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Priorato Confraternite dell’Arcidiocesi di Genova


Centro Studi Confraternite G. Casareto



GIUBILEO E INDULGENZE


Testo di Luciano Venzano


La legge ebraica, nei tempi antichi, cercò di ovviare alle storture sociali dovute alla distribuzione delle proprietà, con due originalissime istituzioni: l’anno sabbatico e il giubileo. Ambedue queste istituzioni ave-vano lo scopo di porre limiti al diritto di proprietà riconducendolo entro una certa uguaglianza e si prefigge-vano la tutela del principio fondamentale già più volte enunciato nell’A.T.: la terra, cioè la Palestina, è pro-prietà del Dio dell’alleanza, unico signore del paese, e il suo popolo ne ha l’usufrutto, è dunque una proprie-tà limitata. Ci si prefiggeva pure la tutela dei cittadini, di ogni ebreo che per un qualsiasi motivo si fosse dato totalmente a un padrone in servitù. Ed ecco i dati essenziali della legge sull’anno sabbati-co.

Un padrone non poteva tenere un servo ebreo più di sei anni, a meno dell’espresso volere del servo: nel settimo anno gli doveva dare la libertà (Es 21,2-6). Per una serva il diritto di proprietà aveva limiti più stretti (21,7-11). Il settimo anno, detto ‘sabbatico’ dal giorno di riposo settimanale, era contrassegnato non solo dalla liberazione dei servi ebrei, ma anche dal riposo della terra: “Per sei anni seminerai la tua terra ... ma al settimo non la coltiverai e la lascerai riposare: ne mangeranno i poveri del tuo popolo e le bestie...” (Es 23,10-11).

In forma definitiva o in forma temporanea i debiti venivano rimessi o sospesi, come si esprime chiaramen-te il testo di Dt 15,1-18, Cfr. i testi di Lv 25,2-7; 26,34-35.43.

In pratica questo anno del condono è attestato da libri di data relativamente recente: Ne 10,32 e forse 5,1-13; 1Mac 6,48-54; e da Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche XI, 343; XV, 7, sebbene i passi citati anteriormente provengano da libri la cui antichità è notevolmente superiore. Questa constatazione induce qualche studioso ad avanzare l’ipotesi che i testi legislativi sull’anno sabbatico avessero, nell’antichità, ca-rattere più ideale che pratico: ma si tratta di una posizione non facilmente dimostrabile.

In questo ideale di giustizia e di uguaglianza il codice sacerdotale non solo si associa, come s’è visto, agli altri codici, ma ad essi aggiunge un testo nuovo: il testo sull’anno giubilare: Lv 25,8-17.23-55.
Sebbene il nostro termine ‘giubileo’ - “anno giubilare” - si riallacci a questo testo biblico, il contenuto e il significato sono profondamente diversi. Nell’AT il passo citato è unico e pone, anche per questo, molti problemi. Il nome deriva dal termine ebraico JÓBEL, “corno di montone” che veniva usato come tromba: l’inizio di questo anno era, infatti, annunziato dal suono grave e solenne di quest’arcaica trom-ba.

Al termine di sette settimane di anni, cioè ogni cinquant’anni, cadeva il giubileo; iniziava dal decimo giorno del settimo mese (settembre-ottobre), cioè dal “giorno dell’espiazione”: “Dichiarerete sacro il cinquantesimo anno e proclamerete nel paese la libertà per ogni suo abitante... Ognuno tornerà nei suoi pos-sedimenti, ognuno tornerà nella sua famiglia” (25,10).

Le terre restavano incolte; ogni abitante ritornava proprietario del suo patrimonio familiare: terre e case, che per qualsiasi motivo erano state alienate, ritornavano al primo proprietario.
L’inurbamento aveva già allora creato problemi particolari e il legislatore emanò disposizioni speciali. Le transazioni fondiarie dovevano essere fatte calcolando gli anni che separavano dal giubileo, poiché non era il suolo che si vendeva o si comprava, ma un dato numero di raccolti o un certo periodo di usufrutto. I servi ebrei venivano liberati e i debitori insolventi, se ebrei, erano condonati, perciò i debiti e il prezzo di riscatto dei servi ebrei erano calcolati in base al numero di anni che separavano dall’anno del giubileo.

A base di tutte le disposizioni vi erano motivi religiosi, quelli già menzionati in sintesi precedentemente: la terra non può essere venduta con la perdita di ogni diritto su di essa, perché appartiene a Dio; anche i cit-tadini ebrei non possono restare in lunga servitù, perché essi pure appartengono a Dio che dalla servitù libe-rò i loro padri: “A me appartengono i figli di Israele come servi, essi sono i miei servi che io ho fatto uscire dalla terra d’Egitto. Io sono il Signore Dio loro” (25,55).

La pratica dell’anno giubilare non è testimoniata con certezza da alcun testo. Possibile che si tratti di una legge ideale di uguaglianza sociale, di giustizia mirante a limitare il diritto di proprietà dandone le ragioni profonde in pieno accordo con i principi del diritto esposti in tutto l’AT.
Qualunque sia la soluzione a proposito della pratica, anche la sola redazione di questa legge e la sua an-nessione alla legge di santità, seppure in epoca relativamente tardiva, è una straordinaria conquista giuridica della legislazione anticotestamentaria.

Per noi il giubileo è un anno eccezionale che normalmente ritorna ogni mezzo secolo, ovvero alla fine di sette settimane di anni come previsto dal libro del Levitico nella Bibbia. E’ un anno di grazia accordato da Dio al suo popolo.
L’iniziativa di trasportare nella Chiesa questa istituzione dell’Antico Testamento fu presa da Bonifacio VIII nel 1300, a motivo di un pellegrinaggio ai santuari di Roma.

Subito il giubileo, che è chiamato anche Anno Santo, fu previsto all’interno della Chiesa ogni cento anni, ma progressivamente il periodo si è ridotto a cinquanta e poi a venticinque anni e lo spazio si allargò da Ro-ma a tutto il mondo cattolico.
Molti ricorderanno che a Roma l’Anno Santo è segnato da un gesto simbolico che è l’apertura della Porta Santa riservata ai pellegrini del giubileo.
BR> Il significato dell’Anno Santo o giubileo è quello di ricordare al popolo cristiano che deve essere un po-polo santo, quindi non è altro che un anno ordinario che deve essere vissuto in modo straordinario.
L’Anno Santo è stato aperto nel giorno della vigilia del Natale, per significare che l’uomo può operare salutarmente solo in virtù di Colui che venne a redimere gli uomini, e verrà chiuso il giorno dell’Epifania 2001.
I primi sei giubilei si aprirono e si chiusero senza particolari cerimonie. Fu Alessandro VI (1492-1503) che restaurò la consuetudine, da allora seguita costantemente, dell’apertura e chiusura della Porta Santa, benché tale cerimonia non sia essenziale agli effetti del giubileo.

Hanno la Porta Santa sulla facciata principale del Tempio (che resta murata fra un Anno Santo e l’altro) le quattro basiliche principali di Roma: S. Pietro in Vaticano (Vaticano), S. Paolo fuori le mura (ostiense), S. Giovanni in Laterano (lateranense), Santa Maria Maggiore (liberiana). La possiede, non sul fronte ma sul fianco sinistro, anche S. Maria in Trastevere, in quanto ha eccezionalmente sostituito due volte S. Paolo fuori le mura.

Per questo giubileo tutte le porte sono state aperte personalmente dal Sommo Pontefice. La prima ad es-sere aperta è stata quella del Vaticano: vestito pontificalmente, con piviale e mitra, il Papa è arrivato davanti alla porta, ha pregato, ha spinto i battenti sostituendo con questa nuova liturgia quella precedente che vedeva l’uso del martello simbolico per abbattere la porta.

Subito dopo gli stipiti sono stati infiorati da laici di tutte le etnie a significare la partecipazione della Chiesa Universale all’evento. Intanto echeggiava il suono di due corni, un suono molto suggestivo che ri-chiamava alla mente il JÓBEL dell’Antico Testamento.
Dopo questa cerimonia il Papa è entrato da solo nella chiesa e ha dato inizio ai riti del Natale.
Con simile procedura ma con meno interesse da parte dei mass-media si sono aperte le altre porte nel giorno di Natale per la Basilica di S. Giovanni in Laterano, il primo dell’anno per la Basilica di S. Maria Maggiore e il giorno 18 gennaio per la Basilica di S. Paolo fuori le mura.

Le Porte Sante rimangono aperte per tutta la durata dell’Anno Santo, ma ogni sera si chiudono con solide imposte (MALA TEMPORA CURRUNT).
La chiusura dell’ultima Porta Santa, quella del Vaticano, avverrà il giorno dell’Epifania 2001.
La finalità dell’Anno Santo è quella di far lucrare al pellegrino che viene a Roma ed osservi le condizioni prescritte le più ampie indulgenze ed il perdono, ma, per particolari circostanze e quando ricorrano determi-nate condizioni in via di eccezione, gli stessi vantaggi possono essere conseguiti anche senza compiere il pellegrinaggio a Roma.

Il sistema delle indulgenze per il giubileo rimane sempre, essenzialmente, quello che, perfezionatosi at-traverso le precedenti esperienze, fu determinato da Benedetto XIV nel giubileo del 1750 e che Pio IX di-chiarò, infatti, sempre “attuale”. Va però tenuto presente che i giubilei si effettuano di volta in volta in con-dizioni che non sono mai del tutto identiche, onde, pur senza modificare i principi fondamentali, bensì per-fezionandoli in rapporto alle esperienze sopravvenute, occorre adattarli di volta in volta alle particolari si-tuazioni del momento, in applicazione del principio di adattamento, che è uno dei criteri sommi di saggezza, ai quali si ispira l’azione concreta della Chiesa.

La costituzione FORE CONFIDIMUS dispone la sospensione, durante tutto l’Anno Santo, di tutte le indul-genze e di tutte le facoltà straordinarie per i confessori. Chi vuole acquistare l’indulgenza plenaria deve an-dare a Roma e adempiere alle quattro condizioni che sono prescritte per acquistare l’indulgenza: confessio-ne, comunione, visita alle quattro basiliche patriarcali, preghiere.

La sospensione delle indulgenze non è assoluta. Esse sono applicabili sempre ai defunti, mentre ai vivi sono applicabili in casi particolari, come in ARTICULO MORTIS, alla recita dell’Angelus, alla visita al SS. Sa-cramento nelle Quarantore, all’accompagnamento del Viatico per gli infermi, alla recita della preghiera detta-ta dallo stesso Pontefice per l’Anno Santo.

Mentre sono sospese, fuori Roma, le facoltà straordinarie concesse ai confessori, facoltà straordinarie sono conferite ai confessori di Roma e suburbio. A tale argomento si riferisce la costituzione DECESSORUM NOSTRORUM. A norma di essa si distinguono due categorie di confessori: confessori semplici e penitenzieri del S. giubileo. La discriminazione è determinata dai poteri ad essi attribuiti. I secondi hanno infatti poteri assai ampi per giudicare e definire situazioni gravissime, salvo pochi casi eccettuati, senza bisogno di ricor-rere alla S. Sede, come dovrebbe farsi in tempi normali, come assoluzioni da censure, dispensa da irregolari-tà, dispensa da impedimenti matrimoniali, riduzioni delle visite alle Basiliche.

La costituzione JAM PROMULGAT prende in considerazione le situazioni particolari di coloro che, per più motivi, si trovano nella fisica impossibilità di recarsi a Roma e che rimarrebbero quindi privi della possibili-tà di acquistare i benefici del giubileo, indipendentemente o contro il loro proposito. Sono in tali condizioni le suore di clausura, i carcerati, i prigionieri, gli esiliati, gli infermi, i vecchi, e, argomento di viva attualità, coloro che, per particolari contingenze, specie quelle economiche, non possono intraprendere il viaggio per Roma. Trattandosi di eccezione alle norme generali i casi per i quali la peregrinazione a Roma resta giustifi-cata sono tassativi. Tutte queste categorie di persone possono acquistare il giubileo, durante l’Anno Santo, purché, confessati e comunicati, adempiano, in luogo della visita alle basiliche patriarcali di Roma, quelle opere di religione, di pietà e di carità che verranno determinate dall’Ordinario diocesano direttamente o a mezzo di prudenti confessori, tenendo conto della condizione e della salute dei singoli, delle esigenze di tempo e di luogo. A tale scopo ai confessori legittimamente approvati vengono conferiti poteri analoghi a quelli attribuiti in Roma e suburbio ai confessori semplici ed ai penitenzieri.

I fedeli possono acquistare le indulgenze legate al giubileo tante volte quante ripetono le opere ad essi ingiunte. Si concilia così il caldo e paterno invito a recarsi a Roma, enunciato nella bolla JUBILÆUM MAXIMUM con il favore dovuto alle condizioni di chi non può recarsi, contrariamente alla sua volontà, a Ro-ma, e desidera nondimeno acquistare i benefici del giubileo, che gli resterebbero altrimenti preclu-si.

E’ di fede che la Chiesa ha il potere di concedere indulgenze: ciò consta dal Concilio Tridentino (Sess. XXV, DE INDULGENTIIS), dalla Sacra Scrittura (Mt. 16,19) e dalla prassi della Chiesa.
L’antica disciplina penitenziale prevedeva l’obbligo di opere espiatorie e una penitenza pubblica: è que-sta la pena temporale che viene rimessa dalle indulgenze.
La pena è di due tipi, una temporale ed una eterna. La colpa e la pena eterna sono rimesse dai meriti di Gesù Cristo nel sacramento della Penitenza.

La pena temporale non viene rimessa tutta con il sacramento, così rimane da soddisfare, in questa vita, per mezzo di opere buone, penitenze o quant’altro e, se non ci si riesce, per mezzo della purificazione in Purgatorio.
Ma chi può penetrare i segreti di Dio?
Chi può mai sapere quanto nella vita presente esiga la Giustizia divina?
A questo pone rimedio il tesoro delle indulgenze che appunto deriva dai meriti di Cristo e non dai no-stri.
Le indulgenze erano collegate a opere di penitenza: in altre parole si barattava la cancellazione o la ridu-zione della pena dovuta al peccato con un’azione ritenuta meritoria.

Ne nacque uno strano sistema di valutazione temporale di pena (in giorni, mesi, anni) che è stato traslato alle pene da scontare in Purgatorio facendo nascere così la convinzione che nel Purgatorio il tempo scorra come nel nostro mondo.
Una indulgenza fu accordata da Papa Alessandro II nel 1063 per spronare l’intervento per liberare la Spa-gna dai Mori e Papa Urbano II la concesse nel 1095 a chi partecipava alla Crociata.

Dal sec. VIII al sec. XIV, si introdusse il costume di concedere le indulgenze commutando la penitenza canonica in altra opera meno gravosa delle pratiche penitenziali che i canoni antichi assegnavano ai diversi peccati. Sono di questo periodo le indulgenze per le stazioni quaresimali (S. Gregorio, + 604), per le Crocia-te, per i pellegrinaggi (tra i quali il pellegrinaggio giubilare indetto da Bonifacio VIII nel 1300 a beneficio di tutti coloro che si fossero recati a Roma a visitare le Basiliche Romane).

Dal sec. XIV ad oggi, l’uso delle indulgenze diventa sempre più copioso ed anche di più facile acquisi-zione. Introdotto tra le pratiche per lucrarle l’uso di offrire anche del denaro (OBLATIONES), man mano, per la necessità di sovvenzionare le varie opere di apostolato, taluni Papi (Bonifacio IX, Leone X) o principi (Carlo V), o città (per la costruzione di chiese) furono indotti a ricorrere alle indulgenze.

Il falso concetto che l’indulgenza liberasse non solo dalla pena, ma anche dalla colpa - introdottosi nel popolo e non sufficientemente combattuto dall’autorità ecclesiastica - contribuì a moltiplicare gli abusi, fino a ridurre l’elargizione delle indulgenze ad un’operazione finanziaria.
Questi abusi furono il pretesto perché Lutero si elevasse contro Roma. E’ però certo che, se il bisogno di denaro fu un motivo per moltiplicare le indulgenze, la Chiesa non escluse mai le condizioni morali necessa-rie perché l’indulgenza fosse spiritualmente benefica.

Nel Concilio di Trento (1545-1563) gli abusi vennero tolti e fu provvisto perché - abolito ogni turpe lu-cro, causa principale degli abusi derivati al popolo cristiano - il tesoro delle indulgenze venisse dispensato ai fedeli piamente, santamente, integralmente, UT TANDEM CAELESTES HOS ECCLESIÆ THESAUROS NON AD QUÆSTUM, SED AD PIETATEM EXERCERI OMNES VERE INTELLIGANT (perché tutti possano veramente com-prendere che questi tesori celesti della Chiesa vengono dispensati non per trarne guadagno, ma per la devo-zione; Sess. XXI, DE REFORM., 9).

Nei tempi posteriori i Papi attesero a regolare le concessioni, il numero e l’autenticità delle indulgenze mediante commissioni di Cardinali ed un’apposita Congregazione delle indulgenze (Clemente IX, MOTU PROPRIO IN IPSIS, 6.VII.1669), i cui diritti da Pio X (1908) furono devoluti al Sant’Uffizio e dal Codice Piano-Benedettino (Benedetto XV, MOTU PROPRIO ALLOQUENTES, 25.III.1917) al tribunale della Sacra Penitenzieria.

Nel 1967 Paolo VI, dopo il Concilio Vaticano II, riordinò questa complessa materia con la costituzione apostolica INDULGENTIARUM DOCTRINA a cui seguì la pubblicazione dell’ENCHIRIDION INDULGENTIARUM. Conservando l’indulgenza plenaria la quale si può acquisire una sola volta il giorno; le parziali dipendono dalle disposizioni personali.

Il Codice di Diritto canonico dà questa definizione di indulgenza: “Remissione davanti a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che l’autorità ecclesiastica attingendo al tesoro della Chiesa concede ai viventi a modo di proscioglimento, per i defunti a modo di suffra-gio”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega che: “La dottrina e la pratica delle indulgenze nella Chie-sa sono strettamente legate agli effetti del sacramento della Penitenza. L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della re-denzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi. L’indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati” [Paolo VI, Cost. ap. INDULGENTIARUM DOCTRINA, NORMAE 1-3, AAS 59 (1967), 5-24]. Le in-dulgenze possono essere applicate ai vivi o ai defunti.”

L’indulgenza può essere:

1. Secondo la remissione che ottiene:

a.plenaria

Se con essa si consegue la remissione di tutta la colpa temporale. Condizione essenziale é che i peccati siano già rimessi in quanto alla colpa; se anche di un solo peccato veniale non si é ottenuta la remissione, la pena temporale ad esso dovuta non é rimessa. Siccome ciò può facilmente avvenire, la Chiesa ha disposto che - qualora l’indulgenza non possa essere lucrata plenariamente - la si possa lucrare parzialmente secondo le intenzioni del lucrante (C.J.C. 926).

b.parziale

Se con essa si consegue la remissione di parte della pena temporale dovuta per i peccati già rimessi in quanto alla colpa (tali le indulgenze di 100, 300 giorni, 1, 7 o più anni; la prassi attuale, riformata da Paolo VI, non prevede più la determinazione del periodo). Con questa indulgenza non si rimette la pena temporale che si dovrebbe scontare nel Purgatorio per tanti giorni o tanti anni, ma tanta pena temporale quanta se ne sarebbe ottenuta con tanti giorni o anni di penitenza canonica secondo l’antica disciplina della Chiesa.

2. Secondo il periodo di validità:

a. temporanea

Se la possibilità di lucrarla é limitata a determinato tempo (p. es. un quinquennio), passato il quale cessa di esistere.

b. perpetua

Se é concessa senza limitazione di tempo, e perciò dura finchè non venga revocata.

3. Secondo le modalità in cui si lucra, prima della riforma venivano divise in:

a.personale

Se é concessa a persone fisiche o morali, p. es. ai membri di un Ordine religioso.

b.locale

Se é annessa ad un luogo, p. es. ad una chiesa o ad un oratorio.

c.reale

Se é annessa ad un oggetto, per esempio ad un crocifisso, ad una immagine, ad un rosario, ecc.

4. applicabile solo ai vivi, solo ai defunti, oppure ai vivi e ai defunti.

Per lucrare le indulgenze si richiede:

1. un soggetto capace di lucrarle, cioé:

a. battezzato, poichè la concessione delle indulgenze é un atto di giurisdizione che non può essere esercitato su chi non sia suddito, e nessuno può essere suddito della Chiesa se non per mezzo del Battesimo;

b. non scomunicato, perchè lo scomunicato, in quanto tale, non é partecipe delle indulgenze, dei suffragi e delle pubbliche preghiere della Chiesa (C.J.C. 2262, § 1.);

c. in stato di grazia, perchè il reato di pena temporale non può essere rimosso se non dopo che fu cancellato il reato di colpa e di pena eterna;

d. suddito del concedente, perchè la giurisdizione ecclesiastica - salvo quella diretta, immediata ed universale del Sommo Pontefice - si esercita su un determinato territorio o su un determinato ceto di persone. A norma del can. 927 sono considerati sudditi anche i pellegrini, i religiosi e coloro che non hanno fissa dimora;

2. l’intenzione di lucrarle, perchè il beneficio non viene concesso se non a chi lo vuole. Non é richiesta l’intenzione attuale, nemmeno la virtuale; si richiede, ed é sufficiente, l’intenzione abituale implicita (can. 925, § 2), perciò si possono lucrare tutte le indulgenze ignorate, purchè si abbia l’intenzione di lucrare tutte le indulgenze lucrabili;

3. il compimento delle opere prescritte.

Le condizioni generali (che vengono indicate con l’espressione SUETIS CONDITIONIBUS) sono:

a. confessione, che deve essere fatta anche da chi sia in grazia di Dio;

b. comunione, che può essere fatta dalla vigilia del giorno in cui si lucra l’indulgenza a tutta l’ottava successiva;

c. visita ad una chiesa o ad un oratorio, fatta con l’intenzione di onorare Dio in sè e nei suoi Santi e recitando devotamente la preghiera prescritta o - se non é prescritta - qualunque altra preghiera, orale o mentale, secondo la pietà e la devozione di ciascuno (S. Penitenzieria Ap., 20.IX.33; ACTA APOSTOLICÆ SEDIS, XXV, 446);

d. preghiera secondo le intenzioni del Romano Pontefice (un Pater, Ave, Gloria).

Le intenzioni generali del Romano Pontefice sono:

a. il trionfo della Chiesa Cattolica;

b. la sconfitta delle eresie;

c. la conversione dei peccatori.

Per lucrare le indulgenze plenarie concesse TOTIES QUOTIES (ogni qual volta), per le quali é prevista la visita ad una chiesa, si richiede ed é sufficiente la recita di sei Pater, Ave, Gloria (S. Penitenzieria Ap., 5.VII.30; ACTA APOSTOLICÆ SEDIS, XXII, 363.).

Alcune indulgenze secondo la nuova dottrina:

Alle Messe e ai sacramenti non sono più legate indulgenze se non alla prima Messa sacerdotale e alla prima Comunione. Alcune delle seguenti indulgenze parziali possono diventare plenarie in determinati giorni liturgici.

Indulgenza parziale

Quando vengono recitate le seguenti preghiere: ACTIONES NOSTRAS, ADORO TE DEVOTE, AD TE BEATE IOSEPH, AGIMUS TIBI GRATIAS, ANGELE DEI, ANGELUS DOMINI ET REGINA CAELI, ANIMA CHRISTI, DE PROFUNDIS, DOMINE DEUS OMNIPOTENS, EN EGO O BONE ET DULCISSIME IESU, EXAUDI NOS, IESU DULCISSIME, LITANIAE, MAGNIFICAT, MARIA MATER GRATIAE, MEMORARE O PIISSIMA VIRGO MARIA, MISERERE, O SACRUM CONVIVIUM, REQUIEM AETERNAM, RETRIBUERE DIGNARE DOMINE, SALVE REGINA, SANCTA MARIA SUCURRE MISERIS, SANCTI APOSTOLI PETRE ET PAULE, SUB TUUM PRAESIDIUM, TANTUM ERGO, TE DEUM, VENI CREATOR, VENI SANCTE SPIRITUS, VISITA QUAESUMUS DOMINE, a chi recita il Credo, a chi recita le Lodi o il Vespro in suffragio dei defunti, a chi ascolta devotamente le prediche, a chi prega per l’unione dei cristiani all’atto di contrizione, all’adorazione del Santissimo Sacramento, a chi visita i cimiteri durante l’anno, a chi visita le catacombe, a chi si comunica spiritualmente, a chi insegna la dottrina cristiana, a chi usa devotamente un oggetto di pietà (rosario, ecc.), a chi prega per le vocazioni sacerdotali, a chi pratica l’orazione mentale, a chi prega per il Pontefice, a chi pratica la LECTIO SACRAE SCRIPTURAE, a chi recita le preghiere dovute nella ricorrenza dei santi, a chi si segna con la Croce, a chi in chiesa o in oratorio assiste alle funzioni durante la visita pastorale a cui non presieda il Visitatore, a chi rinnova le promesse battesimali.

Indulgenza plenaria

A chi visita in Roma le Basiliche Patriarcali recitando il Pater e il Credo nella festa del Santo titolare, nelle feste di precetto e in qualsiasi altra festa raccomandata; a chi riceve la benedizione papale URBI ET ORBI, anche se radiofonica o televisiva; a chi visita i cimiteri nell’ottava dei morti; a chi adora la croce nelle solennità preposte, a chi partecipa piamente alle celebrazioni Eucaristiche solenni, a chi partecipa ad esercizi spirituali per almeno tre giorni, in ARTICULO MORTIS, a chi segue le prediche nelle Missioni, a chi recita il rosario in chiesa o oratorio o famiglia o Pia congregazione, ai sacerdoti che compiono il 25° o il 50° o il 60° e a chi assiste alla Messa di celebrazione, alla prima Comunione, alla prima Messa sacerdotale, a chi visita durante i Sinodi le chiese nelle quali si tengono, a chi partecipa pregando alla VIAE CRUCIS, a chi visita la chiesa parrocchiale nella festa del santo titolare o il 2 agosto quando ricorre la “Portiuncula” (perdono di Assisi istituito da papa Onorio III [1216-1227]) o in qualsiasi altro giorno più opportuno determinato dall’Ordinario recitando un Pater e il Credo, a chi recita il Pater e il Credo nella chiesa in cui vi sia la ricorrenza della dedicazione di un altare, a chi recita Pater e Credo in chiesa o in oratorio nelle ricorrenze dei defunti, a chi recita Pater e Credo in un oratorio religioso nella ricorrenza del fondatore, a chi in chiesa o in oratorio assiste alle funzioni durante la visita pastorale a cui presieda il Visitatore.

Nella bolla INCARNATIONIS MYSTERIUM il papa specifica ulteriori modi di acquisizione, per l’anno giubilare, delle indulgenze, modi più vicini al nostro sistema di vita:

Nelle altre circoscrizioni ecclesiastiche, se compiranno un sacro pellegrinaggio alla Chiesa cattedrale o ad altre Chiese o luoghi designati dall’Ordinario, ed ivi assisteranno devotamente ad una celebrazione liturgica, o ad altro pio esercizio, come sopra indicato per la città di Roma; inoltre, se visitando, in gruppo o singolarmente, la Chiesa cattedrale o un Santuario designato dall’Ordinario, ivi attenderanno per un certo periodo di tempo a pie meditazioni, concludendole col «Padre nostro», con la professione di fede in qualsiasi legittima forma, e con l’invocazione della Beata Vergine Maria.

In ogni luogo, se si recheranno a rendere visita per un congruo tempo ai fratelli che si trovino in necessità o difficoltà (infermi, carcerati, anziani in solitudine, handicappati, ecc.), quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro (cfr Mt 25, 34-36), ed ottemperando alle consuete condizioni spirituali, sacramentali e di preghiera. I fedeli vorranno certamente rinnovare tali visite nel corso dell’Anno Santo, potendo acquistare in ciascuna di esse l’indulgenza plenaria, ovviamente non più che una sola volta al giorno.

L’indulgenza plenaria giubilare potrà essere acquistata anche mediante iniziative che attuino in modo concreto e generoso lo spirito penitenziale che é come l’anima del Giubileo. Così astenersi almeno durante un giorno da consumi superflui (per esempio dal fumo, dalle bevande alcooliche, digiunando o praticando l’astinenza secondo le norme generali della Chiesa e le specificazioni degli Episcopati) e devolvendo una proporzionata somma in denaro ai poveri; sostenere con un significativo contributo opere di carattere religioso o sociale (in specie a favore dell’infanzia abbandonata, della gioventù in difficoltà, degli anziani bisognosi, degli stranieri nei vari Paesi in cerca di migliori condizioni di vita); dedicare una congrua parte del proprio tempo libero ad attività che rivestono interesse per la comunità, o altre simili forme di personale sacrificio.

Per concludere indico le chiese genovesi che sono state scelte dall’arcivescovo per lucrare le indulgenze del giubileo: Cattedrale di San Lorenzo; Santuario di Nostra Signora della Guardia; Santuario del Santo Bambino di Arenzano; Santuario della Madonnetta; San Bartolomeo degli Armeni; Santuario di Nostra Signora del Suffragio di Recco; Chiesa dell’Istituto Paverano.