Marianna De Leyva

La monaca di Monza

La Monaca di Monza ha perseguitato e perseguiterà ancora generazioni di studenti: è infatti uno dei noti personaggi dei Promessi Sposi del Manzoni. In effetti, la Monaca di Monza è un personaggio realmente esistito; il Manzoni aveva conosciuto la sua storia attraverso la biografia del canonico Ripamonti e si ispirò alla storia di Marianna De Leyva, pur mutandone i dati cronologici e trasformando alcuni particolari. Quella dei De Leyva era una nobile famiglia spagnola che si era trasferita in Italia tra il XVI ed il XVII secolo e in cui nel 1575 nacque Marianna. La bambina rimase praticamente subito orfana di madre a causa della peste, e venne allevata da una zia; nel 1589 divenne postulante, mentre nel 1591 fu costretta a farsi monaca senza alcuna vocazione nel monastero delle Benedettine Umiliate di s. Margherita di Monza, con il nome di Suor Virginia Maria, probabilmente per mantenere integro un patrimonio altrimenti da spartire in troppe parti e per lasciare al padre la possibilità di rifarsi una vita con la seconda moglie, la valenzana Donna Anna Viguez. Per la sua bellezza, istruzione e nobiltà di tratto, fu subito chiamata La Signora e promossa maestra delle educande. In seguito, a causa probabilmente della sua indole passionale ed imperiosa, ebbe la famosa relazione amorosa con Gianpaolo Osio: lo conosceva per la vicinanza fra la sua unica finestra sul mondo, o meglio sul giardino della casa della famiglia di lui. Era capitato che avesse scoperto una delle converse, Isabella, far dei cenni dalla finestra verso il Giampaolo: in seguito, aveva cominciato ad ascoltare le loro conversazioni, piene di passione e di frasi d’amore, tanto da smuoverle una commozione che la sconvolse, così come il rumore di un loro bacio; era gelosa di Isabella ed innamorata di Giampaolo. Tanto gelosa che la fece cacciare dal convento: poi andò a prendersi la sua vittoria e quando Giampaolo tornò nel giardino dove vedeva solitamente la sua bella, scorse un’altra suora, la salutò e lei rispose al suo saluto. Poi gli diede il permesso di scriverle, una prima stramba dichiarazione d’amore. Fu poi per amore che Suor Virginia risparmiò la vita del suo amato allorché lui si rese colpevole di omicidio: bastarono le preghiere della mamma di lui per farla desistere, in fondo solo una scusa per dare retta al suo cuore. Una nuova lettera, questa volta di scuse con la richiesta di poterle fare di persona alla Signora: la furbata era opera del consigliere sentimentale e segretario galante del giovane, tal Paolo Arrigoni. I due, finalmente, si videro in un colloquio segreto, notturno, separati da una doppia grata, con la complicità di altre due suore, Ottavia e Benedetta, da allora loro custodi. Poiché non era una sciocca, suor Virginia si rese conto dei pericoli insiti in tal genere di comportamento e provò anche a desistere dal vedere il suo amato, ma ogni volta ricadeva nella trappola del cuore: la doppia grata scomparve e la giovane scoprì le gioie del corpo e dell’amore. Si amavano ed erano fermamente decisi a proteggere il loro amore in ogni caso, ad ogni costo: lei aveva qualche tentennamento e buttava via la chiave con cui lui entrava di nascosto nel convento, ma lui era previdente e aveva fatto fare numerose copie. Pare che Virginia abbia buttato in un pozzo circa 50 chiavi.

Ebbero un figlio, disgraziatamente nato morto, ed una bambina, nata nel 1604 e battezzata con il nome di Francesca Maria. Giampaolo la legittimò ed ora a trascorrere la notte fuori era anche Virginia, a casa degli Osio. In seguito si rese complice di una serie di delitti: l’uccisione della conversa Caterina Cassini da Meda nel 1606 e quella dello speziale Raniero Roncino nel 1607. La Cassini era una conversa laica al servizio del monastero che, per aver commesso una mancanza, venne segregata nelle "prigioni" del convento: ammattita, cominciò a gridare che avrebbe svelato a Monsignor Barca, Vicario delle Benedettine, quelle storie che tutti sapevano ma che nessuno osava dire. Terrorizzati per il pericolo che correva il loro amore, decisero per la morte della ragazza che l’Osio uccise freddamente, colpendola alla nuca con il piede di ferro di un arcolaio. Nascosto momentaneamente il cadavere sotto della legna, Caterina fu poi trasferita in casa Osio, dove Giampaolo la decapitò e la seppellì in cantina. Sorte simile ebbe il Roncino: probabilmente aveva parlato troppo con qualche cliente del suo negozio; doveva morire con una fucilata, ma Osio sbagliò la mira, venne arrestato e condotto nel castello di Pavia: riuscì poi ad evadere e a far colpire da un suo servo il petulante speziale. Ma ormai le voci non erano più tali e la storia venne conosciuta anche a Milano; giunse conseguentemente in visita il Borromeo che, nonostante le suore negassero, ebbe la confessione della stessa suor Virginia: "Sono stata forzata a pronunciare voti che non hanno valore, sono donna da marito e posso darmi a chi mi ha prescelta!".

Virginia fu trasferita a Milano, mentre il suo amato fuggì accompagnato dalle due suore complici, ignare di cosa le avrebbe attese: Osio, infatti, cercò di uccidere. Ottavia affogandola (morirà solo qualche tempo dopo per le ferite riportate) e Benedetta buttandola in un pozzo: la cattiva sorte volle che anche quest’ultima non morisse ma venisse salvata da alcuni viandanti che rinvennero anche la testa della da Meda. Giampaolo Osio era ormai spacciato: sulla testa gli pendeva una taglia notevole, vivo o morto. E morto sarà, quando un suo presunto amico gli taglierà la testa da spedire a Milano per riscuotere la taglia. Suor Virginia fu arrestata il 15 novembre 1607, incarcerata a Santa Maria Valeria a Milano e condannata circa un anno dopo.

Detenuta per anni in stretta clausura, in preda inizialmente a crisi di nervi e di violenza, imprecando e tentando più volte il suicidio, si pentì successivamente degli errori commessi, soggiornando in una cella larga tre braccia e lunga solo cinque, con la porta e la finestra murate e due piccoli buchi per i pasti ed i bisogni quotidiani. Ormai redenta, passava le sue ore in preghiera e a quanti cercavano di confortarla ricordava solo che grand’uomo fosse il cardinale Borromeo, di quanto bene le avesse fatto e quanto quella sistemazione fosse adatta a lei ed al suo peccato. Dopo diversi anni, il Borromeo si recò effettivamente a colloquio con lei, trovandola provata e mistica, per il suo colloquio quotidiano con la Divinità (in buona sostanza quasi ammattita): smagrita, sottomessa, ma ancora forte e vitale, con una redenzione morale ormai pienamente compiuta. Il 25 settembre 1622 ebbe un condono della pena e tornò a fare la vita da suora con le Convertite di s. Valeria: difficilmente qualcuno avrebbe potuto riconoscere il lei la folle d’amore che anni prima terrorizzava il convento di Monza, ora che intorno a sé emanava solo il bene del suo cuore. Visse ancora a lungo, fino a diventare una piccola e curva vecchietta, fino al 7 gennaio 1650. Infatti, morirà all’età di 75 anni.

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