Anna Magnani

 

L’ultima immagine che ci è rimasta di Anna Magnani è alla fine del film Roma di Fellini, dove Anna rappresenta, con quel suo non so che di materno, amaro, mitologico, devastato, la città stessa. L’at­trice, dopo avere lanciato un lungo e profondo sguardo allo spettatore, entra nella porta di una antica casa romana. Questo profondo legame con la sua città, Roma, la caratterizzò sempre ed è legato alle sue più celebri interpretazioni. Ma, se pure così legata alla città, Anna non si limitò a una fama locale, a un pubblico ristretto: nel 1956, vinse l’Oscar per la migliore interpretazione femminile, prima attrice non americana dopo trent’anni da che era iniziato questo premio,  e toccò così il punto più alto della sua carriera.

La consacrazione americana arrivava dopo il suo primo film d’ol­treoceano, tratto dal dramma di Tenessee Williams La rosa tatuata. Ma in Italia era da tempo una attrice affermata: aveva cominciato gio­vanissima come attrice di prosa, nella compagnia Niccodemi, per poi passare alla rivista, dove ottenne clamorosi successi in coppia con Totò, e al cinema. Soprattutto doveva la sua celebrità internazionale al film Roma, città aperta di Roberto Rossellini, dove interpreta, con magistrale talento, il ruolo a lei particolarmente congeniale di una popolana romana travolta dalla tragedia.

Anche se, nei numeri di rivista, Anna aveva dato prova di grande capacità comica e di acuto senso dell’umorismo, la sua consacrazione nel cinema è legata ai grandi ruoli drammatici che ha interpretato. Qui stava la sua più vera vocazione. Era diventata attrice spinta dal dolore - “non ero nata attrice, avevo deciso di diventarlo fra una lacrima di troppo e una carezza di meno” - che nasceva da un’infanzia difficile, segnata irrimediabilmente dall’abbandono dei genitori. Era diventata attrice per essere amata, per colmare con l’amore del pubblico il suo vuoto interno. Ma l’amore del pubblico, che la chiamava con affet­tuosa familiarità Nannarella,  benché forte e sentito, non le bastò mai: nello scorrere della vita, altre delusioni e altri dolori si sommarono a quelli infantili. I tre uomini che Anna ha più amato - il marito, il registra Goffredo Alessandrini, Massimo Serato, padre del figlio Luca, e Roberto Rossellini - la tradirono e la lasciarono, forse sfuggendo alla sua soffocante brama d’amore. Per il figlio amatissimo, colpito in tenera età dalla poliomielite, visse anni di paura e di angoscia; la sua malattia fu una ferita che forse non si rimarginò mai e che lei, nel suo duplice ruolo di padre e madre, tentò sempre di compensare con il suo amore appassionato e la sua grande generosità. Alla ricchezza, alla celebrità, ai meriti artistici riconosciuti forse Nannarella, almeno così credeva, avrebbe preferito l’affetto di una vera famiglia, la famiglia che non aveva mai avuto.

Ma la sua grande capacità artistica nasceva proprio da questo tormento interno, che si placava solo sul palcoscenico o quando, di notte, girava per Roma per dar da mangiare ai gatti randagi, soli, innocenti e diffidenti come lei.

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