“L’occidente e gli altri”

di Roger Scruton



È uscito recentemente in Italia un libro su Occidente e islam, sul primo più ancora che sul secondo, che è una lettura d’obbligo anche per i diplomatici vaticani. È stampato da Vita & Pensiero, l’editrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ne è autore Roger Scruton, filosofo e saggista inglese, già professore al Birkbeck College di Londra e alla Boston University. Il titolo originale è "The West and the Rest". La versione italiana, "L’Occidente e gli altri", è apparsa nella collana di geopolitica dell’Alta Scuola di Economia e di Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica diretta da Vittorio E. Parsi, che è anche editorialista del quotidiano della conferenza episcopale italiana, "Avvenire", ed esperto di fiducia del cardinale Camillo Ruini.

Già le primissime righe del libro vanno contro i canoni del politicamente corretto: "La famosa tesi di Samuel Huntington secondo la quale alla guerra fredda sarebbe seguito uno scontro di civiltà ha più credibilità oggi di quanta ne avesse nel 1993, quando fu avanzata per la prima volta".

Ma molto più ricco di sorprese è il seguito. Se la libertà di cui si fa vanto la civiltà occidentale comprende anche il rifiuto di sé – e Scruton riserva a questa pervasiva cultura del rifiuto uno dei suoi capitoli più fiammeggianti – allora "si tratta di una civiltà volta alla sua stessa distruzione". Viceversa l’islam si definisce non in termini di libertà ma di sottomissione: e anche questa sottomissione è autodistruttiva. È prigioniera di un testo sacro, il Corano, che finché continua a esser letto al di fuori del tempo e della storia fa di ogni musulmano uno sradicato. Nella prefazione all’edizione italiana del volume, Khaled Fouad Allam – acuto intellettuale della diaspora musulmana, algerino con cittadinanza in Italia – convalida in pieno questa condizione di smarrimento di sé, dell’islam nella modernità.

E non è tutto. A giudizio di Scruton, ciò che rende ancora più esplosivo lo scontro tra le due civiltà è l’avanzata della globalizzazione. Essa diffonde nelle nazioni musulmane immagini, prodotti e figure delle democrazie occidentali secolarizzate, sia in quanto hanno di attrattivo e vincente, per ricchezza e potere tecnologico, sia in quanto hanno di vacillante e morente, sul terreno della cultura e dell’identità collettiva. E così, scrive Scruton:

"lo spettacolo della libertà e della ricchezza occidentali, che si accompagna al declino dell’Occidente e allo sgretolarsi delle sue fedi, provoca necessariamente, in chi invidia il primo e disprezza i secondi, un cocente desiderio di punire".

Altri passaggi folgoranti del libro sono quelli che criticano la tendenza a dar vita a legislazioni transanazionali, a corti penali internazionali, alla stessa Unione Europea come superstato, in realtà nuova "mano invisibile dell’imperialismo" ed "espressione politica della cultura del rifiuto". A giudizio di Scruton solo la giurisdizione territoriale e le fedeltà nazionali possono fondare una cittadinanza condivisa e ospitale, anche per il musulmano. In Occidente sono gli Stati Uniti a tener ferma questa consapevolezza: "Il trionfo dell’America è stato di persuadere ondate di immigrati a rinunziare a tutti i legami conflittuali e a identificarsi con quel paese, quella terra, quel grande esperimento di insediamento, e a partecipare alla sua difesa comune".

Il cristianesimo è indicato da Scruton come elemento essenziale di questa cittadinanza capace di dare identità all’Occidente e di accomunare l’Occidente e gli altri, pur nella diversità delle fedi. Esso "dice al cristiano di guardare l’altro non come una minaccia ma come un invito all’accoglienza".

Ma, allo stesso tempo, il cristianesimo impone di difendere chi è aggredito. Perché la predicazione di Gesù è predicazione di pace, non però pacifista: "L’idea di perdono, simboleggiata dalla Croce, distingue l’eredità cristiana da quella musulmana. Una lettura corretta del messaggio cristiano fa del perdono dei nemici un elemento centrale della dottrina. Cristo ci ordina persino, quando siamo aggrediti, di porgere l’altra guancia. Ma […] egli ci pone di fronte un ideale personale, non un progetto politico. Se sono aggredito e porgo l’altra guancia, allora incarno la virtù cristiana della mansuetudine. Ma se mi è stato dato in custodia un bambino che viene aggredito, e porgo l’altra guancia del bambino, divengo complice della violenza. Questo è il modo in cui un cristiano dovrebbe comprendere il diritto alla difesa, ed è come esso è inteso dalle teorie medievali della guerra giusta. Il diritto alla difesa nasce dalle obbligazioni nei confronti degli altri. Sei obbligato a proteggere coloro il cui destino è sotto la tua custodia. Un leader politico che porge non la sua guancia ma la nostra, si rende partecipe della successiva aggressione. Perseguendo l’aggressore, anche in maniera violenta, il politico serve la causa della pace e anche quella del perdono, del quale la giustizia è lo strumento".

13/03/2005
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