Charles Bukowski

 

Factotum
1975 - TEA, pag.156


 

Avventuroso e osceno, divertito e disperato, sboccato e lirico. Factotum è il romanzo che ha rivelato Bukowski al pubblico italiano, è un romanzo on the road, con Henry Chinaski, l’alter ego dell’autore, è il suo protagonista assoluto. Passa indifferentemente da un mestiere all’altro, attraversa l’America vivendo alla giornata, affidandosi all’improvvisazione e al caso, pronto a seguire il primo richiamo, fedele a un destino che si trasforma in uno stile di vita fatto di lavori manuali, sesso intenso e sfrontato, sbornie quotidiane, un’esistenza randaga.

«Dato che tutte le mie macchine da scrivere finivano al banco dei pegni, avevo semplicemente rinunciato all'idea di possederne una. Scrivevo le mie storie a mano, in stampatello, e le spedivo così. Le scrivevo a stampatello con una penna. Alla fine diventai bravissimo a scrivere a stampatello. Ci mettevo di meno che a scrivere normalmente. Scrivevo tre o quattro racconti alla settimana. Li mandavo per posta. Mi sembrava di vederli, i redattori di The Atlantic Monthly e di Harper's: "Ehi, ecco qua un altro manoscritto di quel pazzo... ".»

 

l'inizio...

I

Arrivai a New Orleans sotto la pioggia alle cinque del mattino. Mi fermai alla stazione degli autobus per un po' ma la gente mi deprimeva tanto che presi la valigia, uscii nella pioggia e cominciai a camminare. Non sapevo dove fossero le pensioni, dove fosse il quartiere povero.
Avevo una valigia di cartone che cadeva a pezzi. Una volta era stata nera ma il nero si era scrostato e sotto si vedeva il cartone giallo. Avevo cercato di rimediare spalmando di lucido nero il cartone scoperto. Ma mentre camminavo la pioggia lavava via il lucido e mi feci due belle strisce nere sulle gambe dei pantaloni passando la valigia da una mano all'altra.
Be', era una città nuova, forse mi avrebbe portato fortuna.
Smise di piovere e uscì il sole. Ero nel quartiere nero. Continuai a camminare lentamente.
" Ehi, povero bianco!".
Misi giù la valigia. C'era una mulatta seduta sui gradini della veranda. Dondolava le gambe. Non era niente male.
" Ehi, ciao, povero bianco!".
" La vuoi un po' di fica, povero bianco?".
Non dissi niente. Restai li a guardarla. Mi rideva in faccia. Teneva le gambe incrociate in alto e dondolava i piedi. Aveva un bel paio di gambe, portava i tacchi alti, dondolava i piedi e rideva. Presi la valigia e svoltai su per il vialetto. Vidi la tendina di una delle finestre alla mia sinistra spostarsi leggermente. Dietro c'era una faccia nera di uomo. Assomigliava a Jersey Joe Wolcott. Indietreggiai lungo il vialetto fino al marciapiede. La risate della mulatta mi seguì giù per la strada.

 

***

 

la fine...

Nella vetrina sulla facciata c'erano le foto delle spogliarelliste in bella mostra. Andai allo sportello e comperai un biglietto. La ragazza alla cassa era meglio delle foto. Mi restavano trentotto cents. Avanzai nel teatro buio fino all'ottava fila. Le prime tre file erano piene zeppe.
Avevo fortuna. Il film era finito e sul palco c'era gia la prima spogliarellista. Darlene. La prima di solito era la peggiore, una vecchia che aveva visto tempi migliori, ridotta a sgambettare nelle file di qualche avanspettacolo di quinta categoria, per lo più. Comunque la prima era Darlene. Probabilmente qualche ragazza era stata assassinata o aveva il marchese o una crisi isterica e questa era l'unica chance per Darlene di fare ancora un numero da sola.
Invece Darlene non era male. Magra, ma con un bel seno. Un corpo flessuoso come un salice. In fondo a quella schiena snella, a quel corpo snello, c'era un enorme didietro. Era una specie di miracolo... da far perdere la testa.
Darlene indossava un vestito nero lungo con uno spacco altissimo... le caviglie e le cosce erano cadaveriche contro tutto quel nero. Ballava e ci lanciava occhiate tra le ciglia piene di mascara nero. Era la sua grande occasione. Voleva tornare a fare il numero da sola. Io tifavo per lei. Cominciò a lavorare di cerniera lampo e a mostrare sempre di più. Scivolava fuori da quel sofisticato velluto nero. Gambe e carne bianca. Dopo un po' era in reggiseno rosa e cache-sex... con i diamanti finti che ondeggiavano e mandavano bagliori mentre ballava.
Darlene si avvicino sempre ballando al sipario. Il sipario era strappato e pieno di polvere. Lo afferrò, ballando al ritmo del quartetto che la accompagnava sotto la luce rosa del riflettore.
Cominciò a scoparsi il sipario. II quartetto la accompagnava a ritmo di rock. Darlene se lo stava veramente scopando, quel sipario; il quartetto picchiava un rock e lei si dimenava. Improvvisamente la luce rosa diventò color porpora. Il quartetto cominciò a darci dentro sul serio. Darlene sembro arrivare all'orgasmo. La testa le cadde all'indietro, la bocca si aprì.
Poi si raddrizzò e tornò ballando al centro del palco. Da dov'ero seduto la sentivo cantare fra sé e sé sopra la musica. Prese il reggiseno rosa e se lo strappò e un tizio tre file più in giù si accese una sigaretta. Adesso aveva solo il cache-sex. Si ficcò un dito nell'ombelico e cominciò a gemere.
Darlene continuò a ballare in mezzo al palco. Adesso il quartetto suonava piano. Darlene cominciò a muoversi lentamente in cerchio, poi avanti e indietro. Ci stava scopando. Il cache-sex pieno di perline oscillava lentamente. Poi i quattro del complesso ricominciarono a darci dentro. Si stava arrivando al culmine del numero; il batterista faceva i fuochi artificiali; sembravano tutti stanchi, disperati.
Darlene si titillò i seni nudi, mostrandoceli, gli occhi sognanti, le labbra umide, socchiuse. Poi all'improvviso si voltò e ci agitò in faccia quel suo enorme culo. Le perline saltarono e scintillarono, impazzirono, mandarono scintille. La luce del riflettore si muoveva e danzava come un raggio di sole. Il quartetto picchiava e crepitava. Darlene girava come una trottola. Strappò via le perline. Io guardavo, gli altri guardavano. Si vedevano i peli della fica sotto il velo color carne. La banda ci dava dentro, picchiava forte, lo martellava, quel culo. E io non riuscivo a rizzarlo.


 

 

il prossimo libro è Post Office

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