“Io amo l’Italia, ma gli italiani la amano ?”

(Mondadori Editori)

Intervista/recensione di Tempi all’autore, Magdi Allam.

Leggo: «Se l'attentato non c'è stato, molto, ma proprio molto, si deve alla fortuna. Diciamolo pure: ci è andata bene». Ma fino a quando?
«Fra i massimi responsabili della salvaguardia della nostra sicurezza e fra i servizi segreti è diffuso il convincimento che finora l'Italia sia stata fortunata. Ma gli ingredienti perché possa accadere anche nel nostro paese quel che è successo a New York e Londra ci sono tutti. Noi purtroppo oggi ci illudiamo, non vedendo la punta dell'iceberg, di essere al sicuro. Ma il fatto che la punta non sia ancora emersa non significa che l'iceberg non ci sia. La fabbrica dei kamikaze è radicata in Italia e ancora noi ci culliamo nell'illusione di poterci mettere a letto con i serpenti incuranti che questi ci stiano iniettando il loro veleno mortale».
Sono anni che Magdi Allam mette a repentaglio la propria vita per scrivere e dire queste cose. Conduce un'esistenza sotto scorta che non ha pari in Italia. E più le minacce aumentano e più lui insiste nel denunciare, svelare e spiegare quale serpe si sia comodamente adagiata nel grembo dell'incoscienza italica. Il suo ultimo libro "Io amo l'Italia. Ma gli italiani la amano ?" (Mondadori) è il lungo e articolato racconto che il vicedirettore del Corriere della Sera fa della propria esperienza personale, microcosmo esistenziale emblematico di macrovicende planetarie.
Il nostro governo ha annunciato il ritiro dall'Irak.
”Sono molto preoccupato dall'atteggiamento dell'attuale esecutivo così come lo ero quando al governo c'era il centrodestra. Perché, oggi come allora, ancora non s'è capito che la natura del terrorismo che ci troviamo a fronteggiare è aggressiva e non reattiva. Ancora confondiamo le vittime coi carnefici, fregandocene che il novanta per cento di coloro che muoiono per mano dei terroristi siano musulmani iracheni, somali, afghani. E non è solo un problema confinabile al Medio Oriente perché il terrorismo globalizzato è radicato in Occidente, basti ricordare che gli attentatori del 7 luglio londinese erano cittadini britannici. Se continuiamo a far finta di non vedere, se addirittura ci schieriamo con loro, se continuiamo con l'equazione 'Bush uguale Bin Laden', se proseguiamo su questa strada, non faremo altro che suicidarci con le nostre mani.”
Il libro è percorso da un ‘fil rouge’ robusto: il rispetto per la sacralità della vita. E’ questo per Magdi Allam il 'principio non negoziabile' da cui partire per un corretto rapporto con l'islam ? E a proprosito di questo, lei domanda nel libro: «Perché si ostinano a impiegare kamikaze quando potrebbero conseguire lo stesso risultato mettendo bombe ?». E poi spiega: «Perché il vero obiettivo dei burattinai del terrore è distruggerci dentro prima ancora che distruggere ciò che è attorno a noi». Rimane la nostra banale domanda: che fare contro un nemico disposto a uccidere annichilendosi?
Va appunto ribadita la sacralità della vita. Partiamo da ciò che è sotto gli occhi di tutti: in quel mondo musulmano in cui vi sono quotidianamente degli attentati terroristici si è arrivati a preferire la morte alla vita. Addirittura il suicidio è ambito come bene assoluto. Gli integralisti islamici vogliono radicare nell'altro la paura del prossimo, immaginando che quando tutti dubiteremo del valore della vita loro avranno vinta la battaglia. E sarà così, se non sapremo opporci a un credo dispotico e violento che sfida le nostre certezze. Non potremo mai sconfiggere la disumanità profonda di chi è disposto a uccidere se stesso per eliminare gli altri finché non saremo in grado di estirpare il germe del male che sta nel profondo del terrorismo nichilista.
Ne saremo capaci? Lei stesso mostra bene quanto l'Occidente sia preda di 'quell'odio di sé' di cui parlò l'allora cardinal Joseph Ratzinger.
L'Occidente è malato di un relativismo che lo ha portato a ritenere che la vita possa essere manipolata, grazie ai progressi scientifici, a proprio piacimento. E l'Occidente soffre di un'altro morbo che lo ha portato a creare sacche di collusione con l'area dell'ideologismo estremista. Ho tuttavia ancora una speranza.
Quale ?
Nel libro lancio una proposta etica: la formazione di un 'Movimento per la vita e la libertà'. Certamente è una proposta che comporta un risvolto politico, ma il dato che mi preme sottolineare è che è mia intenzione creare un movimento trasversale rivolto a tutti gli uomini di buona volontà. Non mi importa se di destra o di sinistra, cattolici, laici o musulmani. Oserei dire che è una 'proposta trasnazionale'. Oggi è fondamentale sradicare la cultura dell'odio e l'unico modo è che avvengano degli incontri fra persone che riconoscano come imprescindibili i valori della vita e della libertà.
C'è anche un altra proposta: la creazione di un 'Ministero dell'Integrazione, Identità nazionale e Cittadinanza'. Il programma è dettagliato e affronta le tematiche una per una, avanzando proposte di natura anche molto pratica. Qual è però il motivo per cui lei ne sente la necessità ?
Quando negli anni passati affrontavo i temi legati alla galassia islamica - dal confronto coi musulmani, all'integrazione alla lotta contro il terrorismo - tendevo a guardare questi eventi 'dall'interno'. Oggi capisco che se non si alzano gli occhi non si riuscirà mai a capire la radice del male. Se l'Italia non è in grado di presentarsi come un modello credibile, se le leggi vengono oltraggiate dall'interpretazione di magistrati ideologicamente orientati, se non si punta su un sistema di valori condiviso, è la fine. Se lo Stato non si presenta come un interlocutore credibile, non è immaginabile che altri lo possano rispettare.
Insomma, «ognuno ha gli immigrati che si merita».
Certo, è una frase del mio libro. Perché gli immigrati sono il riflesso della realtà sociale con cui interagiamo. Per cambiare loro dobbiamo cambiare noi stessi. Quello che propongo non è quindi un 'ministero dell'immigrazione', immaginando la realtà che dobbiamo affrontare come composta da compartimenti stagni, ognuno dei quali va collocato nella sua griglia. Ma un ministero dell'integrazione, cioè un ente che si confronti con un magma in divenire e che sia in grado di individuare un nuovo modello sociale che sappia proporsi agli altri in modo credibile.
E che controlli le moschee.
Le moschee sono luoghi di culto legittimi. Che esistano le moschee è un diritto sacrosanto che non sarò io a mettere in discussione. Il problema però si pone perché oggi queste non hanno tale funzione ma sono diventate centri di indottrinamento asservite a frange di integralisti (come i Fratelli Musulmani). Vanno bonificate assicurandosi che operino nel rispetto delle leggi e che diventino parte integrante di una comune spiritualità.

20/08/2006

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