Efraim
Medina Reyes è nato nel 1964 a Cartagena, in Colombia,
è oggi tra i rappresentanti più ricchi di talento
della letteratura latinoamericana.
Vive a Bogotà. Ha esordito nel 1988, vinto diversi premi,
diretto un film, scritto per il teatro, il suo secondo romanzo,
dopo C'era una volta l'amore... si chiama "Tecniche
di masturbazione tra Batman e Robin"
Intervista
a Efraim Medina Reyes
Tratto da "La Voce Nuova di Piacenza", 11 settembre
2002, di Ornella Civardi |
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Tecniche
di masturbazione
fra Batman e Robin |
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Dov’è finita tutta
quell’atmosfera che ci raccontano? La tua America Latina è
vera o è un universo fittizio cucito su misura per i tuoi stati
mentali?
Se c’è qualcosa di fittizio, piuttosto, è la Colombia
da cartolina illustrata che spacciano autori come García Marquez,
vecchi d’anni e di mente. Gente che per cercare la Letteratura
volta le spalle alla vita. Hanno diffuso un mucchio di stereotipi: una
volta una ragazza norvegese mi ha chiesto come mai scopavo così
male per essere un latino. Senza contare che molti, all’estero,
sono convinti che noi parliamo con le mucche. Invece solo lui ci parla,
García Marketing. L’ho chiamato così una volta,
perché ha trovato la formula perfetta del libro che vende. Anche
da noi, intendiamoci, ma non certo a quelli della mia generazione. La
mia generazione vive per il 70% nelle città e ha gli stessi problemi,
gli stessi sogni, la stessa musica di chi sta in qualsiasi altra metropoli
europea o americana. Noi, in quella Colombia rurale e folcloristica,
non ci riconosciamo. Davanti alla TV, nei cinema, abbiamo assorbito
come tutti il mito americano e ci stiamo sforzando di metabolizzarlo.
Anche la tua scrittura pesca
i codici dal filone del romanzo "duro" americano?
Ho alcune passioni americane, come Capote o Bukowski, ma non mi ritrovo
nella loro scrittura, anche perché nasce in una lingua diversa
e questa è una distanza definitiva. Al massimo posso confrontarmi
con la traduzione spagnola di questi autori. E poi io sperimento, loro
sono classici (e scrivono molto meglio di me). No, penso che mi abbia
segnato di più l’interiorità tormentata di Cesare
Pavese. Anche quando parlo di alcol o erba non sto ricalcando dei luoghi
letterari: in Colombia siamo 40 milioni di Bukoswki, permanentemente
ubriachi, e se usciamo con gli amici, andiamo a bere. Ho descritto il
mio branco, con poche licenze poetiche.
Quel non so che di adolescenziale
che nel tuo libro ha stregato i ragazzini è un motivo autobiografico?
Per certi versi sì. Ho voluto ironizzare su un periodo trascorso
della mia vita, su un ridicolo modello di macho americano che all’epoca
avevo in testa. Il libro che ho scritto dopo, Tecniche di masturbazione
tra Batman e Robin, che in Italia uscirà il prossimo anno, è
già più adulto; lì c’è un personaggio
che guarda Rep, il protagonista del primo libro, con occhi già
distaccati.
Forse di adolescenziale ha soprattutto
quella carica di rabbia, di ribellione mal gestita che fa muovere i
personaggi con una vitalità cieca, qualche volta autolesionista.
Ma qual è il mondo che si sforzano di respingere, anche facendosi
male?
Se nasci in un paese sudamericano, da subito sei condannato a guardare
una TV dove la gente perfetta è bianca, ricca e abita lontano.
Per un po’ di anni sei sicuro che da grande diventerai così
anche tu, poi di colpo apri gli occhi e ti vedi davanti una vita da
fallito, e ti disprezzi per non essere come la TV ti aveva chiesto di
essere. Loro hanno case bellissime, macchine bellissime, soprattutto
donne bellissime, mentre tu sai per certo che non potrai mai scopare
con Sharon Stone e che la tua squadra di basket non vincerà mai
contro una squadra americana. O ti uccidi, o impari a riderti addosso.
Perché chi ha perso e non ride diventa un fallito. Per questo
con alcuni amici ho fondato la ditta "Fallimento srl", che
aveva per slogan: "Dove c’è bisogno di un fiasco,
noi ci saremo". Non mi nascondo niente. Non dico, come certi altri
perdenti, che sto bene così. Io volevo essere ricco, bello come
Brad Pitt, e scopare con Sharon Stone, c’è poco da fare.
Il tuo libro, al di là
del caos apparente, sembra strutturato, o destrutturato, con cura…
Ci sono casi in cui la semplicità e l’immediatezza sono
il frutto di una lunga elaborazione. Io ho cercato una scrittura piana
e d’impatto perché volevo parlare ai più giovani,
e a tanti di loro. È troppo facile fare il Philip Glass, costruire
una musica ostica e incomprensibile per dare l’illusione, a chi
l’ascolta, di essere un duro, un intellettuale. Il prossimo libro
sarà altrettanto frammentato, ma in modo ancora diverso. Ho costruito
una storia in cui si possa entrare da molti varchi, percorribile secondo
molte direzioni e in cui giochino svariati generi, dal comico al cinematografico,
allo scientifico, al pubblicitario. Contiene per esempio un "Manuale
di seduzione in 9 semplici lezioni" e un vademecum, intitolato
"Apprendistato con la foca", per trasformarsi in pochi minuti
da perfetto cretino a uomo di grande fascino.
E l’Italia, come si colloca
tra le tue molte idiosincrasie?
Beh, mi sono imbattuto anche in gente ripugnante come Bruno Vespa e
Vittorio Sgarbi, ma in generale gli italiani mi piacciono, mi piace
anche quel loro carattere freddo, così diverso dal nostro. Solo,
mi lascia perplesso il vostro rapporto col calcio. Per voi il calcio
è un po’ come la coca per gli americani. Anche a me piace,
ma sono abituato a parlarne per divertimento, qui la gente ne parla
come se fosse un argomento intellettuale. In ogni modo, la cosa più
bella che mi sia capitata in Italia è stata conoscere Paolo Villaggio.
Una mattina, all’alba delle 8, sono uscito a cercare un bar per
bere qualcosa di forte. A quell’ora, in giro per Venezia c’era
solo lui, anche lui a caccia d’alcol: è stata amicizia
folgorante.
Le cose che ami definitivamente?
I sinceri, il rock classico che ti va dritto al cuore, le donne, terribilmente.
E questo bambino che ha ascoltato tutta l’intervista in silenzio.
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