Il 26 dicembre 1820 arriva in Abruzzo, dove è stato destinato al comando della truppa di stanza, il generale Guglielmo Pepe. Lo accompagna il suo capo di stato maggiore Del Carretto. La prima impressione ricevuta dal generale è nettamente negativa. Egli nota che "le opere di fortificazione della frontiera abruzzese erano state trascurate come se non vi fosse stato alcun timore di guerra. Quelle che trovai nelle gole di Popoli, di Tagliacozzo, di Antrodoco, di Leonessa erano veramente visibili". Né migliore era l'organizzazione dei pochi ed incompleti reparti poiché all'artiglieria mancava del tutto il munizionamento né si era provveduto alla fornitura di foraggio e i soldati (continuiamo con la testimonianza del Pepe) non avevano né cappotti né scarpe. Terminata l'ispezione all'Aquila e passato nella provincia teramana attraverso il valico di Forca di Penne, trova che nell'Abruzzo Ulteriore Primo la situazione è migliore di quella aquilana poiché la provincia era già riuscita a formare i battaglioni prescritti ed, addirittura, era andata oltre il proprio obbligo costituendo un battaglione di milizie e due (ne era prescritto soltanto uno) di legionari. Non completamente soddisfatto si mostra il Pepe della fortezza di Civitella che però reputa sufficientemente rispondente all'eventuale bisogno perché "molto favorita natura". Con riguardo alla situazione politica, a voler dar retta al Pepe, sembra che l'Abruzzo sia un'immensa "vendita carbonara". Così infatti si esprime il generale circa i suoi frequenti incontri con gli abruzzesi aderenti alla setta: " Eran carbonari presso che tutti gli uomini dabbene; ed i più cospicui cittadini teneran quasi sempre i gradi più elevati della sètta. Il popolano ed il gentiluomo sedean accanto l'un dell'altro. Nella carboneria delle provincie vi era più integrità di carattere che in quella della capitale ed anche più in ordine; e quindi la causa pubblica traeva da essa vantaggio maggiore. La carboneria divenne tanto estesa durante il breve periodo del nostro governo costituzionale, che quelle baracche potevansi dire vere sale patriottiche, meglio ordinate di quelle di Francia e di Napoli medesima a tempi lunghi della repubblica. I carbonari abruzzesi mi aiutarono moltissimo ad ordinare in quelle tre provincie venti battaglioni, nove di militi ed undici di legionari. I cittadini agiati con nobile generosità vestivano  a spese proprie quei militi e quei legionari le cui condizioni di fortuna erano men che mediocri. Credasi pure che mercé di tutto l'accaduto da ventuno anno in poi, e mercé della sètta carbonara, la popolazione del regno erasi talmente infiammata per la causa della libertà, che ordinata in battaglioni e spalleggiata da un esercito di linea anche meno numeroso di quello che avevamo, avrebbe inviluppati ed oppugnati talmente gli Austriaci da farne escir pochi salvi dal regno, e da strappar poscia l'Italia tutta alle rapaci lor mani". Al momento della partenza del Pepe, l'Abruzzo aveva nelle sue tre province complessivamente sette battaglioni volontari, dei quali quattro di legionari e tre di milizie provinciali. Tornando ai fatti del regno, l'avvenimento che determina lo scoppio delle tensioni accumulate in quegli anni fu il noto atto di ribellione e di insubordinazione del Reggimento di cavalleria Real Borbone avvenuto il 2 luglio 1820 nell'acquartieramento di Nola! Capi dell'atto di insubordinazione furono i tenenti Morelli e Salvati con uno squadrone di cavalleria che assunse il nome di squadrone della morte. Ma la gravità dell'episodio fu ancora più rimarchevole allorché ai responsabili del pronunciamento si unì il generale Pepe con due reggimenti di cavalleria e una compagnia di fanteria di linea. La spedizione divenne poi generale, come dimostrano i soldati della guarnigione di Salerno che rifiutarono di eseguire gli ordini del Generale Nunziante che li voleva far marciare contro gli insorti. Richiesta principale della truppa, in verità eccitata a ciò dagli ufficiali quasi tutti carbonari, era la concessione, da parte del Re, della costituzione. Ferdinando è così costretto a cedere ed il 7 luglio 1820 concedeva al Regno la costituzione. Ma questo storico ed importantissimo evento, lungi dal risolvere e districare le contraddizioni interne della nazione napoletana, le aggravò. Alla crisi interna , ben più grave, si aggiungeva quella internazionale perché l'atto liberale del Re delle due Sicilie veniva ad alterare quei principi voluti dalla Santa Alleanza che si estrinsecavano nella riposata monarchia e paziente servitù dei popoli. L'Austria corse naturalmente al riparo e convocò una conferenza a Lubiana per esaminare i fatti e le relative conseguenze.  Fu invitato lo stesso Ferdinando che, giurando e spergiurando fedeltà alla concessa costituzione, vi si recò nominando Reggente il figlio Francesco. A Lubiana fu deciso , consenziente Ferdinando, che era  necessario in modo assoluto di mettere fine a ciò che per i Monarchi del tempo rappresentava una vera e propria rivoluzione. A Napoli si iniziarono i preparativi di difesa essendo ormai evidente che gli Austriaci si stavano muovendo verso il sud dell'Italia. L'armata costituzionale fu divisa in due corpi d'armata. Il primo fu composto da 37 battaglioni di tutte le armi e fu posto agli ordini del generale Carrascosa con il compito di schierarsi nella zona di S. Germano, mentre una divisione di fanteria, agli ordini del generale D'Ambrosio, si dislocava nella zona confinaria di Fondi. Il secondo corpo d'armata, che ci interessa particolarmente, fu posto ai comandi del generale Gugliemo Pepe con la disposizione di porsi a difesa dei confini del Regno nella zona della provincia aquilana. La dislocazione del secondo corpo di armata vedeva 8 battaglioni posti nei pressi di Rieti; circa 6.000 uomini dislocati tra Leonessa ed Amatrice per la copertura delle vie portanti nel Regno da Spoleto e Fiorentino. A disposizione del generale Pepe erano inoltre i due reggimenti 3° e 12° di linea dei colonnelli Francesco Casella e Nicola Maschioletti; il 4°,5° e 6° battaglione del Reggimento fanteria Principessa; ed alcuni squadroni del Reggimento Cavalleria "Re". Le fortificazioni abruzzesi erano state tutte rinforzate o, in specie quelle poste sulla strada da l'Aquila ad Antrodoco, predisposte da poco tempo. A Civita Tommasa inoltre era stato posto in essere un fortino con 6 bocche di fuoco. La sera del 6 marzo 1821 il generale Pepe pose il suo quartier generale a Cittaducale donde dispose per lo schieramento del suo corpo d'armata in quattro contingenti con i seguenti comandanti, disposizioni e compiti:1) Brigata comandata da Montemajor dislocata sopra i monti di Sala e Casette con il compito di avanzare per il ponte Crispoldi ad interdirne il passo al nemico non appena questo iniziasse il movimento o, se attaccato, le operazioni. 2) Colonna del colonnello Russo presso l'ansa del Velino nei pressi della pianura di Villa Troiana. 3) Colonna del colonnello Verdinois con il compito di aggirare il campo nemico percorrendo la strada di Cantalice e Castel Franco. 4) Colonna del colonnello Liguori con disposizione di portarsi a Piediluco e di qui assaltare il nemico alle spalle completando da nord ovest l'azione di Verdinois. Questo piano era stato realizzato da Del Carretto. L'armata austriaca si era mossa dai suoi acquartieramenti del nord ai primi di febbraio e l'8 del mese era entrata in Bologna. Continuando nella sua lenta marcia, il 27 febbraio era a Foligno da dove il barone Generale Giovanni Frimont, comandante austriaco, rivolse un proclama ai napoletani nel quale affermava  che le sue truppe marciavano per reprimere "una detestabile rivoluzione". Un altro proclama è diretto pure ai napoletani, due giorni prima, da Ferdinando che invita i "sudditi fedeli" ad accogliere le truppe austriache "come una forza che agisce soltanto pel vero interesse del nostro Regno.... e per proteggere i veri amici del bene della patria". Il 4 marzo gli austriaci sono anch'essi nei pressi di Rieti. All'alba del 7 marzo inizia la battaglia. L'attacco napoletano è portato dalla colonna del colonnello Russo che supera le fortificazioni e le difese nemiche ed incalza la truppa austriaca. A questo punto, secondo i piani preparati, doveva agire la brigata di Montemajor per battere il nemico confuso. Ma l'ordine in tal senso non fu dato permettendo così agli Austriaci di riordinare le file rendendo vana l'azione della colonna Verdinois che, però, riuscì comunque ad aprirsi un varco tra la schiera opposta occupando poi un fortino nemico i cui cannoni furono successivamente utilizzati contro le truppe imperiali. Per limitare i danni subiti dal proprio centro, il generale austriaco Moor, muove la propria ala destra, composta dalla Cavalleria dell'armata imperiale, e la fa caricare contro la colonna napoletana. La Cavalleria austriaca, fonte di tre Reggimenti è controbattuta da quella napoletana del Reggimento del Re, mentre il 12° di linea assalta alla baionetta la rinfrancata fanteria imperiale. L'azione valorosissima dei napoletani è commentata in modo entusiastico dal Pignatelli e pertanto non vogliamo privare il paziente lettore di queste pregevoli considerazioni:" In questa continua e sanguinolenta zuffa avrei voluto te per testimone detrattore ingiusto della gloria del soldato napolitano: avresti tu in quel momento di bravura impareggiabile veduto che un sol reggimento di cavalleria costituzionale valse a mettere in rotta completa tutta la cavalleria tedesca: avresti veduto che le baionette di  allincirca 3.000 Napolitani, fecer si che i Tedeschi ad una scompigliata e precipitosa fuga si volgessero: avresti allora veduto che rientrati gli Imperiali disordinatamente dentro Rieti ne chiusero per tema la Porta d'Arci....Ma allincirca ben 300 Tedeschi tra cadaveri e feriti rimasero nel campo siccome tanti documenti del valore italiano!! Non oltrepassò per contrario un centinaro il numero dei Costituzionali che furono morti in una pugna tanto arrabbiata ed ineguale. Son questi i veri fatti d'arme di quelle prime cinque ore del giorno 7 di marzo 1821 dalle più nere calunnie traditi e sfigurati". Gli imperiali puntarono allora su Montemajor che ordinò la ritirata. A questa vista serpeggia tra i soldati delle alte colonne "il veleno della spedizione" e in questa situazione (prezzo di viltà o o di turpe tradimento) lo stesso Pepe perde le pur notevoli capacità strategiche e di comando e dispone la ritirata. Il ritiro di Pepe , la viltà o incapacità o tradimento di Montemajor determinarono uno sfasamento nel 2° corpo di armata al quale non è sufficiente il coraggio del colonnello Russo e dei suoi reparti. La ritirata iniziata la mattina dell'8 marzo, portò la colonna del Verdinois, verso il teramano dove due compagnie di fanteria di linea proseguirono sulla litoranea verso il fronte pescarese dove si insidiò un battaglione. La colonna Russo e quella del Montemajor, al quale il generale Pepe ha tolto il comando, indietreggiano verso Antrodoco e qui, nella gola dei monti ad est della cittadina, sono attaccate da un forte nerbo nemico e battute nel breve ma intenso combattimento. A questo punto le forze disponibili in Abruzzo si riducono a 500 uomini di fanteria e 200 cavalieri della colonna Russo, 700 soldati agli ordini del Verdenois e due compagnie di zappatori dello stato maggiore del Pepe. Circa la consistenza del suo corpo di armata il generale scrive: "Era pertanto impossibil conservare gli Abruzzi". Ma al proposito ci domandiamo in che modo poteva difendere gli Abruzzi il Pepe se, quando avviene la rilevazione di queste forze (che,è bene ripeterlo, si trovano tra Antrodoco e l'Aquila), egli invece è già a Popoli in cammino verso Sulmona e poi Venafro? La sconfitta di Rieti e la successiva di Antrodoco aprono la strada per la capitale agli Austriaci che, il 23 marzo, vi entrano accolti festosamente dalla popolazione. La campagna dell'esercito costituzionale, conclusasi in modo disastroso, generò una polemica tra i vari generali dell'epoca: vi furono accuse di tradimento, di connivenza, di doppiogiochismo. In verità l'elemento basilare dell'insuccesso fu lo stato di confusione, di disagio, di incertezza e di incomprensione esistente tra i vertici militari e civili. Il Pepe scriverà una sua giustificazione incolpando la fortuna e concluderà " verrà un giorno che l'Austria vedrà quanto vale il soldato napoletano se aiutato dalla sorte".

Battaglioni Cacciatori-Bersaglieri e Divisione Cacciatori     cavallo 1819

   Ufficiale e soldato del reggimento Cavalleria Principe reale 1818 circa

 

Sonetto sulla ritirata del Generale Guglielmo Pepe in Corpo dell'Armata Napoletana

 

Guglielmo Pepe nelle gole di Antrodoco

 

                                                                                                 

                                                                                                                    Sonetto ironico sulla ritirata del Generale Guglielmo Pepe