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MARCO GUIDO CORSINI

 

La Bibbia smascherata

 

 

 

Tutti i diritti riservati. 7 Agosto 2012

 

 

 

Con questo lavoro concludo la mia indagine sull’Antico Testamento. Avevo già concluso quella sul Nuovo, alla fine della quale rimangono nell’anonimato le menti autrici della più colossale Stangata della storia, che dura da duemila anni. Le prove che ho prodotto documentano che “Gesù”, gli “apostoli”, Saul/”Paolo”, hanno operato a cavallo della distruzione del Tempio (70 d. C.; e infatti Flavio Giuseppe, sacerdote del Tempio e testimone privilegiato, conosce benissimo questi personaggi: il Falso profeta egiziano, Simone di Ghiora, Giovanni di Giscala, Saul sacerdote del Tempio, ecc., e ce ne racconta  le imprese ignorando di assistere ai primi passi di una nuova religione). Al momento di  scrivere i Vangeli e tutto il resto le “criminal minds” retrodatano la vita di “Gesù/Falso profeta egiziano” al 4 a. C. (o quel che è) – 33 d. C.  (o quel che è) fondendo la guerra giudaica con la rivolta di Giuda il galileo e i movimenti messianici/”cristianici” (che non sono il cristianesimo). Avviene così che alcuni personaggi che compaiono nei prodromi della Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, del tutto estranei al cristianesimo, e oltretutto anteriori, vi furono reclutati d’imperio, dopo la morte di “Gesù”, com’è il caso di “Stefano protomartire”. Dunque  la “storia” del cristianesimo è stata elaborata a posteriori sulla falsariga dei rapporti segreti/“Atti degli apostoli” di Saul/Paolo, 007 al servizio di Sua Maestà Nerone, e della “Guerra Giudaica” di Flavio Giuseppe, con l’aggiunta di massime di saggezza popolare non sempre bene assimilate e comprese, effetti speciali costituiti da “miracoli”, che fanno sempre presa sugli sprovveduti, il miracolo per eccellenza, la promessa della resurrezione e ritorno di Gesù come re di un mondo nuovo, viventi gli stessi apostoli, che dopo duemila anni credo non ci sia più qualcuno che ci creda, ma soprattutto un vangelo rivolto ad assecondare la mediocrità delle masse peccatrici, il tutto in cambio di oboli e di potere, che arrafferanno, come sta sotto ai nostri occhi. Ho ripercorso la genesi di queste due “religioni”  come nessuno aveva mai fatto, neanche lontanamente, prima di me, ed è per questo che non ho una cattedra.       

Rimanevano grossi interrogativi aperti sull’Antico Testamento, ai quali fornisco risposta in questo lavoro. Da una parte, in quanto fra l’altro egittologo, non poteva sfuggirmi troppo a lungo l’identificazione del visir Abramo/Giuda/Minosse e di tutti i personaggi della sceneggiata del faraone Giuseppe/Deucalione/Ey, figlio del precedente(!), sposo di Asenat, lettura abbreviata di Ankhesenpaaten o Ankhesenaten, vedova di Tutankhamon (il faraone celebre per il suo tesoro funerario scoperto da Howard Carter) e figlia di Nefertiti, la bellissima moglie dell’eunuco sacerdote di On/Eliopoli, Ekhnaton. Dall’altra, come avevo già intuito nel precedente studio pubblicato su internet, sostengo che il II tempio di Gerusalemme fu (ri)fondato dai siloiti, reduci dall’Esilio in Egitto dopo la liberazione da parte di Cambise II nel 525 e facenti capo al profeta Geremia, alla cui scuola si deve quasi tutta la “prima Bibbia” (cioè i primi 11 libri fino a 2 Re, e prima di tutto i codici E e D, elohisti entrambi). Fu questo l’unico Esodo dall’Egitto mai avvenuto, dietro al sommo sacerdote Giosuè (che non a caso porta lo stesso nome del “successore di Mosè” che non riuscì a conquistare la Palestina a causa del contrasto romano; per la presenza dei Romani in Palestina fin dall’età di Amenofis III rinvio anche ai miei precedenti lavori su internet), che si ispirò indubitabilmente al Deuteronomio e alla “prima Bibbia” di Geremia e della sua scuola siloita, Da questo momento Mosè  diventa il punto di riferimento sia dei siloiti che degli aronniti, cioè di tutti gli ebrei. Infatti sostengo che gli “aronniti”, i razzisti reduci da Babilonia, da Nèmia (III quarto del V sec.) a Ezra (398 a.C.), dopo essere stati sdoganati e legittimati dai siloiti, si impadroniscono del potere con l’avallo dell’imperatore persiano. L’idea di un patto fra reduci dall’Egitto e da Babilonia potrebbe essere più semplicemente l’effetto dell’estrema prudenza degli aronniti, che, a sorpasso avvenuto, abbiano proceduto ai debiti ritocchi dei documenti siloiti, autolegittimandosi. A questo punto introducono i loro codici J (yahweista) e P (elohista) in conformità dei codici precedenti (elohisti; dunque evitando qualsiasi rottura formale), ma via via facendo sorpassare (l’altrettanto falso) Mosè da un suo comparso dal nulla “fratello” Aronne che, alla fine delle manipolazioni, diventa il “fratello maggiore” di Mosè e capo degli unici sacerdoti ammessi al culto, gli “aronniti”, mentre ai siloiti, che hanno tutti nomi egizi assunti durante l’esilio in Egitto,  resterà il ruolo secondario di leviti, la tribù che, a sorpasso avvenuto, non aveva un territorio da poter reclamare in Giuda. L’amaro giudizio della gabbata scuola di Geremia sarà: “ Come potete dire: « Noi siamo saggi, la torah di Jahweh è con noi », quando a menzogna l’ha ridotta la penna bugiarda degli scribi! [aronniti] “  (Ger 8,8)

La dittatura degli “aronniti” alla fine riscriverà la storia in modo che  tutti gli ebrei appariranno reduci dalla sola Babilonia. Sono questi ormai i soli ebrei riconosciuti, quelli che hanno accettato di ripudiare le mogli straniere in nome di una totale endogamia e odio razziale verso i popoli circostanti. I primi razzisti della storia sono gli Ebrei di Babilonia da Nèmia in poi. La prima Stangata della storia fu ovviamente la nascita dell’ebraismo. Poiché avrei tollerato, credo, l’ebraismo aperto agli stranieri e pacifista di Geremia, non mi resta che identificare la prima Stangata della storia con quella che realmente fu, dei razzisti aronniti. 

Infine mi turbava un’incongruenza. Come aveva fatto il violento indoario (i veri cattivi della storia, da sempre, siamo purtroppo noi indeuropei, da Yahweh alla Bomba atomica!) Yahweh/Dyaus/Giovè, il “Cielo”, a finire i suoi giorni in Madian, in Arabia, come Genio della Lampada semitico che a chi gli domanda: “Chi sei?”, risponde: “Yah weh” (“Sono Io”), e l’invita a togliersi i sandali come prescritto fino ad oggi nelle moschee? La verità è che la tradizione biblica deve essere stata elaborata dapprima da arabi (non importa se in arabo, aramaico o cos’altro). Non solo Yahweh proviene dall’Arabia (Madian è in Arabia), ma il primogenito di Abramo è Ismaele l’arabo (Isacco è una patacca come Giacobbe, che per un piatto di lenticchie ruba la primogenitura a Edom/Esaù, pure arabo, come tutti gli Idumei o Edomiti) e il quartogenito, Madian, è pure arabo. Gli arabi veneravano, ovunque li troviamo, la luna, in quanto viaggiavano di notte coi loro greggi per sfuggire alla calura del deserto e la luna era il loro calendario. In Edom/Seir, che potrebbe essere l’Oreb/Sinai del Yahweh di Mosè, fin dai tempi più antichi storicamente documentati di Yahw dei pastori Shasu (al tempo di Amenophis III), non si adora Yahweh, bensì un dio Luno, Yahw (cf. egizio gerogl. yahè = luna), e ciò fino ai tempi tardi dei Nabatei di Petra e oltre. Credo perciò che sia stato un discepolo di quel furbo matricolato di Geremia, non solo a spostare dal Mar Nero all’Egitto l’esodo degli Ebrei (Shardana e Danai popoli del mare), ma, già che c’era, a occultare il loro feroce dio della “guerra santa” Yahweh  dietro  al pacifico dio Luno  Yahw  degli arabi preislamici di Madian o di Edom, pastori e mercanti.  Il buono e saggio serpente Necustan dell’Eden  ricollega Geremia a re Giosia e a “Mosè” in Madian. Queste ed altre osservazioni mi fanno ritenere che la tradizione biblica dei patriarchi fu dapprima elaborata in ambiente arabo (nella regione di Gerusalemme non si parla di Ebrei, bensì di Arabi, almeno dalla fine dell’VIII secolo di Sennacherib al V di Erodoto), di cui abbiamo evidentemente perduto  la tradizione scritta, fino a che qualcuno non la riporti miracolosamente alla luce in seguito ad uno scavo archeologico o ad un fortunato ripescaggio da un archivio religioso. Non ho ripetuto qui approfonditamente cose che ho scritto altrove. Se un giorno qualcuno, università, editore o altro, mi chiederà un lavoro completo sul Giudaismo o sul Cristianesimo, ne approfitterò per rivedere tutto e aggiornarlo al meglio. Ma sono parole sprecate, perché a nessuno interessa la verità, ai più la menzogna.

 

 

Scrivo questo articolo a più di un anno di distanza da quando l’ho concepito. La causa è sempre la stessa, e cioè la defaillance del precedente computer. In questo frattempo ho continuato le mie letture e ricerche in differenti direzioni, come apparirà dalle mie prossime pubblicazioni. Ho continuato gli studi storici dall’antichità ai tempi moderni. Oggi mi propongo come storico a tutto campo. Da qualche tempo, soprattutto dopo la morte del mio adorato cane Trottolino, morto per causa altrui, mi interrogavo sulla possibilità di costruire una macchina per andare indietro nel tempo. Avendo trovato alcuni libri di fisica, in particolare di Stephen Hawking e Leonard Susskind,  dopo circa sei mesi da farmi fumare il cervello credo di aver trovato la via per il passato nei primi mesi  del 2012. Più in generale la via di cui parlo potrebbe forse essere la stessa che ci consentirebbe di colonizzare la Galassia con spostamenti spazio-temporali ultra-rapidi che nulla hanno a che vedere coi viaggi con navicelle spaziali, ovviamente troppo lenti. Insomma, quello che sono riuscito a pensare  è così simile a “Stargate” che mi chiedo se gli Americani non stiano già viaggiando nello spazio-tempo a nostra insaputa. Ho distrutto tre religioni (l’islam è compreso) ma in cambio posso assicurare che la Fisica e la Scienza in generale ci daranno la vita eterna e la “resurrezione” dai morti (attraverso la macchina del tempo), e, ai malvagi di tutto il mondo, perfino l’estinzione all’Inferno, attraverso uno dei tanti Buchi Neri a scelta!          

                     

Come si andava delineando in precedenti miei lavori, la nostra civiltà ariana mitannica (Mitanni è la culla della civiltà occidentale – di cui fanno parte anche gli antenati dei Giudei – soprattutto della civiltà romana) ha inizio con Minosse (di cui ci parla in primis il greco-romano Omero) che è anche il Giuda e  l’Abramo di cui ci parla la tradizione giudea. Qualsiasi notizia anteriore che il biblista ha cercato di ricostruire o meglio inventare di sana pianta,  viene smantellata dalla tradizione greca in cui non v’è parallelo credibile. E’ evidentemente impossibile che Abramo origini da Ur, in Babilonia (Abramo, di cui possediamo la mummia,  è originario dell’Alta Siria, è un armeno, un caucasico  di razza bianca);  è  impossibile che il Diluvio di Noè, riguardante certamente l’esondazione del Mar Nero,  si collochi nel 5600 a. C. Per quanto a questa data sia avvenuta una catastrofe degna del nome di Diluvio di Noè (l’autore del più tardo dei  codici, quello sacerdotale P, ci sorprende con il suo evoluzionismo darwiniano e anche col far derivare dall’Ararat del post-diluvio gli Indoeuropei, i Semiti e i Camiti, insomma, i Nostratici), il Diluvio sperimentato dai popoli del Mar Nero e che scatenò la tradizione immediata del Diluvio di Noè (con le barchette Shardana/Sarde di bronzo ad arca di Noè) fu quello della fase di declino della civiltà mitannica e di tutte le grandi civiltà dell’antichità (Egizia, Ittita, ecc.) quando fra XIII e XII secolo si affacciarono all’orizzonte i terribili popoli del mare Shardana e Danai che andranno a popolare Israele (lo stato del nord) e infine, attraverso la via di Roma e dei Tirreni (costruttori di torri come i nuraghi), la Sardegna, dove si stabilirono dandole il nome. E’ solo a questo punto che il Diluvio  entra nella storia ebraica (archette di Noè sarde), ma viene riposizionato dal biblista “aronnita” (codice P) in un’età ancestrale (alla quale non appartiene!) quale sarebbe appunto quella del Diluvio correttamente teorizzato da Ryan e Pitman. Dunque Abramo/Minosse  (1400 a.C.) è più antico del “Diluvio di Noè”. Vi sono dei passi biblici (Gen 6, 4: C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo – quando i figli degli dèi si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi” come Achille, Enea, ecc.)    e omerici da me più volte citati, che mettono i giganti/semidèi, gli eroi della guerra di Troia, figli degli dèi/dèe (Elohim in questo passo  vuol dire esattamente dèi) e  degli uomini/donne mortali, in relazione col Diluvio di Noè. Pertanto prima abbiamo il Diluvio (del Mar Nero), poi l’esodo dei popoli del mare Shardana e Danai, questi veri e propri figli del Male,  che si scannano davanti a Troia. Questi eroi, come Achille o Enea, sono figli di un uomo  e una dea, oppure di un dio (Zeus, Posidone) e di una comune mortale, sono semidèi. Achille omerico è realmente un Gigante, di nome e di fatto. Durante il medio giudaismo da questa tradizione da collocare intorno al 1200 a. C.  si elaborò tutta una falsa dottrina (Libro dei Vigilanti e simili)  degli angeli  caduti (gli Elohim) che  contro il volere di dio si erano uniti alle donne terrestri  generando questi spiriti malefici. Se dottrine fantasiose come questa  non si interpretano nel tempo della loro genesi folle (lo stesso periodo del falso profeta Egiziano/Gesù), determinano poi colossali errori interpretativi del tipo “extraterrestri”, ciò che ovviamente non è il caso.  Ian Wilson (I pilastri di Atlantide, Fabbri Editori, 2005)  ci dice che il Noè dei primi abitanti urriti giunti nella regione armena all’inizio del II millennio si chiama Nahmizuli, e Nah è ovviamente lo stesso che Noè. Gli Urriti veneravano il Monte Ararat quale centro sacro del loro regno (p. 41). Nel mio lavoro sulla vera Atlantide (la civiltà nostratica che ruota intorno al Mar Nero) sostengo che lo Stretto dei Dardanelli erano le colonne d’Eracle anche dell’originaria fonte egizia (se analizziamo bene, il Timeo dice che gli Atlantidi governarono “le regioni della Libia che sono al di qua dello stretto sino all’Egitto, e l’Europa sino alla Tirrenia.”, le “ regioni al di qua, fino all’Egitto e alla Tirrenia. “ Ora, dallo Stretto dei Dardanelli in qua, c’è appunto prima l’Egitto e poi la Tirrenia/Italia) da cui Platone trasse ispirazione per la sua Atlantide, opera geopolitica, collocata dove sono le attuali Americhe. Un commento  di Servio all’Eneide colloca le colonne d’Ercole anche davanti al Mar Nero, allo Stretto dei Dardanelli, oltre che dove sono usualmente collocate (XI 262). Ho registrato un passo di Erodoto in sintonia con questa informazione (I, 202). Come volevasi dimostrare! E’ la stessa Atlantide di Platone (non poteva Platone solo sulla base della sua fantasia immaginare le Americhe dove esattamente sono) a dimostrare che agli Antichi era sufficientemente nota l’esistenza del continente americano. Platone afferma, certamente riferendosi al Mar dei Sargassi (cioè Mare di Alghe marine, che può dare l’idea del residuo di un continente affondato vagamente trapezoidale estendentesi dalle Bermude alle Azzorre e alle isole del capo Verde), che “ Anche per questa ragione il mare che ivi si trova non è navigabile, né da nessuno esplorato, giacché vi si è formata a poco a poco una fanghiglia, che proviene da quell’isola sommersa. “ Dunque l’idea dell’Atlantide sommersa nell’Atlantico nasce dal Mar dei Sargassi che suggerisce lo sprofondamento di cui permangono le tracce di un grande continente. Colombo  scrive: “ pensavamo, a causa dello spessore dell’alga, di essere su un bassofondo e che le navi avrebbero toccato per mancanza di acqua “ (Jean-Baptiste Charcot, Cristoforo Colombo marinaio, Giunti Martello, 1982, p. 91). Anche l’Eden con Adamo ed Eva e da cui sfociano il Tigri e l’Eufrate, è mito  armeno, mitannico, ma ovviamente nessuno ci poteva narrare di questo paradiso, di questa Colchide, in modo storico. Era semplicemente  il ricordo della patria ancestrale da cui questi popoli preebraici,  pregreci, preitalici, erano stati cacciati intorno al 1200 a. C. da un’alluvione catastrofica che li avrebbe resi popoli migratori in cerca di nuove sedi in cui vivere in pace.

Ma ancora gli Hyksos, arrivati in Egitto con il loro re Yahqob (Giacobbe) intorno al 1650 a. C. (di cui abbiamo vari scarabei che, come noi, a suo tempo hanno avuto sotto gli occhi i giudei  rifugiatisi in Egitto dietro a Geremia siloita/israelita/musita dopo l’assassinio di Godolia, 586) sarebbero più antichi di Minosse/Abramo. Sono certamente più antichi, ma gli Israeliti discendevano davvero dagli Hyksos? Non credo affatto.   Stando a  Genesi,  Giuseppe era al servizio di un faraone hyksos. Avevo identificato questo faraone con un tale Yahqob che visse intorno al 1650 a. C. (ho tratto la notizia dalla Storia dell’antico Egitto di Nicolas Grimal, Editori Laterza, tavola cronologica p. 244). Dunque Giacobbe sarebbe venuto in Egitto, nel delta orientale, con i suoi figli capostipiti delle tribù di Israele, da cui il suo nome biblico Giacobbe/Israele, e qui gli Ebrei si sarebbero moltiplicati fino all’esodo avvenuto al tempo di Ramses II che li avrebbe resi schiavi e costretti a costruire Per-Atum (città granaio) e Per-Ramses, la sua capitale.  Approfondendo la questione, mi sono imbattuto nella stele dell’anno 400. Questa stele commemorava la fondazione da parte di Ramses II della sua capitale Pi-Ramses 400 anni dopo la fondazione dell’antica Awaris, ex capitale degli Hyksos, sullo stesso sito nel Delta. La permanenza degli Ebrei in Egitto fu appunto di 400 anni (Gen 15, 13). La fondazione della città di Awaris era miticamente  attribuita a Seth cui Ramses II sacrifica nei rilievi sul timpano della stele. La venerazione di Ramses per questo sito e per il dio Seth si spiega col fatto che la sua famiglia era originaria di questa regione e aveva fornito per molti anni i grandi sacerdoti di Seth. Inoltre Seth era il dio della guerra e curava gli interessi dell’Egitto nei confronti dei paesi stranieri.  Ramses discendeva da una famiglia di militari e conduceva una politica militarista contro Siria e  Hatti.

Dunque è evidente che gli Ebrei si trovarono davvero in Egitto e videro coi loro occhi questa stele dell’anno 400 ed altre consimili (ma vedremo che essi furono in Egitto in età esilica, dopo la caduta di Gerusalemme ad opera di Nabucodonosor, 587, e ancora dopo, dopo l’assassinio di Godolia, governatore ebreo in nome dei persiani), e fecero due più due: Giacobbe, capostipite degli Israeliti (da qui il nome datogli di Israele) era giunto in Egitto come capo degli Hyksos ed aveva fondato Awaris. Il suo popolo nel frattempo era cresciuto tanto da mettere in pericolo gli Egiziani e così il faraone Ramses II, 400 anni dopo il loro arrivo (l’arrivo degli Hyksos/Israeliti) aveva cominciato a sterminarli al momento della nascita e a schiavizzarli, costringendoli a costruire le sue città granaio nella stessa terra che era stata degli Hyksos. Questa e solo questa è la “storia” dell’Esodo dall’Egitto inventata da un discepolo di  Geremia, reduce dall’Egitto,  sulla base del suo stesso ritorno a Gerusalemme col sommo sacerdote Giosuè (che richiama il nome del Giosuè succeduto a Mosè e che non riuscì a conquistare un bel niente perché trovò la dura opposizione egizia, mitannica e, soprattutto, romana, celata dietro ai Filistei e ai Beniaminiti di Saul generale romano). In questa “ricostruzione dei fatti storici” il discepolo di Geremia  fa finta di ignorare  che gli Hyksos, che oltretutto erano stati gli oppressori, e non gli oppressi, furono cacciati dall’Egitto intorno al 1525 a. C. dal faraone Ahmose fondatore della XVIII dinastia. Ma verisimilmente questo (Ah)Mose “(la Luna) è sorta”) suggerisce il nome della guida degli Israeliti fuori dall’Egitto. Ma l’esodo di Mosè dall’Egitto e nell’età di Ramses II e dintorni non avvenne mai. Il vero esodo al tempo di Ramses II e dintorni  fu quello degli Shardana e Danai dal Mar Nero. Mentono spudoratamente sull’origine degli Ebrei dagli Hyksos adoratori di Seth e non di Yahweh. Mentono spudoratamente in quanto Abramo e Giuseppe operano, come ho dimostrato, nel XIV secolo e sono di origine ariana, e dunque nulla possono avere a che fare con un faraone hyksos di nome Yahqob vissuto intorno al 1650 a. C., nel XVII secolo! Mentono spudoratamente  attribuendo a Ramses II il ruolo di oppressore degli adoratori di Seth. Come avrebbe potuto Ramses II, che fra tutti gli dèi prediligeva proprio Seth (suo padre era il faraone Sethi I), opprimere i suoi correligionari, perfino compatrioti (cioè originari del Delta orientale), fino a determinarne l’esodo più o meno nel 1250 a. C.?

 

Ho già messo in evidenza in lavori precedenti che i Siloiti, i sacerdoti e sciamani Shardana e Danai invasati predicatori della guerra santa e dell’olocausto (il rogo di Troia è l’esempio più celebre del modo di agire di questi barbari, sia pure di fantasia, perché Omero ha spostato a Troia sui Dardanelli l’epopea dei popoli del mare in Egitto e Siria; egli intendeva celebrare i popoli latini di Enea e il centenario della  monarchia fondata da Romolo/Osto Ostilio di cui il re Tullo Ostilio era discendente) e il popolo in armi  che li seguiva erano i veri futuri Israeliti (penetrati dalla piana di Israel). I siloiti della scuola di Geremia sostengono l’immigrazione in Israele da parte degli Ebrei guidati da Mosè (sulla falsariga del ritorno a Gerusalemme dopo il 525 degli esiliati in Egitto) e poi da Giosuè, dai Giudici fino a Eli e Samuele.  Secondo la mia ricostruzione del tutto originale, furono i siloiti (discendenti degli Shardana e Danai di Silo) di Geremia a rientrare per primi e ricostruire il tempio. Sulla base del suo esodo/rientro in Egitto dietro al sommo sacerdote Giosuè (che richiama il successore di Mosè che non conquistò mai la Palestina) il seguace di Geremia immaginò di trasferire l’esodo degli Shardana Danai (dal Mar Nero) in Egitto mantenendone l’età di Ramses II. Poteva così minacciare gli Ebrei che tutte le volte che avessero mancato al patto di fedeltà con Yahweh ricevuto da “Mosè” sarebbero stati puniti e mandati come schiavi in Egitto. E questo esilio, seppure in Egitto avevano ricevuto soccorso, scottava comunque agli Ebrei/Sardi dura cervice.

Una volta tagliato il cordone ombelicale fra Mar Nero e Israele e riannodato fra Egitto e Israele, occorreva appunto identificare il momento in cui questi non più Shardana e Danai, bensì antenati semiti degli Ebrei erano entrati in Egitto, e non poteva trattarsi, in base alla documentazione disponibile, che degli Hyksos di un documentato Yahqob legato alla fondazione di Awaris e ad una stele dei 400 anni che discendeva fino a Ramses II. Ma essendo ciò un falso non possiamo dargli spazio nella nostra ricostruzione storica. Voglio che sia chiaro questo punto. Se davvero gli Israeliti, e solo gli Israeliti, derivavano dagli Hyksos dovevano ammettere di aver fatto il loro ingresso in Palestina intorno al 1525 a. C. e dunque avrebbero dovuto identificare il loro Mosè in un personaggio di quest’epoca. Inoltre avrebbero dovuto ammettere diessere adoratori di Seth e dare giustificazione del perché sarebbero passati ad adorare Yahweh.   Ma non è questo il caso né può esserlo in quanto essi sostengono che il loro Mosè data al tempo di Ramses II o comunque in questi dintorni (e 1250 a. C. non si può confondere con 1525 a. C.). L’inserimento di Giacobbe (1650 a. C.) fra Abramo (1400 ca.) e Giuseppe (1330 ca.) dimostra palesemente che Giacobbe è fittizio. Se Giacobbe fosse davvero il capostipite degli Israeliti essi avrebbero una storia continua da Giacobbe in poi da documentare, cosa che invece non è.    Se gli Shardana Danai intorno al tempo di Ramses II escono dal Mar Nero e toccano il delta per essere ricacciati (Ramses III) in Siria-Palestina, questo basta e avanza per avere tutta la storia degli Israeliti. Non serve immaginare l’esodo dall’Egitto e dunque non occorre ricorrere agli Hyksos adoratori di Seth per giustificare il loro ingresso in Egitto. L’ipotesi Hyksos è falsa e richiesta dall’altrettanto falso esodo dall’Egitto. Se gli Ebrei escono dall’Egitto è ovvio che devono essere entrati in Egitto. Quando? L’età di Ramses II è anche quella che ci offre il possibile alibi, la stele dei 400 anni!

 

Il seguace di Geremia architettò di inserire Giacobbe fra Abramo e Giuseppe, ovviamente determinando uno spostamento indietro di tutta la storia, alterandola profondamente. Ovvio che poi uno sciocco  che crede nella verità biblica cerchi di identificare Abramo con un qualche asiatico che al tempo di una carestia entra in Egitto intorno al 2000 a. C. e lo stesso Giuseppe con il visir di un faraone hyksos. Tra Abramo e Giuseppe non ci può  essere Giacobbe, Yahqob hyksos del 1650. In realtà Giacobbe semitico non ha niente da dire fra due ariani. La Bibbia è piena di falsi assurdi in  base ai quali si rendono contemporanei personaggi che vissero in epoche assai lontane fra loro.  A riprova che Giacobbe non può stare fra Abramo e Giuseppe basta considerare che, se Giuseppe fosse stato figlio di Giacobbe, Giuseppe stesso sarebbe stato capostipite di una tribù di Israele. Invece no. Efraim e Manasse, (presunti) figli di Giuseppe, vengono adottati da Giacobbe e diventano i capostipiti di due tribù ebree (Gen 48). Non sarebbe servita l’adozione se Efraim e Manasse fossero stati gli autentici figli dell’autentico figlio Giuseppe.  I redattori biblici hanno creduto di giocarci sostituendo una filiazione autentica con una patacca di adozione politica. In realtà gli Ebrei si formano in modo diverso a Giuda e in Israele. A Giuda la loro religione è atoniana e la lingua originaria dell’élite è ariana, mitannica, egizia, romana; in Israele la loro religione è yahweista (gioveista) e la lingua da ricercare fra quelle intorno al Mar Nero, probabilmente non indeuropee e tantomeno semitiche, su un fondo semitico e cananeo. Giuda e Israele hanno una tradizione distinta (solo a partire da David i due regni furono unificati e per poco tempo; di Salomone non c’è documentazione e comunque, stando alla Bibbia, subito dopo la sua morte, con Roboamo e Geroboamo i regni si separarono nuovamente), assai più antica quella di Giuda, che sono state confuse in età esilica a causa del prevalere della tradizione musita siloita (israelita).

 

Io sono certamente un predestinato, perché il destino ha voluto che scoprissi le origini della civiltà occidentale partendo all’età di 15-16 anni dall’Apoteosi di Radamanto  (sul Disco di Festo) e poi sondando il testo biblico e la tradizione greca (che per la materia che ci occupa trae dalla tradizione romana tirrenica di cui Omero è il primo autore di cui abbiamo un nome; negli stessi poemi omerici, in particolare l’Iliade, ci sono chiare tracce di poemi anteriori risalenti al regno di  Romolo o che comunque ne raccontano le gesta, il cui autore potrebbe anche essere anteriore a Omero)  fino a riconoscere che Roma è fondazione egizio-mitannica (già verosimilmente da Amenophis III, che diventa l’Eracle così strettamente intrecciato con l’iconografia della Città Eterna) e Omero un mio conterraneo (nato nell’ultimo quarto dell’VIII secolo nei Castelli Romani), figlio verisimilmente di madre romana e padre greco. Mi chiedo come possa non venire alla luce una qualche lapide che commemori un così eccelso artista che operò alla corte dei primi re di Roma, quando la scrittura è attestata e Roma è già una grandissima città.  Sono un predestinato perché per raggiungere queste scoperte occorreva uno che oltre che dotto e intelligente non fosse assolutamente un credulone, uno che considera la tradizione come intoccabile perché ad essa hanno creduto generazioni e generazioni di imbecilli ignoranti e creduloni, ma anche pigri e scansafatiche.  Finora il destino mi ha consentito di proseguire il mio lavoro pur attraverso difficoltà, e qui avverto maggiormente la mia predestinazione.

 

Per la comprensione della più antica storia biblica è necessario partire dalla mia decifrazione e interpretazione di quello straordinario documento cui ho dato il nome di Apoteosi di Radamanto. A causa della defaillance del mio computer non ho potuto pubblicare il testo corretto con l’aiuto della professoressa filologa e grecista Dalila Curiazi, cosa che farò al più presto. L’Apoteosi di Radamanto data alla morte e sepoltura di Amenophis III/Radamanto greco (1350 ca.) faraone e re di Festo a Creta (e perciò il documento è in greco arcaico). Dunque a questa data l’Egitto dominava su Creta. E infatti nell’Apoteosi c’è l’accenno a rituali funerari in onore del premorto visir del faraone, l’ariano comandante dei carristi Minehud/Minosse greco (noto anche, su un sigillo di Amenophis III, che ho pubblicato, come Yaehud/Giuda; gli egittologi lo chiamano Yuya), vissuto intorno al 1400 a. C. Di costui abbiamo la mummia composta con le mani unite sotto il mento, secondo un rituale assolutamente non egizio e che, unitamente al teonimo Ya ci porta al filone religioso atonista dello stato  di Giuda. Infatti, secondo Philipp Vandenberg, Aton si leggeva Yati, il che vuol dire che Abramo era atoniano e non yahweista, in quanto, oltretutto, nella sua tomba e in quella di sua moglie Tuya/Agar non è stato rinvenuto alcunché in iscrizioni o manufatti che possa anche solo minimamente alludere a Yahweh e al yahweismo. Nella tomba amarniana di Ey/Giuseppe, figlio di Abramo e faraone, è manifesto il culto di Aton attraverso il grande inno ad Aton che vi si legge. Amenophis III aveva sposato (grande sposa reale) la principessa Teye, figlia di Minosse mitannico, il che significa che in questo periodo storico l’alleanza egizio-mitannica era stretta con addirittura la prevalente influenza del visir sul faraone. Non a caso nella tradizione greca Minosse conta assai più di Radamanto. Faraone e suocero-vsir sono sepolti in tombe vicine nella Valle delle Scimme a Tebe Ovest, inseparabili nella vita come nella morte. E’ un caso unico che un semplice visir sia stato sepolto insieme a tanti faraoni, e ciò dimostra che in pratica Minosse/Giuda era il faraone di fatto insieme a quello nominale Amenophis III. Aveva il titolo di “padre del faraone” (anche se non era realmente suo padre, bensì suocero). E’ sotto influenza mitannica che in Egitto viene introdotto il culto di Aton (già sotto Tuthmosis IV sposo della mitannica Mutemuya/Europa, certamente madre di Radamanto e  imparentata con Minosse/Giuda) che diventa l’unico dio sotto il faraone Amenophis IV/Ekhnaton. L’egiziano Ahmed Osman ha identificato Yuya con Giuseppe, ma l’identificazione è errata, sia pure di poco. Approfondendo la questione e partendo dal fatto che sia Yuya che Ay (io preferisco Ey o Eye) suo figlio portano gli stessi titoli, al punto che c’è stato chi ha pensato (erroneamente) alla stessa persona, ho finalmente compreso che Ey era Giuseppe, proprio perché aveva sposato Ankhesenpaaten o anche Ankhesenaten (la biblica Asenat è una forma abbreviata del nome egizio originale) vedova di Tutankhamon, divenendo suo successore. Giuseppe dunque non fu solo l’onnipotente visir di un faraone, ma faraone egli stesso. E automaticamente Giuda/Minosse diventa Abramo (perché Yuya è padre di Ey). Abramo è probabilmente il suo soprannome in quanto  capo di una moltitudine di militari (in Gen 14, 14 egli si presenta già come capo di un esercito personale di 318 uomini “esperti nelle armi”). In base alla tradizione giudea potremmo ipotizzare che Giuseppe/Ey fosse fratello di Yaehud/Giuda, ma anche la tradizione greca si è dimostrata infondata con Minosse e Radamanto che dovevano essere fratelli e invece  erano  uno il visir dell’altro. Non vedo perché dovremmo credere agli Ebrei più di quanto non possiamo credere ai Greci. Dobbiamo credere invece ai dati epigrafici e archeologici egizi che sono sotto la nostra diretta osservazione.  Allo stato dei fatti i dati disponibili vanno letti come propongo e cioè Giuda/Minosse (detto Abramo) padre di Giuseppe/Ey.

 

Dunque possediamo nella stessa mummia  una reliquia di tre religioni (giudea, cristiana e islamica) e anche della civiltà occidentale, l’unica a poterne rivendicare la paternità assoluta, in quanto il mitannico Minehud era prima di tutto Minosse. Minosse/Abramo sposò una principessa egiziana (nera) dell’harem di Tuthmosis IV, Tuya (di cui abbiamo la mummia e vasta iconografia), corrispondente ovviamente all’Agar biblica. E’ evidente che a ciò fu costretto dal faraone Tuthmosis IV che voleva legare più strettamente a se il comandante dei carristi e visir. Anche la tradizione islamica concorda con quella giudaica, e ciò si comprende col fatto che sostanzialmente riprende da questa. Sbagliano dunque entrambe perché  è Ismaele (l’Arabo) il vero discendente di Abramo, figlio della sua moglie egiziana. Il caucasico Isacco, come ho dimostrato da tempo e continuo a dimostrare in questo lavoro, esce di scena. L’esotica Sara caucasica dalla bianca carnagione entrò realmente nell’harem di Tuthmosis IV, come del resto non riesce a fare a meno di alludere il pettegolo redattore  biblico. E’ evidente che Ey/Giuseppe è mezzo caucasico e mezzo egizio, ma è figlio indubitabilmente di un’egizia nera di pelle. Ora, immaginiamo che Sara quando entrò nell’harem di Tuthmosis IV fosse incinta di Abramo. Che fine avrebbe fatto Isacco?  Certamente gli egizi non lo avrebbero scannato come un capro, ma altrettanto certamente avrebbero fatto in modo che mai e poi mai potesse aspirare al trono, dirottandolo dove non poteva nuocere.  Con la lettura del libro di Friedman ho una pezza di appoggio in più, in quanto c’è un effetto di “coalescenza semantica” (Friedman p. 203; Gn 22-23) di grande rilievo nell’accostamento che il redattore finale R ha fatto fra il sacrificio di Isacco (dunque Isacco probabilmente fu sacrificato; in linea coi sacrifici umani praticati in Tracia e Armenia, terra di origine del mitannico Yaehud/Giuda/Abramo/Minosse) raccontato in E (siloita/israelita) e la morte di Sara e acquisto della tomba a Macpela raccontato in P (Sara sarebbe improvvisamente morta di crepacuore appunto a causa del sacrificio realmente avvenuto di Isacco; nella tradizione greca Elle muore nell’Ellesponto cadendo dall’ariete fatato, ma comunque Frisso resta a vivere (?) nella Colchide, il Paradiso dei Mitanni). Nella più logica delle spiegazioni possibili Isacco non esiste. E’ stato innestato da una tarda ricostruzione ebrea su una poco più antica tradizione araba.  Comunque ha una posizione di figlio di serie b.

Ho dimostrato come meglio non si poteva che greci ed ebrei narravano la storia come due facce della stessa medaglia, la quale storia non era di nessuno dei due in origine, ma una storia mitannico-egizia, laddove gli ariani élite dei MItanni vantavano la paternità di questa storia. E come ho già scritto e pubblicato sul mio lavoro Atlantide, subito dopo i Mitanni siamo noi (i Romani/Tirreni di Roma, fondata intorno al tempo di Amenophis III), gli Italiani, ad avere il primato.     

C’erano però ancora dei punti non perfettamente chiariti della storia di Giuseppe messa a confronto con quella amarniana del visir e faraone Ey. E’ stato a questo punto che m’è capitata fra le mani un’importantissima opera storica (I Profeti e i Re) del musulmano Tabari (Abû Ğafar Mohammed-ben-Ğarir-ben-Yezid Tabari), nato nel Tabaristàn nell’839 d. C. e morto a Bagdad (dove trascorse gran parte della sua vita insegnando teologia e diritto) nel 925 d. C. Non molti anni prima della sua morte Tabari si accinse a scrivere in arabo una storia del mondo, dalla creazione fino ai suoi giorni. In quest’opera monumentale Tabari ripercorre secondo il punto di vista della cultura islamica la tradizione biblica, attingendo al contempo a fonti babilonesi, egizie, persiane.   Ne fu fatta un’edizione ridotta in persiano nel 967 d. C. L’edizione italiana dell’Editore Ugo Guanda, Parma 1993, è ancora più ridotta, come annuncia il sottotitolo: Una storia del mondo dalla creazione a Gesù.

L’importanza di documenti come questo (anche se non meno infarciti di favole della Bibbia stessa) sta nel fatto che fermano nel tempo la redazione dei documenti giudeo-cristiani che altrimenti sono stati più volte rielaborati fino alla versione canonica. E’ a tutti evidente il modo superficiale di esprimersi della Bibbia. In un tempo in cui tutti i popoli antichi scrivevano ponendo nomi di sovrani e date, la Bibbia non ci fornisce una sola data o un solo nome di sovrano per molto tempo. Faraone è l’unico termine generico quando, noi sappiamo (ma lo sapevano anche i redattori biblici), i nomi dei faraoni erano differenti e il loro uso corretto avrebbe già costituito una approssimativa cronologia. Pensate che, per quanto insignificante nella storia egizia, ricordano il nome Asenat, dal quale, sia pure con difficoltà, sono riuscito a sgamare il nome della vedova di Tutankhamon. Il nome di una donna di poco conto lo ricordano, quello di un faraone come Amenophis III o IV no. Ci girano intorno.  Ma come far passare l’imbroglio se non essendo ambigui e negando qualsiasi appiglio alla realtà? Di casi del genere è pieno l’Antico Testamento, e il Nuovo Testamento, nonostante sia di età romana imperiale, riesce ad essere ancora più ambiguo e reticente. Insomma, lo storico che affronta lo studio della Bibbia deve essere consapevole di studiare un insieme di documenti non solo difficili in sé, come qualsiasi altro documento antico, ma per di più manipolati da far apparire le cose come non sono. Vogliono ingannare il lettore.  Essere ben consci di ciò significa essere a metà dell’opera ermeneutica.

Dalla lettura del testo biblico concernente il personaggio Giuseppe risulta una possibile e probabile reticenza nel riferirsi all’immediato rapporto fra Giuseppe e il Faraone stesso, che viene sostituito da un grande funzionario comandante delle guardie di nome Potifar, la cui bellissima moglie (altro indizio) avrebbe cercato di sedurre Giuseppe. Creduto colpevole, Giuseppe viene messo in prigione (guarda caso il comandante delle guardie è lo stesso Potifar, che dà a Giuseppe l’amministrazione dei carcerati: Gen. 39,20ss-40,1-4) fino a che il Faraone viene a sapere della sua capacità profetica (sia Minosse/Giuda che Ey in Egitto avevano fra gli altri il titolo di profeta) e lo nomina visir. Giuseppe sposa poi la figlia (Asenat) di un altro Potifar, sacerdote di On/Eliopoli. Potifar è chiaramente lo stesso faraone (Ekhnaton), di cui Ey/Giuseppe cerca di sedurre la moglie bellissima (Nefertiti) sfruttando la sua posizione di visir. Poi, dopo la morte del faraone Tutankhamon, egli sposerà la figlia di Ekhnaton (a On/Eliopoli era in questa età un tempio di Aton, e l’ascetica figura di Ekhnaton, oltretutto Primo Profeta di Aton, corrisponde bene al Potifar sacerdote di On) Ankhesenpaaten, divenendo lui stesso faraone. Prima del nono anno di Ekhnaton Aton aveva anche il nome di Ra-Harakhty, Horus dell’Orizzonte (il disco solare al tramonto e all’alba). Antico centro del culto di Ra era Eliopoli (città del Sole). Le iscrizioni del regno di Ekhnaton definiscono Ra come la luce nascosta dell’Aton. Ekhnaton onorava il sacro toro Mnevis di Eliopoli, incarnazione di Ur-mer “vita di Ra”.  Subiva il fascino della pietra benben (il Punto della Prima Creazione), il più importante oggetto di culto della tradizione eliopolitana. Così l’Ekhnaton/Mosè di Manetone in Apione aveva eretto torreggianti  obelischi di granito a Eliopoli, Karnak e Tanis. Eliopoli era un centro chiave del culto atoniano. Occorre sottolineare che il culto che si diffonde apparentemente da Amarna a Gerusalemme roccaforte egizia (e non tolta da David ai Gebusei) è atoniano. Come ho detto, Minosse/Giuda/Abramo era visir del faraone e dunque rivestiva un ruolo ufficiale a causa del quale non si sarebbe mai permesso di fare riferimento esteriore a divinità estranee al pantheon egizio. Minosse è autorizzato in quanto fa riferimento al dio Min, e lo troviamo sul Disco di Festo. E’ evidente che se  troviamo  Yaehud/Giuda su uno scarabeo del matrimonio (di Amenophis III) dobbiamo intenderlo come un primo riferimento all’Aton/letto Yati, il cui culto inizia già da Amenophis III se non addirittura da Tuthmosis IV e ancora prima. E ancora, nella sua tomba Minosse/Abramo fa comporre il suo corpo mummificato in un atteggiamento che nulla ha a che vedere con la credenza egizia e ci ricorda atteggiamenti cristiani di preghiera e probabilmente anche giudaici, ma dobbiamo ricondurli al culto di Aton;  anche il grande inno ad Aton richiama il Salmo 104, ma ciò dimostra solo che la tradizione religiosa giudea deriva dal culto dell’Aton. La differenza fra Aton e Yahweh è fra un dio universale dell’amore e della pace e un dio tribale della guerra della pestilenza e della morte, che risulta perfino difficile ricondurre alle stesse origini del romano Giove.  Dunque avevano in qualche modo ragione  l’egittologo Arthur Weigall e Sigmund Freud, sulla base di Manetone, a sostenere che la religione ebraica deriva da quella di Aton. Per essere precisi, la religione giudea originaria derivava dal culto dell’Aton, mentre quella di Israele (lo stato del nord), poi prevalente grazie ai siloiti (nonostante la fine di Israele e delle sue dieci tribù dopo la conquista assira del 722) in Gerusalemme postesilica, derivava dal culto yahweista degli Shardana e Danai del Mar Nero. Fra Mitanni di Minosse/Abramo e Shardana e Danai c’è uno spiacevole elemento comune oltre all’origine dai dintorni del Mar Nero, e cioè la pratica dei sacrifici umani. Magari avrò modo di approfondire col tempo questo argomento, ma ora come ora, in base alle prove che ho raccolto, attribuisco agli Ebrei (così come ai Greci) i sacrifici umani dionisiaci, non ai Cananei. Gli Shardana almeno, praticavano la circoncisione. Sia dalla tradizione del sacrificio di Ifigenia tracia da parte degli Achei/Danai, sia dalla tradizione secondo cui Deucalione (figlio di Minosse e al cui tempo avvenne il Diluvio) aveva promesso che avrebbe sacrificato la prima persona incontrata (suo figlio) al rientro sano e salvo a Creta, tradizione corrispondente a quella del capo militare Iefte che aveva promesso in caso di vittoria sul nemico  il sacrificio a Yahweh della prima persona incontrata (sua figlia) al rientro in patria, oltretutto in quest’ultimo caso con un non so che  di accenni ai riti delle  menadi baccanti (e ancor più questo è lo scenario delle vicende di Melampo o Melampode, in cui ho visto Minosse e ora anche Abramo; suo fratello Biante, che avevo comparato a Giacobbe, esce alla grande di scena; si sarebbero trasformati in fratelli  i presunti capostipiti delle tribù di Israele e Giuda, laddove solo Giuda è il protagonista concreto e immediato; Israele/Biante/Giacobbe dipende dall’Esodo dall’Egitto intorno al tempo di Ramses II, cioè un falso, ed è dunque un falso),  mi risulta che furono gli Shardana e Danai ad introdurre in Canaan i sacrifici umani di cui poi vengono accusati i Fenici. Ciò che sconcerta è che vi sono indizi che questa pratica fosse comune anche a Minosse/Abramo sia per il caso di Isacco (che corrisponda o meno alla verità il fatto stesso di renderlo plausibile è un indizio non trascurabile di sacrificio umano), sia per il fatto che i sacrifici umani sono documentati nell’area mitannica e armena, come ci dice Sir James Frazer nel suo Golden Bough: “ I selvaggi di Aran [Harran, da cui proveniva Minosse/Abramo, MGC] offrivano vittime umane al Sole, alla Luna e ai pianeti. Vittime che venivano scelte in base alla loro presunta rassomiglianza con i corpi celesti ai quali venivano sacrificati; i sacerdoti, per esempio, abbigliati di rosso e spalmati di sangue, offrivano un uomo dai capelli rossi e dal colorito rubicondo al pianeta rosso, ovverosia Marte, in un tempio dipinto di rosso e adornato con tendaggi dello stesso colore. “ Luciano nel Della dea Siria, racconta che non era insolito che a Ierapoli, città che appartiene alla cultura mitannica, i genitori sacrificassero i propri figli. Poi c’è anche il caso del sarcofago di Radamanto da Haghia Triada. 

 

Manetone, scriba e sacerdote egizio del tempio di Eliopoli tra il 280 e il 250 a. C. scrisse non meno di 80 titoli fra cui una Storia d’Egitto commissionatagli da Tolomeo II Filadelfo, fondatore della biblioteca di Alessandria. Egli ci suggerisce il culto di Aton a Gerusalemme di Giuda fin dal XIV secolo, l’età amarniana. Evidentemente Manetone era a conoscenza del Mosè (inventato dagli Ebrei  qualche  secolo prima), ma, come tutte le persone oneste di questo mondo, credette probabilmente che gli Ebrei raccontassero onestamente la verità, e così si spremette le meningi al fine di ricercarlo nella storia d’Egitto, ma non ve lo trovò. Non trovò l’esodo di ex hyksos che sotto Ramses II o giù di lì emigravano  con al loro seguito gli armenti per recarsi in Israele  (dopo aver appreso del dio Yahweh in Arabia da un sacerdote  Qenita/Madianita di nome Ietro o Reuel o Obab). Erano gli Shardana che, avendo tentato di entrare  nel delta coi loro carri trainati da buoi gibbosi, ne venivano cacciati da Ramses III e prendevano la via di Israele.  [Per inciso mi viene di suggerire qui che la Troia della storia reale può essere stata una Troia nel delta. Si ricordi che secondo Erodoto Menelao viaggiò molto in Siria ed Egitto alla ricerca di sua moglie (portandosi a casa tanti tesori donatigli dalle autorità locali)  e infatti la ritrovò in Egitto e se la riportò a casa. Qui infatti un  nomarca di nome Toone o Toni aveva intercettato Paride insieme ad Elena e aveva trattenuto la donna per restituirla al marito. Tutta la storiella mi induce a credere al puro e semplice assalto al delta e a Troia nel delta, dei popoli del mare, cui si riferisce sotto falso nome (di un fratellastro di Idomeneo) anche Odisseo.  Successivamente Omero spostò tutta la vicenda sui Dardanelli dove pure c’era stato qualche movimento analogo e adottò i nomi che aleggiavano localmente, come quello di Priamo e Alessandro, Atreo ecc.  Probabilmente fu questa una guerra di Troia artificiale, romanocentrica, ma che giunse a toccare le massime vette dell’epica e della poesia. Se il vero movimento dei popoli del mare (che poi fu trasformato nella spedizione degli Achei guidata da Agamennone) fu ricordato nella letteratura (invasione del delta sotto Ramses III) lo dobbiamo solo agli egizi e ciò prova che la vera originale “guerra di Troia” va collocata nel delta egizio. Sarebbe dunque inutile ricercare attraverso i poemi omerici e le iscrizioni di qualsiasi lingua riguardanti la regione di Ilio/Troia sui Dardanelli una qualche storicità relativa ad una “guerra di Troia” portata da una flotta achea guidata da Agamennone omerico.]

Per colmo di disperazione Manetone si rifece alla spedizione di Sethi I (padre di Ramses II) che noi oggi possiamo riscontrare fu fatta contro gli Shasu e gli Hapiru/Abiru, spedizione che continuò fino ai confini della Siria. Noi sappiamo bene però che costoro non si possono in alcun modo identificare con i portatori del culto di Yahweh né con l’ethnos ebraico. Il nome Ebrei del resto non è proprio dei soli ebrei ma di tutti gli abitanti della Transeufratene V satrapia persiana; indica appunto solo tutti coloro che vivono al di là (visti dalla Persia) dell’Eufrate, ebraico Eber, tedesco Über.  Probabilmente Manetone li vide per quello che furono sempre in genere gli Ebrei, e cioè come elemento turbolento e destabilizzatore, e così, catturato anche  dall’assonanza del nome Hapiru/Abiru con Eber, si indusse a identificare con essi gli immigrati in Israele inseguiti dal faraone.  Ma è altrove che Manetone ci fornisce un importante appoggio alla teoria dell’origine atoniana del culto a Gerusalemme di Giuda. Secondo Arthur Weigall il governo di tredici anni di Osarsiph-Mosè di Manetone coincide coi tredici anni dell’eresia  dell’Aton ad Amarna. Nella trattazione di Manetone gli esiliati sono lebbrosi e impuri sia per una qualche malattia che li ha colpiti (per quel che ne sappiamo il regno di Ekhnaton termina all’improvviso per una pestilenza che ha colpito anche la regina Teye    le scene di vomito sui rilievi parietali  della famiglia reale ad Amarna possono suggerire la peste – e ha fatto strage nel Vicino Oriente; pestilenza che è stata interpretata dal popolo egiziano come vendetta degli dèi abbandonati da Ekhnaton), sia dal punto di vista del loro culto monoteistico, eretico, reietto dagli Egizi.  E’ evidente che non occorre attendere Ramses II per vedere sconfitti gli atoniani. Eppure non si può parlare di esodo. L’eresia atoniana fu certo riassorbita. Possiamo affermare che Ekhnaton fu certamente iconoclasta e intransigente nell’affermare il suo monoteismo, ma l’Egitto era comunque un paese civile. Mica stiamo fra i talebani che ancora lapidano (a colpi di kalashnikov) le adultere  come ai tempi della Bibbia!  Fu Horemhab a chiudere definitivamente il capitolo della religione di Aton in Egitto. Ma non abbiamo alcuna notizia di cacciata o sterminio e esodo. Ben difficilmente  avrebbe avuto successo un esodo da Amarna, in mezzo al deserto del medio Egitto.

Ho identificato come atonismo la religione dello stato di Giuda anche nel momento stesso in cui ho focalizzato, con Friedman, che i due cherubini nel Santo dei Santi erano in realtà due sfingi e,  con de Rachewiltz, che le sfingi erano connesse col disco solare, fosse Atum o Aton poco importava. Le sfingi sono egizie, e le troviamo in Egitto soprattutto nel periodo in questione (Boris de Rachewiltz, I miti egizi, TEA, 2000, voce Sfinge). La sfinge ha carattere solare e rappresenta il sole all’alba (Khepri), allo zenit (Ra) e al tramonto (Atum). Atum è il dio supremo nella concezione teologica eliopolitana. La città di Pitom venne dedicata a questa divinità (voce Atum). L’Aton di Ekhnaton è la rappresentazione più fisica possibile del disco solare, senza nessuna metafisica o problema escatologico. E’ una sublimazione del materialismo (voce Aton).

 

Due tradizioni distinte sono dunque quella atoniana di Giuda (XIV sec.) e quella yahweista siloita (XIII-XII sec.) di Israele, mentre dall’ultimo quarto del VI secolo Geremia   impone la sua tradizione siloita musita che diventa la tradizione anche degli “aronniti” di Babilonia.  E questi ebrei “usciti dall’Egitto” con Giosuè sommo sacerdote portano con sé un dio arabo, un Yahweh pescato  in Madian, nella penisola Arabica, dove al tempo dell’ultima redazione biblica, nel VI-V-IV secolo, vivono   popolazioni arabe, sceicchi a dorso di cammello, mercanti ismaeliti, eunuchi persiani.

Quello che chiamiamo Israele (stato del nord) sarebbe forse meglio continuare a chiamarlo Canaan, in quanto non fu mai realmente  yahweizzato e dunque ebraicizzato (anche perché, grazie a Geroboamo, qui non si parla di Yahweh, bensì di Elohim e il culto è sincretistico). Il clero siloita (quello della città di Silo, portatore di Yahweh/Giovè indoario, della circoncisione praticata dagli Shardana, dei sacrifici umani degli Shardana e Danai) fu sbaragliato insieme agli invasori dagli egizi e dai popoli che servivano nella milizia straniera degli egizi, e cioè i Romani e perfino gli stessi Shardana  arruolati nella milizia egizia, nonché i capi villaggio cananei (la Bibbia chiama Giudici i briganti esaltati Shardana e Danai attribuendo loro ciò che invece era il titolo dei capi cananei) al cui comando servivano i carristi maryannu e cioè sempre gli stessi capi guerrieri mitanni che avevano creato lo stato di Giuda, intorno a Gerusalemme, roccaforte egizia (nel cui tempio egizio era venerato  Aton), con Abramo/Giuda/Minosse e con suo figlio il faraone Ey/Giuseppe. I sacerdoti siloiti erano rimasti allo sbando ed è difficile credere che potessero essere stati reclusi in Anatot, vicino Gerusalemme, per essere meglio controllati. Se questo era lo scopo, di tener loro la bocca chiusa, perché Chelkia e suo figlio Geremia avrebbero potuto sopravvivere, consultare la tradizione religiosa e incidere efficacemente sul culto di Giuda (loro che erano i nemici provenienti da un’Israele che era finito per sempre grazie agli Assiri nel 722)? Io penso all’iniziativa dei Babilonesi prima e dei Persiani poi. Costoro avevano bisogno di un sincretismo religioso che tenesse unito un vasto impero e soprattutto ad Occidente in vista di un’invasione ed estensione dell’impero verso l’Europa, e così riuscirono a ripescare dall’esilio e dalla clandestinità sia Chelkia che suo figlio Geremia, che, come sappiamo, era filo babilonese e legato al partito babilonese. E dopo di loro i Persiani si avvalsero dell’ausilio di Geremia. Ma alla fine prevalsero i giudei reduci da Babilonia Nèmia e Ezra, i veri cattivi, razzisti e segregazionisti. Se vogliamo cercare di collocare l’esodo di questi Shardana yahweisti dal Mar Nero forse dobbiamo partire da verso la fine del regno di Ekhnaton (faraone in disgrazia alla fine del suo regno a causa di fenomeni naturali che suggeriscono l’ira degli dèi egizi trascurati, in quanto lui venera il solo Aton; IIa eruzione del Thera con sommovimento dell’area ed esondazione del Mar Nero, da qui le barchette di Noè che gli Shardana  si portarono dietro fino in Sardegna, loro destinazione finale, cui diedero il nome) fino a Ramses III.  Il Deucalione greco del Diluvio  caucasico, scitico  e dunque mitannico deve corrispondere al Deucalione figlio di Minosse,  cioè Ey/Giuseppe faraone intorno al 1327. Manetone fornisce una tradizione alternativa a quella biblica circa l’esodo, che finisce con l’essere la diffusione del culto di Aton fino a Gerusalemme (dunque riguarda esclusivamente lo stato di Giuda) da Ekhnaton fino a Eye/Giuseppe, ultimo faraone a sostenere e nello stesso tempo il primo a ripudiare il culto di Aton. 

 

Quanto poco onesto fosse Giuseppe lo capiamo dal fatto che dopo la morte di Ekhnaton il culto atoniano entrò in crisi e proprio il visir Ey/Giuseppe e il generale Horemhab fecero retromarcia e si trasformarono  in convinti  seguaci  di Amon (Ey nella sua tomba amarniana è ancora convinto sostenitore dell’atonismo), cosicché  Tutankhaton, sotto la loro tutela, divenne Tutankhamon e sua moglie Ankhesenamen (da Ankhesenaten che era; se la Bibbia non avesse conservato il nome dell’eresia avrei avuto assai più difficoltà a riconoscerla; ma la Bibbia ha conservato il nome dell’eresia proprio perché è l’atonismo la religione a Giuda!).  

Ey, l’eminenza grigia di corte, il cui rango ad Amarna era superiore a quello di qualsiasi altro funzionario,  mirava a diventare faraone con tutti i mezzi leciti ed illeciti. Riesce a rimanere a galla come visir dopo la morte di Ekhnaton, e dopo la morte di Tutankhamon diventa faraone sposando Asenat, la figlia dell’eunuco. Anche Ey/Giuseppe porta il titolo onorifico di “padre del faraone” (Gen 45, 8). Fu Ankhesenaten a inviare messaggi agli Ittiti perché le dessero un marito di casa reale, in quanto si rifiutava di sposare uno schiavo, un servo. Anche le fonti non ebree sembrano disprezzare i mitanni, i prototipi del popolo ebreo a Giuda. Probabilmente fu lo stesso spregevole Ey/Giuseppe a far uccidere il principe Zannanza inviato in Egitto. In ogni caso riuscì ad impalmare Ankhesenpaaten e a diventare faraone. Secondo la Bibbia, Giuseppe avrebbe salvato l’Egitto dalla carestia di sette anni (di cui v’è ovviamente traccia nei documenti egizi, nella stele della fame, redatta dai sacerdoti del dio  Chnum in epoca tarda ma che pretende riallacciarsi ad avvenimenti del tempo del faraone Zoser, 2700 ca.; mi fanno sorridere gli  egittologi che credono  come vera la tradizione biblica arrivando a sottovalutano la capacità degli Egizi di tutto documentare; e allora leggi ad esempio che l’Esodo degli Ebrei era una cosa di grande importanza per gli Ebrei stessi ma trascurabile per gli Egizi che non ne lasciarono nota; e invece proprio la documentazione egizia ha fotografato in lungo e in largo le vicende degli Ebrei) e lo avrebbe reso un grande paese. La squallida realtà è che sotto il suo visirato, già dalla fine del regno di Amenophis III in poi, figuriamoci sotto il suo regno, l’Egitto cade nella prostrazione. Horemhab,  che gli succedette, dovette impiegare misure crudeli per punire i funzionari corrotti ed eliminare gli effetti dell’accentramento che avevano ridotto l’Egitto alla miseria: “Ho attraversato il Paese fino al meridione e ho fatto il calcolo dei tributi e degli alimenti… Ho cercato uomini, valutato funzionari di cui tutti garantissero che avevano un buon carattere, che avessero cognizioni… che dessero retta alle parole della casa reale e ubbidissero alle leggi… Ho dato loro norme e disposizioni… insegnandogli: non fate comunella con gli altri, non accettatene i regali, non è bene! Ma commette un delitto da punire con la morte chi tralascia di farsi pagare in argento, oro e rame… e impedisce che agli uomini delle corti di giustizia dell’Alto e del Basso Egitto affluiscano pagamenti di qualsivoglia specie; la stessa sorte toccherà a quei podestà o profeti che, posti nelle corti di giustizia per essere probi ed equi, vìolino invece le leggi, le quali Sua Maestà cerca di riorganizzare   in tutto il Paese per non consentire che altre ingiustizie vengano perpetrate e per riportare sulla via della giustizia tutti coloro che devono amministrarla.“   “ Le dure e particolareggiate indicazioni della grande (3 metri per 5) stele di Haremhab ci danno la misura di quanto fosse grave la situazione nella Terra del Nilo prima dei Ramessidi: lo Stato era sull’orlo della bancarotta, c’era un sistema fiscale a pezzi, una corruzione dilagante che coinvolgeva autorità e funzionari. Haremhab riuscì a riorganizzare la macchina statale soltanto facendo ricorso a pene disumane: esilio, taglio del naso, bastonatura a sangue. “ (Philipp Vandenberg, Ramses il Grande, Sugarco Edizioni, Milano, 1977, p. 27) E poi Horemhab finisce per essere preso per tiranno quando si assume le sue responsabilità di governo coprendo il vuoto di potere precedente. Ma la sua vendetta sarà la damnatio memoriae di tutti i faraoni precedenti, riallacciandosi direttamente a Amenophis III. Anche di questo corto circuito della storia dovremo tenere conto esaminando la tradizione di Manetone.  E’ Horemhab il faraone che chiude definitivamente con l’atonismo.

 

Il testo di Tabari è illuminante per gli epiteti con cui sono definiti questi personaggi, epiteti che ancor più mi fanno comprendere che ho visto giusto.  Innanzitutto i due Potifar biblici (così sono tradotti dall’Edizione delle Paoline, anche se i redattori ci tengono a distinguerli come due personaggi differenti) sono ricondotti ad unum dall’onesto Tabari. Dopo la sua ascesa a corte il faraone avrebbe dato a Giuseppe la « bella come nessun’altra in tutto l’Egitto » moglie dell’intanto morto Putifarre (I Profeti e i Re, p.117). Il testo biblico è più corretto laddove Giuseppe sposa Asenat e non Nefertiti, ma che dietro Potifar (in tutti e due i casi) si nasconda Ekhnaton è chiaro da ciò che dice di lui Tabari. Innanzitutto  Potifar (per Tabari c’è un solo Potifar), pur essendo anche da Tabari distinto dal Faraone, è detto « il grande d’Egitto ». E’ evidente che nessuno si sarebbe sentito autorizzato a sparlare pubblicamente, per iscritto, della vita privata del potente Faraone, e allora le sue vicende si attribuiscono ad un pezzo grosso della corte.  Questo Potifar, come si sparlava certamente dietro le quinte di Ekhnaton, “ non poteva avere rapporti con le donne “ (I Profeti e i Re, p. 103),  “ non era un uomo e non poteva stendere la mano su di me [Nefertiti MGC]” (I Profeti e i Re, p. 118).  Gli stessi primi egittologi che ne osservarono le riproduzioni artistiche furono dapprima in dubbio se si trattasse di una donna o di un eunuco e  Manetone lo mette in lista considerandolo una donna. Forse nessuna delle sei figlie di Nefertiti fu sua e non ebbe alcun maschio. C’è chi sostiene abbia avuto rapporti incestuosi con sua madre Teye (tanto da dar vita alla leggenda di Edipo). Dopo la rottura dei rapporti con Nefertiti, Ekhnaton Smenkhkare e Meritaton conducono un menage a trois con al centro Smankhkare.

In base ad alcuni documenti ritrovati, Nefertiti par aver condotto una  vita sessuale  privata in sintonia con la bellissima moglie di Potifar. Bella era bella, corteggiata sicuramente, certo chi riuscì a goderne i favori non andò a raccontarlo in giro appunto per non rischiare di perdere questo beneficio. Da una cronaca giudiziaria  possiamo intuire  quanti uomini cadessero ai suoi piedi tanto da  rendere Nefertiti superba della sua bellezza e arrogante: “ Un uomo di nome Umuhanko, cerimoniere, celebre per il suo sapere,  aveva invitato la Bella a una festa. Nefertiti è su un divano. Il cerimoniere si avvicina alla regina e, pazzo d’amore, le afferra le braccia: « Poi Umuhanko andò verso Nefertiti e volle esserle troppo vicino… » Ma la regina faceva la schizzinosa; evidentemente il sapiente non le piaceva: venne condannato, legato a un carro carico di pietre e spinto nel deserto a frustate. Resisté per dieci giorni, poi morì. “ (Philipp Vandenberg, Nefertiti, Sugarco Edizioni, p. 262). Naturalmente la disinvoltura sessuale di Nefertiti non può costituire un’eccezione alla norma, soprattutto per il suo tempo. E poi semmai la tresca Nefertiti-Ey/Giuseppe era comune interesse di entrambi: di Nefertiti, che così neutralizzava l’ostracismo di Ekhnaton e si preparava a succedergli alla sua morte, di Ey, che sposando Nefertiti era legittimato al trono. Tuttavia mi sento di scommettere che Nefertiti sia stata importunata da questo vecchio bavoso e intrigante e l’abbia respinto anche a costo di rinunciare al trono. Del resto è ciò che avvenne poi concretamente con la figlia di Nefertiti Asenat. Fu Ey ad importunarla e a costringerla al matrimonio (magari Nefertiti, essendo ancora in vita, sarebbe stata preferibile; in ogni caso, una volta messi gli occhi su Asenat, Ey può essere stato il mandante anche dell’assassinio di Nefertiti). E’ assai difficile non vedere in questo spregevole Giuseppe il mandante dell’assassinio di Tutankhamon e di Zannanza, il principe ittito richiesto da Asenat a Shuppiluliuma  per sposarlo invece del mitannico Ey, da lei considerato un vile “suddito, servo”.                         

Secondo alcuni Nefertiti sarebbe figlia di Ey (e dunque Asenat sua nipote). Io credo invece che si tratti di una principessa mitanni sia per i tratti somatici e il colore della pelle, che nulla hanno a che fare con la razza egizia, bensì con la caucasica,  sia per il fatto che semmai la seconda moglie di Ey (vedovo della precedente moglie), Tey, è definita balia di Nefertiti. Ey è solo il marito della balia di Nefertiti. Penso ad un affidamento affinché la principessa mitanni fosse introdotta alle buone maniere egizie. Credo cioè che con Amenophis IV continua la tradizione per cui il faraone ha una grande sposa reale mitannica. Tuthmosis IV sposa Mutemuya e genera Amenophis III il quale sposa Teye (figlia di Minosse/Abramo e Tuya; in questo caso il padre è mitannico, mentre Tuya è una principessa sicuramente egizia dell’harem) e genera Amenophis IV. Ekhnaton sposa la mitannica Nefertiti. Una prova indiretta che Nefertiti era di Mitanni lo si deve dedurre dal fatto che  alleva le figlie secondo gli usi e costumi mitannici. La pratica di deformare deliberatamente i crani (cf. le figlie di Nefertiti) era comune presso i popoli preistorici della Siria del nord e della Turchia orientale, i cui diretti discendenti erano i Mitanni (ce ne informano A. Collins e C. Ogilvie-Herald in La cospirazione di Tutankhamen, Newton Compton Editori, 2006, p. 40). E qui tutto si ferma perché nel frattempo i MItanni sono in declino e gli Ittiti in ascesa. 

 

In quest’anno ho letto Chi ha scritto la Bibbia? Di Richard Elliott Friedman, Bollati Boringhieri, 1991.   E’ un buon testo che consiglio di leggere a  chi voglia essere introdotto alla critica documentaria o alta critica, e cioè all’analisi del testo biblico, prima di tutto il Pentateuco, con lo scopo di ricostruirne la genesi da differenti documenti (J, E, D, P, R), con storia differente ma risalenti a mio giudizio a non prima dell’età esilica (anche se trattano a volte di un tempo antico come Abramo e antichissimo come Noè o il giardino dell’Eden, ciò non significa che questi documenti risalgano a quel tempo, mi pare ovvio), che ad un bel momento, fra fine V-inizio IV secolo,  furono fusi insieme (da Ezra verisimilmente) a costituire il nucleo iniziale della Bibbia come la conosciamo. Naturalmente non condivido tutto quel che sostiene Friedman, ma gli riconosco di avere un fondo di idee chiare, lui e la sua scuola, ed è questo l’importante.  In questo libro si ripercorrono i progressi dapprima difficoltosi e lenti (a causa della censura religiosa che procedeva a scomuniche e roghi di libri) poi via via più spediti negli ultimi due secoli (infischiandosene della censura perché ormai alla Chiesa avevano strappato gli artigli) degli  studi biblici, che iniziarono con l’intento di dimostrare che il Pentateuco non poteva essere stato scritto da Mosè. Fior fiore di filosofi espressero fin dagli inizi questa opinione.  Il contributo degli studiosi tedeschi è quello più rilevante, e culmina con l’opera di Julius Wellhausen (1844-1918). Dapprima si riconobbero due distinte redazioni, una detta J (perché utilizza il nome  Jahweh, “dio”; io da tempo ho dimostrato che si tratta del romano Giove, potremmo chiamarlo Giovè, da un indoario mitannico Yavah) ricondotta al regno di Giuda, a sud, e una detta E (che utilizza il nome cananeo El,  Elohim,”dio”)  ricondotta ai sacerdoti di Silo e in particolare a Geremia (e più anticamente a Israele, il regno del nord cancellato dalla storia nel 722 dagli Assiri). Poi la redazione del Deuteronomio, codice D, da parte dello stesso Geremia, e da un suo allievo, e infine il codice P (dal ted. Priestercodex, codice Sacerdotale). Friedman è persuasivo nel provare che l’autore di D conosceva il codice P ma preferibilmente cercava di ignorarlo perché gli era contrario. Tuttavia nella sua redazione finale P è palesemente il più recente ed è la storia stessa del rientro in  Gerusalemme a richiedere che sia più recente di D. 

Potrei omettere di ridiscutere su quanto ho già discusso nei precedenti lavori, ma dato che  analizzavo il testo biblico senza avere una base “scientifica” come ce l’ho adesso, dopo la lettura di Friedman, e che coglievo già allora esattamente il punto, ho il piacere di ritornarvi ora, per dar modo di confrontare il mio pensiero odierno con quello di ieri.

Curioso che Friedman ci ricordi che Ezechia (paladino degli “aronniti”), a dispetto della sua riforma centralizzatrice, aveva risparmiato a Gerusalemme e in luoghi periferici una serie di altari (le “alture”) sede di una religiosità popolare di tipo sincretistico in onore di Jahweh eretti da Salomone… lasciando a Giosia l’onore e l’onere di sconsacrarli (pp. 79 e 181). Io stento a credere ai miei occhi perché ho sempre saputo che le “alture” erano luoghi pagani, dove Jahweh non c’entrava niente. E ancora ci ricorda che Ezechia fu sconfitto dal re assiro  Sennacherib – che assediò e prese Lachis fra le 46 roccaforti giudee (ce lo dice lo stesso re nel prisma di Sennacherib, e gli diamo credito perché non era un sacerdote ebreo, aggiungo io); ridusse il territorio di Giuda dividendolo fra i re di Asdod, Ekron e Gaza – che aggravò il tributo annuo di Ezechia: le sue figlie, il suo harem e i suoi cantori, 30 talenti d’oro, 800 talenti d’argento, ecc.

2 Re 18:13 conferma che ” nel quattordicesimo anno del re Ezechia, Sennacherib, re dell’Assiria, assalì e conquistò tutte le piazzeforti di Giuda.” (pp. 81-82). Anche se Gerusalemme non fu presa, appare evidente che  Ezechia non aveva piena libertà di movimento neppure in campo religioso, tanto è vero che in Gerusalemme e periferia continuavano a funzionare una serie di altari sede di attività cultuale pagana. Vi sono due modi di indagare nel passato. Quello che giura e scommette sulla verità storica delle fonti (e rimane fregato) e quello smaliziato che, fonte per fonte, verifica l’attendibilità in base a riscontri incrociati e alla fine è pronto a formulare una nuova versione ritenuta attendibile, in contrasto con la precedente, ma basata su sostegni di pura logica e documentali più probanti. Io ovviamente sono fautore di questa seconda via, critica e non supina.  Quelli cui non va di far lavorare il cervello, e sono legioni, preferiscono continuare a ruminare la falsa tradizione. E vengono pagati e hanno le cattedre! 

La storia biblica è costellata di sacerdoti di Silo che non dovrebbero essere più in circolazione dopo la sconfitta di Afeq da parte dei Romani (i Filistei biblici; per l’argomento rinvio ai miei precedenti lavori su questo stesso sito)  e lo sterminio meticoloso che ne dovettero fare i Romani/Beniaminiti/Filistei.  Ovvio che Samuele non esiste se non da morto, definitivamente fatto fuori al tempo della cattura dell’arca, distrutta certamente o comunque non più restituita ai siloiti. Saul non fu mai unto da Samuele perché Saul era generale romano, operava presso una roccaforte romana. Gli Ebrei furono certamente timorosi e gelosi dei romani. Nello stesso VIII secolo in cui Osto Ostilio (Romolo) compie il colpo di stato in senso monarchico (753 a. C.; dovremo un giorno smetterla di parlare con Dionisio d’Alicarnasso di due Rome. Vi fu una sola Roma. Si tratta di riuscire a stabilirne l’esatta data di nascita che, al momento, colloco al tempo di  Amenophis III) per salvare Roma dall’espansione greca che la sta strangolando, rinunciando ad ogni interesse in  Oriente, gli Ebrei di Gerusalemme (Giuda è fondata dai Romani) e soprattutto quelli di Samaria (perseguitati dai Romani fino all’indipendenza sotto Geroboamo) sanno bene chi sono i Romani.  Due volte nella storia Roma dettò legge fra gli Ebrei. ll copricapo piumato dei Filistei non somiglia molto da vicino a quello romano fino dai suoi primordi e in tutta l’iconografia tradizionale? Saul non sterminò sacerdoti siloiti più di quanti ne sterminarono prima di lui altri generali romani. Ne sterminarono tanti che  Samuele e i suoi figli ancora in attività sono un assurdo. Samuele è un falso storico (teso ovviamente a ricondurre la monarchia ai siloiti che appunto pretendono di averla istituita – è l’eterna spada di Damocle del clero di tutti i tempi sui re laici –; ma come fa un siloita perseguitato da Roma a nominare un generale romano? Oltretutto come re degli Israeliti o dei Giudei? A tanto arriva la perfida menzogna della religione), come lo sono tutti i singoli siloiti che uno dopo l’altro  rispuntano fuori miracolosamente  scampati allo sterminio o che pur essendo confinati in Anatot in mezzo a gente aronnita che gli era ostile (Ger 11:21-23) continuano a scrivere i loro rotoli e a mantenere in vita la loro tradizione avversa agli “aronniti” (avversa ai Giudei atoniani riciclati come aronniti al tempo del II tempio). Dunque non credo ad Ebiatar siloita confinato in Anatot da Salomone. Né credo al doppio sacerdozio che avrebbe istituito David una volta divenuto re del nord (Ebiatar) e del sud (Sadok). David generale romano pose la sua capitale in Gerusalemme roccaforte egizia (non dei Gebusei) dove finché furono presenti gli egizi e mitannici  di Minosse/Giuda visir e suo figlio Ey/Giuseppe visir di Ekhnaton e poi faraone atoniano, fu venerato Atum eliopolitano e Aton (con le sue  sfingi che il redattore biblico trasforma in cherubini), ma anche dopo. Sadok  era un sacerdote atoniano e fu acquisito da David dal vecchio “primo” tempio egizio. E’ evidente che il regno del sud si costruisce attorno alla roccaforte egizia di Gerusalemme    come baluardo contro l’avanzata degli Shardana e Danai dal nord. E’ qui alla frontiera che troviamo la tribù di Beniamino, Giuda, i Filistei/Romani, e dall’altra parte i Dan(ai) che sono scesi ma ce le prendono, come dimostrano le spacconate di Sansone. Il regno di Saul è il tentativo di fermare gli invasori poco più a nord, dunque anche Saul appartiene (e per primo!) ai nostri, anche se poi il suo regno geograficamente rientra nei confini attribuiti allo stato di Israele. David ci riesce proprio facendo centro in Gerusalemme. Niente di più ovvio che lo stato di Giuda realizzato dai Romani si sia dimostrato molto stabile  a differenza di Israele dove la monarchia non riuscì a consolidarsi a causa delle liti tribali. Saul e Davide erano generali romani, combatterono all’inizio nelle file delle legioni romane reclutate a Roma e trasportate per mare fino ai confini dell’Egitto (Filistea: possiamo pensare a città come Gaza e Ascalona). Il reclutamento avveniva in cambio della cittadinanza romana, presso l’asilo del Campidoglio ed altri asili. E’ evidente che non fu Romolo a creare questo ed altri asili, bensì la  precedente diarchia (cf.  Romolo e Remo, Romolo e Tito Tazio, Amulio e Numitore), che si alternava al potere da almeno 600 anni prima. Sulla base dell’ipotesi che questo asilo avesse nome egizio cercai il nome egizio del bosco sacro e ne ricavai “saliceto”. Successivamente ho scoperto che avrebbe potuto ugualmente bene tradursi “viminale”. Sono degli indizi che potrebbero rivelarsi fruttuosi. “Mosè” copiò ai Romani i luoghi di asilo  ribattezzandoli luoghi di rifugio. In questi sei campi di concentramento dislocati in Israele i Romani, con  l’aiuto dei principi cananei e dei carristi maryannu sterminarono tutti gli Shardana,  Danai eccetera, che gli capitarono a tiro. I Romani sono stati il popolo più efficiente della storia. Solo poi Saul e David iniziarono una politica autonoma, quando ad un certo momento, usciti di scena, crollati politicamente gli Egizi e i Mitanni, la presenza della legione straniera romana in Palestina diventa di primo piano e  generali come Saul e David (XI-X secolo) ritennero opportuno tenere la posizione continuando la guerra per conto loro, creandosi dei domini personali, contando sulla fedeltà delle proprie truppe.

Nel diciottesimo anno del suo regno lo scriba Safan riferisce a Giosia che il sacerdote Chelkia, padre di Geremia, del clero di Anatot (Friedman evidentemente non crede nemmeno lui a questa ipotesi in quanto parla della conservazione della tradizione siloita in clandestinità e allo sbando durante secoli; la verità è che Geremia, prima di scappare in Egitto, era legato ai Babilonesi   i quali, prima dei Persiani, ebbero il problema di un impero con aspirazioni universali e dunque attraverso Geremia intendevano imporre in Gerusalemme la loro visione religiosa in funzione di un impero sincretistico) ha “rinvenuto” il codice D nel Tempio. Quando Safan gliene lesse il testo, il re si stracciò le vesti e dopo aver consultato una profetessa!!!  celebrò il rinnovo dell’alleanza fra dio e popolo.  Se davvero P fosse del tempo di Ezechia (716-687) e la centralizzazione del Tempio fosse avvenuta realmente, Giosia (640-609), successore di Ezechia, non avrebbe consultato una profetessa, bensì lo stesso sacerdote Chelkia o un altro suo collega del tempio.  Dunque, se per ipotesi D fu scritto dopo la centralizzazione di P, appare inverosimile interrogare addirittura una profetessa, ciò che suggerisce un abbandono secolare delle pratiche templari. Perciò continuo a credere che la riforma di Ezechia sia quanto meno un’esagerazione cui si ispirò (e questo è comunque lecito; ognuno può vedere le cose piccole, infinitamente insignificanti, con gli occhiali di ingrandimento) come a modello di re ottimale il redattore di P.

Dopo aver letto attentamente il libro di Friedman non me la sento di credere che P sia anche abbastanza anteriore a D. Fino a prova contraria P è l’ultimo codice, in quanto in esso (come riconosce lo stesso Friedman)  Elohim è visto come essere celeste, cosmico,  impersonale e trascendente e non come, direi io, un dio di tipo omerico (umano, terreno, che vive in un mondo  meraviglioso, con  angeli e animali parlanti) quale quello descritto nei codici J, E e D. P risente di una civiltà ormai evoluta come quella persiana (conosce un evoluzionismo darwiniano: Gn 1: piante, animali, uomo e donna; l’origine di Indeuropei, Camiti e Semiti dall’Ararat, dopo il Diluvio di Noè scoperto da Ryan e Pitman). Il suo redattore può essere appunto Ezra, suddito di Artaserse II.

L’ordine tradizionale dei codici va corretto. J viene normalmente associato a E come parte più antica del testo biblico. Sarà poi così vero? Certo un caso (la visione razzista di Gn 2 con uomo, piante, animali, donna), non fa la regola, ma se poi Friedman mi ricorda che il patto fra Yahweh e Abramo prometteva ai discendenti di questo (David)  la terra “tra il fiume d’Egitto e l’Eufrate” (Gn 15:18; questo passo e altri simili servono a Friedman per credere davvero al regno di Salomone!) allora salta davvero agli occhi che J è tardo, di età persiana, in quanto la terra in questione è la Transeufratene (così chiamata in quanto, vista dalla Persia, è al di là dell’Eufrate), la V satrapia. Trans, con la loro mania di grandezza, si sono riconosciuti gli Ebrei (a scapito di altre nazioni più importanti e numerose, come Egizi, Siro-Ittiti, Assiro-Babilonesi, ecc. che tutti vivevano nella V satrapia), il cui nome, poi in uso in età ellenistica, deriva da Eber = Trans = dall’altra parte,  ciò che in tedesco diremmo Über. Dunque, se è vero che J abbraccia il più antico periodo della storia, che è appunto quella dell’Eden, di Noè e Abramo/Giuda,  non la vede anche con occhi più antichi, contro le apparenze, ma solo con occhi più razzisti. In realtà i veri razzisti in origine erano gli Shardana e Danai (Israeliti) dell’esodo dal Mar Nero, poi giunti come popoli del mare con una toccata sul delta e ricacciati da Ramses III in Siria, per cui, attraverso la piana di Israel, invasero la Palestina impiantando il campo militare di Silo. Se poi alla fine gli Israeliti appaiono i buoni il merito è della politica sincretistica voluta da Geroboamo, il re che compì la secessione da Salomone, interessato solo al benessere dello stato sudista di Giuda. Anche il semplice fatto di evitare il nome del dio della guerra, della morte e della pestilenza (Giove come lo avevano ridotto Shardana e Danai), sostituendolo con il cananeo El, Elohim, produceva un effetto calmante. In ogni caso la spiegazione è che Geroboamo non volle gli esaltati (alla Calcante, alla Iefte, alla Elia) sacerdoti siloiti nei santuari di Betel e Dan. Nel mentre, gli originariamente  buoni sacerdoti atoniani di Abramo e Giuseppe, vengono riassorbiti dalla politica razzista di Nèmia e Ezra “aronniti”. La storia ebraica è una continua contraddizione.

Si sostiene che la fusione di E e J potrebbe risalire al tempo in cui gli Israeliti (722) scampati agli Assiri si rifugiano in Giuda. Quanti Israeliti saranno scampati alla macchina da guerra assira? Gli Assiri annientarono le supposte dieci tribù di Israele. A Gerusalemme si saranno rifugiati brandelli insignificanti. E poi, la mia obiezione è che i Giudei mica erano scemi a dare una mano religiosa ai loro insignificanti come numero confratelli del nord (cosa buona e giusta) a scapito della  tradizione sudista  che sarebbe stata umiliata da quella nordista.  In E è esaltato Mosè e umiliato Aronne, e la cosa si ripeterà col Deuteronomista, tanto che l’autore di P dovrà esaltare Aronne e demitizzare Mosè. Abbiamo detto che il mondo biblico più anticamente redatto assomiglia a quello omerico. Orbene io dato, con prove certe all’anno, il Viaggio di Odisseo al 675 a. C.  e l’Iliade al 653 a. C., ed entrambe queste redazioni sono piene di fantastico, ivi compresa l’Iliade col cavallo Xanto che ad un certo punto si mette a parlare e profetizzare. Come ho già scritto altrove quello biblico e quello omerico sono due facce di una medesima originaria civiltà. Geremia ha la sua vocazione nel 627 e dunque nella migliore delle ipotesi scrive dopo la composizione dell’Odissea e dunque E  è sicuramente  posteriore ad Omero. In teoria J dovrebbe essere più antico di E, altrimenti dobbiamo concludere che Giuda non aveva una religione yahweista prima di Geremia (e infatti non l’aveva! Ne aveva una atoniana!) o non aveva testi religiosi (e infatti la situazione al tempo di Ezechia e Giosia lascia sconcertati a dir poco). Ma  anche se J fosse più antico di E, la sua redazione finale, magari costituita solo da piccoli interventi, è di età persiana. E poi Giuda è nato in opposizione a Israele, Giuda dapprima atoniano e poi portatore dei valori dei Romani, dei valori di Giove, di Roma (la Rama dove i mistificatori siloiti hanno collocato lo zombi Samuele; poiché Rama vuol dire Colle, in origine la città di Roma sarà stata qualcosa come Romai, i “Colli”, alla greca; Roma dunque portata in Palestina dai Romani!). Geremia e la sua scuola riescono ad imporsi nella ricostruzione del tempio abbastanza subito dopo essere stati liberati da  Cambise II, nel 525. Gerusalemme era atoniana ma fu trasformata in sede del culto di Yahweh.

E perché Ezra o chi per lui avrebbe dovuto inventarsi (addirittura, direi, inconsapevolmente, perché l’arianesimo di Abramo l’ho scoperto io dopo tanto studiare e confrontare coi dati archeologici, soprattutto il Disco di Festo e la mummia di Minosse/Giuda; mentre una lettura non dotta della Bibbia appare sostenere un’origine perfettamente semitica, perfino ismaelita, araba, dei patriarchi, con Abramo che proviene da Ur ed è capostipite degli arabi tramite Ismaele, e con Mosè che conosce Yahweh in Madian, nella penisola arabica, tramite suo suocero Ietro) un’origine ariana dei patriarchi, magari per venire incontro alle esigenze degli ariani persiani e alla loro esigenza di creare un impero esteso fino all’europa con Gerusalemme come testa di ponte e subliminalmente ariana?   No, perché la mia ricerca partita soprattutto dall’Apoteosi di Radamanto è adesso giunta alla sua conclusione più straordinaria e inaspettata, alla dimostrazione che l’ariano di cui abbiamo la mummia, il primo atoniano della storia, è appunto il Minehud/Minosse, il Yaehud/Giuda ma anche l’Abramo (doveva essere questo un soprannome connesso con il suo grande potere, ed infatti era il visir del faraone Tuthmosis IV), che gli egittologi chiamano Yuya e che Ahmed Osman ha identificato, sbagliando di poco, con Giuseppe, che in realtà era suo figlio.

J di Ezra o chi per lui è una tradizione storica attendibile, in sintonia coi dati storici ed archeologici. I Mitanni originavano dall’Armenia e qui si collocava la tradizione dell’Eden con l’albero della vita e l’uccello grifone del Sole (fu certo Ezra, per fare dispetto a Geremia e alla sua scuola, a  sostituirgli come cattivo il Serpente Necustan di Madian, realizzato in bronzo da Mosè; alla corte di Giosia, 640-609, la cui nuora si chiama Necusta, si affaccia dunque questa religione araba), la fonte dei fiumi Tigri ed Eufrate (più altri due di fantasia che è inutile cercare di identificare) che nasce ai piedi dell’Ararat in Armenia, del Diluvio di Noè, dell’Arca arenatasi sull’Ararat, di Abramo ultimamente originario di Harran/Mitanni. Ezra a mio avviso non poteva più comprendere le origini ariane dei patriarchi (ma ricollegava nel codice J  il nome di Yahweh al dio dell’Eden indoario)  ed è per ciò che risulta più attendibile. Quello che la tradizione giudea ricordava non era più immediatamente riconducibile all’élite ariana dei Mitanni in Armenia, ma solo all’Armenia,  e semmai era la dotta ricerca e i riscontri storici degli “aronniti” di P (consultatori delle biblioteche di Babilonia durante la deportazione), che rimettevano insieme i pezzi e ad esempio facevano ricominciare da qui dopo l’esondazione del Mar Nero  al tempo di Noè l’origine di indeuropei, semiti e camiti (Friedman, p. 46: racconto del diluvio in J e P). L’origine da Ur (proprio Ur, non Urfa come qualcuno pretende credendo di essere intelligente) era suggerita dal culto lunare di Sin che si ritrova anche ad Harran, e in tutte le sedi abitate da arabi, e che era una divinità creduta originariamente connessa, come vedremo, con Yahweh, tramite i pastori Shasu di Edom veneratori di Yahw. In precedenti lavori ho analizzato tutte le connessioni degli antichi patriarchi con Harran e la Luna.  Tutto ciò parla a favore dell’elaborazione in ambiente arabo di una prima storia dei patriarchi di cui lo stesso mondo arabo avrebbe perso memoria, in quanto Maometto conosce la tradizione giudeo-cristiana e ad essa si allinea. Inutile dire che Ur suggeriva anche l’origine semita di Abramo ormai attratto nell’orbita semitica dopo essere stato collocato anteriormente a Yahqob. Inoltre, più ci si attaccava alla Torre di Babele e alla confusione delle lingue, più si lavorava a favore del primato semitico sulle altre razze, sugli Egizi/Camiti (Kemet, la “Terra nera” è l’Egitto nella lingua egizia), e sugli Indeuropei di Giapeto/Iafet. E Abramo era appunto indoeuropeo!

 

Il personaggio chiave della torah di JE è il profeta, non il sacerdote (Friedman p. 162). Scrive Friedman “ Rimane da risolvere la questione del perché esistano tante somiglianze tra J ed E. I due testi raccontano spesso storie analoghe, trattano in gran parte degli stessi personaggi, mostrano un’apprezzabile coincidenza terminologica. E anche sul piano letterario i punti di contatto sono così cospicui da rendere impossibile discriminare con precisione le due fonti in base a criteri puramente stilistici. Una possibile spiegazione è che i due scritti si fondino l’uno sull’altro. “ (p. 71) La mia esperienza di storico mi dice che in civiltà diverse alcuni testi furono scritti in età tarda copiando modelli antichi e riuscendo a convincere i contemporanei della loro antichità formale (ma la ricostruzione di Ezra è anche del tutto storicamente, oggettivamente corretta). Questo, secondo la mia logica, deve essere avvenuto a J, realizzato da Ezra o chi per lui sul modello di E.  E umiliava Aronne a favore di Mosè (in realtà nello stesso tempo in cui umiliava “Aronne”, portava alla luce gli “aronniti” e li legittimava, per cui l’umiliazione era un espediente creativo, dal nulla).  Ma perché J (di Giuda) doveva uniformarsi a E (di Israele) se J era la storia del sud (di Abramo e Giuseppe atoniani e poi di Saul, lo possiamo includere, e David romani adoratori di  Giove)  contro il nord (degli Shardana e Danai siloiti, musiti, israeliti)? Di Aronne e di Mosè non gliene avrebbe dovuto fregare di meno. Lo stesso Friedman dice che l’autore di E “ dà rilievo al patto mosaico mentre non fa neppure cenno a quello stipulato da Abramo, ma soprattutto, nel racconto dell’esodo dall’Egitto, attribuisce a Mosè il ruolo principale nella liberazione del popolo… “ (p. 68) e ancora “ in E la figura di Mosè ha un rilievo nettamente superiore a quello assunto in J, mentre agli avvenimenti precedenti (creazione, diluvio, patriarchi) viene riservato poco o nessuno spazio, a differenza di J. “ (p. 70) Quanto a J “ Dati i suoi interessi per la casa reale di Giuda (la famiglia di David), l’evento capitale della storia per lui si era  verificato prima di Mosè, ed era il patto concluso da Dio con i patriarchi… “ (p. 71)   Giuda e Israele non ebbero mai in comune  granché, nemmeno dopo l’esilio.   Ma ecco la soluzione del problema per il quale mi avvarrò, come fonte di notizie, anche del libro di Paolo Sacchi, Storia del Secondo Tempio, SEI Torino, 2006 (il quale non ha compreso, come non lo ha compreso Friedman, e non lo ha compreso nessuno, il patto scellerato fra rimpatriati da Babilonia e leviti siloiti rimpatriati dall’Egitto, la cui mente perversa va cercata dietro un seguace di quel diavolaccio di Geremia).

Per capire la genesi del Pentateuco e della prima Bibbia (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re) occorre riconoscere che la riunione dei codici avviene in età esilica e fino a Ezra. Gli Assiri nel 722 conquistano Israele e lo spazzano via per sempre dalla storia con tutte le sue dieci tribù (le abbia avute o no). La storia che ci interessa più da vicino è dunque quella dello stato del sud, di Giuda. Gerusalemme fa gola prima agli Assiri, poi ai Babilonesi, infine ai Persiani, perché queste potenze hanno tutte uno scopo importantissimo, di tenere insieme  il loro impero unificandolo attraverso una religione monoteistica, e in più Gerusalemme è un’ottima testa di ponte per l’espansione verso Occidente. Gli Assiri avevano appoggiato la politica sincretistica di Manasse. Friedman ci spiega bene che quando (e accade assai di frequente) i re del nord o del sud  sono costretti ad accettare una politica (imposta dalla potenza straniera vincitrice: assiri, egizi,  babilonesi) universalistica e pacifista tendente ad armonizzare i differenti culti (sincretismo religioso), vengono attaccati dai profeti che li accusano di abbandonare Yahweh a favore di divinità straniere, di idolatria.  Sacchi in nota 9 p. 34 dice che Nabucodonosor  e Nabonedo babilonesi condussero una politica economica in opposizione al tempio sempre babilonese [par di rivivere l’opposizione atoniana contro il clero onnipotente di Amon a Tebe, nota di MGC], e soprattutto Nabonedo “ predilesse il culto del dio Sin di Kharran, culto che era estraneo alla tradizione babilonese “ e, aggiungo io, richiamava una certa interpretazione (fuorviante) delle origini del culto di Yahweh come probabilmente ricostruite  dalla scuola siloita, in quanto Abramo viene fatto originare da Ur (dove pure è attestato il culto di Sin), e da ultimo proveniva proprio da Kharran, e  sappiamo che in qualche modo Yahweh si metteva in relazione col dio “luna” (che è ciò che vuol dire Sin). Vedremo che questa interpretazione cui fa da sfondo il culto lunare è tarda e corrisponde a una qualche cronaca di origine araba che ha elaborato la materia dei patriarchi.  Insomma è evidente che quando ai Babilonesi si sostituiranno i Persiani questi faranno una politica ancora più massiccia per dirigere la politica di Gerusalemme. Sono probabilissimamente di influenza persiana sul giudaismo la tendenza al dualismo, a complicare l’angelologia e la demonologia e a dar loro peso teologico, l’idea che fra dio e l’uomo ci sia un mediatore divino o superumano, l’idea della resurrezione o di una vita che non finisce con la morte, ma queste si fecero chiare solo in epoca ellenistica. Giuda non ebbe molti momenti di indipendenza. Fu quasi sempre sottoposta a tributo di questo o di quello. Ora, con la caduta di Gerusalemme del 587 a. C. anche lo stato di Giuda cade definitivamente. Ha perso la sua indipendenza. E’ sottoposto a tributo, a governatore. E’ Babilonia e poi la Persia, dal 539 di Ciro II, che dettano legge. Si mette in mezzo Dario I verso il 520 o 521 (Friedman, A. Caquot in Puech, op. cit.; A. Caquot è autore di tutti i lavori da me citati nell’opera curata da Puech) con riferimento a suoi interessi in Egitto, e non si vede  che  il probabile ritorno è proprio dopo il 525, quando  Cambise II liberal’Egitto. E’ da questo momento o poco dopo che parte la missione che ricostruisce il tempio. Questo dobbiamo tenerlo sempre presente. Cosa accade nel frattempo, molto prima dell’affermarsi dei rimpatriati da Babilonia, sempre perché questo era l’interesse del re persiano?  Prima di tutto un editto di Ciro II riguardo ai Giudei non ci fu. Egli liberò i popoli soggetti a Babilonia nello stesso momento in cui era stata liberata Babilonia (539).

Ci troviamo dapprima nello scenario dei rimasti a Gerusalemme e Giuda. Questi sono ovviamente i buoni, mentre i cattivi sono stati cacciati e deportati a Babilonia o fuggiti in Egitto. I buoni continuano a vivere dove hanno sempre vissuto e l’autorità persiana spartisce fra loro tutti i beni mobili e immobili, le terre. Ovvio che c’è anche un clero che si occupa del tempio o di ciò che è rimasto del tempio. Si contrappongono dunque gli interessi dei rimasti (per loro Yahweh non si è mai allontanato dal Tempio) e quelli di coloro che vorrebbero tornare (per questi Yahweh li ha seguiti in esilio; se invece l’azione di Yahweh deve avere un senso, li ha puniti cacciandoli da Gerusalemme) e naturalmente costoro brigano con la corte persiana per ottenere ciò che vogliono. Ezechiele è la mente di coloro che vogliono rimpatriare da Babilonia e che alla fine prevarranno. I reduci da Babilonia in quanto regalisti e atoniani avrebbero le carte in regola per vincere, in quanto il re persiano invia a Gerusalemme una diarchia composta dal re Zorobabele e dal sommo sacerdote Giosùè. Ma cosa ti combina il nostro Ezechiele? Si mette a delegittimare  Zorobabele, che, nonostante in esilio, è il re vassallo di Giuda, e cioè re di Giuda e nel contempo governatore per conto dei persiani su Giuda.  Il fatto è che Zorobabele fin dal tempo in cui è in esilio fa gli interessi dei rimasti in patria (e tuttavia come vedremo la decisione di delegittimarlo e dunque di incoraggiarne l’assassinio chiuderà le porte  degli autentici Giudei  al tempio, almeno per un certo tempo, perché non c’è dubbio che sono loro i più furbi, maestri di intrallazzi). Ezechiele delegittima  Zorobabele demolendo l’idea che la salvezza di Giuda sia legata alla regalità, alla discendenza dalla casa di David (Sacchi, p. 31). Ezechiele non ricorda nemmeno esplicitamente Yehoyakin come re, che pure è per gli stessi persiani re vassallo di Giuda. Ma è anche possibile  che i passi incriminati di Ezechiele siano posteriori alla morte di Zorobabele e dunque costituiscano una prima retromarcia rispetto alla torah sudista (atoniana e regalista fondata su Abramo e David) in attesa di inserirsi nella torah nordista quando i seguaci di Geremia daranno il via libera. Dal punto di vista dei maneggi sotterranei i reduci riescono ad ottenere un regime dualistico in cui a fianco del re (che ora, per volontà del re persiano, diventa anche governatore degli ebrei in esilio) ci sia un sacerdote, Giosuè. Inutile dire che il re persiano si immagina magari cosa avverrà ma attende di prendere una decisione dopo i fatti. Una volta a Gerusalemme scoppia la guerra civile fra chi c’era rimasto e chi è ritornato, e così Zorobabele viene assassinato e regna il sommo sacerdote. La fine dei lavori di ristrutturazione del nuovo tempio (515) è collegata da Giuseppe Flavio ai soli sacerdoti. Evidentemente il re persiano guarda ed è pronto a mettersi comunque dalla parte che consente al suo progetto di funzionare.  Il primo sommo sacerdote si chiama Giosuè, coincidenza?, come il Giosuè (falso successore del falso Mosè) che scatena la  guerriglia in Palestina senza mai conquistarla. Dunque io credo che questo fu il primo ed unico Esodo degli Ebrei dall’Egitto, ma sulla falsariga di questo si volle creare l’esodo di Mosè dall’Egitto sovrapponendolo e sostituendolo a quello degli Shardana Danai dal mar Nero che in qualche modo avevano popolato Israele.

 

Nessuno può negare che la situazione del primo rimpatrio ricalchi esattamente quella che doveva essere la situazione precedente dei rimasti a Gerusalemme. Insomma, dopo il primo rimpatrio (e dopo l’assassinio di Zorobabele) il tempio si adegua al territorio, Gerusalemme si adegua a Giuda, e si addiviene a matrimoni misti,  il che vuol dire che gradualmente c’è il rischio che il dio unico di Gerusalemme Yahweh non sarà più tale perché si sa che le mogli pagane indurranno i loro mariti a venerare divinità pagane. In questa prima fase è evidente che i vecchi latifondisti rimasti in patria non possono essere stati sloggiati a favore dei rimpatriati e dunque in pratica ecco perché la situazione continua a permanere come era prima dell’arrivo dei rimpatriati, eccetto il fatto che ora Giosuè è sommo sacerdote del tempio. Se gli effetti sono tali, viene da supporre che il rimpatrio di Giosuè sia stato ispirato dalla teologia deuteronomistica di Geremia (dei siloiti reduci dall’Egitto), che scrive ovviamente, meglio  un suo seguace, a cavallo fra esodo e rientro in età persiana, attribuendo la scoperta del Deuteronomio al padre di Geremia  Chelkia, sacerdote dei siloiti internati in Anatot, regnante Giosia. Il seguace di Geremia scrive il Deuteronomio in fase esilica, in Egitto, e qui, non appena sa che potrà tornare a Gerusalemme, gli viene in mente di trasformare l’esodo dal Mar Nero nell’Esodo avvenuto in età ramesside dall’Egitto e così lancia la minaccia che dio potrà far tornare in Egitto gli Ebrei per punirli della loro infedeltà, cosicché questa minaccia diventa credibile laddove appunto egli stesso è profugo in Egitto dopo la caduta di Babilonia e l’assassinio di Godolia. Dunque è qui che l’esodo dal Mar Nero si trasforma nell’Esodo dall’Egitto. Qui in Egitto “nascono” anche i Leviti (la tredicesima tribù senza territorio), che hanno assunto durante la loro permanenzaa in Egitto nomi egiziani. In effetti, dopo la morte del re Zorobabele, i reduci da Babilonia, regalisti, non avevano più una teologia idonea (tanto più che essi con Ezechiele furono antimonarchici). Tutta la tradizione giudaica secondo cui un successore di David sarebbe sempre stato re su Gerusalemme avrebbe costituito una continua palese condanna del clero giudaico dei reduci da Babilonia, perché tutti fra il popolo avrebbero sempre potuto domandare  al clero di farsi da parte per nominare un re discendente da David. Dunque ora, per i furbi reduci da Babilonia, che pensano solo alla decima del sacrificio animale che per legge va fatto solo nel tempio di Gerusalemme, se vogliono campare  diventa importante la torah dei siloiti di Mosè lo shardana, per cui  Yahweh ha fatto il patto col popolo e non col re. Io credo che i sudisti non avessero una tradizione mosaica dell’esodo degli Shardana (dal Mar Nero). La storia di Giuda e Israele furono non solo indipendenti ma anche opposte, in quanto Giuda fu il baluardo egizio-romano “atoniano” e gioviano contro Israele percorsa dalle bande di Shardana e Danai yahweisti.

 

Friedman sostiene che P è stato scritto dopo J e E, mentre  D è stato scritto per ultimo. Devo riconoscere che le citazioni che se ne fanno da parte deuteronomistica provano con buona probabilità che il deuteronomista lo conosce ma non lo approva e se possibile lo ignora. Tuttavia P è ovviamente più tardo dell’età di Ezechia (anche se non c’è nulla di male se guarda indietro a Ezechia come a un modello, esagerandone l’importanza) e poiché nella mia ricostruzione dei fatti prima a Gerusalemme arrivano i deuteronomisti e infine i sacerdotali, con Nèmia (sotto Artaserse I), devo dissentire da lui. Il mio ragionamento si basa sul patto scellerato fra reduci da Babilonia (portatori di una torah regalista che fa capo ad Abramo e David ed originariamente era atoniana) e reduci dall’Egitto (portatori della torah di Mosè degli Shardana e Danai yahweisti). Un seguace di Geremia affiancò a Mosè in E e nel Deuteronomio un Aronne (spuntato fuori miracolosamente come i sacerdoti sopravvissuti di Silo)  subordinato, da cui avrebbero tratto origine gli “aronniti” destinati a svolgere il lavoro subordinato di Leviti. Ovvio dunque che il rientro in Gerusalemme fosse guidato da una corrente  ispirata a Giosuè siloita che si portava dietro la tradizione deuteronomista con l’intento di sdoganare, legittimare i sudisti “babilonesi” (perché questi avevano una torah completamente diversa, quella di Abramo e David, regalista e atoniana) ed integrarli nella tradizione siloita  yahweista. L’evolversi del rientro e dei rapporti fra reduci e rimasti in patria è perfettamente in sintonia con questa mia ricostruzione, in quanto rispecchia la gestione del rientro come l’avrebbero appunto operata i pacifisti e universalisti portatori del Deuteronomio nordista (ricordo che la toràh nordista deve tutto alla politica sincretistica e pacifista di Geroboamo).  Sacchi sostiene che P sia stato scritto per ultimo ma, ponendo il Deuteronomio alla base della politica di Nèmia (ciò che a me appare assurdo) e P alla base della missione del successivo Ezra (sotto Artaserse II), finisce con lo lo snaturare l’importanza politica di P che, se da una parte non può essere troppo tardo (anzi deve essere in qualche modo contemporaneo) rispetto a Geremia (meglio, al suo discepolo), a E e al Deuteronomio, dall’altra deve essere stato utilizzato al più presto come piattaforma della ascesa al potere degli “aronniti”, cioè sotto Nèmia. Io sostengo dunque che sarà anche possibile che Nèmia “aronnita” (non ancora sdoganato!) abbia compiuto un colpo di mano vigente il Deuteronomio, ma certamente non è possibile affermare in alcun modo che egli stesso fosse un deuteronomista e che abbia compiuto le sue riforme credendo nel Deuteronomio. Nèmia fu uno sporco razzista, segregazionista di ispirazione sacerdotale   (P) anche se formalmente può essersi servito di riferimenti  ignobilmente distorti dal Deuteronomio.

Dopo la morte pianificata (a pensarci bene, ad ammazzare Zorobabele potrebbero essere stati con maggiore probabilità gli stessi seguaci di Giosuè, perché toglievano ai sudisti la giustificazione per l’applicazione della loro torah regalista) o meno di Zorobabele gli unici a poter presentare una torah adeguata erano i siloiti reduci dall’Egitto che facevano capo a “Mosè”, per cui se i “babilonesi” volevano mettere in qualche modo le mani sul tempio di Gerusalemme dovevano scendere a patti con costoro. Occorreva dunque tirare fuori dal cilindro un “Aronne” sacerdote che fosse legato a Mosè. Dunque si composero insieme i codici J (sudista) ed E (nordista) in modo da esaltare Mosè pur affiancandogli un Aronne in subordine. A questi si aggiungeva  un Deuteronomio che ugualmente esaltava Mosè, ma gli affiancava un Aronne inferiore di statura. Questo codice D conosceva l’esistenza del codice P dei “babilonesi” ma lo ignorava volutamente in quanto in questa fase i vincenti erano appunto i siloiti israeliti. I sudisti, pur avendo il loro codice legale non erano ora nelle condizioni di farne uso in prima persona perché non legittimati al potere. Il sommo sacerdote (l’unico che restava a regnare su Gerusalemme) basava il suo potere sul patto fra Yahweh e il popolo, mediatore Mosè. E’ solo con la graduale legittimazione degli “aronniti”, e con la benedizione del re persiano che li appoggia, che questi riescono a prendere il potere assoluto fra Nèmia e Ezra e a ribaltare la situazione, per cui (ora che sono stati legittimati) diventano il clero legale col loro codice sacerdotale ed esautorano i deuteronomisti che sono relegati al rango di leviti. E’ a questo punto che un seguace di Geremia potrà sfogarsi “ Come potete dire: « Noi siamo saggi, la torah di Jahweh è con noi », quando a menzogna l’ha ridotta la penna bugiarda degli scribi! “ (Ger 8, 8).   

 

Più volte ci siamo imbattuti in accenni veramente curiosi, che ci aprono un nuovo scenario interpretativo del Pentateuco con l’Esodo dall’Egitto collocato in età postesilica, e cioè il rientro in Gerusalemme al seguito di Giosuè (sacerdote musita, cioè seguace di Mosè) dei profughi in Egitto fra cui i Leviti che appunto, come è stato riscontrato da molti, portano nomi egizi. Non c’è mai stato un esodo dall’Egitto sotto Ramses II e dintorni guidato da Mosè. L’unico esodo era stato quello degli Shardana e Danai dai dintorni del Mar Nero sempre intorno all’età di Ramses II (più precisamente da quella di Merenptah e Ramses III). Ora i deuteronomisti che con Giosuè arrivano a Gerusalemme realizzano l’unico vero esodo dei siloiti musiti dall’Egitto a Gerusalemme. Se ne deduce, se ho ragione, che tutta la storia di Mosè è una proiezione all’indietro e dunque un falso storico per incardinare gli Ebrei in un passato storico di un certo rispetto quale quello che li ricollega all’Egitto del Grande, Ramses II. Naturalmente i biblisti tradizionali, quelli fantoccio, pagati dalle chiese o dalle istituzioni pubbliche e private per non fare nulla, per mantenere l’ignoranza e il potere della religione, obietteranno che non si poteva ingannare un popolo propinandogli una tradizione nata dal nulla. Innanzitutto quanto alle tradizioni che funzionano dopo essere nate dal nulla, potrei citare l’origine divina della dinastia attualmente regnante sul Giappone. Teniamo presente che quando una tradizione è religiosa, dunque sostenuta dall’anatema (e dalla pena di morte!), riesce a convince anche i più refrattari. Nel caso nostro la tradizione non nasceva proprio dal nulla ma era un collage di mezze verità unite insieme in modo da modificare la realtà senza che questa potesse essere presa immediatamente per falsa, da un popolo comunque ignorante e non scolarizzato. Un’esodo c’era stato (dal Mar Nero), ma era stato toccato anche il delta (sotto Ramses III) da cui gli invasori erano stati costretti a fuggire per giungere in Israele. Gli Ebrei (per l’esattezza i furbi siloiti,prima di tutto) procedono come Platone nella sua Atlantide. Cercano di scrivere una storia falsa da far credere al resto del mondo che i più antichi sono loro, se possibile più delle piramidi egizie. Infatti Atene secondo Platone avrebbe respinto un attacco da parte di proto-Americani/Atlantidei, una civiltà di circa 10000 anni a. C. Perché stupirsi se dopo l’insegnamento di Platone gli Ebrei pretendono che il loro Yahweh  abbia creato il mondo, tutto quel che vive sopra la terra  e nel cielo, i primi esseri umani da cui si sono differenziate tutte le razze viventi?

 

Friedman ha notato con altri lo scontento dei sacerdoti di Silo, che hanno perso il potere sia al nord, dove Geroboamo non li ha voluti a Dan e Betel, e al sud, dove, io affermo, dopo esserci stati portati e  legittimati da Giosuè, sono stati sfrattati dagli “aronniti”, che hanno preso il potere a partire da Nèmia. Mi chiedo se sia possibile che nel racconto del vitello d’oro, elohista (Es 32), si possa riscontrare la scottatura passata (al tempo di Geroboamo in cui Israele era ancora in piedi) ma soprattutto quella recente ricevuta dagli aronniti che hanno preso il potere assoluto a Gerusalemme riducendo i siloiti “egizi” a Leviti, sacerdoti di serie b. Se ho ragione, evidentemente ne risulta un testo biblico ancora più tardo del previsto, il più tardo possibile e direi quasi inimmaginabile, una sorpresa!  Scrive Friedman « agli occhi del clero di Silo i vitelli d’oro [eretti a Dan e Betel da Geroboamo, per cui Elohim poggiava su di essi attraversando tutto Israele con un effetto assai più suggestivo di Aton di Gerusalemme che poggiava sulle sfingi, nota di MGC] erano diventati il simbolo della sua esclusione da Israele e Aronne quello della esclusione  da Giuda  Subito dopo la liberazione dalla schiavitù [immaginiamo di collocarla nell’Egitto dopo il 525, MGC] gli Israeliti si erano resi colpevoli del peccato di idolatria adorando un vitello d’oro, forgiato appunto da Aronne [“antenato” del clero ufficiale di Gerusalemme da Nèmia in poi, MGC]. » Friedman si chiede perché Aronne, responsabile del tradimento, non subisca alcuna punizione (Friedman, p. 61). A me ora come ora la risposta appare luminosa nella sua evidenza. Perché gli aronniti hanno fatto il colpaccio. Hanno il potere e non glielo può togliere nessuno. Ai discepoli di Geremia non resta che rodersi dentro senza alcuna speranza.  Friedman si chiede anche perché l’autore di E abbia, sempre in questo racconto, descritto i Leviti come zelanti e sanguinari restauratori dell’ordine. Perché, rispondo io, ora ai siloiti musiti non resta che il ruolo sussidiario di Leviti. « Evidentemente egli stesso [l’autore di E,  un allievo di Geremia, MGC] era levita, e non è un caso che Aronne secondo il racconto si comporta da ribelle, mentre gli altri Leviti sono gli unici a dar prova di lealtà. Mosè predice ai Leviti la riconoscenza divina e in questo modo l’autore denigra gli antenati dei sacerdoti di Gerusalemme [che ora in età persiana sono appunto aronniti, MGC] elogiando invece il resto della tribù di Levi. » (Friedman, p. 62) Dissento da Friedman laddove egli ritiene che se l’autore di E avesse potuto avrebbe volentieri lui stesso distrutto i vitelli d’oro di Dan e Betel (Friedman, p. 65). Io credo  che se avesse potuto avrebbe strozzato personalmente non tanto l’inesistente Aronne quanto tutti gli aronniti che  avevano sottratto il sacerdozio ai siloiti a Gerusalemme.  Che E non sia razzista lo dimostra anche l’episodio in cui Aronne e Miriam sparlano di Mosè a causa della sua moglie cushita/etiope e dio punisce Miriam facendole diventare la pelle bianca come neve. Aronne e Miriam sono razzisti (e noi sappiamo benissimo che gli aronniti da Nèmia a Ezra sono razzisti) e si battono contro i matrimoni misti. dio punisce solo Miriam facendole venire bianco il colore della pelle, assai meno gradevole da vedere del nero naturale della moglie di Mosè. Aronne ancora una volta non viene colpito perché è l’”antenato” del sommo sacerdozio di Gerusalemme attualmente al potere. 

Io faccio l’ipotesi che Dtr 1 sia stato scritto da Geremia e soprattutto da un suo discepolo in fase esilica quando era assai probabile o certo che i siloiti avrebbero governato in prima persona. E’ infatti incentrato sui Leviti, appartiene alla tribù dei Leviti. In quanto tale,  rappresenta il documento che supporta i rimpatriati dall’Egitto appoggiati dal sovrano persiano. E’ durante la vita di Dtr 2 che i siloiti sdoganano gli “aronniti” (vai a fare del bene ai confratelli giudei! Altrimenti, cosa potevano i siloiti “Egiziani” chiedere in cambio ai “Babilonesi” per questo favore?) nella fase in cui c’è la centralizzazione del tempio con Giosuè. Ma è questa anche la fase  del sorpasso degli aronniti e del conseguente  dente avvelenato  di un successore di Geremia.   

 

Dunque i siloiti facenti capo a Geremia accettarono di sdoganare i sudisti  fidandosi di un accordo. In base a questo accordo i reduci da Babilonia acquisivano la teologia deuteronomistica in quanto discendenti di un “fratello” di Mosè, Aronne, da cui gli aronniti. E’ evidente che questa teologia e questo patto scellerato fra “Babilonesi” ed “Egiziani” significa anche la possibilità della premeditazione dell’assassinio di Zoroabele. Il Deuteronomio è infatti repubblicano, musita, levita e anche pacifista e universalista. L’impatto di Giosuè e dei rimpatriati che lo seguirono conseguì appunto, volente o nolente, i risultati della politica deuteronomistica. Logico pertanto preferire l’ipotesi che questi risultati fossero precisamente voluti in base all’applicazione voluta da Giosuè del codice deuteronomistico. Non credo che il Deuteronomio sia stato il programma di Nèmia. Nèmia è aronnita e deve essere sostenuto  da J e P, sia pure senza ancora potervi fare (per opportunità soprattutto) diretto riferimento.  Appare altresì evidente in base ad un  ragionamento terra terra che i rimasti in Giuda tennero le loro terre e non le restituirono ai rimpatriati. Ecco allora il compromesso. Sparisce il re che aveva difeso i diritti dei rimasti in patria e come contropartita questi conservano le loro terre in quanto è fatto esplicito divieto ai sacerdoti di possedere beni in Giudea (Deut. 18, 1). I matrimoni misti erano nella politica dei siloiti perché questi erano internazionalisti e infatti nel periodo iniziale del ritorno i sacerdoti favorirono la venerazione di Yahweh  anche da parte di popoli diversi dagli ebrei, e dai documenti mostrati dagli Ebrei (ai quali è sempre bene credere con beneficio di inventario) pare che l’imperatore persiano  propugnasse la venerazione di Yahweh in tutta la V satrapia della Transeufratene. Il dio era adesso territoriale e i sacerdoti siloiti si vedevano signori del territorio piuttosto che degli ebrei, secondo la concezione delle stato che si andava formando allora (costituzione su base territoriale di Clistene). Neppure il rispetto del sabato conta più, pur di venire incontro agli stranieri. Ma ad un certo momento qualcosa si spezza in questo accordo. Evidentemente gli aronniti sono stati sdoganati (dai deuteronomisti), sono i più forti, hanno i loro documenti J e P, il codice sacerdotale,  hanno il favore del re persiano, in quanto gli hanno fatto capire che matrimoni misti significa adorare dèi stranieri, politeismo prima ancora che sincretismo, mentre se il potere andrà ai rimpatriati da Babilonia il re potrà contare su una città sicuramente monoteista perché razzista, composta esclusivamente da ebrei. Dalla lettura del libro di Friedman ho tratto chiaramente la contrapposizione che esiste fra siloiti (E e D) da una parte e aronniti (J e P) dall’altra. Non è assolutamente possibile che lo stesso codice Deuteronomico possa giustificare il comportamento di Giosuè e successori e anche quello di Nèmia. Nèmia è razzista e portatore del codice sacerdotale, non del Deuteronomio, come pretende Sacchi. Tenendo conto dell’opinione della più parte degli studiosi Ezra è posteriore e abbastanza posteriore a Nèmia. Logicamente fu Ezra a portare il codice sacerdotale e il Pentateuco a Gerusalemme nella sua completezza o quasi, ma il fatto che un autore ritenne di fondere insieme i libri di Ezra e Nèmia e a premettere il secondo, Ezra, al primo, Nèmia, vuol dire che essi erano riconosciuti dalla stessa parte. Dunque Nèmia aveva anticipato quanto meno con i fatti ciò che poi Ezra aveva redatto come teoria politica.  Sarà dunque Nèmia ad operare una prima rottura con gli internazionalisti (fra cui ci sono anche i proprietari terrieri, i rimasti; i reduci razzisti e separatisti intendono infatti toglierli di mezzo e impossessarsi dei loro beni, e ci riusciranno) al tempo di Artaserse I, ma avrà a disposizione certamente l’abc del codice sacerdotale, il codice razzista dei reduci da Babilonia che ora (appoggiati dal re persiano) vogliono tutto il potere per sé, sia contro i rimasti in Gerusalemme, sia contro l’ala dei rimpatriati siloiti dall’Egitto (di cui finora si sono serviti come cavallo di Troia per entrare a Gerusalemme).

Con Nèmia i reduci da Babilonia, sentendosi forti abbastanza mirarono a prendere il potere tutto per sé.  Prima, re Zorobabele fatto fuori (non si può più far riferimento al patto sudista fra dio e Abramo e alla casa di David), ci si può solo avvalere del patto con il popolo di Mosè siloita e deuteronomista, poi, grazie ormai al potere raggiunto con l’avallo del re persiano e dei siloiti,  gli “aronniti” si propongono  come sola classe sacerdotale riconosciuta in quanto rifacentesi ad un Aronne  “fratello maggiore” di Mosè.

 

Con Nèmia secondo Sacchi e chi si esprime come lui nasce il Secondo Sadocitismo. In realtà è più pertinente distinguere la fase siloita (Primo Sadocitismo) e poi la fase aronnita (Secondo Sadocitismo). Pare che Sadoq fosse sacerdote del tempio di Gerusalemme quando David conquistò la città. Dunque Sadoq sarebbe stato sacerdote atoniano. Ma da come si svolsero le cose è evidente che non si possa considerare capostipite degli “aronniti” di Babilonia, e a maggior ragione dei “musiti” d’Egitto. La prima missione di Nèmia è del 445 a. C. Se è certo che Nèmia è un razzista e si batte per il ripudio delle donne straniere da Gerusalemme, non può assolutamente basarsi sul Deuteronomio. La politica razzista la comprendo bene da parte di Ezra, la cui missione è del 398, sotto Artaserse II, sulla linea del codice Sacerdotale. Nèmia raduna l’assemblea  per accertare chi appartenga o meno alla discendenza degli esiliati. Chi non vi appartiene viene escluso dalle cariche.  Convoca un’assemblea in cui il popolo si impegna per iscritto a non concedere più i propri figli in matrimonio  alle figlie degli stranieri, a rispettare il sabato, a offrire al tempio tutto ciò che gli è dovuto. Il documento fu firmato da tutti i maggiorenti.  I “regalisti” (adesso che senso ha definirli tali?) hanno la torah del sacerdotale e di J, che io credo appunto di redazione tarda, del secondo sadocitismo. Da un certo momento in poi Nèmia convocò solo assemblee di rimpatriati. Solo i reduci da Babilonia, i sudisti aronniti (sdoganati dai nordisti siloiti musiti reduci dall’Egitto con i seguaci di Geremia) hanno ora tutto il potere. Si potrà in seguito affermare come se fosse una verità storica che tutti gli ebrei erano stati deportati in Babilonia da Nabucodonosor (2 Chr 36, 20), e ciò perché solo questi erano ormai diventati i veri ebrei, quelli riconosciuti. Come si possa giustificare l’azione di questi inviati senza un appoggio militare persiano non riesco a comprendere. I razzisti amano far vedere che fanno tutto da soli, magari bastandogli l’aiuto di Yahweh. Guai ad ammettere che sono stati i soldati persiani a consegnargli le chiavi di Gerusalemme. E dunque i persiani ci sono!, anche se da  Giosuè a Nèmia a Ezra non se ne  parla. Gli ebrei continuano a vivere sotto la dominazione persiana, con un governatore che (anche se ebreo) deve rendere conto al re persiano. Pagano tributo alla Persia.  Ritornato a Susa Nèmia, il partito siloita pacifista e sincretista  riprese forza, cosicché verso il 430 (faccio una media dell’arco di tempo possibile) Nèmia torna a Gerusalemme, chiude l’ufficio dei Tobiadi all’interno della banca-tempio di Gerusalemme (ci si ricordi di ciò dopo che quel “sepolcro imbiancato” di  Gesù fa la sua scenata fuori luogo contro i mercanti del tempio! Voglio dire che se era davvero figlio di Yahweh, e non lo era, doveva sapere che suo padre così aveva tollerato che funzionasse il suo tempio fin dall’inizio dei tempi, dalla fine del VI secolo!) e apre l’ufficio dei banchieri rimpatriati. Così il credito è tutto in mano ai rimpatriati, che possono strangolare chi vogliono. O con noi, o via da Gerusalemme! Scatena una persecuzione morale contro chi ha sposato una straniera. Costui può essere percosso e rasato.  Nèmia garantì  le decime al tempio e l’osservanza del sabato. Voglio sottolineare che Nèmia sostiene i reduci da Babilonia e dunque la sua è al contempo una guerra totale contro i siloiti reduci dall’Egitto e sostenitori del Deuteronomio. Anche Nèmia deve essere Sacerdotale.   Poiché a Ezra viene attribuita l’applicazione di P e la radicalizzazione del segregazionismo, devo concludere che è esatto porlo dopo Nèmia e dunque nell’anno 398 di Artaserse II. Notare che Ezra portava a Gerusalemme la Legge che era approvata e soprattutto imposta dal re persiano, cioè, una volta approvata, questa era la legge del re persiano, da lui garantita e imposta.

“ E tu, Ezra… costituirai dei giudici e dei magistrati, che amministrino la giustizia su tutto quel popolo che è a occidente dell’Eufrate [Transeufratene, V satrapia, MGC], su tutti coloro che conoscono la Legge del tuo Dio; a chi non la conosce dovrete insegnarla. Anzi, chiunque non osserverà la Legge del tuo Dio che è la legge del re sarà punito con la morte o con l’esilio, con una multa o con la prigione “ (Re 7, 11-26). Certo gli Ebrei di Gerusalemme non avevano il potere su tutta la Transeufratene e dunque ritengo qui si tratti di un  falso templare mirante a crearsi una piattaforma ideologica per aspirare al dominio sia pure teorico sulla Transeufratene.   Questa idea del grande Israele  che va dall’Eufrate al mare era già del Redattore e si trova in Gios  I, 4.   Se è Ezra il redattore finale del Pentateuco, questo deve essere stato compiuto fra fine V-inizio IV secolo. Mi pare una datazione ragionevole, seguita dalla sua traduzione in aramaico, voluta da Artaserse (II?), e in  greco, voluta da Tolomeo II Filopatore. E’ ovvio che dopo queste date non è più possibile datare il Pentateuco posteriormente. Scrive Sacchi che « oggi sembra più probabile… che l’ebraico fosse la lingua parlata dal popolo e l’aramaico dalla classe superiore. Secondo la tradizione furono gli ebrei rientrati in patria con Ezra i primi che ebbero bisogno di sentirsi leggere la Scrittura in aramaico, e non erano certo la classe più bassa della popolazione. » (op. cit., p. 148). Non ho affrontato il problema con la dovuta profondità. Trovo curioso che la pronunzia dell’ebraico moderno ricalchi quella dura dell’arabo dell’Egitto, che ad esempio dice Ghiza invece di Giza. Questo rimanderebbe ai Leviti di Geremia e dunque all’ebraico come lingua dei rimpatriati dall’Egitto. Ricordo che anche nel lavoro precedente mi era parso più antico l’uso dell’aramaico nei testi biblici, poi sostituito dall’ebraico. L’aramaico potrebbe essere stato il tramite dei racconti arabi giunti agli ebrei.

 

Dunque ecco come avviene che Mosè diventa il personaggio più importante del Pentateuco (perché la religione dei  Giudei si rifà adesso più a Mosè, tramite Aronne, che ad Abramo e David; sono diventati yahweisti e dimenticano almeno in apparenza il loro originario atonismo; probabilmente, come accade ai neofiti, diventano più zelanti degli adepti originari) e finisce anche per essere creduto dalla tradizione giudeo-cristiana come Autore del medesimo. Quando gli aronniti saranno al potere faranno uscire allo scoperto P con Aronne che prevale su Mosè demitizzato e la redazione finale (Ezra) con  un codice J di età persiana. Friedman data Ezra al tempo di Artaserse I e dunque  il Pentateuco daterebbe prima del 458 (V secolo, l’età di Pericle). Ma Friedman ha una posizione minoritaria. La più parte dei biblisti data la missione di Ezra al 398, anno settimo di Artaserse II (IV secolo). Dunque la redazione finale del Pentateuco risale a fine V secolo-inizio IV.

Probabilmente  i codici E e D non fanno cenno all’Arca per un solo valido motivo (non perché i leviti di Silo al tempo di E e D non vi avevano accesso, come sostiene Friedman; ritengo che i Leviti, la 13a tribù senza territorio, siano i postesilici dall’Egitto, ed è pertanto logico che portino fra l’altro nomi egizi), perché i siloiti sapevano che questa era stata portata via dai Romani nella battaglia di Afeq e non più restituita. Non fanno poi cenno ai cherubini/sfingi di Aton  e agli altri oggetti conservati nel I tempio (pseudo tempio di Salomone) di Gerusalemme perché questo è un tempio egizio, certamente atoniano,  sul sito ora occupato dal monastero domenicano francese di St. Etienne. I due pseudo cherubini posti nel Santo dei Santi del Tempio di Yahweh a Gerusalemme  erano al contrario due sfingi, e cioè la rappresentazione dell’Atum di On, Eliopoli, il che rinvia al fatto che questo tempio fosse egizio di culto atoniano e risalente al tempo di Ekhnaton, 1350 ca. Dunque stabilisco che non esiste alcun tempio di Salomone, ma solo un tempio di Aton predavidico, le cui rovine sono state riportate alla luce. Perciò è certamente questo il Primo Tempio, il tempio in onore di Aton. Le due sfingi erano il punto di sostegno su cui poggiava il trono dell’invisibile Aton/Yati. Si dice che sotto le ali dei due cherubini/sfingi si trovasse al centro della stanza l’Arca, lo scrigno d’oro con le Tavole della Legge di Mosè. Appare evidente l’incongruenza. Poiché l’arca era alla testa degli assalti degli Shardana di Silo, verisimilmente un sarcofago del dio della morte, della peste e della guerra di questi sciagurati (degradazione dell’indoario Giove, Giovè, Giavè); poiché inoltre questa arca fu catturata dai Romani nella battaglia di Afeq e non certo restituita agli Shardana, perché i Romani non credevano alla superstizione e semmai avrebbero distrutto lo squallido simbolo della coalizione nemica, questa sparisce dalla circolazione. Il fatto è che un oggetto impuro come l’arca degli Shardana non sarebbe stato ammesso nel Santo dei Santi di Aton. Probabilmente il Santo dei Santi di Aton sarebbe stato trovato completamente vuoto, come in effetti lo trovò Pompeo scoprendo l’inconsistenza del mistero che lo circondava  (Tacito, Hist., 5, 9: vacuam sedem et inania arcana). Inoltre, che senso avrebbe avuto conservare le leggi di un Mosè shardana sotto la protezione delle ali delle sfingi dell’Atum? Mosè è invenzione tarda. In ogni caso le sue leggi sarebbero andate bene in Israele fino alla caduta di Silo, dopo di che quel che rimase del clero relativo, sterminato dai Romani, visse forse confinato in Anatot, certamente  in clandestinità fino a Giosia e Geremia.

Lo studio delle differenti redazioni che poi qualcuno alla fine ritagliò e ricompose insieme è assai complesso, tanto che il lavoro dello stesso Friedman mi appare contraddittorio e incerto in più punti. Il quadro che emergeva e che alla fine fu portato alla vittoria da Wellhausen portò lo stesso De Wette, che aveva identificato la fonte D, a rifiutare che una parte tanto cospicua delle leggi fosse così tarda, sostenendo che ciò equivaleva a “fondare le origini della storia ebraica sul nulla più rarefatto, anziché sulle grandiose creazioni di Mosè”. Dal punto di vista tradizionale si fece osservare che la conferma di una tale tesi avrebbe rivelato un Israele dei primi secoli non soggetto ad alcun tipo di legge. E infatti la visione minimalista della Bibbia è quella più realistica. Per quanto io stesso ci ritorni continuamente sopra, per scrupolo di verità, ritengo, prendendo come spunto il lavoro di Friedman e le mie scoperte, che la Bibbia sia esilica e postesilica.

Certamente dobbiamo analizzare il testo biblico pervenuto fino a noi, perché è tutto quello che abbiamo, ma per fortuna possediamo i dati forniti dalla storia del Vicino Oriente, dai documenti egizi, assiro-babilonesi eccetera, tutto un insieme di elementi di confronto per riportare il testo biblico alla sua reale verità storica. Il problema non è che i dati linguistici, letterari, storici e archeologici non ci siano. Stando ai lavori come quello di Friedman (che comunque ha scritto un lavoro che può servire bene da introduzione all’analisi documentaria della Bibbia) si percepisce che gli studiosi sono in generale troppo creduloni circa le affermazioni del testo biblico (o di qualsiasi altro documento antico) e poco o nulla capaci di afferrare la loro infondatezza ponendoli sotto la lente dell’archeologia, della linguistica, della letteratura, della storia del Vicino Oriente. Manca sicuramente una cultura pluridisciplinare. Se avessero davvero spirito critico e conoscenze storiche, linguistiche, letterarie, archeologiche, arriverebbero a raccogliere una gran massa di dati, ciò che io ho fatto e continuo a fare.   

 

E’ interessante notare che P, parallelo a J (cioè “aronnita”), utilizza Elohim, non Yahweh. Dunque si adegua alla tradizione ormai affermatasi a Gerusalemme dopo l’arrivo dei siloiti dell’Egitto. Francamente trovo strano che qualcuno abbia voluto sottolineare il nome di Yahweh in un documento che ritengo tanto recente come J. Nella Gerusalemme che ormai venerava Yahweh shardana  sotto il nome di Elohim (almeno fino alla rivelazione a Mosè) c’è qualcuno che ha intenzione di ricordare le antiche origini di Giuda, di Abramo/Giuda/Minosse visir, di Giuseppe/Ey suo figlio faraone, di Asenat/Ankhesenaten sua moglie, della Bellissima/Nefertiti, dell’Eunuco di On/Ekhnaton, non più sotto il nome di Atum/Aton, ma comunque in un codice, l’unico, in cui si utilizzi, in età precedente alla rivelazione di Mosè, il nome di Yahweh. Poiché Yahweh è il vero nome originario del dio degli Shardana e Danai razzisti portato alla luce da Mosè e diventato l’unico dio di tutte le correnti politiche di Gerusalemme, probabilmente questo codice ha due caratteristiche strettamente intrecciate: da una parte deriva da un codice arabo che ha trattato di questa materia da un punto di vista arabo con Yahw il dio Luno al centro; dall’altra conferma di essere molto recente, qualcosa che circola in area araba, dal Sinai a Madian alla punta meridionale dell’Arabia, a Edom, fino a Babilonia dove gli “aronniti” poterono consultare biblioteche pubbliche e private.   

 

Ho cercato di ricostriuire al meglio gli antefatti della civiltà giudea ed israelita che alla fine si unificano  nel II tempio, dal V-IV secolo in mano agli “aronniti” (ex atoniani, yahweisti acquisiti) reduci da Babilonia. Ovvio che le origini ariane (mitanniche e atoniane) si obliterino via via per costoro. Ad obliterare quelle che hanno rilevato dai musiti (le origini dagli Shardana del Mar Nero) ci ha già pensato il seguace di Geremia col falso esodo dall’Egitto dei suoi Leviti. Due religioni distinte seppure in qualche modo originarie da un’area armena comune si trasformano nell’unica religione yahweista che vede come protagonista Mosè levita (discendente da Israele/Giacobe hyksos). Tutto ciò non può che continuare a  farmi pensare ad una religione falsa, priva di tradizione,  quasi che sia stata in qualche modo pescata in un determinato ambiente e fabbricata ad arte con la supervisione  dei sapienti persiani (anche su ciò ho scritto ampiamente sui miei siti; si ricordi il parallelo fra il filosofico “Io sono colui che è” di Delphi, e l’ignorante “Io sono colui che sono” di Gerusalemme)  che poi saranno gli stessi (i tre re Magi!) a fabbricare ad arte il cristianesimo in funzione antiromana. Quando  nel VI-IV secolo del II tempio  per la prima volta ci troviamo di fronte al yahweismo e agli Ebrei in formazione, lo scenario non è più quello euroasiatico  di maryannu carristi mitannici veneratori di Aton o anche di bande di predoni Shardana e Danai guidate da sciamani invasati come menadi dietro a un Yahweh/Dioniso sanguinario, bensì quello da Mille e una Notte, fra sceicchi arabi, mercanti nabatei, regine lascive, eunuchi persiani, geni della Lampada, in uno scenario di monti davanti ai quali fantasmi di antichi guerrieri e divinità obliate  giocano con la Luna placida nel cielo notturno. Erodoto, che vive  nel V secolo di Nèmia, nella regione non vede ebrei ma arabi, mentre sul prisma del re assiro Sennacherib, che impose il suo giogo sullo stato di Giuda, si legge di “Ezechia il giudeo” (715-687 ca.), va bene, ma poi: “La paura istillata dallo splendore della mia maestà sopraffece Ezechia; e gli Arabi e le truppe scelte che egli aveva radunato per assicurare Gerusalemme, sua residenza reale, deposero le armi.” (Richard Elliott Friedman, Chi ha scritto la Bibbia? Bollati Boringhieri, 1991, pp. 81 e 82).  Mosè riceve la rivelazione di Yahweh in territorio arabo (e non è un caso che gli islamici secondo i loro libri sacri e tradizionali credono nell’esistenza e nelle vicende degli stessi protagonisti biblici, Abramo, Ismaele, Isacco, Mosè),  nel Madian (a S della Palestina), distretto dell’Arabia Saudita nel Higiaz, sul Mar Rosso (Golfo di ‘Aqaba), confinante a nord con la Giordania. Dunque Yahweh in territorio arabo. Abramo l’arabo (al cui tempo dio non si rivela col nome di Yahweh) diventa padre degli Arabi (Giudici, 8:24), tramite Ismaele suo figlio primogenito. Questi indizi non vanno sottovalutati, perché stanno all’origine della redazione biblica fra esilio e ritorno a Gerusalemme.  Ora, se gli Ebrei o Giudei o Siloiti (Israeliti), o comunque li vogliamo chiamare, avessero avuto una tradizione autentica intorno a Yahweh, non assisteremmo a tanta reticenza o comunque scarsezza e confusione di prove, tanto più avendo a disposizione una Bibbia, che, tutti riconoscono, è un  “mattone” di documenti. La religione ebraica così come pervenuta al II tempio di Gerusalemme  pare non avere  alcun legame con gli antefatti di cui abbiamo discusso.  Voglio dire che le informazioni storiche che io ho ricostruito da tempo sui Mitanni (che riconducono ad Aton di Giuda) e sugli Shardana (che riconducono a Yahweh/Giovè indoario di Israele) sono corrette, sono storicamente reali, ma non sembrano avere niente a che fare col Yahweh che poi troviamo a Gerusalemme dal II tempio. Se Yahweh di Gerusalemme del II tempio vi è stato portato da Madian e comunque secondo gli Ebrei aveva in Madian il suo centro originario, ci troviamo davanti  ad un nuovo lavoro da fare. Questo Yahweh  è una cosa completamente nuova.  Dal punto di vista etnico (viste anche le vicissitudini dei matrimoni misti che ad ogni dipartita di questo o di quell’inviato riprendono alla grande) non c’è da poter giurare sulla purezza della razza ebraica. Dal punto di vista della religione, che si adori Yahweh o Topolino, per gli Ebrei del II Tempio l’unica cosa importante (ce lo insegna Friedman, pp. 79, 101) è che se uno si vuol mangiare una mucca o una pecora in santa pace non può ammazzarsela da solo in casa sua ma (ecco l’unico motivo dell’esistenza del Tempio e del suo clero!) deve recarsi al macello-tempio di Gerusalemme (e solo a questo macello-tempio, che è anche una banca) per farla macellare dal clero macellaio autorizzato, che, per il suo disturbo, trattiene una decima parte (la migliore ovviamente). Dal punto di vista della Persia, Gerusalemme e la sua amministrazione servono al controllo della regione anche in vista dell’espansione verso Occidente, la Grecia prima e poi, chissà! Non mi stupirei se nelle mie ricerche future venissi a scoprire la paternità araba assoluta e completa della religione di Yahweh adottata da Geremia (il sacerdote clandestino in cerca di un tempio, veneratore del Serpente Necustan di Mosè) e poi dagli “aronniti” come base del loro potere su Gerusalemme città araba. E visto che mi ci trovo, avendo a disposizione qualche indizio ulteriore, ne approfitto. E’ stato un caso che mi sia imbattuto in queste considerazioni che all’inizio mi erano apparse marginali, come potrebbe essere marginale lo scenario temporale (tardo) dei racconti intorno a un ingenuo Giuseppe concupito dalla bella moglie viziata di un eunuco persiano, o a un genio della lampada Yahweh  che da un roveto ardente, a chi gli domanda “chi sei? ”, risponde  presuntuosamente: “Sono io!” (Yah  weh, Io sono; cf. Es 3, 14) e invita a togliersi i sandali come prescritto nelle attuali moschee.

Devo dire che se Mosè vive con Ietro in Madian , il luogo della rivelazione di Yahweh non può trovatrsi altro che nei dintorni, per cui la collocazione in Edom/Seir dell’Oreb o Sinai da parte di Collins e Ogilvie-Herald nonché di Phillips, mi appare più che plausibile. Importante mi appare subito il capitoletto I piedi del Dio, dove fra l’altro si mette a confronto il passo appena citato di Esodo con alcune paia di piedi giganteschi scolpite sulle pareti rocciose, di solito alla base dei monti, nella cosiddetta Valle Segreta della Piccola Petra, dove sono monumenti nabatei. “ La loro enorme dimensione, e il fatto che compaiano sempre in posizione ascendente, indicano che sono stati concepiti per rappresentare i piedi di certi dèi, o di un solo dio, che si riteneva avesse abitato nella regione. Per i beduini le sculture rappresentano un segno del fatto che il sito è sacro e che essi si dovrebbero togliere le scarpe prima di procedere oltre, com’è uso nelle moschee (si ritiene inoltre che i piedi scolpiti denotino la presenza di fonti d’acqua, e sono considerati segni di buona fortuna). “ (p. 285) Anche interessante è il collegamento fra il dio Usous/Esaù inventore degli abiti per ricoprire il corpo, che egli creava dalle pelli delle bestie selvatiche  (p. 288; noto che anche il dio dell’Eden assomiglia a Usous, in quanto dopo il peccato originale fece tuniche di pelli per coprire Adamo ed Eva, Gen 3, 21) di Sanconiatone, autore di una teologia dei Fenici, e i due obelischi di Zibb Attuf che Graham Phillips propone come i piedi di Dio che riposano sul monte Sinai, il monte di Dio (p. 285). Sanconiatone sostiene che Usous “ Consacrò due pilastri al Fuoco e al Vento, e li adorava, e spargeva su di loro il sangue delle bestie selvatiche che prendeva a caccia: e quando questi uomini [cioè Usous e suo fratello Ipsuranio] furono morti, quelli che rimasero consacrarono loro delle aste, […]  adorarono i pilastri e tuttigli anni, in quel giorno, tennero delle feste in loro onore “ (p. 289). In questa regione vivevano gli Shasu che, fin dal tempo di Amenphis III, compaiono in iscrizioni della Nubia ricollegati col culto di Yahw (t3 ssw yhw, “Yahw della terra Shasu/Edom”; non è un tetragramma, bensì un trigramma!) che molti identificano con Yahweh. Yahweh era una divinità feroce che dunque ben combacerebbe coi selvaggi Shasu. Se non che tutte le popolazioni che ritroviamo in area in età più documentata venerano la Luna o un dio Luno pastorale, col quale francamente Yahweh non ha nulla a che fare. Il dio Luna è un dio arabo attestato a Petra dei Nabatei. Anche Abramo viene tardamente ricollegato ad Ur di Babilonia e ad Harran,  dove si conosceva un culto di Sin, dio lunare. E’ evidente che (la penisola del) Sinai è stata ricollegata al culto di Sin. Mi chiedo se il nome della rocca di Sion, su cui sorge Gerusalemme, non derivi dalla stessa epoca araba e da un culto a Sin che vi si praticava prima del II tempio. Tutto ciò mi induce a ritenere con forza l’esistenza di tradizioni  arabe che narravano la storia dei patriarchi  da cui gli ebrei hanno tratto la loro. Rielaborata dagli arabi la tradizione dei patriarchi, li faceva adoratori della Luna o di un dio Luno (Yahè, egizio gerogl.= luna, o Yahw). Era una tradizione  non volutamente falsificata ma nata dall’ignoranza, dall’unico contesto culturale che conoscevano, quello pastorale in cui vivevano e che deve essere stato lo stesso per tutte le comunità pastorali, anche quella ebraica prima di aderire al culto di Yahweh, che aveva un’assonanza così spiccata col dio Luno da poter  essere confuso col medesimo.

In egizio geroglifico luna si scrive yahè. Yahw (che è un trigramma e non un tetragramma!) dei testi associati agli Shasu di Edom potrebbe benissimo essere il riferimento ad un dio Luno venerato dai medesimi. E’ dunque possibile e probaile che i  selvaggi e turbolenti Shasu di Edom venerassero una pacifica, pacificissima luna pastorale, come tutti i proto-arabi a loro succeduti nella regione. In un documento di circa il 1220 a. C. (Papiro Anastasi IV, 18) si legge che gli Shasu di Edom sono passati nella fortezza di Merenptah… ai pozzi d’acqua di per-Atum/Pitom biblica, nella città di frontiera di Tjekku/Succot, per la sussistenza propria e quella delle loro greggi. In questo stesso periodo storico i faraoni, fra cui Ramses II, compiono azioni militari anche contro gli Shasu,  e se fossero stati davvero così cattivi avrebbero cercato di sterminarli in ogni occasione possibile, altro che ospitarli in caso di carestia.  Per quanto cattivi e scomodi (il racconto di Manetone riportato a storia conferma che Sethi I combatté contro  gli Shasu, a Raphia, per nove pozzi d’acqua!, Grimal, p. 321) gli Shasu non sono cattivi quanto gli Shardana e Danai, figli del Male incarnati, che portano nella piana di Israele e a Silo, dalle rive del Mar Nero, un dio di origini indoarie di nome Dyaus (il Cielo) il loro Yahweh (Giovè, Giavè, Zeus), signore della guerra santa e dell’olocausto. Si tratterà di depistaggio laddove si collega Yahweh ad Edom/Seir/Sinai come nelle parole di Mosè: “ Yahweh è venuto dal Sinai, E’ spuntato per loro dal Seir. “ (Deut. 33: 2) o come nel caso analogo del Canto di Debora (Gdc 5: 3-5). Non Yahweh è venuto da Edom, ma Yahw, un dio Luno. La sciatteria degli ebrei/cristiani, dopo le mie ricerche, è proverbiale. Fanno di tutto per nascondere la loro relazione con gli Edomiti con i quali si sentono evidentemente imparentati (il vago Isacco è capostipite di Edomiti adoratori della Luna e di Israeliti/Hyksos adoratori di Seth), ma che censurano per vari rancori, e poi rispunta fuori un presunto legame di origine di Yahweh (di Yahw!) da Edom. Quelle poche idee che vagano nella loro testa  sono tutte confuse. La conclusione cui giungo è che il discepolo di Geremia colloca effettivamente la rivelazione di Yahweh a Mosè nei dintorni di Madian ed esattamente in Petra nabatea di Edom, dove però viene venerato, almeno dal tempo di Amenophis III, un dio Luno che è lo stesso dei proto-arabi che rielaboreranno per primi i testi che associano Abramo, Ismaele figlio di Agar, Madian, figlio di Chetura, e gli altri patriarchi con Yahè la Luna e  Yahw (dio Luno), che Geremia leggerà Yahweh (il dio  guerriero della pestilenza e della morte degli Shardana e Danai).  Anche la stele di Israele del tempo di Merenptah non è un documento da cui si possano trarre illazioni: “ Israele è stata completamente rasa al suolo, non c’è più il suo seme “ (non: Israele è stata completamente rasa al suolo, non il suo seme; questo modo di tradurre troppo letterale non rende giustizia al testo e lo travisa facendo credere che comunque il seme sopravvive; non è affatto così; si vuole sottolineare che non rimane nemmeno il seme, estirpata del tutto; il che poi non vuol dir nulla, perché i faraoni egizi sparavano delle sentenze di vittoria che non corrispondevano affatto alla verità; ci si può scommettere che alla fine qualche sopravvissuto c’era, come gli inestinguibili superstiti siloiti!). Che senso dare ad una frasetta buttata lì senza ulteriori raffronti? Può uno storico ricamarci sopra? Può trattarsi tanto della terra della piana di Israel abitata da chissà chi (e chi vi si sovrappose, come gli Shardana e Danai, trassero il nome Israele dal suolo). Non abbiamo nessun diritto di costruire castelli campati in aria. Occorre avere pazienza (attendere ulteriore documentazione) e lavorare intanto su materiale solido. Con ciò non intendo frenare la fantasia creatrice di ipotesi. Questa è molto importante, purché, una volta fatta una ipotesi come che sia, sia suffragata poi da prove concrete. La Bibbia non è un testo storico, bensì un testo politico che mira a ingannare e manipolare chi lo legge (Se lo dice Geremia dobbiamo pur crederci!). Chi crede sia possibile dimostrarne passo passo la veridicità è uno sciocco, non uno storico.             

 

Voglio ancora dedicare qualche riga al serpente Necustan di Geremia, Giosia e Mosè. Tanto per cominciare Mosè era levita ed ebreo. Se fosse stato allevato alla corte egizia del faraone come un qualsiasi principino regale egli avrebbe accoppato l’ebreo rompicoglioni e non l’egizio. In ogni caso fu un assassino. Non è certo edificante avere un profeta che introduce una divinità malvagia che oltretutto è un assassino. E’ tutto un programma. Vediamo l’altro versante della storia. E’ abbandonato dalla madre ebrea e levita  sulle rive del Nilo per salvarlo dalla morte che il faraone ha decretato di ogni maschio nato da ebrei (la solita strage degli innocenti imputata dai giudeo-cristiani agli altri, ai cattivi, quando i soli e unici cattivi sono proprio loro), ma la deficiente figlia del faraone, invece che nella vasca del suo palazzo, va a fare il bagno nel Nilo limaccioso, vede il bimbo nella cesta e lo riconosce proprio come ebreo  (non oso immaginare da cosa lo abbia riconosciuto). Sai che tuo padre li fa sterminare i figli degli ebrei. Dunque ignoralo e tornatene a casa. No! La sorella ebrea di Mosè, altra deficiente, s’era messa a vedere che fine faceva il fratellino abbandonato nella cesta (che vuoi che fine faccia?). Cosa fa non appena vede la figlia del faraone che s’è accorta del bimbo? Si fa avanti come se il fratello  non fosse un ebreo destinato a morire ma   un gioiello di valore che la principessa non vedeva l’ora di trovare: “Devo andarti a chiamare una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?”   Pure razzista, perché se la principessa vuole il bambino per sé vuoi che non trovi una egizia che lo allatti per lei? Ma la figlia del faraone risponde  sì. La sorella di Mosè  le porta la madre e la figlia deficiente del faraone dice a questa di portarsi via a casa il bambino  e di allattarlo  in cambio di un salario (poi si dice che gli Ebrei non siano strozzini nati!). Stanti le disposizioni del faraone questo bambino finirà presto o tardi ucciso dai soldati egizi. Per fortuna si tratta solo di una stupida storia degli stupidi ebrei. Quando il bambino fu cresciuto la madre lo portò dalla figlia del faraone che lo trattò come figlio e gli diede il nome di Mosè. Probabilmente Mosè era già troppo cresciuto come ebreo per sentirsi un egiziano, in ogni caso mi sembra uno di quei rampolli deficienti (ogni tanto uno ne capita) delle grandi dinastie industriali italiane, che pisciano nel piatto  in cui mangiano.  

Cominciando da zero a indagare su Mosè, dobbiamo partire dal Madian e da Ietro, sacerdote (di Yahweh? o di Necustan?) nel Madian. Proprio all’inizio di Genesi facciamo la conoscenza di Yahweh  e del serpente “cattivo” (Necustan).  Il Serpente induce  Eva a mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male nel mezzo del Paradiso terrestrestre.  Satana dice ad Eva che non è affatto vero quel che ha detto loro dio, che morranno se mangeranno di questo frutto che oltretutto è buono a mangiarsi. Essi al contrario diverranno sapienti come dio. E difatti Adamo ed Eva  mangiano del frutto dell’albero e, manco a dirlo, si accorgono di essere intelligenti e, viceversa, dio, ora  che sono come lui, come aveva promesso il Serpente, deve ammettere di aver  mentito, e li caccia dal Paradiso affinché non diventino anche eterni come lui dopo aver mangiato dell’altro albero, quello della vita eterna. Ma questo serpente non è forse il dio forgiato in bronzo  da Mosè, il famoso Necustan venerato alla corte di Giosia la cui nuora si chiama Necusta? Dunque alla fine non è forse vero che Geremia siloita venerava il serpente del Madian?  (e Friedman oltre alla notizia del rapporto fra Geremia la corte di Giosia e Necustan ci da a conferma la scoperta archeologica nel Madian di un piccolo serpente di bronzo)  Studiando il paradiso mitannico nel mio lavoro Atlantide ho ricostruito che l’albero della vita vi era difeso non dal serpente, bensì dall’uccello grifone del Sole. Chi vi ha sostituito il serpente avversario di dio (eppur intelligente, sapiente e sincero), in qualche modo voleva punire Geremia e i suoi trasformando il loro dio in un dio malvagio e contrapponendolo al  Yahweh ebraico. Ovviamene costui era un aronnita, Ezra, autore di J, che appunto è l’unico codice che tratta questa materia. Ma nonostante l’intento malvagio Ezra non riesce a rendere questo dio Necustan mentitore. E’ Yahweh il mentitore. Necustan di Madian,  al centro del Paradiso terrestre, è un dio amante della verità e della scienza contro un Yahweh amante dell’ignoranza e mentitore. Conoscendo l’astuzia dei preti attraverso tutta la storia dell’umanità in cui li ho inseguiti, non mi stupirebbe che alla fine lo stesso Ezra prendesse in giro i suoi contemporanei creduloni. I preti fino al tempo di Lutero hanno accumulato scienza e lasciato il volgo alla sua ignoranza per sfruttarlo ben bene. Ma grazie a Lutero. che ha insegnato a ciascuno a usare la propria testa per interpretare la Bibbia,  le cose sono cambiate e, mentre gli Stati sono in ascesa, la Chiesa è in un ineluttabile declino.   

 

Un discepolo di Geremia (VII-VI secolo)  siloita (cioè di origini shardana e danae) attribuisce ad un tardo Mosè levita (mai esistito ma “reduce” dopo il 525 dall’Egitto) la rivelazione a Petra nabatea in Edom (dove in realtà era venerato un dio Luno, Yahw) la rivelazione dello shardana Yahweh proveniente dal Mar Nero intorno al 1200 a. C. Ne deduciamo che aveva pudore a presentare al culto il dio spregevole degli spregevoli Shardana e Danai e, come aveva dissimulato il loro esodo dal mar Nero dietro all’esodo dall’Egitto, ecco che, già che c’era, lo dissimulò dietro al pacifico dio pastorale dell’arabo Edom dei Nabatei nelle prossimità dell’araba Madian. Il violento dio Yahweh ci guadagna ad essere confuso con quello che  da tempo immemorabile aleggia su quell’anfiteatro naturale di monti fatati, dominati da una diafana Luna, che costituiscono la Petra dei ricchi mercanti Nabatei, paesaggio da Mille e una Notte. E nonostante le continue manifestazioni di odio nei confronti degli arabi edomiti (i primi a venerare yahw, la luna, non Yahweh!), con cui dovevano avere in origine il comune culto lunare (edomiti di Esaù e israeliti  di Giacobbe si facevano discendere dal vago Isacco) gli ebrei non si vergognano (Ezra) di presentare Esaù/Usous nelle vesti del dio Yahweh che fabbrica vestiti di pelle per Adamo ed Eva nell’Eden dove l’albero della vita è custodito dal serpente Necustan.  

 

I codici J e P (“aronniti” di Babilonia) trattano della più antica storia di Giuda che è anche la più antica storia ebraica (essendo l’origine degli Israeliti dagli Hyksos pura propaganda al fine di apparire più antichi). Grazie allo specchietto finale dato da Friedman si evince che dalle origini della creazione  fino alla nascita di Ismaele da Abramo la materia è trattata unicamente da J e P, dopo di che la nascita di Isacco è materia comune a tutti, anche ai codici siloiti. Mi sembra un indizio sicuro che J e P derivino da un più antico codice arabo che ha trattato la materia riguardante i patriarchi da un punto di vista arabo. Cercare le tracce di questo antico codice evidentemente scomparso o mai esistito perché la materia era riportata oralmente, non è agevole, anche perché non abbiamo gran quantità di buone informazioni sulla religione preislamica. Dalla consultazione della storia delle religioni (curata da Henri-Charles Puech, Ed. Laterza, 1976), Giudaismo, Cristianesimo e Islam II,1, traggo la conferma di un diffuso culto lunare. Nabonedo fu propagandista zelante del culto lunare di Sin a Taima (p. 41). Ancora più interessante è che le condizioni di vita precarie e avventurose imposte dall’ambiente ai nomadi arabi spiegano il bisogno di conoscere cosa riservava loro il futuro. Di qui l’importanza della divinazione, la fiducia attribuita  alle profezie degli invasati dei due sessi, il requente ricorso alla consultazione delle sorti: La cleromanzia, praticata dai custodi dei luoghi sacri (kâhin da cui Caino?/ebr. kôhen, sacerdote), e che consisteva nel predire il futuro tirando a caso punte di frecce con iscrizioni (pp. 42-43; cf. gli Urim e Tummim di Aronne, Esodo 28,30, Levitico, 8,8, e di Ezra, 2,63). Nella Bibbia leggiamo del “dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, ecc.”, cioè del “dio del Tale”, che troviamo in ambiente arabo nabateo (p. 40). I raffronti si fanno più stretti quando dall’Arabia settentrionale e centrale si passa a quella assai più ricca, del sud. Qui abbiamo i santuari  delle città arabe sabee (la regina di Saba andò a far visita a Salomone portandogli il codice sud-arabico che stiamo cercando? In ogni caso la leggenda è indizio di relazioni reciproche!) che ricevono offerte e decime, sono proprietari terrieri e possessori di schiave (non so se alluda alla prostituzione sacra nel momento stesso in cui afferma che probabilmente non erano delle semplici ierodule; ma che sia così a Gerusalemme lo ricordo dall’accenno non solo alle prostitute sacre ma anche ai prostituti sacri del tempio di Gerusalemme prima della sua distruzione all’epoca di Ezechiele). Il sacrificio sudarabico si celebrava nel tempio su un altare squadrato. Abbiamo dunque un clero organizzato gerarchicamente che ha un ruolo nella vita economica, paragonato a quello dei templi sumeri (e paragonabile, aggiungo io, a quello della Gerusalemme del II tempio). Si celebravano anche sacrifici pubblici a scadenze regolari durante l’anno e olocausti, a differenza dell’Arabia del nord (p. 47). E’ conosciuta la confessione dei peccati, comprese le mancanze di ordine sessuale (rapporti con una partoriente, con una donna che ha la mestruazione, senza le abluzioni del caso), dunque norme di purezza la cui contravvenzione viene riparata anche con un’ammenda (p. 48). Dunque poiché è facilissimo confondere la penisola del Sinai con quella dell’Arabia ci si potrebbe chiedere se alla fin fine  “Mosè” non abbia trovato il dio Luno Yahw, dietro cui è stato nascosto il feroce Yahweh, nella punta meridionale della penisola Araba. Insieme a tutta l’organizzazione. Da qui è venuto probabilmente anche quel codice arabo poi verisimilmente tradotto in aramaico da cui i siloiti  trassero la religione giudaica del II tempio. Non la regina di Saba andò a trovare Salomone per la sua ridicola saggezza o il fasto della sua corte inesistente, bensì gli ebrei/arabi rimasti in Gerusalemme fecero comunque sentire il loro peso anche contro il segregazionismo di Nèmia e Ezra. La prima Gerusalemme non si distingue da una qualsiasi città araba del suo tempo e perfino i razzisti Nèmia e Ezra accettano la pratica locale degli Urim e Tummim, le punte di frecce di pietra con iscrizioni da cui trarre responsi. Erodoto è del V secolo (mentre il II tempio fu inaugurato nel 515, cioè sul finire del VI secolo) ma parla di arabi, e così Sennacherib (705-681) parla di arabi.  Maometto il mercante venne a contatto con comunità giudeo-cristiane dell’Arabia da cui apprese il contenuto dei testi religiosi.  Evidentemente i codici arabi sabei o nabatei che avevano rielaborato la storia dei patriarchi in senso arabocentrico (che erano comunque più legittimi di quelli ebraici) erano nel frattempo spariti dalla circolazione (meno probabile che non fossero mai stati messi per iscritto).         

 

L’arca dell’alleanza è legata al Signore degli eserciti Yahweh degli Shardana e Danai ed è posta al centro del santuario di Silo (Samuele IV-V) e viene definitivamente persa in seguito alla vittoria romana ad Afeq. Interessante mi pare  il raffronto fra i padiglioni sacri dei beduini che servono per comunicare gli oracoli che guidano la marcia della tribù e la Tenda dell’adunanza che è altrettanto tarda visto che ne parla il codice Sacerdotale. Essa è fatta di cuoio rosso come le cappelle mobili degli Arabi ed è ricoperta dalla pelle di un animale (il delfino? p. 91; la traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture ha la foca; tenuto conto che questo Yahweh pare un dio che si può trasformare in tutto ciò che vuole, assomiglia a Proteo, cosa fra l’altro da me già rilevata altrove. Da qui l’accostamento con le foche  o anche coi delfini potrebbe essere interessante). Il II tempio di Gerusalemme  diviene  per eccellenza il luogo delle rivelazioni divine al tempo degli “aronniti”, come ho detto poco sopra.  Gli studiosi biblici non hanno compreso che da una parte stanno i Romani cacciatori e dall’altra gli invasori Shardana e Danai cacciati. Dai poemi omerici conosciamo questi Achei e Danai dai lunghi capelli sciolti.  Coloro che sono particolarmente dediti alla guerra, i nazirei, per tutta la vita si adeguano a questa acconciatura rituale (p. 94). Dunque Sansone come Achille, ma queste pratiche non sono da ricercarsi altro che nelle barbare regioni della Tracia da cui scendono gli Shardana, lo stesso Achille tessalo, tutti circoncisi. E’ logico che combattendo contro i Romani gradualmente gli Israeliti abbiano adottato  armi e usi del nemico,  ma non è questa la genesi dello stato di Giuda, perché Saul e David furono generali romani che ad un certo momento creano lo stato di Israele a nord e quello di Giuda a sud avendo a disposizione legioni (di tremila uomini) costituite da soldati romani che conoscono l’ovazione, accompagnata dal suono della tromba ricurva, mentre le capanne (sukkot) sono le tende del tempo di guerra (come nell’Iliade) (p. 95). Fra XII e XI secolo abbiamo l’avanzata dei Romani contro i barbari che non sono riusciti a stabilirsi in Israele. A questo punto i Romani vincono ad Afeq  e stabiliscono loro regni con Saul e David. Mentre nel X secolo i Romani sono ancora presenti in zona, le notizie si rarefanno nel IX secolo, in cui i Romani/Tirreni appaiono in Oriente scambiati per pirati o diventati ormai pirati che agiscono per conto proprio, mentre nell’VIII Romolo fa il colpo di stato contro il romanissimo Tito Tazio, per cui a Roma sorge la monarchia. A questa data Roma può solo occuparsi di se stessa a causa dell’accerchiamento della colonizzazione greca, dell’invasione assira eccetera. Auspico il tempo in cui sui libri di scuola non apparirà più il 753 come data della fondazione di Roma. Non sono ancora riuscito a provare esattamente la data della fondazione di Roma, ma numerosi indizi la pongono sotto egida egizia almeno da Amenophis III, l’Eracle radicato nella più antica tradizione della Città Eterna. Anche in questo caso l’archeologia potrà un giorno, chissà, darmi ragione.                                                                                                                                                                                                    

 

Fine

 

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