grazie a Lutero. che ha insegnato a ciascuno a usare la propria testa per
interpretare
Un discepolo di Geremia (VII-VI secolo) siloita (cioè di origini shardana e danae)
attribuisce ad un tardo Mosè levita (mai esistito ma “reduce” dopo il 525
dall’Egitto) la rivelazione a Petra nabatea in Edom (dove in realtà era
venerato un dio Luno, Yahw) la rivelazione dello shardana Yahweh proveniente
dal Mar Nero intorno al
I
codici J e P (“aronniti” di Babilonia) trattano della più antica storia di
Giuda che è anche la più antica storia ebraica (essendo l’origine degli
Israeliti dagli Hyksos pura propaganda al fine di apparire più antichi). Grazie
allo specchietto finale dato da Friedman si evince che dalle origini della
creazione fino alla nascita di Ismaele
da Abramo la materia è trattata unicamente da J e P, dopo di che la nascita di
Isacco è materia comune a tutti, anche ai codici siloiti. Mi sembra un indizio
sicuro che J e P derivino da un più antico codice arabo che ha trattato la
materia riguardante i patriarchi da un punto di vista arabo. Cercare le tracce
di questo antico codice evidentemente scomparso o mai esistito perché la
materia era riportata oralmente, non è agevole, anche perché non abbiamo gran
quantità di buone informazioni sulla religione preislamica. Dalla consultazione
della storia delle religioni (curata da Henri-Charles Puech, Ed. Laterza,
1976), Giudaismo, Cristianesimo e Islam II,1, traggo la conferma di un diffuso
culto lunare. Nabonedo fu propagandista zelante del culto lunare di Sin a Taima
(p. 41). Ancora più interessante è che le condizioni di vita precarie e
avventurose imposte dall’ambiente ai nomadi arabi spiegano il bisogno di
conoscere cosa riservava loro il futuro. Di qui l’importanza della divinazione,
la fiducia attribuita alle
profezie degli invasati dei due sessi, il requente ricorso alla consultazione
delle sorti: La cleromanzia, praticata dai custodi dei luoghi sacri (kâhin da
cui Caino?/ebr. kôhen, sacerdote), e che consisteva nel predire il futuro
tirando a caso punte di frecce con iscrizioni (pp. 42-43; cf. gli Urim e Tummim
di Aronne, Esodo 28,30, Levitico,
8,8, e di Ezra, 2,63). Nella Bibbia
leggiamo del “dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, ecc.”, cioè del “dio del
Tale”, che troviamo in ambiente arabo nabateo (p. 40). I raffronti si fanno più
stretti quando dall’Arabia settentrionale e centrale si passa a quella assai
più ricca, del sud. Qui abbiamo i santuari delle città arabe sabee (la regina di
Saba andò a far visita a Salomone portandogli il codice sud-arabico che stiamo
cercando? In ogni caso la leggenda è indizio di relazioni reciproche!) che
ricevono offerte e decime, sono proprietari terrieri e possessori di schiave
(non so se alluda alla prostituzione sacra nel momento stesso in cui afferma
che probabilmente non erano delle semplici ierodule; ma che sia così a
Gerusalemme lo ricordo dall’accenno non solo alle
prostitute sacre ma anche ai prostituti sacri del tempio di Gerusalemme prima
della sua distruzione all’epoca di Ezechiele). Il sacrificio sudarabico si
celebrava nel tempio su un altare squadrato. Abbiamo dunque un clero
organizzato gerarchicamente che ha un ruolo nella vita economica, paragonato a
quello dei templi sumeri (e paragonabile, aggiungo io, a quello della
Gerusalemme del II tempio). Si celebravano anche sacrifici pubblici a scadenze
regolari durante l’anno e olocausti, a differenza dell’Arabia del nord (p. 47).
E’ conosciuta la confessione dei peccati, comprese le mancanze di ordine
sessuale (rapporti con una partoriente, con una donna che ha la mestruazione,
senza le abluzioni del caso), dunque norme di purezza la cui contravvenzione
viene riparata anche con un’ammenda (p. 48). Dunque poiché è facilissimo
confondere la penisola del Sinai con quella dell’Arabia ci si potrebbe chiedere
se alla fin fine “Mosè”
non abbia trovato il dio Luno Yahw, dietro cui è stato nascosto il feroce
Yahweh, nella punta meridionale della penisola Araba. Insieme a tutta
l’organizzazione. Da qui è venuto probabilmente anche quel codice arabo poi
verisimilmente tradotto in aramaico da cui i siloiti trassero la religione giudaica del II
tempio. Non la regina di Saba andò a trovare Salomone per la sua ridicola
saggezza o il fasto della sua corte inesistente, bensì gli ebrei/arabi rimasti
in Gerusalemme fecero comunque sentire il loro peso
anche contro il segregazionismo di Nèmia e Ezra. La prima Gerusalemme non si
distingue da una qualsiasi città araba del suo tempo e perfino i razzisti Nèmia
e Ezra accettano la pratica locale degli Urim e
Tummim, le punte di frecce di pietra con iscrizioni da cui trarre responsi.
Erodoto è del V secolo (mentre il II tempio fu inaugurato nel 515, cioè sul
finire del VI secolo) ma parla di arabi, e così Sennacherib (705-681) parla di
arabi. Maometto il mercante venne a
contatto con comunità giudeo-cristiane dell’Arabia da cui apprese il contenuto
dei testi religiosi. Evidentemente i
codici arabi sabei o nabatei che avevano rielaborato
la storia dei patriarchi in senso arabocentrico (che erano comunque più
legittimi di quelli ebraici) erano nel frattempo spariti dalla circolazione
(meno probabile che non fossero mai stati messi per iscritto).
L’arca
dell’alleanza è legata al Signore degli eserciti Yahweh degli Shardana e Danai
ed è posta al centro del santuario di Silo (Samuele IV-V) e viene
definitivamente persa in seguito alla vittoria romana ad Afeq. Interessante mi
pare il raffronto fra i padiglioni sacri
dei beduini che servono per comunicare gli oracoli che guidano la marcia della
tribù e
Fine