Aimee Bender


Grida il mio nome
1998 - Einaudi, pag.153 - Racconti


 

l'inizio...


Steven ritornò dalla guerra senza labbra.
Questo sì è che è un bel colpo, si disse sua moglie Mary, che aveva trascorso gli ultimi sei mesi a lavorare a maglia e a tenersi alla larga da un certo emporio dove lavorava un certo giovanotto che la guardava in quel certo modo. Mi aspettavo delle labbra. Vivo o morto, ma con le labbra.

Una settimana dopo la morte di suo padre, mio padre si risvegliò con un buco nella pancia. Non un piccolo buco, una sorta di leggera lacerazione della pelle; si trattava di un buco della grandezza di una palla da calcio e lo trapassava a parte a parte. Si poteva guardare attraverso di lui, come se fosse diventato un enorme spioncino.


***


Lei che ricorda
L’uomo che amo sta subendo un processo di evoluzione inversa. Non ne faccio parola con nessuno. Non so come sia successo, so soltanto che un giorno era il mio amante, e quello dopo si era trasformato in una specie di scimmia. E’ passato un mese, e adesso è una tartaruga acquatica.
Lo tengo sul ripiano, in una pirofila di vetro piena d’acqua salata.
- Ben,- dico a quella testolina che si sporge all’infuori,- riesci a capirmi?- Lui mi fissa con quei suoi occhi simili a goccioline di catrame, e le mie lacrime allora si rovesciano nella pentola, divento mare.
Perde un milione di anni al giorno. Non sono una scienziata, ma è più o meno così che mi sono immaginata la faccenda

***

Grida il mio nome
Trascorro il pomeriggio a passare in rassegna gli uomini.
Non lo sanno. E’ un’audizione segreta, del tutto casuale.
- Veramente no, - dico all’uomo un po’ sparuto sulla metropolitana, e nei suoi occhi così stanchi già si intravede la morte che aleggia, - preferisce i cani o i gatti?
Mi sorride con quella sua aria tollerante. Non saprei dirvi esattamente cosa sto cercando, ma lo capirò quando succederà. Voglio sentirmi disarmata e senza fiato, schiantata sotto il peso della presenza di un’altra persona nella mia anima. Voglio essere violata dal di dentro.
- Gatti, senza dubbio,- risponde, giocherellando con la cartina delle pasticche. Non riesce più a resistere senza, ma non me ne importa un accidente. A me piacciono i cani, sono delusa.

***

Marzapane
Una settimana dopo la morte di suo padre, mio padre si risvegliò con un buco nella pancia. Non un piccolo buco, una sorta di leggera lacerazione della pelle; si trattava di un buco della grandezza di una palla da calcio e lo trapassava da parte a parte. Si poteva guardare attraverso di lui, come se fosse diventato un enorme spioncino….
Ne parlarono durante la cena, promettendo una dimostrazione dopo il dolce. Una volta sparecchiata la tavola, mio padre sollevò la canotta bianca e sottile; sotto, dove gli altri avevano lo stomaco, stava un buco tondo. Tutt’intorno alla circonferenza, la pelle era ricurva e non mostrava segni di lesione.
Che cos’è ? chiesi.
Lui scosse il capo. Non lo so, e in quel momento sembrò impaurito.
Dov’è andato il tuo stomaco?
Tossicchiò.
Hai mangiato? Chiese Hannah. Ti abbiamo visto mangiare.
Impallidì.
Dov’è andato il cibo? Incalzai; eccole là a continuare a fare domande, quelle sue due figlie, io di dieci, l’altra di tredici anni.
Non hai più l’ombelico, dissi. Sei un unico enorme ombelico.
Mia madre smise di sistemare i piatti e si appoggiò una mano sul collo, sotto le mascelle. Ragazze , proruppe, state zitte.
Avremmo potuto legare mio padre a un braccialetto. Il braccialetto portafortuna di una gigantessa, con un nuovo minuscolo ometto ciondolante, qualcosa da mostrare alle altre gigantesse a una festa di gigantesse. ( A me, a me, urlano. Guarda come si muove!)

***

Fuga
Io non faccio che annuire. Mi parla del suo lavoro. Le lettere sono piene di errori di ortografia, mi dice. Quel nuovo segretario riesce a malapena ad articolare le parole. Ascolto e mastico con la bocca chiusa. La patata, che ormai non è più bollente, si sbriciola sotto i denti, si scioglie sulla lingua, il labbro superiore è sigillato a quello inferiore, e qualunque cosa avvenga dentro la mia bocca ha qualcosa di privato, forte e possente e mio. C’è tutto un mondo di rumori là dentro che lui non può neppure sentire. Allunga la mano e infilza un grosso pezzo di patata con la forchetta. Lo solleva, se lo infila in bocca, lo ingoia. Osservo il cibo sparire dentro la sua bocca ed è il mio cibo e sono stata io a comperarlo, io che l’ ho preparato, e devo farmi forza per tenere a freno le mani perché ho voglia di salvarlo. Voglio salvare il mio cibo, farmi largo con un braccio dall’altro lato della tovaglia, rovesciare le rose galleggianti, schivare i suoi molari, evitare la lingua e riprendermelo indietro quel cibo, estrarlo e gettarlo nel piatto, finchè non ci sia altro che una poltiglia di patata viva tra noi due, lui con lo stomaco vuoto, io con la bocca sempre serrata.

 

 

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