Florence Griffith Joyner

 

Nata il 21 dicembre 1959 nel quartiere Watts di Los Angeles, comunemente soprannominata Flo Jo, è nota per essere stata l'atleta più veloce nei 100 e 200 metri, e i suoi record a distanza di anni sono ancora difficili da superare.

Com’era bella e spaventosa a Seul Flo Jo, capelli al vento, body a pelle sui muscoli scolpiti, trucco da teatro, quindici centimetri di unghie istoriate, un così provocante e provocatorio fulgore che al confronto le altre, fate bianche e nere in mises di buon gusto, sembravano scolare ripetenti. Di quegli artigli e di quel cerone molte avevano riso, ma solo fino ai blocchi di partenza: in pochi secondi l’incongrua Florence le azzera una a una, fluida, braccia alzate e sorriso felice già a trenta metri dal traguardo. Per tutta quell’estate 1988 vince con leggerezza smodata, correndo i cento e duecento metri come mai nessuna prima e dopo. Si concede a innumerevoli flash. Polverizza ogni diaframma fra sport e spettacolo, fra corpo agonistico e corpo seduttivo.

Ventotto anni, alle spalle prove non eccelse e un lavoro di ripiego in banca, riapparsa nella fase clou degli scandali doping, di lei si mormora intensamente; ma non c'è un solo controllo positivo, non una prova di pratiche vietate. Per di più, il pubblico non gradirebbe una denuncia a suo carico. La adora, e quando a inizio ‘89 lascia le competizioni fra maldicenze assortite continua a adorarla. Superwoman, Marilyn delle piste e Cenerentola dello sportello. Florence è soprattutto una versione pop del sogno americano: donna, nera, povera, è sfrecciata al culmine in un giorno, e da allora tiene insieme da gran giocoliera fama, denaro, un marito innamorato, una figlia, capricci, sberleffi e buoni propositi. Infatti scrive favole, si occupa di bambini, allena piccoli campioni, è consulente sportiva di Bili Clinton.

Quando, il 22 ottobre 1998, muore improvvisamente, il mormorio diventa strepito. Poche lacrime nel mondo dell’atletica, molte pres­sioni sul marito perché riveli il suo segreto salvando i giovani dalla tentazione di imitarla. Qualcuno chiama in causa l’ormone della cre­scita, una partita avariata in circolazione nel 1987, che avrebbe ridotto la magica creatura a un relitto tremante e sbavante. Altri parlano di mascelle improvvisamente ingrossate, peluria sparsa, voce incupita. Senonché foto e televisione mostrano che, a differenza delle nuotatrici tedesco-orientali, Florence è rimasta bella e indubitabilmente fem­minile. Senonché l’autopsia rivela che a ucciderla è stato un attacco epilettico. Conseguenza non del malfamato morbo di Creutzfeld-Jacob, ma di una banale anomalia cerebrale. Florence se ne va con un piccolo corteo di domande senza risposta.

Ma non senza una morale. Lontani i tempi in cui morire in età giovane era segno della predilezione divina, ora è un’ammissione di colpevolezza. “Non si muore a 38 anni!”, accusano sportivi e commen­tatori. “C’era da aspettarselo”, dice chi vive nella speranza che alla fine tutto si paghi, specialmente il successo. Resta il forse. Forse i bei muscoli non erano innocenti, forse quel corpo enigmatico era un povero prodotto di laboratorio. Ghiotto spunto per le future biografie scritte e filmate; solo tristezza per quanti la amavano, e a mala pena si consolano al pensiero che la chimica può poco senza la natura, e che anche ai mostri di rispettabilità capita di morire giovani.

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