Le speranze di collegare con una ferrovia Rieti con Roma sembravano svanite del
tutto e riemersero solo quando tornò alla ribalta l’ipotesi di un collegamento
ferroviario tra il Tirreno e l’Adriatico. Si trattava della ferrovia Salaria
che era stata gia ipotizzata dal generale Cerroti, dal colonnello Calandrelli e
dagli ingegneri Massimi, Ravioli e Segrè. Fu Amatrice a lanciare per prima
l’idea e a costituire nel 1902 il Comitato di agitazione per la costruzione del
tronco ferroviario Ascoli Piceno-Antrodoco-RietiPasso Corese-Roma presieduto da
Francesco De Bernardis. Il comitato amatriciano diramò una circolare a tutti i
comuni illustrando i propri obbiettivi e invitandoli ad «…emettere e confermare
con apposite deliberazioni, voti concordi e tali da ottenere che il Governo del
Re prenda in considerazione le giuste aspirazioni delle popolazioni interessate». Si propose anche la formazione di sottocomitati con il medesimo scopo, e il
municipio di Rieti aderì immediatamente il tale invito nominando una commissione
composta da Vincenzo Agamennone, Federico Berardi, Francesco Canali, Francesco
Duprè, Eugenio Fronzi, Basilio Giovannelli, Giuseppe Palmegiani, Tito Pilati,
Augusto Renzi e Mariano Vincentini . Il sottocomitato reatino si accollò anche
l’onere di stimolare e raccogliere le adesioni degli altri comuni del
circondario e di quanti potessero in qualche modo dare il loro contributo alla
realizzazione della linea. Il primo momento di verifica, che segnò anche la
fine dell’iniziativa, fu l’assemblea generale degli aderenti al comitato
programmata ad Amatrice per il 5 ottobre 1902. L’appuntamento andò quasi del
tutto deserto, e lo stesso comitato spiegò l’accaduto affermando che «..l’invito
fu accolto con scoraggiante freddezza perché il popolo disilluso e disingannato
dalle facili promesse di altri comitati, che sorsero e sparirono nel corso di
trenta anni, era prevenuto da uno scetticismo che aveva ragione di essere». Ma
a parte la scarsa adesione, il convegno amatriciano aveva messo in luce una
netta spaccatura all’interno del comitato tra coloro che appoggiavano il tronco
Ascoli-Antrodoco per il quale il Consiglio provinciale di Ascoli aveva già
approvato il progetto di Vinceslao Amici, e quelli che invece sostenevano il
tratto Rieti-Passo Corese-Roma. Solo due anni più tardi, per iniziativa degli
enti ascolani la questione torno a galla con la costituzione di un comitato
interregionale . La base di partenza del comitato ascolano furono due comizi a
sostegno della linea organizzati il 26 novembre 1903 ad Ascoli, e il 17 aprile
1904 a Palombara Sabina. Il comitato di Ascoli si presentava con una
autorevolezza ben diversa da quello di Amatrice, e oltre che sul suo presidente
don Felice Borghese, presidente dell’Amministrazione provinciale di Roma, poteva
contare nella presenza al suo interno di don Prospero Colonna, sindaco di Roma,
e di numerosi parlamentari tra i quali Alfredo Baccelli, Apelle Cantalamessa,
Gaetano Falconi, Alessandro Fortis, Arturo Galletti, Domenico Raccuini,
Francesco Rosselli oltre a Luigi Marroni, sindaco di Ascoli, Filippo Corbelli,
sindaco di Rieti, Enrico Teodori, presidente della deputazione provinciale di
Ascoli, e Luigi Trocchi, direttore del quotidiano «L’Adriatico» . Nel convegno
di Ascoli, Filippo Corbelli si impegnò a far redigere a spese del comune di
Rieti un nuovo progetto del tronco Rieti-Passo Corese che completasse quello già
redatto dall’ingegnere ascolano Vinceslao Amici per il tratto Ascoli-Antrodoco,
ma l’anno successivo nessun ingegnere aveva ancora ricevuto tale incarico e,
dopo diversi solleciti dello stesso Amici, iniziò un’aspra polemica sulle pagine
dei giornali locali. La polemica riportò alla luce le vecchie e astiose
questioni delle passate iniziative a favore della Rieti-Corese e Nicola Pompei
sulle pagine de «La Vita» addebitò al municipio reatino, che non aveva
appoggiato il progetto Ugolini, le colpe della mancata realizzazione della
linea, e sullo stesso giornale, in una corrispondenza da Oliveto Sabino, si
rimproverò agli amministratori reatini di aver avuto per tale progetto, un
atteggiamento di «continua ostilità saputa sempre mascherare abilmente con
ripieghi e progetti nuovi» 10. Le polemiche aumentarono ancora quando nel
giugno 1907 il Consiglio superiore dei lavori pubblici, approvò il progetto di
Vinceslao Amici per il solo tronco Ascoli-Antrodoco, concedendogli un contributo
di 7.500 lire al chilometro per settanta anni. L’organo socialista ternano
«La Turbina» scriveva in proposito:
Ora ci domandiamo se il progetto di ferrovia, Ascoli-Antrodoco-RietiCorese-Roma,
era un progetto unico, come va, che noi pur godendo delle stesse facoltà e degli
stessi diritti di tutti gli interessati nella questione; abbiamo fatta una
rapida corsa a Canossa? Certo, la risposta non è delle più difficili.
Conoscitori profondi della pitoccheria del patrio governo nel sollecitare i
provvedimenti più urgenti alle popolazioni bisognose, sappiamo altresì, l’apatia
incancrenita dei nostri amministratori sordi a tutte quelle manifestazioni di
vita civili unica molla potente allo sviluppo industriale d’un grande paese. C’è
da meravigliarsi!? Dai sussidi del terremoto al palazzo Comunale, dalla luce
elettrica alla compra e vendita delle acque del Cantaro, dal progetto della
linea telefonica alla riattazione del teatro, e giù fino al ventilato progetto
d’industrie cittadine diteci: quale se ne è imbroccata? Ma non divaghiamo; sono
questioni ormai entrate nel dominio delle cose morte. Per ritornare a noi non è
fuori luogo ricordare che sulle colonne del giornale « La Vita» s’agitò dal
comp. Jacobelli, la ardente questione della ferrovia ora discussa. Rammentate la
gragnola che si scatenò nel suo capo e quel che si disse di lui! Ebbene,
all’infuori di quella levata di improperi cosa s’è fatto sino a ieri per potere
scientemente giustificare la situazione d’oggi? Nulla! Mentre Ascoli-Piceno ha
operato prodigi: agitandosi creando giornali, ove trattare svisceratamente la
questione; onde sotto la pressione dell’opinione pubblica indurre il Governo a
provvedere; da noi circola insistente la voce, che, per non far dispiacere a
persona più o meno influente, si sia ritardata fino a questo momento la consegna
delle tremila lire quale compenso per lo studio fatto dall’Ing. Amici per il
tronco Rieti-Corese. Che ce ne dicano i benpensanti, il progetto in questione
non è così trascurabile come essi credono. Sarebbe come negare la esistenza del
sole l’affermare; a che, dall’83 in poi; cioè, da quando la città ebbe la
ferrovia; le condizioni economiche del paese siano ristagnate. Sarebbe mai
possibile alla locale industria zuccherifera il tirare innanzi la sua esistenza
se ad essa si togliessero i mezzi rapidi di trasporto? Vedete bene come dalle
comunicazioni più rapide e più facili l’industria si possa avvantaggiare. Il
gigante sviluppo del grano da seme, non si deve in gran parte alla facilità di
viaggio, e di sbocco con le altre piazze? La linea Rieti-Corese non danneggia
affatto l’interessi commerciali del paese come vorrebbe qualcuno; anzi li
rafforza. Date alla Sabina i mezzi più rapidi di comunicazione con il nostro
paese e voi vedrete un continuo va e vieni di quelle popolazioni che oggi per
condizioni di cose si scaricano in città per brevi ore, ogni trenta ogni
sessanta giorni. L’agricoltura, produzione non trascurabile o molto
rimunerativa; oggi, alla mercé di ingordi speculatori, potrebbe ben tosto
rendersi indipendente se ad essa si conquistassero facili piazze di
esportazione. Da questo quanti benefici ne potrebbe ritrarre l’agricoltura. Su
via una buona volta, si faccia davvero qualche cosa sul serio; le belle promesse
e le nobili iniziative non si lascino solo quali espedienti
elettorali.
Erano praticamente sorte delle nuove difficoltà per il tratto Rieti-Corese, anche
questo progettato da Vinceslao Amici. L’ingegnere ascolano aveva disegnato una
linea che avrebbe dovuto attraversare i comuni di Fara Sabina, Nerola,
Scandriglia, Poggio Nativo, Frasso Sabino, Poggio Moiano, Monteleone,
Roccasinibalda, Belmonte e Rieti che scontentò gran parte dei centri della
bassa Sabina, i quali, a quel punto, videro di buon occhio persino il progetto Trivellini, contro il quale si erano battuti in passato, e iniziarono a fare
pressioni affinché venisse applicato questo in sostituzione di quello di Amici
. Ma come si è detto il comitato ascolano, che tra l’altro aveva già trovato
una ditta costruttrice, era forte di numerosi e autorevoli appoggi politici che
in breve tempo misero a tacere le polemiche sorte facendo approvare dal
Consiglio superiore dei lavori pubblici anche il tronco Rieti-Corese. La
ditta disposta a costruire la linea era la Piret e LavaI con sedi a Parigi e
Bruxelles che il 10 gennaio 1909 firmò un compromesso con la deputazione
provinciale di Ascoli , la quale, nel maggio dello stesso anno, organizzò un
incontro tra tutti i rappresentanti degli enti interessati alla linea che aveva
molto il sapore della celebrazione per la vittoria ottenuta nella battaglia a
sostegno della Salaria . Nel 1910 la Piret e Laval, che nel frattempo per
motivi legali aveva assunto la denominazione di Société Française de
Constructiones Mècaniques, e d’intesa con la Banque des Pais Autrichiens, aveva
costituito una società per azioni, comunicò di essere pronta ad iniziare i
lavori della linea, ma quando i rappresentanti di Ascoli erano già a Parigi per
la firma del contratto definitivo, giunse dall’Italia la notizia che,
contrariamente a quanto aveva in precedenza assicurato, il Ministero delle
finanze, anche sullo sconto delle sovvenzioni statali all’estero sarebbe gravato
un tasso di ricchezza mobile del 4 per cento. Fatti i loro conti H. Piret e
A. Laval appresero che avrebbero dovuto rinunciare ad una sovvenzione annuale di
1.880.000 lire per una cifra complessiva di 4.000.000, e ovviamente bloccarono
tutta l’operazione, rinunciando alla subconcessione che avevano ottenuto
dall’amministrazione provinciale di Ascoli. Nel 1913, dopo l’approvazione
della nuova legge con la quale i sussidi statali a favore delle ferrovie
aumentarono da 8.500 a 10.000 lire al chilometro per 50 anni, il comitato
ascolano tentò nuovamente di trovare una ditta disposta a costruire la linea.
Furono contattate in tal senso la Tolect Timber Company di Londra. e una società
di Berlino, ma, a causa dello scoppio della guerra italo-turca, le società
straniere che erano solite intervenire per la costruzione delle ferrovie in
Italia, manifestarono delle rigorose riserve, né d’altra parte si poteva pensare
di incontrare l’attenzione degli organi statali in un momento in cui il Paese si
preparava ad entrare in guerra e la questione delle nuove ferrovie era
decisamente passata in secondo piano. Prima dell’inizio del primo conflitto
mondiale, il Ministero dei lavori pubblici aveva però nominato una commissione
presieduta dal direttore generale delle ferrovie dello stato Raffaele De Corné,
con l’incarico di studiare una sistemazione delle comunicazioni ferroviarie
complementari dell’Abruzzo, e in un secondo tempo, della Toscana e Maremma,
delle Marche, dell’Umbria e del Lazio. La commissione, nella sua relazione
presentata nell’ottobre 1919, inserì la Ascoli-Roma tra le linee considerate
«principali», motivando tale decisione nel modo seguente:La
ragione d’essere fondamentali di questo collegamento ferroviario, che è stato
considerato quale costituente con le linee esistenti un’altra trasversale, sta
soprattutto nel traffico che vi può confluire dalla zona compresa entro il
triangolo che ha vertice Roma e base sulla Ancona-Castellammare e quantunque le
due linee Roma-Ancona e Roma-Castellammare, pure avendo conseguito un notevole
prodotto chilometrico, non possono considerarsi sature, è da ritenersi tuttavia
che la linea in oggetto - costituente un accorciamento rispetto alle due linee
anzidette - sia destinata a conseguire un notevole provento. Così mentre da Roma
all’ Adriatico per la via di Ancona si percorrono Km. 286 (Ancona-Roma) e per
via di Sulmona Km. 240 (Castellammare-Roma), per la via Salari a occorrono solo
Km. 221, ed il vantaggio nelle distanze reali, grandissimo naturalmente per
Aquila e Rieti (rispettivamente 148 Km. contro 216 e 87 contro 153) si mantiene
per Teramo e per Ascoli e per tutte le stazioni adriatiche da dopo Osimo fino a
Mutignano. Nel frattempo in Sabina c’era chi addirittura stava pensando un nuovo progetto per
congiungere Rieti con Roma attraverso la linea che avrebbe toccato i comuni di Monterotondo, Palombara, Nerola, Torricella, Roccasinibalda e Rieti. Si
trattava di un comitato nato sotto gli auspici del giornale «Il Risveglio» il
quale, nel 1921 promosse anche un convegno a Roma, ma le adesioni furono
alquanto scarse e, quando le «agitazioni» a sostegno della Salaria si fecero
sempre più pressanti, nessuno pensò più a questo progetto. Infatti a
seguito della pubblicazione della relazione della commissione ministeriale, il
comitato ascolano riprese la sua attività e, dopo aver promosso una riunione tra
i rappresentanti delle aree interessate e il progettista della linea V. Amici,
ebbe un incontro ufficiale con il ministro dei lavori pubblici Micheli, il quale
assicurò che non appena sarebbero giunti dei finanziamenti che il suo Gabinetto
aveva già richiesto al Ministero delle finanze, la Salaria sarebbe stata
sicuramente realizzata. Ma i problemi per questa linea non erano ancora
finiti e, quando le assicurazioni di Micheli avevano fatto ben sperare per la
sua costruzione, iniziò un’aspra polemica con L’Aquila che propose la linea
Giulianova-Teramo-L’Aquila-Carsoli-Roma, come alternativa alla Salaria. In un
volantino distribuito dall’Unione Sabina nel 1922 si legge:
Concittadini. La ferrovia Ascoli-Antrodoco-Rieti-Passo Corese che fino a
ieri sembrava dovesse finalmente realizzarsi, è oggi minacciata da altri
progetti che per inframmettenze di varia natura dovrebbero prendere quella
precedenza di costruzione da cui deriverebbe il tramonto delle nostre
aspirazioni. La Sabina sempre dimenticata, sempre prima nell’adempimento dei
suoi doveri e sempre ultima nel veder riconosciuti i suoi diritti, non può oltre
tollerare che perduri lo stato di abbandono in cui è sistematicamente lasciata!
le pagine dei giornali furono il teatro di un’aspra battaglia tra le Marche e la
Sabina a sostegno della Salaria, e l’Abruzzo, che poteva contare su forti
aderenze politiche, a favore della linea aquilana. Scriveva il « Corriere di
Aquila» del 29 maggio 1922:
Aquila e Abruzzo in questo momento critico per il loro avvenire, hanno
dimenticato ogni divisione di parte, dai costituzionali ai socialisti, dal
fascio ai repubblicani, dai combattenti ai mutilati, non v’è ormai che un
vincolo tenace, indissolubile, fervido. Siamo tutti uniti perché finalmente ci
sia fatta quella giustizia, che dalla costituzione del Regno invano reclamiamo.
... Trucco è altresì ... la relazione sulla Salaria in cui è detto che la
Ascoli-Rieti-Passo Corese interesserebbe un numero più esteso di abitanti.
Bisogna invece considerare che l’intera produzione agricola di Ascoli verrebbe
ad essere importata nella nostra regione. Inoltre la linea ferroviaria oggetto
dei nostri voti, gioverebbe in modo particolare ai nostri braccianti, contadini,
impresari che quasi due terzi della popolazione regionale si recano nello
inverno nell’Agro Romano.
Pochi giorni dopo il «Corriere di Ascoli» dedicò l’intera prima pagina alla questione
scrivendo tra l’altro:
Da molte parti dell’Abruzzo, specialmente da Aquila, Giulianova, Teramo, giungono
notizie di vivacissime proteste dirette contro la costruzione della ferrovia
Salaria; in Aquila specialmente è stata presa di mira la nostra Ascoli, rea,
secondo quanto abbiamo letto nei resoconti di un recente iroso comizio, di molte
e gravi colpe, prima quella di tener ferma la sua legittima ipoteca su Ascoli
Roma. Gli sdegni abruzzesi contro il Piceno .., sono ingiusti e fuori posto;
fedeli al nostro metodo corretto e sereno, perché forti nel nostro diritto, non
vogliamo seguire il cattivo esempio che ci viene da Aquila dove il pubblico è
stato non invano invitato a gridare abbasso Ascoli.
Più equilibrato fu il giornale di Cittaducale «Il Risveglio» che prese in esame le
due linee senza assumere un’aperta posizione anche se, l’omaggio che si legge
nella parte finale dell’articolo a Vinceslao Amici, progettista della Salaria,
lascia chiaramente intendere una preferenza per quest’ ultima linea . A
sostegno della linea aquilana e contro la Salaria, il 28 maggio 1922 si tenne a
L’Aquila un convegno al quale aderirono gran parte dei comuni dei circondari di
Sulmona, L’Aquila e Cittaducale. Lo spirito che dominava gli oltre 10.000
intervenuti era di aperta disputa contro Ascoli e Rieti e più volte furono
gridati slogan contro queste due città. L’onorevole Vincenzo Camerini tentò di
placare gli animi sostenendo che «...è cosa inutile indugiarsi sul commento del
piano ferroviario, intorno al quale fervono le dispute di Aquila e di Ascoli, ma
fra le due città spero una conciliazione dettata da fraterna intelligenza». Ma
l’intervento che maggiormente raccolse i favori della folla fu quello
dell’oratore socialista Emilio Leopardi, il quale affermò che
il partito socialista ... ha preso parte all’odierna solenne manifestazione di
protesta, perché l’amore per l’umanità non affievolisce quello per la patria,
per il nido natio. La battaglia che noi duramente abbiamo ingaggiata in
condizioni di inferiorità da mezzo secolo, è frutto dell’affarismo, dello
intrigo, della burocrazia che abbiamo trovato sempre vigile oppositrice ogni
qual volta abbiamo tentato di difendere i nostri diritti, vilmente oppressi. È
stata invero la commissione reale quella che nell’approvazione del piano
regolatore ferroviario ha relegato le nostre ferrovie fra quelle secondarie,
ferendo così le ardenti supreme aspirazioni del popolo nostro. ... L’Abruzzo ha
tutto dato ma nulla avuto, nella relazione si cade in una orribile bestemmia,
quella che le ferrovie debbano solcare regioni già ricche, mentre canone sociale
e politico portare le linee ferrate in regioni misere…L’Abruzzo che fra tutte le
regioni d’Italia, ha avuto come gli ha assicurato il generale Santucci, la più
alta percentuale di morti, di ciechi, di mutilati, di degenti per ferite gravi
negli ospedali, abbia finalmente il riconoscimento dei suoi diritti. Rieti ed Ascoli risposero al convegno aquilano con altre manifestazioni la più
imponente delle quali si tenne a Rieti il 23 giugno 1922. Per
l’organizzazione del convegno gli amministratori reatini si dettero un gran da
fare tanto che la stampa dei giorni successivi sottolineò più volte
l’impeccabile organizzazione. Scriveva il «Giornale di Ascoli »:Lo
spettacolo che offriva il bellissimo e vastissimo teatro Flavio, gremito di
cittadini e rappresentanze non è descrivibile, rifuggendo da ogni esercitazione
puramente letteraria, diciamo soltanto che l’imponenza del quadro resterà sempre
nel ricordo di noi convenuti.
E lo stesso tono usò il corrispondente del «Solco »:
mille bandiere, mille drappi esposti dalle finestre adornano le principali vie
cittadine ... è stato un lieto trambusto di cittadini e di forestieri illustri e
di tutti i ceti delle regioni picene, abruzzese,umbro-sabina ... II teatro
comunale non presentò mai a memoria nostra un colpo d’occhio tanto
imponente.
Durante i lavori del convegno, al quale partecipò anche il sindaco di
Roma Giannetto Valli, vennero più volte ricordate le vicende della linea a
cominciare dalla relazione ministeriale del 1919 che la giudicò di prima
categoria, all’ambiguo atteggiamento dell’allora ministro dei lavori pubblici Micheli, il quale sostenne che la «relazione» doveva essere considerata soltanto
come uno strumento consultivo senza poter in alcun modo vincolare le scelte del
governo. In tal modo il ministro dei lavori pubblici si era schierato a favore
della linea aquilana giustificando questo suo cambiamento di vedute con il fatto
che questa aveva a suo vantaggio la linea L’Aquila-Capitignano, un tronco
ferroviario concesso a scartamento ridotto per lo sfruttamento delle turbine di
Campotosto, e che invece fu costruito a scartamento normale e presentato come
primo tronco della linea in questione. Ma ciò che nella manifestazione reatina
venne maggiormente sottolineato, fu la superiorità della Salaria sotto ogni
punto di vista. Il tracciato della Ascoli-Antrodoco-Rieti-Roma creava pochissimi
problemi tecnici e muovendo da S. Benedetto, dopo aver superato un valico
appenninico di 1.000 metri, sarebbe discesa fino a Roma con una pendenza
progressiva mentre la linea aquilana, che partiva da Giulianova, dopo aver
superato con una galleria di sommità un valico a 1.150 metri, sarebbe discesa a
L’Aquila a 611 metri e quindi di nuovo sarebbe risalita al valico Aterno-Salto a
1.010 metri da dove sarebbe nuovamente scesa nella valle del Salto a 750 metri e
di nuovo avrebbe raggiunto i 956 metri nella valle del Turano . Inoltre,
sostenevano i relatori dell’incontro reatino, la linea aquilana avrebbe
attraversato i territori di 13 mandamenti con una popolazione complessiva di
202.415 abitanti mentre la Salaria avrebbe attraversato ben 30 mandamenti
servendo complessivamente una popolazione di 494.682 abitanti . In ultimo anche
le distanze tra Roma con l’Adriatico, Ascoli, Teramo e L’Aquila, sarebbero state
minori con la Salaria che tra l’altro aveva anche il vantaggio di una minore
spesa per la sua costruzione . Tuttavia la massiccia «agitazione» a sostegno
della Salaria non condusse a grossi risultati e il governo ancora una volta non
costruì la linea motivando tale decisione con la cattiva situazione finanziaria
dello stato.
Documentazione reperita dall'ARCHIVIO DI STATO DI
RIETI |