Episodio secondario bassobollente


La notte è ancora lontana. Meglio aspettarla che andarle incontro, c’è il rischio poi di non vederla. Io l’aspetto nel mio albergo, la notte. E’ una donna struccata che cade a pezzi e non sa in che camera è finita. Si addormenta senza nemmeno togliersi le scarpe. Io le scarpe me le tolgo e poi finisce tutto lì. Ed è così che attacca a girare una vecchia pellicola di un episodio secondario bassobollente. Estate 1989…

Una multa vecchia di trentasei ore sbatacchia al vento, sotto il tergicristalli. Eccesso di sicurezza. Ricordarlo mi procura un solletico alla schiena.
A destra, propagandistici campi di grano, a sinistra, auto tedesche a tutta birra. Nel mezzo la strada, viscosa e senza curve, votata al tradimento. Ogni tanto salta fuori qualche buca. Ci pensano loro a tenermi sveglio.
La prossima uscita non arriverà mai. Pessimismo del viaggiatore solitario. Mi gratto il collo e guardo nello specchietto. La solita polizia all’inseguimento di qualche stupido ladro.
Il tempo non passa, meglio così. I ricordi, incendiari, come benzina prendono fuoco ai bordi della strada. Vampate di calore fanno ballare i finestrini di quest’auto scassata. E’ tutto uno sballottolamento.
Sotto i ponti, venditori ambulanti si godono l’ombra. Un falco si allena sui tralicci della corrente in attesa di una preda. Gli va bene, la preda è mezza intontita e gli va dritta incontro. La fine è meno tragica della nascita.
Gli Autogrill sono fuori servizio. Alla radio musica messicana. Cambio stazione. Polizze sulla vita. Torno alla musica messicana.
Sul sedile di dietro i polli nella gabbia reclamano una boccata d’aria. Ci siamo quasi, polli. Non hanno abboccato. Qualche loro penna fugge dai finestrini e scompare dallo specchietto retrovisore. I sedili appiccicosi brillano di sudore. L’ultima curva e poi, finalmente, la bandiera scacchi. Ma che. Niente sbandieratore. Deve essere la sua giornata libera.
Mi godo gli ultimi chilometri di libertà. Meno tre, meno due, meno uno. Un conto alla rovescia da far rovesciare lo stomaco.
Il sole si nasconde dietro i palazzi e fa una brutta fine. Il motore sbuffa. Cambio marcia. Mi stappo una bottiglia e brindo alla Notte che si avvicina. Un piede di donna mi oscura il parabrezza. Un bel trentanove. E’ la trentanovesima notte di viaggio. Di donne in macchina non ne vedo. Era immaginaria.
Le parlo lo stesso. Mi strizza l’occhio. Anch’io ho qualcosa nell’occhio. Un moscerino. Esci fuori, maledetto. La donna pensa ce l’abbia con lei e se ne esce dalla portiera. Che tipo, non ha nemmeno richiuso la portiera. Ci penso io. Mi giro, mi volto, e quella non c’è più.
La strada non mi segue. Quando giro lei va dritta. Sono un ballerino di tango che ha perso la sua compagna. C’è aria di ammutinamento.
Fuori i polli, fuori la patente, fuori i sedili, fuori tutto.
Nel giro di un secondo è tutto sottosopra. Finisce la strada, cominciano i campi. Lo spaventapasseri non spaventa le auto finite fuori strada. Giù anche lo spaventapasseri. La terra si infila ovunque, scarpe comprese. I vetri non sono da meno, anche loro finiscono nelle scarpe.
Esco dal parabrezza come la donna cannone. La parabola è da principianti. La prossima volta andrà meglio. Sono al tappeto. L’osso del collo si gode i suoi quindici minuti di notorietà. L’arbitro conta. Resto al tappeto finché non smette di contare, poi mi alzo. Niente di rotto. Quando l’arbitro arriva allo zero cade al tappeto pure lui. Quel sangue non dovrebbe essere il mio. Globuli rossi scoppiettano come pop-corn. Lo ringrazio per lo spettacolo. Non risponde. Non me la prendo. Faccio un fischio e affondo nell’erba. Sono sempre più sotto. Chiudo gli occhi. Ho solo bisogno di riposare. Prima o poi qualcuno si fermerà a chiedere se va tutto bene.
Sto ancora aspettando e non va più tutto bene come prima.
Le formiche si fermano per un banchetto, i mosconi ci stanno ancora pensando. Un giro per vedere che porca figura faccio dall’alto. Niente che non si sia già visto.
E’ arrivato il momento di darci la buona notte. Buona notte, Notte con le scarpe ancora ai piedi. Io le scarpe me le tolgo e poi finisce tutto lì.

 

paolo

 

 

 

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